La vita militare/Il più bel giorno della vita

Il più bel giorno della vita

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Una morte sul campo

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IL PIÙ BEL GIORNO DELLA VITA.


Chi non ha provato quel senso di tedio stanco e quasi melanconico, che ispira una città grande, a guardarla dall’alto d’una collina, dopo il tramonto del sole, quando la si vede come a traverso un velo di nebbia, e ci presenta l’immagine d’un’ampia macchia biancastra che svanisce a poco a poco sul fondo bruno della valle? Quella moltitudine di case d’ogni forma e d’ogni grandezza, agglomerate, strette, che par che si pigino e si opprimano, e le une escan fuori dalle altre, e le ultime s’innalzino sui tetti delle prime, e facciano a sovercharsi a vicenda e a rubarsi l’aria e la luce; e tutte quelle finestre che viste così di lontano paion buche; e i terrazzini, stie; e le piazze, cortili; e le strade, chiassuoli; e la gente, formiche; oh che spettacolo uggioso e meschino in confronto di quello che ci si offre allo sguardo volgendo intorno la testa: questi bei colli, questa bella verzura, quest’aria pura ed aperta. Oh qui si vive, qui ci si sente dilatare le vene, e le arterie battere in armonia, e tutte le potenze vitali esercitarsi con un attrito tanto soave! Ma laggiù, Dio mio, là dentro, in quel formicolaio, in quell’aere corrotto, in mezzo a quello strepito, come si fa a vivere! come si fa a respirare! come resiste a starci tutta quella gente! E io dovrò ritornar là? Oh se avessi una villa anch’io! [p. 444 modifica]Se avessi quella lassù, in cima a quel monte, o quest’altra ai piedi del colle, od anche quella là più piccina, su quel poggio, con quella corona di cipressi; io me ne contenterei, e vivrei là solo, tranquillo, leggendo, studiando, ricordandomi appena della città come d’un paese lontano e sconosciuto.... Che dolce vita io vivrei, che serenità, che pace! Oh se avessi una villa anch’io! — Così si sente e si pensa qualche volta, e si finisce coll’esclamare sospirando: — Ah che mondo!

Era così amena e romita, come noi ce la fingeremmo col desiderio, una villa, ch’io vidi qualche anno fa, vicino a Valdieri, in cima a un bellissimo colle, sul confine delle terre riserbate alle caccio del re. Quel colle è l’ultima altura d’una catena, da cui son divise le valli anguste di due torrentelli che gli si vengono a congiungere ai piedi. Qui v’è un ponte; al di là delle acque poche casuccie e una chiesuola; alcune capanne sparse lungo la riva; tutt’intorno montagne altissime popolate di abeti, di noci e di castagni enormi; verdi in basso, d’un verde vivo e scuro; azzurre lassù, dove appena arriva lo sguardo. Il colle, la valle, il paesello, tutto deserto e queto; la presenza dell’alpi gigantesche par che imponga alla circostante natura una specie di raccoglimento pauroso e solenne.

La strada del ponte ascende la collina, passa dinanzi alla villa, e va oltre. La villa è una casina a due piani, di color rosso e di forma graziosa. Da un lato ha la casa dei contadini; dall’altro un gran pergolato di forma quadrata, chiuso verso la strada da un ampio frascato; sul davanti, fra la strada e la casa, un tratto di terreno erboso, largo quanto un piccolo cortile, circondato da un’alta siepe, e tutto ombrato da quattro grandi castagni che intrecciano i rami. Finestre e porte sempre chiuse. A passar per di là, si sente qualche volta dalle [p. 445 modifica]finestre a terreno una voce d’uomo che legge forte; ma per lo più v’è un silenzio profondo. Quella casina solitaria, mezzo nascosta dagli alberi, chiusa, queta, par che dica a chi le passa davanti: — Zitto!

Ma fu un giorno, dieci anni fa, in cui si vide quella villa stranamente mutata. Fin dalla mattina per tempo tutte le finestre erano spalancate; spenzolavano dai davanzali ghirlande di fiori campestri; dalla finestra di mezzo sporgeva una bandiera tricolore; quattro bandierine sventolavano ai quattro angoli del pergolato; molti palloncini di carta colorita, di quei che s’usano per le luminarie, pendevano dai rami dei quattro castagni; nel piccolo prato, lungo la siepe, panche, seggiole e tavolini; sulla strada, davanti al cancello, una schiera di ragazzi accorsi dalla campagna, che stavano guardando colla bocca aperta.

Perchè tutto questo?

Un momento; bisogna prima conoscere il padrone di casa; egli è là, sotto il pergolato, seduto dinanzi a un tavolino, e scrive. Si è levato per tempo, come vedete; non sono ancora le sei della mattina. Egli non ha perduto le abitudini della vita di soldato. Era colonnello; ora è in ritiro, e passa qui nella quiete della sua villa que’ pochi anni di vita che gli rimangono; perchè è vecchio, quasi ottuagenario, e ha molto faticato e patito; da soldato a colonnello, figuratevi! Ma badate; non è mica uno di quei soliti colonnelli in ritiro che si veggono nelle commedie e nei drammi, tutti fatti sul medesimo stampo, con quei baffi irsuti, con quel cipiglio, con quel vocione. No, egli è mansueto, egli è sereno, e di quella serenità aperta ed uguale, che si dà in pochi vecchi; in quei soli ne’ quali alla letizia naturale dello spirito s’unisce quella più profonda che sorge dalla coscienza d’una gioventù ordinata e d’una virilità operosa ed onesta; se[p. 446 modifica]renità che cresce, si può dire, cogli anni, sino a diventare in alcuni un’allegrezza quasi infantile; e il colonnello è un di questi. Ha modi e gesti subiti e franchi, come di giovane; e una parlantina viva e piena d’affabilità ingenua. I bimbi gli voglion bene subito, e dopo poche parole allungano la manina per afferrargli un baffo; e le ragazze che vengono la sera a far crocchio sulla via, si divertono tanto a starlo a sentire, quand’egli appuntando il dito ora verso l’una ora verso l’altra, con quell’aria malignuzza, dice che sa di gran misteri, e che parlerà. Ed è un vecchio vegeto, e quei capelli lunghi e bianchissimi fanno un grato vedere intorno alla sua fronte abbronzata, e ha l’occhio grande e soave, e quando ride mostra due file di denti bianchi che certo una volta non devono aver penato di molto a lacerare la cartuccia.

Ha finito di scrivere, guarda intorno e chiama: — Cesare!

— Eccomi! — risponde una voce fuori del pergolato.

Un giovinetto sui ventisei anni, vestito in gala, con un bel panciotto a fiori e una gran cravatta a colori che gli si annoda sul petto, pettinato, liscio, lindo, si viene a piantar davanti al colonnello. È un contadino; ma non n’ha l’aspetto, e sembra serio e fiero; ma quando sorride, il suo viso si trasforma, s’illumina e non par più quel di prima; è un bel giovane.

— Buon giorno, signor colonnello. —

Il colonnello lo guarda e lo riguarda da capo a piedi, e poi gli rende il saluto.

E dopo un’altra guardata, sorridendo: — Come hai dormito questa notte?

— .... Male!

— Ma per l’ultima volta. [p. 447 modifica]

— Oh sì! — risponde il giovane con un sorriso e un sospiro.

— Dunque.... trovàti i compagni?

— Trovàti; ma ho fatto un gran girare, sa! Ne ho radunati una quindicina. Non li ho potuti veder tutti, qualcuno era fuor di casa; ma l’ho lasciato detto ai parenti, e verranno lo stesso. E ne trovai quattro o cinque che non volean credere. — Ma se noi non lo conosciamo il signor colonnello! Ma come mai gli è venuta quest’idea? domandavano. — Che v’ho da dire? io rispondevo; gli è venuta perchè è un signore di cuore, ecco. E non se ne capacitavano ancora e dicevano: — Scusateci, ma l’è una cosa che non s’è mai veduta! — Lo so anch’io che non s’è mai veduta, ma la vedrete adesso. E lì a spiegare che lei era colonnello, che voleva un po’ di bene a me, per bontà sua, e che io ho fatto il soldato, e che oggi debbo sposare, e che il signor padrone ha voluto farmi quest’onore di invitare alle nozze tutti i giovani dei dintorni che sono stati al servizio, perchè egli vuol bene ai soldati, e di tanto in tanto gli piace di vedersene qualcuno intorno, che gli pare di ritornare in mezzo al suo reggimento, e via discorrendo. Una volta persuasi, saltavano dalla contentezza, e non rifinivano di ringraziarmi. — Ce ne fosse uno al giorno di questi colonnelli! — dicevano. Li ho invitati per le quattro di questa sera.

— Bene;.... e ti ricordasti di dire che venissero vestiti da soldati?

— L’ho detto.

— Cosa risposero?

— Risero; ma dissero che sarebbero venuti come lei voleva. Qualcuno non aveva più tutta la roba. Mettetevi quel che avete, gli ho detto.

— Naturale. Dunque.... sentimi adesso; siedi. [p. 448 modifica]

Il giovane sedette.

— In questi tre giorni dacchè sei venuto, io non t’ho ancora potuto tenere fermo un’ora, qui, a quattr’occhi, per farmi raccontare per filo e per segno come sia andata tutta questa faccenda.... che s’ha da concludere quest’oggi. Dalle lettere ho capito qualcosa, ma poco e male; vorrei sapere le cose chiare e netto. Vedi di stare fermo e quieto un momento, e di’ su tutto per bene; tanto prima dell’otto non l’hai da vedere; adesso dorme, m’immagino, che sarà stanca di ieri, e poi ci vorrà un po’ di tempo prima che sia vestita per andare.... Sentiamo dunque, e mettiti il cuore in pace un momento; già essa non ti scappa, lo sai. —

Il giovine rise, si fece scorrer due o tre volte le mani sulle ginocchia, si fece serio, poi di nuovo rise, e finalmente cominciò a parlare. Il colonnello appoggiò un gomito sul tavolino e il mento sulla mano. — Sentiamo queste grandi avventure.

— Ecco come l’è andata, signor colonnello; le dirò tutto, e lei abbia la bontà di compatirmi se parlo male. Eravamo di guarnigione a Savigliano, due battaglioni di bersaglieri, sul finire del cinquant’otto, come lei già sa. La città non è brutta, la gente ha buon garbo coi soldati, e c’era poco da fare; io ci stavo volentieri e il tempo passava presto. Quattrini da casa non me ne lasciavano mancare, e io, i giorni che non ero di servizio, appena mangiato il rancio, me ne andavo ad aggiungervi un’insalatina di lattuga dal vivandiere, e uscivo di caserma contento come una pasqua. I superiori chiudevano gli occhi, io portavo un pennacchio lungo così, e tutta la roba accomodata per bene al mio dosso, e faceva anch’io la mia figura. In quelle ore d’uscita, passeggiavo la città in lungo e in largo con quattro o cinque camerata, quasi sempre li stessi, o s’andava a fare un giro [p. 449 modifica]in campagna o a bere un bicchiere in compagnia. Uscendo di quartiere, portavo ogni giorno, per abitudine, una grossa fetta di pane in tasca, e la davo a uno dei poveri che stavano davanti alla porta del quartiere, il più delle volte a un ragazzino che poi le dirò chi fosse. Me la passavo bene, via, e non avevo da lamentarmi di niente e di nessuno. Oh.... senta adesso, signor colonnello. Una bella sera.... veda come tante volte dalle piccole cose.... a pensarci mi pare ancora impossibile.... basta; una sera esco solo di caserma, e mi avvio per la solita passeggiata. Potevano essere le cinque. Dovevo passare per una strada tutta disselciata e ingombra di mucchi di terra, di ciottoli, e di operai che lavoravano. Arrivato al punto dove incominciavano gl’ingombri, vedo un povero tutto lacero, vecchio, cieco, che stentava a reggersi in piedi e voleva andar oltre e si peritava e tastava qua e là col bastone senza saper da che parte voltarsi. La gente guardava e non si moveva. — Accompagnalo tu — disse una donna da una finestra, rivolgendosi a un ragazzo; il ragazzo fece una spallata. — Ma che non ci sia proprio nessuno che abbia un po’ di carità per quel povero disgraziato? la donna domandò. — Ci son io, — risposi; e senza dir altro presi il vecchio a braccetto, e adagio adagio, facendogli scansare i sassi, insegnandogli dove doveva mettere i piedi, un passo dopo l’altro, con santa pazienza, lo condussi fuor di pericolo, dove ricominciava la strada piana. Allora il vecchio mi ringraziò, mi toccò per sapere chi fossi, e sentito il pennacchio e la daga, disse tutto contento: — Ah! è un bersagliere.... Bravo bersagliere! — E andò via. In quel punto alzo gli occhi e vedo a una finestra una ragazza che mi guarda. Appena mi vide, scomparve; ma l’avevo sorpresa che mi guardava con un’aria tanto buona, così colla testa un po’ chinata da una parte, come se dicesse: — [p. 450 modifica]Oh! che buon giovane! — Oh! che buona ragazza! pensai subito tra me, al primo vederla. Sa, signor colonnello, ve n’è di quei visi che fanno dire così; appena veduti si fanno voler bene; che so io? paion persone di casa; si direbbe d’averle conosciute qualche altra volta. Basta, non ne feci caso e tirai avanti per la mia strada. Ma ricordo che era una bella giornata, e faceva un fresco ch’era un piacere, e tutta la gente pareva allegra, e non so come, ma tutto in un momento mi parve d’esser contento anch’io. Ora senta che cosa m’è seguito una settimana di poi. Si faceva una festa a un santuario poco lontano dalla città. Io e due miei compagni ci andammo. C’era moltissima gente. Sul tardi, mentre tutti tornavano, in un punto dove la strada faceva un gran giro, uno dei miei camerata domandò: Prendiamo una scorciatoia? Prendiamola, si rispose. Bisognava saltare un fosso largo un quattro metri per lo meno. La gente fa un po’ di posto, il primo prende la rincorsa, spicca il salto, e va a cascare proprio sull’orlo della sponda, che un palmo più indietro gli era dentro. Il secondo salta anche lui, ma batte in terra colle ginocchia. Salto io, e piombo di là un buon passo d’avanzo, dritto come un fuso. — Bene! Bravo! Svelto quel giovane! — dicono dall’altra parte. Io mi volto, e in mezzo a tutti quei visi che mi guardavano, rivedo quel tale, quel della ragazza, un po’ chinato da una parte e che sorrideva, proprio come la prima volta. Allora mi sono sentito un po’.... Da quel tanto che ho potuto travedere, perchè era mezzo nascosta dalla gente, e poi non mi venne più fatto di ritrovarla, mi è parso che fusse una povera ragazza. Tutta la sera, tutta la mattina del giorno appresso non me l’ho potuta levar dalla testa. — Dove l’ha la testa il numero sette? mi gridava il sergente in piazza d’armi. — A momenti lo consegno. — Quella parola «lo conse[p. 451 modifica]gno» m’ha fatto venir freddo; non avevo avuto mai tanta paura di restar segregato in quartiere, e per tutto quel giorno rigai diritto che parevo il primo soldato del battaglione. All’ora solita esco, e quasi senza accorgermene, di passo in passo, mi ritrovo in quella strada. Avevo quasi paura a andare avanti, veda un po’! Camminava impacciato come se avessi avuto le gonnelle. A una certa distanza, vedo uscire molte ragazze da quella casa, mi fermo, osservo, e capii che ci doveva essere una sarta. Tre o quattro si fermano in mezzo alla strada e guardano ridendo dentro la porta, come se aspettassero qualcuno che non vuole uscire. Finalmente esce un’altra ragazza, era lei; esce in fretta e infila la strada dalla mia parte, rasento il muro, colla testa bassa, come se avesse vergogna. Le altre ragazze la guardavano e ridevano. Mi accorsi che ridevano del modo con cui era vestita; essa pareva quasi una povera, e le altre, signorine; camminava a passi corti corti, forse per non far vedere gli stivaletti, e io m’accorsi ch’eran sdruciti sulla punta; e avea il viso quasi coperto dal fazzoletto che teneva fermo sotto il mento con una manina magra e pallida. Venne innanzi sempre più in fretta, e appena mi vide diventò rossa come il fuoco. Mi si strinse il cuore, e sentii una compassione tanto forte di quella povera giovane che, non so come, mi venne un’idea.... Doveva passare fra me e il muro; c’era una grossa pietra, mi chinai, la presi, la buttai in disparte, feci un passo indietro, ed essa passandomi davanti come una freccia, mi guardò e disse: — grazie. — Ed io restai là sbalordito a guardarla mentre s’allontanava. Ad un tratto sento ridere qualcuno dietro di me, mi volto e vedo un giovane, un signore, che andava in fretta dietro la ragazza, guardando per terra. Non c’era altri nella strada: aveva riso di me. Gli tenni dietro coll’occhio, [p. 452 modifica]non si voltò, non mi guardò, tirò innanzi. Ma io rimasi come se m’avessero data una mazzata sul capo. Aveva una fisonomia cattiva quel signore; gli luccicavano gli occhi in un certo modo che faceva quasi paura. Passai una gran brutta nottata quel giorno, signor colonnello! Che cosa vuole? Io non avevo mai provato un’affetto così.... Non sapevo nemmeno io quel che mi volessi; avrei voluto che ci fosse una guerra, che so io? un incendio, o qualche altro gran diavolìo, da potermici gettare in mezzo come un disperato. Il giorno dopo ripassai per di là e incontrai di nuovo quel signore. Appena mi vide, si andò a piantare proprio dinanzi alla porta della sarta. Io stetti a osservarlo da lontano. Le ragazze uscirono, e si fermarono nella strada; usci lei per l’ultima, le altre risero, il signore le si avvicinò per parlarle, essa gli voltò le spalle e tirò via; quando mi fu vicina mi accorsi che piangeva. Mi guardò come il giorno prima, passando in fretta, e scantonò alla prima strada, e il signore dietro. — Questa volta voglio vedere anch’io, — dissi tra me, e li seguitai da lontano. Gira e rigira, per quei vicoli torti e oscuri, la ragazza arrivò finalmente nella via dietro l’ospedale militare, dove stava di casa. Infilò una porta e lasciò il suo cacciatore grullo e confuso con un piede sulla strada, e un altro sul primo scalino della scala e la faccia rivolta in su. Dopo un minuto, essa fece capolino a una finestrella del quarto piano, guardò giù, e riscomparve. Questa stessa stessissima scena si è ripetuta per altri sette o otto giorni. Lui mi guardava sempre col cipiglio e lei con quell’aria dolce e buona; lui continuava ad andarle dietro come l’ombra del suo corpo, e lei continuava a scappare, e io teneva d’occhio tutti e due. Intanto, nella strada della sarta, la gente se n’era accorta, e ogni giorno ch’io ci andavo mi sentivo bruciare il viso dalla vergogna, perchè lei lo [p. 453 modifica]sa, signor colonnello; quando si vede un soldato che guarda una ragazza, non si crede che ci possa essere altro che il solito perchè, e la ragazza perde la reputazione, e a me piangeva il cuore a pensarlo, e in parola di soldato d’onore, io glielo dico adesso a lei come se parlassi davanti a Dio, se mi è mai venuta solamente l’idea.... Ma come fare a non andarci? A non andarci mi sarei immaginato subito che dovesse accadere chi sa che, sarei stato sempre col batticuore; mi sentivo forzato ad andare. Ora senta che cosa seguì. Io conoscevo di veduta un giovinastro, che poteva avere un ventitrè o ventiquattro anni, ozioso, ubriacone, accattabrighe, tenuto d’occhio dalla questura, uno dei più cattivi soggetti del paese, e lo conoscevo per avere avuto da fare con lui più d’una volta, di notte, girando per la città colla pattuglia. Ebbene, un bel giorno.... non iscorderò mai la sorpresa e la tristezza che n’ho provato.... un bel giorno incontro questo individuo a braccetto della ragazza. Mi son sentito mancar le gambe, e per un momento non vidi e non capii più nulla. Da quel giorno, per più d’una settimana, non vidi più la ragazza sola; questo giovinastro l’andava ad accompagnare la mattina e l’andava a prendere la sera. S’accorse presto di me, e cominciò a guardarmi con due occhi di basilisco; io non gli badava. Ogni giorno, nel punto dove c’incontravamo, o ci fosse o non ci fosse quel tal signore, e se n’accorgesse o no il giovane che le era assieme, essa mi dava sempre un’occhiata, una sola, sempre uguale, sempre come me l’aveva data il primo giorno, e questo mi metteva nel cuore una gran forza e un gran coraggio. Ma chi sarà costui? io mi domandava ogni momento. E veda un po’ per che curioso accidente sono riuscito a sapere chi era. Un giorno, insieme alla solita fetta di pane, mi penso di [p. 454 modifica]regalare al ragazzo una cravatta vecchia da bersagliere, di quelle azzurre, che io non so perchè avevo rotondata colle forbici ai due capi. Due giorni dopo ti vedo l’amico della ragazza con quella cravatta al collo. Lo guardo ben bene nel viso, confronto le due fisonomie, e mi pare che lui e il ragazzino si somiglino, e mi viene il sospetto che siano fratelli. L’indomani tiro in disparte il ragazzo, e gli domando: — Di’ un po’, lo mangi tutto tu codesto pane, o ne dai anche a tuo fratello? — Ne do a mia sorella, mi rispose. — Hai anche una sorella? — Una sorella e un fratello. — E che cosa fa tua sorella? — La sarta. — E tuo fratello? — Pensò un momento e poi rispose: — Niente. — È lui, pensai. E infatti, continuando a interrogarlo, mi accertai di tutto. Seppi che la ragazza si chiamava Luisa, ed era sui diciassett’anni; che non aveano più padre nè madre nè altri parenti da quasi due anni; che lei, povera giovane, lavorava dì e notte per vivere e per dare qualche soldo a suo fratello, il quale andava poi a spenderli all’osteria, e tornava a casa ubriaco, e la maltrattava, e la faceva piangere. — Tante volte, mi disse fra le altre cose il ragazzo, egli torna a casa alle due o alle tre dopo mezzanotte, e mia sorella lavora ancora; e poi conduce con sè i suoi compagni, e tutti insieme si mettono a cantare e a ballare, e allora essa esce di casa e resta addormentata sugli scalini col suo lavoro in mano. — Se non mi venne da piangere lì in presenza sua fu perchè feci un gran sforzo; ma non ho potuto tenermi quando fui solo. Da quel giorno diedi al ragazzo tutto il mio pane, risparmiai tutti que’ pochi soldi che ho potuto e gli diedi anche quelli; mi parve quasi che fosse un mio dovere; non mettevo più soltanto il cuore in codesti sacrifizi, ma anche la coscienza, e mi sentivo il coraggio di tirare avanti così eternamente, tanta era la tenerezza e la compassione che mi faceva [p. 455 modifica]quella povera disgraziata, sola, senza difesa, ridotta a campar di pane e a logorarsi la salute col lavoro. Oh! signor colonnello, se lei sapesse quel che provavo io, di notte, alle due, alle tre della mattina, quando passavo dietro l’ospedale colla pattuglia, e vedevo lassù al quarto piano quella finestrina illuminata, e pensavo che in quel momento lei era là che cuciva, al freddo, stanca Dio sa come, forse senz’aver mangiato!... Senta ora come mi sono fatto conoscere; è stato un caso. Una mattina il ragazzo mi viene a dire che sua sorella gli aveva chiesto chi era il soldato che gli dava il pane e i soldi. Guardi che combinazione! Io ero stato promosso caporale il giorno prima, e m’ero messo i galloni quel giorno stesso; mi è venuta quest’idea. — Va a dire a tua sorella, gli dissi, che il soldato che ti dà il pane è uno che si è messo i galloni oggi per la prima volta. — La sera esco, col cuore in trepidazione, la incontro, mi guarda, diventa rossa, poi ride, e si copre il viso col fazzoletto. Ah! lo creda, signor colonnello, io non ho provato una contentezza come quella; io ebbi quasi paura di perdere la testa.

Qui Cesare tirò un gran respiro. — Avanti, — gli disse subito il colonnello. Egli continuò:

— Ma era destinato che le mie contentezze durassero poco. Una mattina, andando in piazza d’armi col battaglione, vedo da lontano, in fondo a un vicolo, due persone.... due persone che non avrei mai voluto vedere insieme, quel tal signore e il fratello di Luisa che discorrevano. Se non mi cascò il fucile di mano fu un caso. Già lei si può immaginare quello che sospettai. E non mi potevo mica ingannare, perchè a giudicar dalla maniera con cui quel signore andava dietro alla ragazza, che aveva l’aria di dire: — Son sicuro del fatto mio! — e rideva e faceva lo sfrontato, ce n’era [p. 456 modifica]d’avanzo per capire a cosa mirava. E poi il fratello era un pessimo soggetto, capace di tutte le cattive azioni. Si figuri dunque che cuore fu il mio, quando, pochi giorni dopo, il ragazzo mi venne a dire che la sera prima sua sorella e suo fratello s’erano litigati, che lo avevano mandato fuori di casa per poter discorrere tra loro, e che lui, dalla scala, avea sentito il fratello parlar forte e con rabbia, e la sorella piangere e rispondere: — mai! mai; — e che poi era seguito qualche minuto di silenzio in cui non avea potuto capire che cosa facessero, e infine s’era aperta la porta, e n’era uscita Luisa bianca in viso che pareva una morta, scarmigliata, e con una guancia livida. Il fratello l’aveva picchiata, e lei non avea gridato per non farsi sentir dai vicini. Mi si oscurò la vista, mi prese un tremito così forte che mi pareva d’aver la febbre, mi sentii diventar cattivo; se lì per lì avessi incontrato il fratello, lo stritolavo senza dargli tempo di fiatare. Decisi di andarlo a cercare, lui e il signore, e chiunque avesse mano in quell’intrigo infame; ma poi mi frenai, e pensai meglio d’aspettare anche un po’. — Va a dire a tua sorella che si faccia coraggio, dissi al ragazzo, e che c’è qualcuno che le vuol bene davvero, e che pensa per lei. — L’indomani era giorno di festa, e avevamo tre ore di libertà più del solito. Uscii solo e me n’andai a passeggiare per la città. Camminavo circa da un’ora, quando mi accorsi d’esser seguitato alla lontana da due individui, due monellacci sullo stampo del fratello, due faccie proibite. Feci le viste di non accorgermene. Dopo un po’ di tempo vidi che a quei due se n’erano aggiunti altri due, e che s’avvicinavano. — Ho capito, — dissi tra me; — sono mandati; voglion tenermi a bada; qualcosa questa sera deve seguire. — Stavo per uscir di città, ritornai verso il centro, e affrettai il passo in [p. 457 modifica]modo che mi perdettero di vista per un pezzo. Intanto trovai due miei compagni, li informai della cosa, si combinò il nostro piano, e poi, siccome cominciava a imbrunire, mi diressi verso l’ospedale. Nel punto che attraversavo una piazzetta là vicino, vidi il mio.... quel signore che scantonava in fretta dalla parte opposta. Non s’accorse di me; io affrettai il passo, arrivai nella strada, mi andai a mettere poco lontano dalla casa di Luisa, in un angolo buio, e stetti osservando. Quel giovane arrivò pochi momenti dopo e si mise a passeggiare davanti alla porta, adocchiando di tratto in tratto l’orologio, e voltandosi ad ogni passo a guardare se nessuno veniva. Notai che si voltava sempre dalla stessa parte. — Debbono venir di là, — pensai, e per una via laterale corsi difilato in fondo alla strada, dalla parte che guardava l’amico. Non ebbi da aspettar molto; comparvero quasi subito il fratello e la sorella. — L’ho detto, io ripensai — che qualcosa deve seguire; ma o ci lascio la pelle o non ci riescono per Dio! — M’era salito tutto il sangue alla testa; non sapevo più quel che mi facessi; stringevo i denti e i pugni, e mi sentivo forte per quattro. Girai largo in punta di piedi, e andai a mettermi una quindicina di passi dietro Luisa; non potevo essere veduto, la strada era quasi buia. Parlavano sottovoce fra loro; Luisa piangeva, e si fermava tratto tratto, e il fratello la spingeva innanzi stringendola pel braccio. A un certo punto essa battè forte un piede in terra e disse risolutamente: — No! Ammazzami piuttosto. — Allora il fratello, digrignando i denti come un cane, la interrogò ancora tre volte: — Vieni? — Ed essa tre volte rispose no. Alla terza quel manigoldo alzò una mano,... essa gittò un grido, io mi slanciai fra loro, afferrai quel braccio levato in alto e glie lo ributtai indietro con una scossa da slogargli la spalla, dicendogli: [p. 458 modifica]— Cosa fai, mascalzone! — Non avea finito di profferir queste parole, che mi vidi comparir davanti dieci persone in aria minacciosa; erano i compagni del fratello; in mezzo a loro, il signore; più in là qualche curioso; Luisa s’era appoggiata al muro. — Cos’ha lei? Come c’entra lei? mi domandarono tutti insieme avvicinandosi. — Indietro! — io gridai quasi fuor di me; — c’entro, chè qui si vuol fare un mercato infame! — È matto! gridarono tutti insieme, avvicinandosi ancora. — Indietro! — io ripresi con voce soffocata; — indietro, o spacco il cranio a qualcuno! — e avevo la daga nel pugno. — Eh! via, mi si levi dai piedi, imbecille! — gridò il signore facendo un passo innanzi per sollevare Luisa caduta; io gli diedi uno schiaffo; gli altri mi si slanciarono addosso per finirmi. — Un momento signori! — gridò una voce dal mezzo della strada. Quei manigoldi si voltarono, e videro dieci bersaglieri schierati colle daghe nel pugno. Rimasero tutti là fermi, senza fare un gesto, senza dire una parola. Poi, tutto ad un tratto, se la svignarono chi di qua chi di là, mogi mogi, come cani bastonati. Luisa, più portata che condotta, entrò in casa. Il signore, tutto stravolto, mi si accostò e mi disse: — Il suo nome? — Io gli dissi nome, cognome, compagnia, squadra, numero di matricola, tutto quel ch’egli ha voluto. Egli notò tutto e se n’andò dicendomi: — Ci rivedremo. — Come le pare — risposi. — Ringraziai dopo i miei compagni: — Se tardavate un minuto, ero spacciato; vedevo già luccicar dei coltelli. — Allora si misero tutti insieme a farmi mille domande, a voler sapere i come e i perchè e i quando, e io raccontai addirittura tutta la storia da principio. Noti però, signor colonnello; bisogna esser giusti; tutti quei mascalzoni, era il fratello di Luisa che li aveva radunati, e non l’altro; l’altro non ne sapeva niente; anzi, se avesse preveduto [p. 459 modifica]che razza di gente doveva pigliare le sue difese, io credo che non sarebbe nemmeno venuto. Ma poi che si trovava nell’impiccio, e il dispetto e la rabbia lo rodevano, cercò d’uscirne a tutti i patti; è naturale.

— Ma chi era questo signore? — interruppe il colonnello.

— Chi lo sa?... Quel che è certo è che in città, come mi fu detto in seguito, era pochissimo stimato, e si diceva che fosse solito a tentare di quelle imprese, e che usava sempre con gente di mal affare.... Quella sera tornai in quartiere che proprio, creda, non potevo più reggere; tra per la contentezza d’aver mandato a monte quel tentativo, tra per la commozione d’essere scampato a quel pericolo, ed anche per l’ansietà di quel che poteva accadere dopo, io ero in uno stato che se non mi venne addosso una febbraccia da tenermi a letto sei mesi, posso ringraziarne la mia buona fortuna. Ero però più che mai risoluto a resistere fino alla fine. Ma come, io domandavo discorrendo fra me e me, perchè io sono un povero giovane, perchè sono un soldato, perchè non ho altro che il mio cuore e il mio onore, se si dà il caso che io pigli passione per una ragazza povera come me, che mi piace, e anch’essa mi vuol bene, tutti hanno da perseguitarmi e da darmi addosso come se fossi un galeotto o un bandito, e la mia affezione disonorasse una donna? Chi è che ha il diritto di disprezzare le mie affezioni? Cosa credono costoro, che noi non ci si abbia niente qui, sotto le medaglie, perchè siamo soldati? E perchè non abbiamo la famiglia con noi, perchè siamo lontani da casa, perchè non facciamo un mestiere, perchè mangiamo nel gamellino e ci danno due soldi al giorno, dunque, per tutto questo, noi non abbiamo diritto a nessuna consolazione, e dobbiamo vivere come cani, ed [p. 460 modifica]essere morti al mondo? Un soldato! — dicono, — una ragazza che si perde con un soldato! Un soldato d’onore ne val dieci di voi, ubriaconi, oziosi e viziosi! Anche il soldato ha un nome e una famiglia, e due braccia per lavorare quando tornerà a casa, e un cuore di galantuomo per amare e rispettare una donna! Le pare, signor colonnello? Io non dico mica che tutti i soldati, quando sono al servizio, abbiano da riscaldarsi la testa per una ragazza; si starebbe freschi; Dio ce ne guardi in eterno, se no, addio esercito! Ma chi per combinazione ci casca, si porti da uomo e da galantuomo, e non si lasci far paura da nessuno, e non ceda, dovesse rimetterci le ossa; dico bene?

Il colonnello fece segno di sì.

— E mancò poco che io non ci rimettessi le ossa davvero. La mattina dopo seppi dal ragazzo che Luisa era a letto con un po’ di febbre e che il fratello non aveva più fiatato. La sera tardi, appena ritornato in quartiere, mi vengon dinanzi due sergenti, uno della mia compagnia che mi voleva bene, e un altro d’un’altra, e mi tengono questo discorso: — Noi sappiamo tutto quel ch’è accaduto. La stessa persona in questione ce n’ha informati e c’incaricò di parlare con te. Noi ti daremo un consiglio, non da superiori, ma da amici, e tu lo seguirai o non lo seguirai secondo che ti parrà. Tu gli hai dato uno schiaffo in presenza di molta gente, e uno schiaffo è ama delle più grosse offese che si possano fare ad un nomo; per questo egli ha diritto di avere una soddisfazione, ne convieni? — È naturale, — risposi, — Ora senti: se tu fossi uno di quei coscritti minchioni che non sanno niente e non capiscono niente, quella persona si cercherebbe un’altra maniera di soddisfazione; ma con te che sei un soldato fatto, un giovane intelligente, e hai cuore e fegato per quattro, con te gli è un altro par di mani[p. 461 modifica]che.... — Basta, ho capito — diss’io; — eccomi qua bell’e pronto. — Bravo; capisci anche tu che l’è una faccenda da terminarsi così, e poi è anche un onore ch’egli ti fa a sfidarti; lasciati guidare da noi. — Se loro abbiano fatto bene, non so; ma io credo d’aver fatto quel che non si poteva a meno di fare. E per tagliar corto, la cosa seguì due giorni dopo, un miglio fuori di città, verso le cinque di sera. Avevano scelto la sciabola; s’immagini cosa potevo saper fare io colla sciabola, che l’avrò presa in mano sei o sette volte; ma ero istruttore di bastone, in guardia ci sapevo stare, e avevo il braccio forte e le gambe pronte. Andammo in un prato. Quando lo vidi, pensai a Luisa, a quel gesto ch’egli aveva fatto per alzarla da terra, a quella volta che mi aveva riso alle spalle, e mi si accese il sangue e mi sentii pieno di coraggio. Quanto a lui, era un po’ pallido, ma capii che era deciso di tirare a freddarmi. — Sia pure, dissi fra me; tanto la pelle, se non si taglia, si logora; niente paura. — Al segnale dei padrini, ci mettemmo in guardia; m’accorsi subito che sapeva tirare. Uno, due, tre colpi, alto, son ferito al braccio; lo prevedevo; è una cosa da niente; avanti. Altri due colpi, un’altra ferita, il medico guarda, è una scalfittura. — Si continui — dicono i padrini. Si continuò; mi cominciava a montare il sangue alla testa; avrei preferito pigliarmi una botta che mi buttasse in terra; essere tagliuzzato a quel modo, come un pollo, mi umiliava; cominciai a avanzare digrignando i denti che parevo un arrabbiato; mi sentivo un braccio di acciaio; la sciabola mi tremava nel pugno come una verga di salice. Altri quattro o cinque colpi, un’altra ferita alla spalla; gettai un urlo, diventai una bestia, non ci vidi più, mi cacciai sotto alla disperata; egli fu sopraffatto, dette indietro; poi tutto ad un tratto lasciò cadere la sciabola, portò tutte [p. 462 modifica]e due le mani alla fronte, e il viso gli si coperse di sangue. Non mi ricordo bene cosa fecero e cosa dissero allora gli altri; so che mi fu fasciato il braccio, e dopo qualche minuto, noi da una parte, loro dall’altra, ce ne andammo pei fatti nostri; nessun contadino era accorso, nessuno se n’era avveduto. Ma come nascondere le ferite? domandai ai sergenti. Mi risposero che non c’era mezzo di nasconderle e che bisognava andare all’ospedale. — Vatti a dichiarar malato subito — mi dissero entrando in quartiere. Ci pensai un poco e poi decisi di non farne nulla; volli provare a resistere. Le ferite erano leggere, sangue n’avevo perduto pochissimo; vediamo. La notte la passai bene; cioè, dormii bene; ma sognacci, signor colonnello, cose d’inferno, coltellate, sciabolate, morti, becchini, il finimondo; solamente, fra tutte queste brutte immagini, vedevo lei, Luisa, colla sua testina chinata da una parte, e gli occhi pieni di lacrime, e quel sorriso così buono, che mi dava una gran consolazione. La mattina, piazza d’armi. Ci vado? non ci vado? ho da darmi per malato? Feci la pazzia d’andare. Si figuri! Strada facendo cominciai a sentirmi un bruciore terribile alle ferite; arrivato in piazza d’armi, mi accorsi che s’erano aperte e che colava giù sangue; diventai bianco come un cadavere. Come fare? Ancora uno sforzo, finchè posso reggermi in piedi; avanti, barcollando come un briaco; mi sentivo mancar le forze, e a poco a poco mi si stendeva un velo oscuro sugli occhi. Tutto ad un trattò un ufficiale manda un grido: — Cos’è questo? Mi si accosta, mi prende per la mano, io guardo, era tutta insanguinata. Uscii quasi fuori di me, fui condotto in quartiere, e poi all’ospedale, e mi prese una febbre maledetta, che per poco non mi mandò all’altro mondo. Fui visitato dai medici, dagli ufficiali della [p. 463 modifica]compagnia, dal maggiore; m’interrogarono, interrogarono i miei amici, e vennero in chiaro di tutto. Un soldato che si batte con un signore non è affare di tutti i giorni; la cosa fece chiasso per la città; per un pezzo non si parlò d’altro; tutti, anche i miei superiori, lodavano il coraggio e la forza che avevo avuto di resistere tante ore alle ferite; tutti volevano sapere chi fosse quel signore; tutti erano curiosi di conoscere la ragazza. Dirle quanto mi rincresceva, quanto mi faceva male il pensare che Luisa veniva così messa in piazza, come suol dirsi, per causa mia, io non saprei dirglielo; n’ero disperato, avrei dato metà del mio sangue Perchè non fosse. Seppi dopo che quel giovane aveva una ferita grave nella testa; poi mi dissero ch’era quasi guarito, e poi che se ne voleva andare dalla città. Di Luisa non seppi più notizia. Temevo che fosse malata, che fosse andata via, poi m’immaginavo che suo fratello, a cagione di quello ch’era seguìto, la maltrattasse peggio di prima, e che quel signore, appena guarito, avesse ricominciato a ronzarle intorno; vivevo in ansietà continua, e stentavo a guarire, e la sera, debole com’ero che m’intenerivo per niente, qualche volta mi veniva da piangere, e facevo compassione a me stesso. Intanto stava per finire l’inverno, e si cominciava a parlare della guerra. — Ci fosse pure la guerra! pensavo; chi sa che non mi levasse dal cuore questa disgraziata passione. — Dopo la febbre mi eran venuti addosso cento altri malanni, e io menava la più triste vita che si possa immaginare. Non mi lasciavano neanche veder gli amici per paura ch’io mandassi lettere o imbasciate per mezzo loro, e facessi nascere nuovi guai, e volevano che tutto fosse finito. Oh che brutte giornate, signor colonnello!... Ma in una sera, in una sola sera tutto mutò. Era sull’imbrunire; io stavo già a letto; ero più tristo del solito; [p. 464 modifica]venne una monaca a darmi da bere; — vi sentite molto male? — mi domandò, vedendomi gli occhi rossi. — Perchè vi scoraggiate così? che cos’avete? — Ah! sorella — risposi scrollando la testa; — io sono un disgraziato, ecco quello che ho! — Eh via! fatevi animo, — ella rispose, e poi soggiunse sorridendo: — non sentite che c’è della gente che canta per farvi stare allegro? — Io tesi l’orecchio, e sentii una voce lontana, dalla strada, da una casa della parte opposta, una voce di donna che cantava, una voce debole, ma che pareva facesse uno sforzo per farsi sentire; il sangue mi si rimescolò, il cuore mi cominciò a battere forte, mi prese come un affanno violento, mi sforzai, mi sforzai, e finalmente mi diedi giù a singhiozzare e a ridere come un bambino, appoggiando la testa sulle braccia della sorella, che mi guardava tutta maravigliata. — Oh Luisa!... sei tu, — esclamai ricadendo sul guanciale; — sia benedetto il cielo! —

Il colonnello respirò come se anch’egli in quel punto si sentisse liberato d’un affanno.

— Da quel giorno cominciai a star meglio; i miei amici che volevano vedermi furono lasciati venire; in capo a una settimana mi potei levare. Il mio primo passo fu verso la finestra. Era una delle più belle mattinate di aprile. Mi accostai all’inferriata tremando, mi afferrai prima ai ferri colle mie mani smunte e bianche, e poi guardai all’ultimo piano della casa dirimpetto. C’era! Pareva che mi aspettasse! Stava appoggiata al davanzale col viso rivolto alla mia finestra; mi guardò attentamente; pareva che non mi riconoscesse, che fosse incerta, agitata; si stropicciava le mani, sporgeva la testa a destra e a sinistra, e se ne andava, e tornava, e non si dava pace. Io colsi un momento che non avevo nessuno intorno e avvicinato il viso alla grata [p. 465 modifica]dissi sottovoce e con forza: — Luisa. — Ah! — essa gridò, e rimase là ferma come una statua a guardarmi. — Luisa! io ripetei. — Essa sorrise e si appoggiò con una mano al davanzale come se le mancassero le gambe. Io la chiamai ancora una volta. — Oh Dio! — essa gridò, e scomparve. La stessa mattina mi mutarono di posto, e addio finestra. Ma in pochi giorni fui in piena convalescenza, e poco dopo mi trovai in grado di uscire. Parevo matto! Uscire, rivederla, dopo quel che era accaduto, dopo aver sofferto tanto! Ma guardi se non era proprio destino che io non dovessi mai esser contento per un pezzo. La guerra, in quel frattempo, era diventata quasi sicura; molti corpi avevano già lasciate le loro guarnigioni; ed eccoti che il giorno prima dalla mia uscita dall’ospedale, vien l’ordine ai due battaglioni di partire. Come fare? Non vederla più? Andar via così incerto, senza farle una promessa, senza almeno sapere di sicuro che mi vuol veramente bene, e che mi aspetterà? Ma ad avere una risposta non c’era più tempo, e bisognava che mi contentassi di scriverle io. Uscendo dall’ospedale dovevo andar difilato in quartiere, e dal quartiere difilato alla stazione della strada ferrata; pensai che qui o là avrei trovato il ragazzo. Scrissi un bigliettino in fretta proprio al momento di partire, e non dicevo altro che questo: — Se vivrò, tornerò; ne do la mia parola d’onore. — Al quartiere il ragazzo non c’era; lo vidi alla stazione; pareva che mi cercasse. In quei pochi minuti di riposo prima di salire nelle carrozze, potei allontanarmi dalle righe, egli mi venne dietro, e tutt’e due mettemmo nello stesso tempo le mani in tasca; io gli diedi il biglietto; lui tirò fuori con gran segretezza una cosa ravvolta in un pezzo dì carta, me la mise in mano, e disse: — È mia sorella, — e scappò. Guardai: era una borsa da tabacco. Signor colonnello.... lei mi [p. 466 modifica]capisce. Fu il giorno dopo che io scrissi la prima volta a casa tutto quello che era seguito, manifestandole mie intenzioni, e fu dopo quella lettera che lei ebbe la bontà di occuparsi dei fatti miei e di aiutarmi. Quel che avvenne poi lei lo sa. Io feci tutta la campagna col mio battaglione. A San Martino, come le ho scritto, girando pei campi dopo il combattimento, trovai tra i feriti più gravi un bersagliere che mi parve di conoscere e che portai io stesso all’ambulanza, dove morì appena arrivato. Era il fratello di Luisa, che si era arrolato volontario dopo cominciata la guerra, e avea toccato una palla in un fianco. Prima di morire, mi riconobbe, mi ringraziò, e mi raccomandò sua sorella. Povero giovane! Finita la guerra, il mio battaglione andò a Torino. Là seppi che una signora di Savigliano, sua conoscente, avea preso a proteggere Luisa, e che Luisa stava bene, benchè avesse molto sofferto per la morte di suo fratello maggiore, e che il ragazzino andava a lavorare. La mia classe fu congedata, e io partii subito per Savigliano, dove sapevo che, per grazia sua, signor colonnello, erano arrivati o stavano per arrivare mio padre e mia madre. Arrivai la mattina per tempo. Era una bella mattinata serena e fresca come quel giorno che avevo visto Luisa per la prima volta. Corsi subito, così come ero vestito da bersagliere, nella strada dietro l’ospedale. Essa stava sempre là, non aveva voluto mai andarsene, benchè la signora sua protettrice le avesse offerto di riceverla in casa propria. Salii le scale a salti, col cuore che mi batteva da rompersi; mi avvicinai in punta di piedi a quella porta; una donna che era sul pianerottolo, e pareva informata di tutto, mi fece segno che Luisa c’era; la porta era socchiusa; accostai l’orecchio allo spiraglio; sentii canterellare, era lei; tirai fuori la borsa e la gettai dentro la stanza; il canto cessò, udii un grido acuto, [p. 467 modifica]entrai, la vidi, aprì la bocca per gettare un altro grido, non potè, agitò due o tre volte le mani in aria come una pazza, poi vacillò e mi cadde fra le braccia. La sera arrivarono i miei parenti, l’indomani partimmo per Valdieri ed eccoci qui da tre giorni; qui con quella cara e santa... Oh Dio! Eccola qui. —

Luisa era comparsa sotto la pergola, vestita da sposa, con un velo bianco sul capo e una veste di seta nera bene adatta alla sua vita esile e snella. Aveva il viso roseo e gli occhi umidi e dimessi, e nell’andatura e negli atti una compostezza piena di peritanza e di grazia. Le stavano da una parte il padre e la madre di Cesare, dall’altra il fratello, un ragazzo sui dieci anni; dietro un gruppo di parenti e di amici, tutti silenziosi.

— Signor colonnello,... essa mormorò timidamente facendo un inchino.

Poi si voltò allo sposo, vibrò un lampo dagli occhi, sorrise e chinò la testa.

Il colonnello, tuttora commosso dal racconto di Cesare, la guardò lungamente con un misto di curiosità e di tenerezza. Cesare si mise a contemplarla con quello sguardo avido degli innamorati che gira intorno alla persona e l’abbraccia e l’avvolge, come se volesse stringerla nelle sue spire e tirarla a sè. La madre e le altre donne la guardavano anch’esse con un’aria di compiacenza rispettosa, allungando di tratto in tratto una mano per accomodarle ora una piega del velo, ora del vestito. E tutti stavano zitti, e Luisa, confusa da tanti sguardi, cogli occhi bassi, col sorriso sulle labbra, fingeva di guardare un capo del velo che stropicciava tra le dita.

— ... Dunque, — uscì a dire dolcemente il colonnello così per rompere quel silenzio; — a momenti si va?

Gli sguardi dei due giovani s’incontrarono. [p. 468 modifica]

— La chiesa è a pochi passi di qui; voi Luisa l’avrete veduta venendo; è là in fondo alla valle appena passato il ponte; la strada è bella, ombrosa....

Tutti continuavano a tacere.

— E poi abbiamo una stupenda giornata; anche il tempo fa festa, come vedete;.... per che ora avete fissato?

— Per le sette, — rispose la madre.

— Allora, — soggiunse il colonnello guardando l’orologio, — è ora.

I due giovani si scossero, si guardarono, e fecero un passo l’uno verso l’altro.

— Dunque? — domandò la madre con un sorriso, guardando prima l’una e poi l’altro. — Animo, a braccetto. —

Cesare porse il braccio alla sposa, essa vi appoggiò il suo, e tutti e due accompagnarono collo sguardo quell’atto come se avessero dovuto fare qualcosa di difficile o di strano: tremavano.

— Avanti, — disse la madre.

Fecero due o tre passi per uscire; poi s’accorsero che s’erano scordati di salutare il colonnello, voltarono la testa indietro tutti e due dalla stessa parte, e s’incontraron coi visi. Tutti sorrisero, Luisa arrossì. — Dio v’accompagni, ragazzi, — disse il colonnello alzandosi per vederli andar via. Gli sposi s’allontanarono camminando a passi incerti e ineguali; dietro a loro i parenti e gli amici; la madre e il colonnello si scambiarono un sorriso, come per dire: — Poveri giovani, non han più la testa a segno.

— Dio v’accompagni, — ripetè il colonnello rimasto solo, guardando il cancello per cui erano usciti.

La lieta comitiva era già un pezzo innanzi giù per la strada del colle. [p. 469 modifica]

Istanti divini! Non v’è dolcezza umana che ne valga un solo. Alla piena della gioia che v’invade l’anima, par che la vostra povera creta non regga; la mente istessa non la comprende intera, e la travede a lampi, e non potrebbe fissarvi lungamente il pensiero. Si va innanzi compresi d’una specie di stupore, come sognando, quando par di attraversare sconosciuti giardini, folti di piante fantastiche e illuminati da luci arcane. Tutto par sogno: la gente che si ferma per vedervi passare; l’allegro bisbiglio dei parenti che vi accompagnano; quel lontano campanile della chiesa che par che vi guardi e vi aspetti; e i luoghi noti e le cose che sembrano animarsi per riconoscervi e mandarvi un saluto. — Guardate con chi sono! — dice il cuore. — Ella è mia, lo sapete? — E procedete a passo tremante, e vagate qua e là coll’occhio estatico; o guardate con un senso quasi di curiosità la piccola mano che s’appoggia sul vostro braccio, come se si fosse messa là a vostra insaputa; e prestate l’orecchio al fruscìo della veste, come al suono d’un bisbiglio misterioso; e provate una profonda dolcezza a sentirvi nel viso quell’alito caldo e frequente, e sul braccio il peso leggero di quella cara persona che tratto tratto pare che manchi e vi s’abbandoni sul fianco. E sopraffatti così da quella dolcezza, vorreste quasi affrettarne gli istanti, e giunger presto alla chiesa, chè vi sembra d’aver rapito al mondo un troppo grande tesoro, e qualcuno voglia ritorvelo, e v’insegua. E i vostri due visi, a quando a quando, si voltano, e gli occhi s’incontrano e s’abbarbagliano, e ogni cosa intorno s’oscura, e in quel rapido incontro non vedete più che quella pupilla umida che splende, vi fissa, v’affascina e si vela. E si muovon le labbra, si parla, di che? di nulla, di tutto. — Guarda. — Di’. — Cesare. — Senti. — Luisa. — Dio! — suoni sfuggiti all’in[p. 470 modifica]tima e arcana armonia dell’anima. Ecco la porta della chiesa. — Oh! ragazzi, dove andate? Per di qua, — grida la madre. — Sbagliavano; che sanno più essi di questa terra?

Escono.

Qui l’anima si queta, e l’idea della vostra felicità, alla quale dapprima non bastava la mente, si rifrange in mille immagini ridenti che si seguono rapide e distinte, traendovi il core di contento in contento fino al sentimento schietto ed intero di quella gioia onde eravate poc’anzi soverchiati ed oppressi. E prima l’immagine del viso di lei addormentata al vostro fianco, quando voi, contemplandola nel silenzio della notte, le direte col pensiero mille dolcezze, e vi parrà ch’ella dormendo v’intenda, e vi risponda con quel riso sfuggevole che le sfiora le labbra socchiuse: — Ti sogno, angelo. E il primo saluto della mattina, allegro, fanciullesco, soave, temperato a volte da un subito ritorno della timidezza verginale, non tutta vinta ancora dalla consuetudine della vita comune. E i molti giorni in cui, tornando a casa, vi parrà sempre strano ch’ella debba esser là ad aspettarvi, e tremerete quasi di non ritrovarla, e affretterete il passo, e il primo suono della sua voce festosa, e il suo batter di mani, e il rumore di quel passo rapido e leggero che verrà incontro al vostro, vi scenderà nel profondo dell’anima come dopo una lunga lontananza. E quelle fresche e splendide mattinate di primavera, in cui, col risvegliarsi della natura, vi si risveglierà tutto nell’anima l’ardente amore dei primi giorni, e un impeto irresistibile vi spingerà l’un verso l’altro, e nel guardarvi e nel sorridervi risentirete la infinita dolcezza dei primi sguardi e dei primi sorrisi. E quelle ore tristi, quando contemplerete dalla finestra la campagna coperta di neve, o la pioggia lenta ed eguale, e in quel [p. 471 modifica]silenzio e in quella solitudine si farà più viva e profonda la tenerezza dei vostri colloqui melanconici, e ad ogni lampo e a ogni tuono vi stringerete in un abbraccio più forte, e parlerete più sommesso e più dolce. E le lunghe sere d’inverno passate fra voi due soli, quieti, sereni, ora discorrendo delle vostre faccenduole domestiche, ora celiando e ridendo con ingenuo e spensierato abbandono, ora evocando i cari ricordi del tempo in cui non vi parlavate ancora: — Che cosa dicesti fra te quella volta? Che cosa pensasti di me quel giorno? — E quelle sere felici in cui, essendo soli, sentirete di non esser più soli, e vi parrà che qualcuno v’ascolti e vi guardi, e proverete per la vostra compagna un sentimento di affetto più delicato e geloso, e a certi suoi moti di sorpresa, a certi turbamenti improvvisi, tratterrete il respiro e interrogherete il suo sguardo, e al rasserenarsi del suo viso palpiterete di gioia e le aprirete le braccia. E quelle notti in cui, destandovi, sentirete alitare e muoversi vicino al vostro capo una creaturina inquieta, e la sua piccola mano cercare il vostro viso, e una vocina lamentevole chiamarvi padre, e due tenere braccia ricingervi il collo. E quelle tante volte che il vostro sentimento di gratitudine per quella dolce compagna, che vi sta sempre al fianco, che vive per voi, che non ha altro bene che voi, che è felice delle vostre gioie, e trema dei vostri dolori, e vi consola, e v’inspira la rassegnazione, e v’infonde il coraggio, e vi fa amare il lavoro, la casa, la pace, la virtù; e soffrendo e pregando esercita con amoroso entusiasmo il suo santo ministerio di madre, e insegna ai vostri figliuoli ad adorarvi, e vi prepara una vecchiezza riposata e serena, dopo aver beata la vostra gioventù di tutto il fuoco della sua bell’anima vergine, appassionata e credente; quelle tante volte, dico, che il vostro sentimento di gratitudine [p. 472 modifica]per questa dolce compagna, provocato per caso da un ricordo, da una parola, da un atto, si espanderà improvvisamente in un trasporto di tenerezza ineffabile, e la colmerete di carezze, di grazie, di benedizioni, bagnandole il seno di lacrime, chiamandola coi nomi più soavi, domandandole perdono di tutte le amarezze che avrà provato per cagion vostra, e così commossa, come la vedrete, e radiante, vi parrà più bella del giorno che la conduceste all’altare. Ricchezze, gloria, potenza, oh come vi guarda dall’alto l’Amore!

Il colonnello andò incontro agli sposi fino al cancello e li ricevette con molta festa e li accompagnò fin sotto il pergolato. Luisa piangeva, Cesare pareva fuori di senno, e tutti gli altri della brigata, allegri, commossi, facendo un chiacchierio assordante, giravano senza posa intorno all’uno ed all’altro, senz’esser veduti, nè sentiti, nè capiti.

Stettero qualche ora tutti insieme sotto il pergolato; quelle ore in cui, riavuta l’anima dalla foga della gioia, gli sposi pensano, e la moltitudine delle loro prime immagini si va diradando man mano, sin che ne resta una sola, che senza fissarsi mai nella mente, le gira intorno, l’assale, sparisce, ritorna di soppiatto, dietro altre immagini, e desta nel cuore improvvisi palpiti e trepidazioni misteriose. In mezzo all’allegrezza della brigata, quelle due sole fronti paiono di tratto in tratto pensierose, e quegli occhi si cercano e si fissano con una specie di curiosità infantile, e l’uno osserva attentamente dell’altro ogni gesto, ogni moto, e le anime si interrogano e s’intendono senza parlare, o le parole hanno per loro diverso senso da quel che suonano, e i sorrisi dicon tutt’altre cose. Son quelle ore deliziose, [p. 473 modifica]tante volte sognate, tante volte pensate, che ci facevano domandare a noi stessi: — Che cosa le dirò in quei momenti? Come mi guarderà? — Le ore in cui, a misura che il tempo trascorre, noi ci sentiamo come allontanare dal mondo, e vediamo tutto ciò che ne circonda oscurarsi, e intorno a noi farsi una gran luce. Quei momenti, in cui se qualcuno degli astanti dice: — Domani, — il nostro cuore si scuote, e l’anima ripete in se stessa: — Domani; — e pare che tutto, domani, debba esser mutato nel mondo, e ci trema più vivamente nel pensiero quell’immagine arcana.

Poco prima dell’ora fissata pel convegno degli amici, il colonnello chiamò a sè gli sposi e il fratellino di Luisa, li condusse in una stanza a terreno, e s’intrattenne un pezzo con loro, forse a parlare d’interessi, e per fissare le nuove attribuzioni di Cesare, di cui già da molto tempo aveva in animo di mutare lo stato.

— Forse tutti questi discorsi, — egli concluse, — non importava neanco di farli; non vivrete voi vicino a me, sotto i miei occhi? E dunque basta. Fate conto di me in ogni bisogno come lo fareste di un vecchio amico; io voglio che abbiate confidenza in me, perchè vi voglio bene, e la merito. Capirete: io non ho parenti, non ho amici, son qui diviso dal mondo, solo, non ho altri che voi a cui voler bene, e vivrò per voi; che volete che io viva ancora per me a quest’età? Ebbene, che io vi sappia felici, tranquilli; che io abbia il vostro buon giorno la mattina e la vostra buona notte la sera, e vegga Cesare lavorare di buona voglia, e tu Luisa far la tua vita di casa col cuore sereno e contento; che volete che io desideri di più? Purchè mi lasciate fare quattro chiacchiere di tanto in tanto....

— Signor padrone! — esclamarono i due sposi ad [p. 474 modifica]una voce, guardandolo con un aria di tenerezza quasi compassionevole.

— Dico davvero; e tu Luisa sarai contenta, te lo assicuro, perchè conosco Cesare prima di te, fin da bambino; e sarai compensata di tutto quel che hai sofferto, povera creatura. Oh è più che giusto! Qui dimenticherai i tuoi giorni tristi; faremo tutti quanto sta in noi per farteli dimenticare. Eri rimasta sola al mondo; ora eccoli in buona compagnia; hai uno sposo, una mamma, e.... se lo vuoi, anche un papà, ti contenti?

Luisa non potè raccoglier la voce.

— E anche noi saremo amici, non è vero, bambino? — Ciò dicendo prese per mano il fratello e se lo trasse accanto. — Sicuro; e faremo insieme le nostre passeggiate per la campagna, e leggeremo, e scriveremo, e faremo tante altre cose, e vivremo allegri, vedrai; e quando le mie gambe comincieranno a non voler più fare il loro dovere, domanderò un po’ d’aiuto al tuo braccio, che già a fare ogni giorno un giretto per questi bei colli io non ci rinunzio. Starai meglio qui che a lavorare in città, senza famiglia e senza protezione, te lo prometto. Povero ragazzo, eri abbandonato! Oh! ma c’è una Provvidenza per tutti.... Che cos’hai? Che vuol dire?... Ah! capisco, sì; vieni qua, povero ragazzo, abbraccia pure il tuo vecchio babbo che ti vuole un gran bene; oh! povero bambino! Chetati, via.

Il ragazzo singhiozzava che pareva gli si volesse schiantare il petto.

— E tu Luisa che cos’hai? Perchè mi guardi in quel modo?

— Signor colonnello, — rispose Luisa colla voce tremante, facendo uno sforzo; — che vuole che io le dica? Io non trovo parole, io non so.... Mi par di sognare.... mi par che tutto questo non possa esser vero.... [p. 475 modifica]Ero una povera ragazza senza padre, senza madre, abbandonata da tutti; lavoravo per vivere e non avevo nemmeno tanta roba da coprirmi, e pativo il freddo, e qualche volta persino;... e vivevo così senza speranze, e passavo dei giorni e delle notti che mi prendeva quasi la disperazione.... E poi ecco che tutto cambia; incontro lui, Cesare, che mi vuol bene, mi protegge, va alla guerra, n’esce salvo, si ricorda di me, ritorna, mi dice che mi vuole sposare, fa venire i suoi parenti, mi conduce qui, e tutti mi fanno festa, e trovo un signore come lei che si piglia cura di mio fratello e parla in cotesto modo e mi fa vedere un avvenire così bello.... e poi tutto quel che vedo e che mi sento dire da tre giorni in qua.... Che cosa vuol che pensi io? Io non so.... Io non posso quasi credere.... È troppa felicità tutta in una volta.... Io non ho fatto niente per meritar tutto questo.... Io ero una povera ragazza.... Che cosa.... vuole.... che io le dica!

E scoppiò in pianto.

— Voglio che tu mi dica che sei la mia figliuola e nient’altro, ecco!

— Oh! è troppo! — esclamò Luisa con un accento di tenerezza inesprimibile, e si slanciò per baciar la mano al colonnello.

— Via! via! che fai, pazzerella? zitta, guarda, c’è gente. —

Luisa e Cesare si voltarono e videro quattro bersaglieri che venivano innanzi sul praticello; erano i primi invitati.

— Eccoli! — esclamò vivamente il colonnello alzandosi per andar loro incontro; — ah! mi sento fuggire vent’anni dall’ossa!

Luisa rimase nella stanza per rimettersi un po’ in calma, Cesare uscì col colonnello; i parenti e gli amici [p. 476 modifica]che stavano sotto il pergolato corsero anch’essi incontro ai soldati.

— Benvenuti, camerata! esclamò Cesare stringendo la mano a tutti e quattro. — Ecco il signor colonnello che vi ha invitati. —

I bersaglieri lo salutarono militarmente facendo il viso serio e ritenendo la mano alla tesa del cappello; egli li guardò fisso l’un dopo l’altro, tentando di rifare il suo antico cipiglio di quando voleva imporre ai soldati indisciplinati; poi sorrise e porse loro tutt’e due le mani dicendo affabilmente: — Qua, giovanotti. — Allora risero anch’essi, gli strinsero la mano, e cominciarono a parlargli con una franchezza così aperta e confidente che parevano suoi intimi amici da un pezzo. In un momento l’affollarono di domande, tutti ad una voce.

— Signor colonnello, noi non sappiamo proprio come ringraziarla.

— Lei è stato troppo buono con noi, signor colonnello.

— Perdoni, signor colonnello, è molto tempo che lei ha lasciato il servizio?

— Signor colonnello, che reggimento comandava?

— Fin dove arriva il suo podere, signor colonnello?

— Oh che bella villa!

— Guarda: ci sono le bandiere!

— E i palloncini coloriti.

— E le ghirlande.

— E la musica.

Erano entrati nel prato sette o otto sonatori coi flauti e coi violini.

— È questa la villa? — domandò in quel punto una voce dalla strada. Subito dopo comparve davanti al cancello un altro gruppo di dieci o dodici soldati. Tutta [p. 477 modifica]la comitiva gli andò incontro. C’erano dei bersaglieri, dei soldati di linea, un soldato di cavalleria, due artiglieri: tutte le armi v’erano rappresentate. Chi col cheppì, chi col berretto, chi colla papalina, chi colla tunica, chi col cappotto, chi coi calzoni da soldato, chi coi calzoni da contadino; ognuno s’era messo indosso quel poco che gli era rimasto; tutta roba vecchia, scolorita e sdrucita, che mostrava la campagna del cinquantanove un miglio di lontano. Qualcuno aveva la medaglia della Crimea. Tutti giovanotti robusti, abbronzati dal sole, con un fare sciolto, fiero ed allegro. Dietro a loro veniva uno stormo di curiosi che si fermarono davanti alla porta.

— Avanti! gridarono tutti insieme, il colonnello, Cesare e i contadini.

I soldati vennero innanzi; furono ricevuti con ogni sorta di dimostrazioni festevoli, circondati, assordati; il colonnello si voltava di qua e di là, porgendo la mano ora all’uno ora all’altro; Cesare era tirato per le braccia da tutte le parti; le contadinelle ch’eran del numero degl’invitati, giravano intorno tutte strette in un gruppo, adocchiando i soldati, ridendo, parlandosi nell’orecchio, facendo ogni sorta di amabili vezzi; e chi batteva le mani in segno di allegrezza, e chi meravigliandosi guardava intorno a quell’apparato festivo, e chi tra i contadini riconosceva ed abbracciava congiunti ed amici; e tutti parlavano e ridevano insieme, facendo un gridìo dell’altro mondo.

In mezzo a quella confusione Cesare sparì.

Tutti gli altri continuarono a discorrere avvicinandosi alla porta della villa. Quel vecchio bianco e curvo, in mezzo a quel gruppo di giovani soldati, era bellissimo a vedersi; pareva il padre di tutti ed era pieno d’anima e di foco come il più vivo e più ardente di loro. Una parola a uno, una parola all’altro, un cenno di qua, un sorriso di là, teneva tutti a bada. E tutti lo guardavano, [p. 478 modifica]lo ascoltavano, e gli parlavano, fin da quei primi momenti, con un’espressione di rispetto, di tenerezza e di confidenza quasi figliale. — Bravi i miei soldati! — diceva egli di tratto in tratto girando lo sguardo su tutti i volti — bravi! Avete fatto bene a venirmi a trovare. — Ed essi ridevano e si guardavano gli uni cogli altri come per dirsi: — Vedete un po’ che buon cuore! che caro vecchio!

Si fece silenzio.

— Ecco gli sposi, — disse il colonnello. — Luisa e Cesare erano apparsi sulla soglia della porta; Cesare era vestito da bersagliere coi suoi vecchi galloni da caporale.

Il gruppo dei soldati si divise in due ali, gli sposi passarono in mezzo, e di qua e di là si scoprirono le teste e sorse un bisbiglio vivace. — Bel visino! — Bella figura! — Pare una madonnina! — Bravo Cesare! — Ha l’aria d’una buona ragazza. — È di buon gusto l’amico. — Sembra una signora. — Begli occhi!

Qualcuna di queste parole arrivò all’orecchio degli sposi; Cesare ne gongolava, e si voltava per guardar Luisa negli occhi; Luisa sorrideva e si copriva il viso col ventaglio.

Fecero circolo in mezzo al prato, e a due, a tre alla volta, tutti i soldati andarono a parlare alla sposa, facendo un grande sforzo per assottigliare un po’ que’ loro vocioni terribili, usati a far sentire «l’all’erta» lontano un miglio; e Luisa accolse tutti con quel suo sorriso e que’ suoi modi soavi, senza staccarsi mai dal braccio del suo sposo, e girando collo sguardo intorno al viso di quei che le parlavano senza mai fissarli negl’occhi. Cesare stava osservandola mentr’ella riceveva i complimenti dei suoi compagni, con una curiosità, con un piacere, come se la vedesse allora per la prima volta.

— A tavola, amici, — esclamò il colonnello. [p. 479 modifica]

Tutti si mossero verso il pergolato, parlando confusamente.

La mensa era apparecchiata sotto il pergolato; erano dieci o dodici tavole accostate in modo da formare una tavola sola, grande per una trentina di persone, chè tanti erano i commensali, fra contadini e soldati. Gli sposi si misero l’uno accanto all’altro; il colonnello in faccia a loro, in mezzo ai due artiglieri; tutti gli altri soldati si mescolarono coi contadini. Qua e là, fra le larghe spalle di due bersaglieri, spuntava la testina d’una villanella, tutta raccolta, contenta nel cuore, peritosa nel viso, che non sapeva nè dove guardare nè da che parte voltarsi. La conversazione cominciò subito animatissima, accompagnata da gran lavorar di mani e di denti, chè avevano tutti, tranne due, un appetito da non vederci più. Cinque o sei ragazzotti servivano a tavola, e avevano un gran da fare a farsi sentire dai commensali, che dessero loro i piatti da portar via, tanto erano tutti assorti e infervorati ne’ discorsi. I soldati si chiamavano e si parlavano da un capo all’altro della tavola, gesticolando colle forchette e coi coltelli. Il colonnello, apostrofato e interrogato da tutte le parti, non aveva tempo di rispondere a nessuno; un soldato che gli era accanto gli ragionava con molta serietà di certi inconvenienti del servizio; un altro d’in fondo alla tavola gli andava facendo un lungo racconto di cui egli non capiva una parola. Tre o quattro soldati, ciascuno nel suo cantuccio, s’erano fatti intorno un po’ di uditorio, e narravano gli episodi della guerra ai contadini attoniti, o provocavano di tratto in tratto un’alta risata con burleschi aneddoti di caserma. Altri si andavano ricordando tra loro i giorni passati assieme nei reggimenti, e i casi, e gli amici e gli ufficiali, con quella indulgenza benevola di giudizi che si mostra in si[p. 480 modifica]mili occasioni, per cui anche i superiori che s’odiavano diventano «buoni diavolacci» e i compagni più indifferenti «camerata d’oro.»

Luisa aveva accanto un soldato che s’ingegnava di farle il cavaliere, e non sapendo che dirle altro, le tesseva i più caldi elogi di Cesare, suo amico da molti anni, — un giovane d’oro, un giovane che ce n’è pochi come lui, e che ha anche dell’istruzione, e che se fosse nato signore sarebbe diventato qualche cosa di grosso. — Ed ella stava a sentire attenta attenta, coll’aria di chi ascolta una musica delicata e sommessa, mormorando di tant’in tanto: — Oh sì! — È vero. — Lo so. — E guardava intorno ai commensali, e incontrando lo sguardo di uno, si lasciava sfuggire un lieve sorriso, e guardava un altro, e domandava al suo vicino i nomi, e si faceva spiegare le differenze delle uniformi. E Cesare era il più allegro e il più chiassone della brigata; chiamava a nome i lontani, batteva la mano sulle spalle ai vicini, versava da bere di qua e di là, ed entrava nei discorsi di tutti, voltandosi di tratto in tratto per dir a fior di labbra: — O Luisa! — a cui rispondeva un: — Cesare! — sempre più pronto e più soave. A mano a mano l’andirivieni delle bottiglie si andava facendo più rapido, le ragazze cominciavano a snodare la lingua, tutte le voci si mescolavano, tutti gli occhi scintillavano, tutte le mani s’agitavano in aria, e il colonnello, rapito dalla comune allegrezza, s’era lasciato andare fino a prendere a braccetto i suoi due vicini e a dar loro una scossetta vigorosa esclamando: — Ah benedetti ragazzi, voi mi fareste ritornare al reggimento, vecchio come sono!

— Questo è il re dei pani! — gridò un bersagliere levando in alto un pane di munizione ch’era rimasto intatto sulla tavola: tutti si voltarono a guardarlo. — Chi [p. 481 modifica]non gli piace il pane di munizione, diceva un sergente, fateglielo mangiare a furia di bastone, — e diceva giusto. — Io l’ho sempre mangiato tutto fino all’ultimo briciolo. — E tu? — Anch’io. — E tu? — Anch’io. — E tu, Cesare? — Il cuore di Luisa diè un palpito forte; Cesare le afferrò la mano che avea sotto la tavola e rispose prontamente: — Anch’io. — Di’ Cesare; diceva un altro poco dopo; dove te l’han fatta quella ferita alla mano? — Era la ferita del duello; gli occhi di Luisa lampeggiarono. — Te lo dirò poi, — Cesare rispose; — è una storia lunga. — Di lì a un momento: — Fa vedere questa borsa da tabacco, — un terzo gli diceva, pigliandogli la borsa che gli spuntava dalla tasca della giacchetta. — Bella, graziosa; chi te l’ha data?... Una mia amorosa — rispondeva Cesare. — Ah si? Luisa sussurravagli allora nell’orecchio — aggiusteremo i conti. — E rideva. Era il primo scherzo di quel genere che diceva al suo sposo: egli n’ebbe una sorpresa e un piacere indicibile.

Tutt’ad un tratto, un bersagliere si levò in piedi, alzò il bicchiere e gridò: — Alla salute degli sposi!

— Alla salute degli sposi! — risposero tutti in coro, e alzatisi in piedi, cominciarono a far cozzare i bicchieri, allungandosi quanto più potevano sopra la tavola, intrecciando le braccia in tutt’i versi, chiamandosi l’un l’altro, cercandosi, facendosi un po’ di posto in mezzo alle braccia dei vicini, di sopra, di sotto, alle spalle, e scambiandosi augurii, occhiate e sorrisi. Fra tutte quelle brune e robuste mani dei soldati e dei contadini, spiccavano le piccole e bianche mani di Luisa. — I soldati le dicevano l’un dopo l’altro: — Sposina.... — ed essa rispondeva man mano colla voce commossa. — Grazie... grazie...

Si rimisero tutti a sedere. Si alzò il colonnello. Un’auretta viva gli scompigliava e teneva su ritti i [p. 482 modifica]lunghi capelli bianchi; e con quella chioma e con quel vestitone che aveva indosso, abbottonato fin sotto il mento e lungo come un mantello, egli pareva una di quelle grandi figure di santi che si vedon dipinte sulle volte delle chiese; era bello e venerabile. Tutti stettero zitti.

— Sentite; — egli disse con un affabile sorriso «un suono di voce dolce e lento; — voialtri soldati avete bevuto alla salute degli sposi; gli amici e i parenti hanno fatto tutti qualche regalo all’uno o all’altra; da me solo essi non hanno ancora avuto niente; è una cosa che non istà bene; voglio fare il mio regalo anch’io; voltatevi tutti da quella parte là. —

E stese il braccio dinanzi a sè, dalla parte opposta al frascato, verso i campi. Tutti si voltarono da quella parte.

— Voi non avete ancora veduto quelle bandiere, non è vero? —

Un lungo tratto del confine del podere era segnato da una fila di bandiere; al di là di quel confine cominciavano i possedimenti del Re.

— Non le avevamo ancora vedute — risposero tutti.

— Ebbene, tutto il terreno che corre di qui a quelle bandiere...

Luisa si appoggiò al braccio di Cesare.

— ... Non è più mio, è di Cesare e di Luisa. — Tutti i commensali proruppero in un grido; Luisa e Cesare restarono senza parola, immobili, cogli occhi pieni di lagrime fissi sul colonnello.

— E adesso beviamo alla vostra salute, miei bravi soldati, miei buoni figliuoli; vi assicuro che in vita mia ho fatto ben pochi brindisi di cuore come questo. Avevo proprio bisogno di stare un po’ in mezzo a voialtri. Ci sono stato tanto tempo, ci ho passata la mia gio[p. 483 modifica]ventù, ci sono diventato vecchio. Quelle poche consolazioni che ho avute in vita mia, le ho avute tutte da voialtri soldati. Ne ho visti tanti entrar coscritti nel reggimento, ne ho visti tanti partire in congedo, ne ho avuti tanti amici, tanti che hanno fatta la guerra con me.... Mi ricordo di tutti, li riconoscerei tutti. Io non li vedrò più; ma penserò sempre a loro, come a gente di casa mia. E quando andavano in congedo, io li radunavo sempre, come ho fatto adesso di voi, e li salutavo, e, a vederli partire, provavo una tristezza come se fossero partiti dei miei figliuoli. I miei soldati erano tutto per me: compagni, amici, famiglia. Che bei giorni abbiamo passati insieme! Che bei campi! Che vita allegra! Oh, ma adesso che vi conosco, non vi perderò mica più d’occhio, sapete; no, no; di tanto in tanto vi vorrò qui, tutti assieme, in famiglia, a discorrere un po’ di caserma; sicuro! E verrò anche a immischiarmi nelle vostre faccende di casa. Quando qualcuno di voi piglierà moglie, io lo vorrò sapere, e gl’insegnerò io come dovrà tirar su i suoi figliuoli, glieli darò io i buoni consigli. E gli dirò: fateli crescere con un bel cuore di soldato i vostri figliuoli, un bel cuore grande così che, se avranno da mettersi il cappotto, se lo mettano di buona voglia, e si facciano onore. Non è un buon figliuolo chi, al bisogno, non sa fare il suo dovere di soldato, e chi ha fatto il suo dovere di soldato è sempre un buon padre di famiglia; credetelo, e lasciate che gridino i tristi e gli svogliati. Appendete il vostro cappotto al muro nella stanza dove mangiate, accanto al ritratto del vostro re, e lasciatelo là che i vostri figliuoli lo vedano e lo rispettino, e se ne tengano d’avere un padre che l’ha portato e che ha fatto questa bella guerra che avete fatto voialtri. Io gli volevo bene al mio cappotto di soldato, e l’ho conservato con tutte [p. 484 modifica]le cure, e l’ho ancora, e quando lo guardo mi batte il cuore, e mi pare di essere ancora soldato, perchè io ho fatto il soldato, sapete; quattordici anni l’ho fatto, e adesso, a trovarmi in mezzo a voi, a parlare con voi, non so... mi sento... vorrei ritornare come allora.... vostro camerata... e... guardate se lo torno... Eccomi qua! —

Tutti si alzarono in piedi gettando un grido e protendendo le braccia.

Il colonnello, con un rapido moto, s’era levato il vestito, ed era rimasto col suo vecchio cappotto da soldato, logoro, riciso, d’un panno grigio chiaro, svariato d’ogni maniera di mezze tinte dalla pioggia e dal tempo; aveva cinque medaglie sul petto. Quell’atto era stato fatto con una vivezza così pronta e spontanea, ed accompagnato da un sorriso così modesto ed ingenuo, che ne sarebbe stato commosso anche chi, non conoscendo quell’uomo, avesse sospettato in quel suo entusiasmo giovanile un po’ di ostentazione e di sforzo.

Se non erano a tavola, i soldati gli si slanciavano addosso.

— Alla salute dei miei buoni soldati! — gridò il colonnello alzando il bicchiere. — Alla vostra salute! — ripeterono i contadini toccando coi soldati. — Alla vostra — i soldati risposero.

Un bersagliere fe’ cenno di voler parlare; tutti tacquero.

— Adesso..., egli cominciò con voce malferma tenendo una mano sul petto e reggendo coll’altra il bicchiere; — adesso noi beveremo alla salute del signor colonnello, che dobbiamo ringraziarlo della bontà che ha avuto d’invitarci, e si vede il bene che vuole ai soldati, tanto più che noi non avevamo nemmeno l’onore di conoscerlo di persona, e da questo si può veramente capire il buon cuore che ha, come se fosse nostro padre [p. 485 modifica]e noialtri i suoi figliuoli, e per questo beviamo alla sua salute....

Tutti si alzarono.

— Un momento.... e dirgli che noi non dimenticheremo mai questo bel giorno, che è una delle più belle soddisfazioni che si prova di essere stati al servizio, e ricorderemo i suoi buoni consigli che egli ci ha dati, che sono giusti e preziosi, che tutti li dovrebbero tenere a mente, e imitare il suo esempio, che dopo tanti anni ha ancora il cappotto di soldato, che è una cosa che gli fa onore a lui e c’insuperbisce noi; e beviamo dunque, alla sua salute e viva il signor colonnello che è così buono coi soldati!

— Viva! — gridaron tutti con trasporto.

— Viva il nostro Re! gridate, — esclamò il colonnello.

Tutti gli altri risposero: — viva il nostro Re! —

— Signor colonnello, c’è il Re! — gridò una donna accorrendo.

I soldati s’alzarono impetuosamente da tavola rovesciando seggiole e panche, e si slanciarono per uscire. Il Re comparve in quel punto sotto il pergolato, a cavallo, vestito da cacciatore. Rimasero tutti interdetti per un istante, e poi tutti assieme, come di concerto, ripeterono entusiasticamente: — Viva il nostro Re!

Il Re salutò e guardò intorno meravigliato.

Tutti fecero silenzio.

— Come mai tutti questi soldati? — domandò sorridendo.

Nessuno ardiva di parlare. Un soldato si fece innanzi e rispose disinvolto e vivace:

— Ecco, Maestà! Noi siamo tutti soldati in congedo; questo è il signor colonnello in ritiro che s’è messo il suo cappotto per star con noi; questi due sono [p. 486 modifica]gli sposi, e adesso si faceva il pranzo di nozze, e noi siamo stati invitati dal signor colonnello. —

Detto questo, egli volse intorno uno sguardo trionfante, come per dire: Vedete se lo so io come si parla coi re!

Il Re sorrise, chiese al colonnello il suo nome, guardò la villa, le bandiere, gli sposi, i soldati, e poi disse: — Bravi, mi piace di vedere i soldati allegri,... bravi;... avete fatto tutti la campagna?

— Tutti! — risposero i soldati ad una voce.

— Maestà! — gridò uno di essi, scoprendosi un braccio fino al gomito e battendo la mano sopra una cicatrice; — questa è della Cernaia!

— Questa è di Palestro, Maestà! gridò un altro segnando una cicatrice che aveva sulla fronte.

— E questo di San Martino! — gridò un terzo mostrando una mano a cui mancavano due dita.

— Bravi ragazzi! — rispose il Re con voce commossa; — qua la mano, tutti. —

I soldati gettarono un grido di gioia, e s’affollarono intorno al cavallo, e strinsero l’un dopo l’altro la mano al re; l’ultimo fu Cesare.

— Bel giovanotto! — disse il Re. — Tutte le contadine guardarono Luisa; Luisa sorrise e tremò.

— E lei, colonnello? — domandò il Re, dopo ch’ebbe stretta la mano a tutti i soldati. Il colonnello, che era rimasto fino allora in disparte, immobile come un estatico, venne innanzi colla bocca aperta e gli occhi lucenti di lagrime, e strinse la mano al Re.

— Domani mattina lei verrà a far colazione con me, a Valdieri, non è vero? —

Il colonnello non potè rispondere, fece segno di sì e guardò il Re cogli occhi spalancati.

— Maestà! — gridò un bersagliere avvicinandosi; — le domando una grazia! [p. 487 modifica]

— Quale?

— Eccola! — il soldato rispose, e gli porse un bicchiere di vino.

Il Re bevve.

— Viva il Re! gridarono tutti, e la folla che era nel prato e nella strada ripetè: — Viva il Re!

— Signor colonnello, permetta! disse il bersagliere ripigliando il bicchiere vuoto e mettendoselo in tasca. Tutti risero.

— Che voglion dire quelle bandiere laggiù? — domandò il Re accennando verso il confine del podere.

Un soldato glielo spiegò.

— Allegri, giovanotti; buona sera, colonnello; a domani. — Detto questo, voltò il cavallo, e via di galoppo. Tutti gli si slanciarono dietro gridando.

Un’ora dopo era quasi notte; il prato era tutto illuminato dai palloncini accesi; una folla di contadini, uomini e donne, misti ai soldati, andavano e venivano tra la strada e il prato levando un festoso gridìo; si cominciavano a sentire gli accordi dei flauti e dei violini.

— S’ha da cominciare questo ballo? — domandò il colonnello agli sposi.

Cesare si voltava per rispondere quando gli comparve dinanzi un ragazzo affannato, che voleva dir qualche cosa e non riesciva a tirar fuori la voce.

— Che cosa c’è? domandarono — Luisa e Cesare quasi spaventati.

— C’è....

— Che cosa?

— C’è che le bandiere che io avevo messo sul confine del podere, adesso non ci son più! [p. 488 modifica]

— Come? Perchè? Dove sono?

— Le hanno trasportate un mezzo miglio più in là, sull’altra collina...

— E chi è che le ha fatte trasportare?

— Indovinate.

— Chi?

— Il Re.

— Eccovi ricchi! — disse una contadina agli sposi.

— Musica! — gridò il colonnello colla voce tremante.

La musica cominciò; tutti corsero a ballare; Luisa e Cesare rimasero immobili come due statue.

— E voi altri? — domandò il colonnello più stordito di loro.

Si misero a ballare anch’essi.

Non avevano fatto quattro passi che Cesare gettò un grido, la musica cessò, e tutti s’affollarono intorno a lui domandando: — Che c’è? Che è accaduto?

— Mi s’è svenuta Luisa tra le braccia, — Cesare rispose; la sorreggeva infatti perchè non cadesse in terra.

Il colonnello s’avvicinò a Luisa e la chiamò per nome.

Luisa aperse gli occhi, guardò in torno, mise un sospiro e sorrise.

— Ah! non è nulla! — esclamò Cesare riavendosi.

— È stato un eccesso di gioia — soggiunse il colonnello. — Musica!

Ricominciarono a ballare.

Due ore dopo il prato era deserto e silenzioso. Qua e là, fra i rami degli alberi, risplendeva ancora qualche lumicino. Tutte le finestre della villa eran chiuse, tranne una, quella di mezzo, aperta e illuminata. Ci si vedeva qualcuno seduto colle braccia incrociate sul davanzale e la testa appoggiata sulle braccia: era il colonnello. [p. 489 modifica]Spirava un fresco ventolino d’autunno, che faceva stormire le foglie dei castagni; la bandiera che sporgeva dalla finestra, sventolando, s’andava a posare di tratto in tratto sulla testa del vecchio; il cielo era stellato e limpido; lontano lontano, in fondo alla valle, si sentiva un canto confuso di molte voci, di momento in momento più fioche: erano i soldati che tornavano a casa.

Tutt’ad un tratto, una delle finestre a terreno s’illuminò e vi passarono due ombre; poi tornò buia.

— I miei figliuoli sono felici, — mormorò il vecchio porgendo l’orecchio al rumore dei loro passi; — io ho visto i miei soldati, il mio Re... Morirei tranquillamente così.

— Oh! no morire! — proruppe una tenera voce alle sue spalle.

— Ah! sei tu, mio buon ragazzo! Vieni, vieni qui fra le braccia di tuo padre! No, morire, no! Vivere! Vivere per te! Vivere ancora!

FINE.