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446 | il più bel giorno della vita. |
renità che cresce, si può dire, cogli anni, sino a diventare in alcuni un’allegrezza quasi infantile; e il colonnello è un di questi. Ha modi e gesti subiti e franchi, come di giovane; e una parlantina viva e piena d’affabilità ingenua. I bimbi gli voglion bene subito, e dopo poche parole allungano la manina per afferrargli un baffo; e le ragazze che vengono la sera a far crocchio sulla via, si divertono tanto a starlo a sentire, quand’egli appuntando il dito ora verso l’una ora verso l’altra, con quell’aria malignuzza, dice che sa di gran misteri, e che parlerà. Ed è un vecchio vegeto, e quei capelli lunghi e bianchissimi fanno un grato vedere intorno alla sua fronte abbronzata, e ha l’occhio grande e soave, e quando ride mostra due file di denti bianchi che certo una volta non devono aver penato di molto a lacerare la cartuccia.
Ha finito di scrivere, guarda intorno e chiama: — Cesare!
— Eccomi! — risponde una voce fuori del pergolato.
Un giovinetto sui ventisei anni, vestito in gala, con un bel panciotto a fiori e una gran cravatta a colori che gli si annoda sul petto, pettinato, liscio, lindo, si viene a piantar davanti al colonnello. È un contadino; ma non n’ha l’aspetto, e sembra serio e fiero; ma quando sorride, il suo viso si trasforma, s’illumina e non par più quel di prima; è un bel giovane.
— Buon giorno, signor colonnello. —
Il colonnello lo guarda e lo riguarda da capo a piedi, e poi gli rende il saluto.
E dopo un’altra guardata, sorridendo: — Come hai dormito questa notte?
— .... Male!
— Ma per l’ultima volta.