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il più bel giorno della vita. |
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e due le mani alla fronte, e il viso gli si coperse di sangue.
Non mi ricordo bene cosa fecero e cosa dissero
allora gli altri; so che mi fu fasciato il braccio, e
dopo qualche minuto, noi da una parte, loro dall’altra,
ce ne andammo pei fatti nostri; nessun contadino era
accorso, nessuno se n’era avveduto. Ma come nascondere
le ferite? domandai ai sergenti. Mi risposero che
non c’era mezzo di nasconderle e che bisognava andare
all’ospedale. — Vatti a dichiarar malato subito — mi dissero
entrando in quartiere. Ci pensai un poco e poi decisi
di non farne nulla; volli provare a resistere. Le
ferite erano leggere, sangue n’avevo perduto pochissimo;
vediamo. La notte la passai bene; cioè, dormii bene;
ma sognacci, signor colonnello, cose d’inferno, coltellate,
sciabolate, morti, becchini, il finimondo; solamente,
fra tutte queste brutte immagini, vedevo lei,
Luisa, colla sua testina chinata da una parte, e gli occhi
pieni di lacrime, e quel sorriso così buono, che mi
dava una gran consolazione. La mattina, piazza d’armi.
Ci vado? non ci vado? ho da darmi per malato? Feci la
pazzia d’andare. Si figuri! Strada facendo cominciai
a sentirmi un bruciore terribile alle ferite; arrivato
in piazza d’armi, mi accorsi che s’erano aperte e
che colava giù sangue; diventai bianco come un cadavere.
Come fare? Ancora uno sforzo, finchè posso
reggermi in piedi; avanti, barcollando come un briaco;
mi sentivo mancar le forze, e a poco a poco mi
si stendeva un velo oscuro sugli occhi. Tutto ad un
trattò un ufficiale manda un grido: — Cos’è questo?
Mi si accosta, mi prende per la mano, io guardo, era
tutta insanguinata. Uscii quasi fuori di me, fui condotto
in quartiere, e poi all’ospedale, e mi prese una
febbre maledetta, che per poco non mi mandò all’altro
mondo. Fui visitato dai medici, dagli ufficiali della