La vita militare/Una morte sul campo
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UNA MORTE SUL CAMPO.
Le artiglierie, sul campo di battaglia, presentano uno spettacolo che fa ad un tempo meraviglia e terrore.
Il vedere quel lungo convoglio di cavalli, di cannoni e di carri muoversi, ad un cenno, dall’uno all’altro capo, e con tremendo frastuono lanciarsi di carriera, attraversare campi, strade, vigneti, salendo, scendendo, svoltando con rapidissimi serpeggiamenti; — e nella corsa impetuosa superare argini, saltar fossi, rovesciare e schiacciare siepi e piante e solchi, e ravvolto in un turbine di polvere e di sassi dileguarsi tra gli alberi lontani; — e indi a pochi minuti vederlo apparire in cima a una collina, e in un istante rompersi, dividersi, schierarsi, levare al cielo una immensa nuvola ed empiere di alti rimbombi tutte le valli d’intorno; — e ad ogni colpo veder quelle bocche formidabili retrocedere come atterrite del proprio grido, e lontano lontano rovinar case, alberi spezzarsi, e schiere compatte di nemici rompersi e disseminarsi per la campagna; — gli è davvero uno spettacolo che meraviglia e atterrisce.
Dal sentimento della potenza meravigliosa e terribile delle proprie armi, il soldato d’artiglieria trae quel suo carattere particolare di gravità e di alterezza, che non gli si scompagna mai dall’animo nè dall’aspetto, neanche dopo una battaglia perduta, quando tutti gli altri sono prostrati dalla tristezza e dallo sconforto.
Così, seri, pensosi, ma non iscorati, non avviliti, entravano sul far della sera, in Chivasso, i cannonieri d’una batteria dell’esercito piemontese, quindici giorni dopo la battaglia di Novara. Alla batteria mancavano molti carri, molti cavalli, un cannone, due uffiziali e parecchi soldati. L’accompagnavano un capitano e un luogotenente. Il popolo assisteva tacito e mesto alla loro entrata come al passaggio di un convoglio funebre.
Si fermarono nella prima piazza. Il capitano ordinò al suo uffiziale di parcare la batteria, e, sceso da cavallo, si mise a guardare intorno come se cercasse qualcuno in mezzo alla gente che s’era affollata.
Di lì a un minuto, gli si avvicinarono due giovani (l’uno poteva essere sui venticinque anni, l’altro sui diciotto), si tolsero il cappello e gli domandarono timidamente: — È lei il signor capitano....?
Il capitano non li lasciò finire, strinse la mano a tutti e due chiamandoli amichevolmente per nome, e disse: — Mi son preso la libertà di scrivere addirittura a loro senz’aver l’onore di conoscerli, perchè in questa città non sapevo a chi altri rivolgermi; avrei scritto anche prima, se prima avessi potuto saper qualcosa della loro famiglia.... Ma neanco i suoi amici, — soggiunse con accento mesto, — non seppero dirmi nulla.... E sì che ne avea molti e carissimi, quel povero giovane.
E porse di nuovo la mano ai due compagni che gliela strinsero forte.
— Han detto nulla al loro padre della mia lettera?
Risposero che non gli avean detto altro se non che il capitano della batteria a cui apparteneva il loro povero fratello sarebbe venuto un giorno a fargli una visita; non gli avean potuto dire di più perchè era leggermente malato e temevano di dargli una troppo viva commozione; però alcuni particolari della morte del figliuolo gli erano noti fin da due giorni dopo la battaglia; era tuttavia inconsolabilmente addolorato.
In quel mentre s’avvicinava a loro il luogotenente.
— Ecco l’uffiziale di cui parlai nella lettera, — disse sottovoce il capitano, e presentò il tenente ai due fratelli, che gli strinsero con trasporto la mano, facendogli mille proteste di affetto e di gratitudine, a cui egli rispose con molta effusione di cuore. Dette poche altre parole, ritornò verso la batteria. Il capitano stabilì coi due giovani che sarebbe andato a trovare il loro padre la mattina dopo alle sette, poichè alle otto dovea partire per Torino, e fattosi dire la strada, il numero della porta e il piano della casa, richiamò il luogotenente e gli susurrò nell’orecchio: — Domattina, se alle otto io non sarò qui, parta ugualmente colla batteria; ma avverta di non passare per la strada.... — E gliela nominò. Il tenente ne comprese il perchè, rispose che avrebbe obbedito; il capitano si allontanò coi due fratelli.
L’indomani mattina alle sette il capitano, seguìto dall’ordinanza con un involto sotto il braccio, picchiava alla porta di casa dei due nuovi amici. Dovette aspettare un minuto che gli parve un’ora. Era desiderio impaziente o timore quello ch’ei si sentiva in quel punto? Forse non lo avrebbe saputo dire nemmen lui; ma provava un’ansietà penosa. S’aprì finalmente la porta e comparvero i due fratelli. Non gli diedero tempo di parlare; si posero il dito sulla bocca come per dire zitto, gli fecero segno che tenesse ferma la sciabola e, salutandolo tacitamente, lo introdussero e gli diedero da sedere. L’ordinanza posò l’involto sopra una seggiola e se ne andò.
— Dorme — disse il fratello più grande; — ma sta assai meglio.
— Mi fa proprio piacere, — rispose il capitano mettendosi a sedere; e i due giovani sedettero anch’essi, avvicinando le seggiole in modo da poter discorrere a voce bassa.
— Credono che gli si potrà parlare senza pericolo?
— Oh adesso sì — risposero ad una voce i fratelli, — adesso non c’è più pericolo....
— Ne godo. Ma se credessero il contrario, io li pregherei di dirmelo francamente; non vorrei, sperando di venir qui a portare un po’ di consolazione, essere invece la causa di un male maggiore. Piuttosto, sentano: di qui a Torino c’è poco; fra tre o quattro giorni potrei fare una scappata di qualche ora.
— Oh troppo buono! — esclamarono i due giovani stringendogli la mano — grazie di tutto cuore; ma in verità non occorre che ella s’incomodi un’altra volta per noi. Nostro padre sta veramente meglio. E poi s’egli fosse un altr’uomo da quello che è, forse, anche vedendolo star meglio, ci sarebbe da esitare.... Ma ci creda, signor capitano; egli ha un cuore tanto mai capace di sentire una consolazione della natura di quella che lei gli porta da non lasciar dubbio sull’effetto che gli faranno le sue parole. Ha un buon cuore di padre, ma anche un ottimo cuore di cittadino....
— Oh lo credo. —
In quel punto s’aprì una porta e comparve un bel ragazzino biondo, che poteva avere una diecina d’anni o poco più. Visto il capitano, fece l’atto di tornare indietro.
— Vieni qua — disse uno dei fratelli. — Il ragazzo venne innanzi.
— Questo è il nostro fratellino.
— Quanto somiglia a quel povero giovane! — esclamò il capitano. —
— È vero!
Dopo altri cinque minuti di conversazione a bassa voce, il capitano aprì l’involto e parlò coi tre fratelli di una sorpresa da farsi al padre, finchè il secondogenito s’alzò, e passò nella stanza attigua per isvegliare il malato.
Il fratello maggiore e l’uffiziale si strinsero la mano dicendosi l’un l’altro: — Coraggio, via! —
Il giovinetto s’avvicinò in punta di piedi al letto di suo padre. Il buon vecchio dormiva leggermente con un braccio steso fuor della coperta e la faccia volta dalla parte del figlio. Questi ristette un istante a contemplare quella fronte aperta e venerabile, che pur nella quiete del sonno serbava l’impronta d’un profondo dolore, e pensò: — Ora ti desto, povero padre;... ti desto per richiamarti al dolore; ti tolgo anche questi pochi momenti di pace.... Ma è necessario. — Babbo!
Aprì lentamente gli occhi e colla mano che aveva fuori strinse quella del figliuolo. Questi, posandogli la destra sulla fronte, si chinò e gli chiese come stava.
— Molto meglio.
— Oh bene!... E.... senti, babbo; c’è di là una persona che vorrebbe vederti.
— Falla entrare.
Il figlio non si mosse.
— Chi è?...
— Chi è?... È un uffiziale.
Il vecchio fissò il giovinetto senza parlare.
— È un capitano.
— Un capitano? e spalancò gli occhi. — Seguì qualche momento di silenzio. Il figliuolo, facendosi un gran coraggio, soggiunse in fretta:
— È un capitano d’artiglieria.
— Eh! — sclamò con molto impeto il padre e fece un subito sforzo per levarsi a sedere. Il figlio glie l’impedì.
— No, babbo — disse poi con molta dolcezza, — non ti muovere; te ne potrebbe venir male; lo sai pure che il medico ti ha proibito di pigliar dell’aria; sta coricato, babbo, sta quieto. —
E gli fece riporre sotto la coperta il braccio che teneva fuori. Gli occhi del vecchio lampeggiavano e il respiro era affannoso. Di lì a un poco, senza guardare in viso il figliuolo, colla voce mal ferma mormorò:
— E questo capitano...?
— .... Era il suo capitano.
La risposta era presentita.
— È venuto qui in paese apposta per vederti.
Il padre stette un istante pensieroso, poi scrollò la testa, strinse le labbra e si coprì gli occhi con una mano.
— Babbo, — disse affettuosamente il giovinetto baciandolo sulla fronte — fatti coraggio; il capitano è venuto qui per darti una consolazione, e te la darà, ne son certo. Non far così, via (e gli fece staccar la mano dagli occhi); fatti coraggio, babbo.
— Chiamalo.
— ....Subito?
— Sì, subito.
— Dunque.... ho da andare?
— Va’.
— Vado; ma fatti animo, babbo; il capitano ti darà una consolazione; vedrai. —
E a rapidi passi uscì dalla camera. Il padre lo accompagnò collo sguardo e fissò gli occhi sulla porta. Un breve bisbiglio, un rumor di sciabola.... Ecco il capitano. Appena lo vide, il vecchio tese le braccia verso di lui, ed esclamò dolorosamente: — Ah, capitano! capitano! — Questi accorse, lo abbracciò e gli disse affettuosamente: — Coraggio, caro signore.
Il figliuolo maggiore e il piccino si misero da un lato del letto e il secondogenito dall’altro. Il padre aveva abbandonato la fronte sul braccio del capitano e piangeva. Per un po’ di tempo nessuno fiatò.
Tutto ad un tratto, il malato si sciolse da quell’abbraccio, alzò la testa e rasciugandosi gli occhi disse con accento risoluto: — Capitano.... voi eravate là quel giorno; voi avete veduto;... ditemi.... raccontatemi.... io voglio saper tutto; sarò forte.... mi sento forte.... starò a sentire senza commuovermi...., senza interrompere....; ma voglio che non mi si taccia nulla...; voglio saperlo, io.... ho bisogno di saperlo in che modo.... (e qui il pianto gli fe’ intoppo alla parola).... in che modo è morto.... il mio povero figliuolo!
E nuovamente abbandonò la testa sul braccio del capitano e scuotendola in atto sconsolato esclamò:
— Era tanto giovane!
— Ma ora è tanto grande!
A queste parole il povero vecchio si scosse, alzò la testa, e guardò fiso il capitano; e a misura che lo guardava, il suo volto lacrimoso assumeva una espressione gradatamente più viva di serenità e di alterezza, e gli si animavano gli occhi, e andava ritraendo a poco a poco il braccio di sulla spalla dell’uffiziale, come se il nuovo pensiero ond’ei pareva occupato bastasse a tenergli vece d’ogni sostegno e d’ogni sollievo. Questo pensiero, che fino allora era rimasto come ravvolto e addormentato nel dolore, sorse tutt’ad un tratto nella sua mente, e gli diede un subito e inatteso sentimento di fiero conforto, e gli sviluppò nell’animo una forza di cui non si sarebbe mai creduto capace. — Tanto grande! ripetè tra se stesso, e poi soggiunse con voce franca e vibrata:
— Dite pure, capitano. —
Il capitano sedette quanto più potè accosto al letto e, accarezzando le frange della dragona, cercò un modo di cominciare. Non lo trovò subito, nè il trovarlo gli sarebbe riuscito facile; ma il fratello maggiore venne in suo aiuto.
— Ebbe molto da fare, signor capitano, la sua batteria?
— Alla battaglia di Novara? non mica tanto. Cioè: quanto a fare, veramente, si è fatto poco; ma s’è faticato come se si fosse fatto moltissimo; s’è corso tre o quattro ore senza un minuto di respiro; avanti e indietro, avanti e indietro, quasi sempre per le medesime strade. — Capitano! mi si gridava, vada ad occupar quell’altura. — Ed io via di galoppo. Ma appena ero lassù, eccoti un contr’ordine, e giù subito al posto di prima. E così tre o quattro volte senza fermarsi un momento. Poveri cavalli, la parte loro l’han fatta quella mattina! Meritavano proprio una sorte migliore.
— Furono uccisi?
— Una buona parte.
— Peccato!... E dove ha poi finito di fermarsi?
— Proprio il punto preciso non lo saprei; cioè, non glie lo saprei nominare; ma ricordo esattamente la figura del luogo. Eravamo a metà della china di un colle; fra quel punto e la cima, il terreno s’incavava così profondamente da nascondere benissimo un par di battaglioni agli occhi di chi ci venisse incontro dalla parte del nemico. Quando arrivai là, si vedevano in lontananza giù nella pianura tre lunghe colonne di Austriaci che si avanzavano lentamente, ora accennando di piegare a destra, ora a sinistra, ma sempre mantenendosi nella nostra direzione; eran molto lontane; appena appena se ne vedevano biancheggiare le uniformi e luccicare le baionette. Uno dei miei uffiziali fu subito mandato con due cannoni sul fianco destro del colle. Sul posto rimanemmo io e il mio primo luogotenente con quattro cannoni. Al cannone di destra (qui il capitano si volse al maggiore dei figliuoli).... c’era vostro fratello.
Il vecchio non fece alcun moto; stava profondamente intento e impassibile. Il capitano proseguì:
— .... Stava al cannone di destra. Si cominciò subito il fuoco. Appena caricato il suo cannone, vostro fratello, come sergente, doveva «puntarlo». — Alla colonna di mezzo! gli gridai. — Sissignore! egli mi rispose chinandosi per obbedirmi. — Facciamoci onore! soggiunsi. Sorrise, pigliò la mira, fece due passi indietro, comandò: fuoco! e quasi nello stesso punto si vide saltare in aria il tronco d’un albero ch’era in mezzo alla colonna del centro; questa ondeggiare confusamente, allargarsi, disordinarsi; gli uffiziali a cavallo correre di galoppo qua e là; poi, a poco a poco, le schiere ristringersi, ricomporsi e continuare il cammino. — Bravo! io gli gridai. — A un altro. — Pigliò un’altra volta la mira e un’altra volta colse nel segno.
Il vecchio battè la palma della mano sul letto.
— Colse perfettamente nel segno; la colonna si scompigliò più di prima; di nuovo gli uffiziali le corsero intorno, e di nuovo essa si ricompose; ma si soffermò. Nello stesso punto si videro apparire di lontano quattro cannoni, giungere di gran trotto sulla linea delle colonne, due di essi collocarsi fra quella del centro e quella di sinistra, gli altri due tra quella di destra e quella del centro, e cominciare a tirare contro di noi. — Coraggio! io gridai rivolgendomi ai miei soldati; questa è una buona occasione per far vedere chi siamo. — Cominciammo a tirare contro i cannoni del nemico. Le colonne retrocessero d’un buon tratto. Quella del mezzo si avvicinò ad una piccola casa, e parve che v’entrasse una buona parte dei soldati. — Sergente! — gridai a vostro figlio; mettetemi una palla in quella casa. — Sissignore! sempre con quel suo accento fermo e risoluto. In quel punto passò di galoppo dietro di noi un colonnello di stato maggiore, sentì le mie parole, si fermò e voltosi verso il cannone di destra disse forte: — Vediamo. — Fuoco! comandò quasi nello stesso tempo quel bravo giovane, e dal tetto della casa vedemmo levarsi in alto e piombare in mezzo alla colonna assi, tegole e travi, e una frotta di soldati precipitarsi fuori e sparpagliarsi in tutte le direzioni.
Il padre stropicciava con tutt’e due le mani la coperta del letto come se fosse preso da un accesso nervoso.
— Bravissimo! — esclamò il colonnello, e s’allontanò di carriera. Ma i cannoni austriaci tiravano a meraviglia. Le palle venivano a cadere a otto, a dieci passi intorno a noi e si conficcavano profondamente nei solchi, sollevando dei nuvoli di terra e di sassi che tratto tratto avvolgevano cannoni e cannonieri e li nascondevano intieramente ai miei occhi. Scomparso il nuvolo, si vedeva sempre il vostro bravo figliuolo cavarsi sorridendo la terra d’in fra il collo e la cravatta, tranquillo, impassibile, come se per lui non ci fosse alcun pericolo.... Ma fummo sfortunati. Una palla cadde in mezzo alla compagnia di fanteria che ci stava di scorta alle spalle e uccise tre soldati. Dopo un momento uno dei nostri cavalli fu ucciso e due altri caddero gravemente feriti. Questo però fu il minor male.... Non eran trascorsi due minuti, quando s’udì uno schianto terribile e un altissimo grido; una palla avea spezzato la ruota d’un cannone e stesi a terra, sformati, due cannonieri.... Non era il cannone di vostro figlio.
Il vecchio respirò come se gli restasse speranza che suo figlio vivesse.
— A quella vista, mi ricordo che vostro figlio si diede un gran colpo della mano sulla fronte e mise un grido di dolore. Non eravamo però ancora ridotti in condizione disperata; avremmo potuto star fermi al nostro posto ancora per un pezzo; ma due nuovi cannoni nemici si vennero ad aggiungere ai primi quattro; le colonne austriache ricominciarono ad avanzarsi; noi non potevamo restar più a lungo in quel punto. Improvvisamente sentimmo dietro di noi un rumore confuso di passi, di voci e di armi, e vedemmo due battaglioni schierarsi in fretta sulla cresta della collina nell’attitudine di respingere un attacco. Fra la cresta e noi, il terreno, come dissi, s’avvallava; perciò alla fanteria non conveniva di avanzarsi fin sulla nostra linea; toccò a noi a retrocedere. La colonna del mezzo veniva innanzi molto rapidamente. Aspettai che giungesse a tiro e comandai: — Tiro a mitraglia! — Al comando di «fuoco» si udì come uno scoppio di tuono accompagnato da un sibilo orrendo, si sollevò un gran nuvolo di polvere che ci nascose la colonna, e poi subito scomparve, e vedemmo nelle file dei nemici uno sgomento, una rotta, uno scompiglio d’inferno. Ma era tardi. I nemici, così com’erano sparpagliati e confusi, continuarono audacemente a salire; non c’era tempo da perdere, bisognava salvare i cannoni. I cavalli non bastavano: — A braccia! io gridai; indietro! — Trenta braccia vigorose afferrarono subito le ruote, gli orecchioni, le bocche, e cominciarono a spingere indietro i cannoni. Al cannone di destra mancava un artigliere; Vostro figlio ne fece le veci; afferrò egli stesso la ruota di sinistra. — Coraggio! gridava: forza! forza! — Ma il tratto di terreno che dovea percorrere il suo pezzo era smosso; le ruote affondavano; lo sforzo che si dovea fare per ismoverle era tremendo; quei cinque bravi soldati facean la forza di venti; si vedevano i muscoli di quelle mani e di quei colli rilevarsi e tremare che pareva volessero lacerare la pelle; eran color di fuoco, grondanti sudore, trasfigurati. Coraggio! dicevano i soldati e gli uffiziali d’in sulla vetta del colle. E gli artiglieri, sbuffando, gemendo, raddoppiavano gli sforzi. Già ci sentivamo alle spalle il passo pesante della colonna nemica e le voci animatrici degli uffiziali; una catena di cacciatori spinta innanzi dalla colonna nemica di sinistra ci tempestava di palle, eravamo quasi sulla vetta.... In quel punto egli fu ferito!
— Dove? dove ferito? — domandò ansiosamente il povero vecchio come se sentisse per la prima volta quella notizia.
— .... Alla gamba.
— Oh! E in che punto?
— .... Qui, — rispose il capitano indicando alla sfuggita il polpaccio della gamba destra. — Appena ferito, si voltò un istante a guardar la gamba e gridò: nulla! nulla! animo, forza; e seguitò a spingere la ruota.
— Bravo! — interruppe con voce ferma e sonora il malato.
— Oh sì! bravo davvero; e in fatti i soldati ch’eran là presso gli gridarono: Bravo! I cinque valorosi fecero un ultimo sforzo, spinsero il cannone fin sulla vetta e mandando un altissimo grido: È salvo! caddero spossati a terra. Si rialzarono però subito....
— Ma non si rialzarono tutti! — esclamò il vecchio coprendosi il volto colle mani; — oh lo sapevo!
— .... Era stato ferito in un fianco.
Seguì un momento di silenzio.
— Appena i cannoni ebbero oltrepassata la vetta, i due battaglioni di fanteria ruppero in un fittissimo fuoco di fila sulla colonna assalitrice. Il cannone di destra fu trascinato innanzi per altri trenta passi. Mentre lo trascinavano (a questo punto il capitano si levò in piedi), il vostro bravo figliuolo, steso in terra, premendo una mano contro la ferita, gridò ancora due o tre volte: Forza! forza! Poi gli mancò la voce, fece ancora un cenno colla mano....
— Oh capitano! — gridò il vecchio con voce di pianto.
— Sentite.... Appena i nostri cannoni furono fermi, ci arrivarono i cavalli di alcuni altri pezzi caduti in mano del nemico; ordinai che li attaccassero subito. Il luogotenente, sceso da cavallo, badava a far eseguire i miei ordini, stando fermo davanti al pezzo di destra, colle spalle volte dalla parte del nemico; i cavalli erano già attaccati; egli era sul punto di volgersi a me per dirmi: siamo pronti. Quando tutto ad un tratto si sente stringere un ginocchio di dietro, si volta e vede....
Il vecchio balzò a sedere sul letto e afferrò gagliardamente la destra del capitano domandandogli con un grido: — Chi?
— Vostro figlio.
— Dio!
— Vostro figlio, che estenuato, moribondo, s’era trascinato carponi sin là per dare l’ultimo addio al suo cannone, ai suoi compagni....
— Capitano!
— Tutti i cannonieri gli si fecero attorno: due di essi lo presero sotto le ascelle e lo sollevarono in ginocchio. Agitava tutte e due le braccia, e apriva e chiudeva la bocca guardando il luogotenente come se volesse dirgli qualche cosa. — Che cosa vuoi, bravo soldato? — il luogotenente gli domandò con una voce piena di affetto e di slancio, — che cosa vuoi? — Allora egli alzò le braccia e giunse le mani come per far l’atto di abbracciare. Il luogotenente ebbe una buona idea, battè la mano sulla bocca del cannone e poi gli domandò: Questo? — Sì! sì! sì! parve ch’egli volesse dire scotendo la testa e dando segno d’una vivissima gioia. I due soldati lo alzarono fino al cannone, egli lo ricinse colle braccia, vi si serrò sopra col petto, mandò un grido e.... morì.
Il padre che fino allora era stato a sentirlo con una commozione sempre crescente, stringendogli convulsamente ora la mano, ora la sciabola, ora le falde della tunica, e palpandogli le spalle e le braccia come avrebbe fatto un cieco per riconoscerlo, a quell’ultime parole ruppe in un singhiozzo violento che avea insieme del riso e del pianto; i suoi occhi s’infiammarono e tutto il suo volto s’illuminò d’una gioia superba.
— .... La vista di quella morte da eroe — proseguì con accento appassionato il capitano — ci rapì d’entusiasmo. Il luogotenente afferrò con tutt’e due le mani la testa di vostro figlio, e fissandogli gli occhi negli occhi come s’egli fosse ancora vivo, gridò due volte quasi fuor di sè stesso: Caro! Caro! — Viva! proruppero ad una voce tutti i soldati, ed io gridai: — Salutatelo, — e tutti levarono la mano al berretto e lo salutarono, e ripeterono tutti insieme: Viva!
Il vecchio diede in uno scoppio di pianto.
— Sì, sì, — continuò il capitano sempre più concitato; versatele pure queste dolci lacrime; queste vi fanno bene; versatele; egli è l’orgoglio della nostra batteria; non sarà dimenticato mai più; fra vent’anni, i nostri soldati, pronunziando il suo nome, si sentiranno battere il cuore come noi adesso, pochi giorni dopo ch’egli è morto, e diranno tutti ch’egli è stato un valoroso, e lo ameranno e lo benediranno come un fratello lontano.... Sì, sì, piangete pure adesso; adesso potete piangere; anzi, piangete qui, voglio che me la bagniate del vostro pianto questa divisa; qui, qui....
E ciò dicendo, ricinse colle braccia e si serrò sul petto la bianca testa del vecchio, e se la tenne un pezzo così. I figliuoli piangevano.
L’infermo spossato dalla lunga e profonda commozione, appena sciolto dall’abbraccio, abbandonò la testa sul guanciale, e disse con voce fievole e interrotta:
— Grazie, capitano; grazie dal più vivo del cuore. Le vostre parole m’hanno fatto un gran bene. Mi pare che il mio cuore si sia sollevato d’un gran peso. Mi par quasi di non soffrir più. Mi avete dato un gran conforto, mio buon capitano.... vi ringrazio. —
E socchiuse gli occhi e riposò così qualche tempo che parea che dormisse. In questo mentre, tutti e tre i fratelli erano andati l’uno dopo l’altro nella stanza vicina ed eran successivamente tornati tenendo ciascuno un braccio dietro la schiena. Da ultimo, anche il capitano avea preso quell’atteggiamento. L’infermo non s’era accorto di nulla.
— Capitano! — disse finalmente, riscotendosi.
— Signore?
— Egli era vostro sergente.
— Sì.
— Allora.... forse.... voi avrete qualche suo scritto, qualche lettera.... o qualche.... — e non trovava la parola.
— Rapporto, volete dire?
— Appunto; l’avete, capitano?
— Ne ho; ne ho molti; appena arriverò a Torino ve li manderò subito subito. Oh io ci avea pensato a questo! Se voi ora non me ne aveste parlato, ve ne avrei parlato io.
— Oh capitano! — esclamò il vecchio; — quanto siete buono! Quanto vi debbo!... Io lo conserverò religiosamente tutto quello che ha scritto il mio povero figliuolo, lo leggerò dieci volte al giorno, lo terrò sempre sott’occhio.... Oh voi mi manderete un gran conforto, capitano, mandandomi quelle carte.
— Ma non sarà il solo conforto ch’io vi voglio dare.
— E qual altro? — interrogò vivamente il buon padre, e si levò di nuovo a sedere.
— Questo, per esempio, — rispose il capitano, e gli porse un berretto da sergente d’artiglieria che teneva nascosto dietro la schiena.
Il vecchio mandò un lieve grido, afferrò con tutt’e due le mani il berretto e lo baciò tre o quattro volte ardentissimamente.
— Babbo — disse allora il figliuolo maggiore — ho anch’io un conforto da darti.... eccolo qui — e gli porse un paio di spalline da sergente.
E il padre afferrò e baciò anche le spalline.
— Ne ho uno anch’io — disse subito dopo il secondo fratello, e porse al padre i cordoni gialli da parata.
Egli li prese e li baciò collo stesso slancio di prima.
— Ed io.... — disse finalmente il ragazzo.
— Oh bambino! — esclamò affettuosamente il padre giungendo le mani.
— Ho anch’io da darti una cosa in.... (e pensò un istante) in anticipazione, come mi ha detto che dicessi il signor capitano; eccola.
E porse al padre una medaglia al valor militare col nastro.
Il padre aveva appena intraveduta che già la teneva fra le mani e si stringeva sul petto in un solo amplesso la testa del bambino, i cordoni, le spalline, il berretto, dicendo: — Oh qui c’è mio figlio! c’è mio figlio! io lo sento!
Lasciò finalmente libero il ragazzo e ricadde spossato sul guanciale, sempre tenendo stretti sul seno colle braccia incrociate que’ suoi oggetti preziosi. E di tratto in tratto, cogli occhi socchiusi, ripeteva a fior di labbro: — Oh qui c’è mio figlio.... lo sento.... lo sento. — E stringeva le braccia più forte.
Tacquero tutti per un po’ di tempo, finchè il capitano disse sottovoce ai figliuoli ch’era ora ch’ei partisse. Eran le otto: non si poteva pregarlo di indugiare.
— Babbo! — disse forte uno dei giovani. Il vecchio aprì gli occhi.
— Il capitano deve partire.
— Partire?... Di già partire? Oh Dio buono, e perchè? Non potete restare ancora qualche ora con noi, signor capitano?
— Non posso, caro signore, e me ne rincresce; bisogna proprio ch’io parta subito....
— Capitano!
— Caro signore!... Stringetemi la mano. (Il padre glie la strinse vigorosamente.) Tornerò; verrò qualche volta a trovarvi; vi scriverò, non dubitate. — È impossibile che io mi scordi mai più di voi, nè di questo bel giorno. Io vi voleva bene prima di conoscervi, perchè il padre di un bravo soldato non si può non amarlo, anche senza averlo mai visto; ma adesso! Adesso che ho conosciuto da vicino il vostro cuore generoso e il vostro animo nobile, adesso vi ammiro, v’amo mille volte più di prima. Vi saluto, dunque; fatevi animo; ricordatevi qualche volta di me, e pensate che come ho sofferto del vostro dolore, così sarò sempre orgoglioso del vostro orgoglio, e che colla stessa intima gioia con cui voi potete dire: Quell’eroe era un mio figlio, io dirò sempre: Quell’eroe era un mio soldato. Addio, caro signore.
— Addio.... Oh io non posso ancora dirvi addio, caro capitano. No.... è troppo presto.... non posso....
Il capitano aprì la bocca per parlare; ma il vecchio gli fece un cenno risoluto colla mano come per imporgli silenzio, abbassò la testa e stette immobile nell’atto di chi tende l’orecchio a un rumore lontano.
— Che c’è? — domandò uno dei fratelli.
— Silenzio! — ripetè il padre. — Tutti ammutolirono. Il capitano tese anch’egli l’orecchio, fece un atto di sorpresa e di rincrescimento, e disse tra sè: — Che se ne sia scordato? Che non m’abbia capito? — Si sentiva infatti un rumore lontano, sordo, indistinto, che cresceva a mano a mano.
— Babbo, che cosa senti? — domandò un’altra volta il figliuolo.
Il padre senza muovere il capo nè gli occhi, stese la mano verso il capitano, lo afferrò pel braccio, lo trasse a sè e gli domandò sottovoce: — Capitano, sentite?
— Io?... nulla.
In quel punto si sentì una voce lontana che parve un comando militare; il rumore si era fatto più distinto.
— Capitano! — gridò impetuosamente il vecchio balzando a sedere; — questi sono cannoni!
Il capitano tremò.
— Questa è la vostra batteria!
— Chè! Non può essere, v’ingannate, ve l’assicuro...
— È la vostra batteria, vi ripeto! Io la sento! Io la veggo! Ditemi la verità, signor capitano! — La sua voce e il suo volto avevano qualcosa di terribile.
— Ma no! — ripetè il capitano alzando la voce per coprire il rumore, e tutti gli altri fecero lo stesso; — non è possibile, vi ripeto; io son venuto qui solo; la mia batteria è a Torino già da più giorni; questo che sentite è un convoglio di carri delle sussistenze militari; credetelo, ve l’assicuro; che ragione avrei d’ingannarvi? Io non....
— Oh tacete tutti! — gridò imperiosamente il vecchio svincolandosi dai figliuoli che lo tenevano abbracciato; — voglio che taciate tutti! —
Era impossibile disobbedire; tutti tacquero, e si sentì distintamente il rumore dei carri, lo scalpitìo dei cavalli e le varie voci dei comandanti.
— Ah, ve lo diceva io! gridò con un accento di trionfo il povero vecchio quasi fuor di sè dalla gioia; ve lo diceva io! Ma se lo sentiva il mio cuore che erano cannoni! Ma se li vedevo io!... Qua, presto, subito, i miei vestiti, voglio alzarmi, voglio scendere....
— Ma no, babbo, no! no! proruppero tutti assieme i figliuoli; tu non puoi scendere, tu sei malato, tu potresti farti del male;... — e tentavano di tenerlo fermo sul letto. Ma egli, aprendo vigorosamente le braccia e respingendoli tutti da sè: — Lasciatemi, gridò, in nome del cielo! Voi volete farmi morire! Qua i miei vestiti, subito, li voglio! — E fece l’atto di gettarsi giù dal letto. Glielo impedirono; ma non era più possibile frenarlo; dovettero obbedire; gli porsero i panni e l’aiutarono in fretta a vestirsi, pur non restando dal supplicarlo a desistere. — No.... no.... no.... egli andava ripetendo con voce soffocata e affannosa, voglio scendere.... voglio vedere....
Vestito alla meglio, sorretto dai figliuoli, si diresse a passi ineguali fuori della camera. Ma in quel frattempo il capitano s’era affacciato alla finestra e, chiamato il luogotenente che passava proprio in quel punto, gli avea ordinato che mettesse la batteria al trotto. L’ordine fu eseguito. Il vecchio giunse nella strada, vide che la batteria s’allontanava di corsa, mandò un grido disperato e tentò di gettarsi ai piedi del capitano supplicandolo a mani giunte: — Oh per pietà, capitano, per pietà!...
Il capitano non potè resistere — Caporale! — gridò al primo caporale che gli passò dinanzi; — andate a dire al luogotenente che fermi subito la colonna! —
La colonna si fermò. Il vecchio, sempre sorretto dai figliuoli, preceduto dal capitano, s’avviò barcollando verso la batteria che lo aveva oltrepassato di un buon tratto.
Giunsero all’ultimo cannone; il vecchio si voltò verso il capitano e, non potendo articolar parola, gli fece un cenno.
— No, non è questo, — il capitano rispose; — avanti.
In quella capitò il luogotenente. Giunsero al secondo cannone.
— Nemmen questo; avanti ancora. —
Giunsero al terzo. Il capitano non ebbe mestieri di parlare. Il vecchio si slanciò con un trasporto inesprimibile di tenerezza sopra il cannone e lo ricinse colle braccia verso il mezzo: il figlio morente lo avea abbracciato alla bocca. — Qui! qui! — gridò il capitano battendo la mano sulla bocca. Il padre spinse le braccia verso la bocca, vi si serrò contro col petto e vi lasciò cader sopra con affettuosissimo abbandono il viso, singhiozzando: — Oh figliuolo!.... figliuolo mio!...
In quel mentre, a un cenno del capitano, il luogotenente era sceso da cavallo, erano scesi di sul cassone i due cannonieri che avean sorretto il sergente moribondo, e si eran messi tutti e tre dietro al vecchio, l’uffiziale in mezzo, i due soldati ai fianchi.
— Signore! — esclamò il luogotenente. — Il padre, senza staccar le braccia dal cannone, voltò la faccia, intravide quei tre, gli balenò alla mente la scena narratagli dal capitano, balzò in piede, gettò un braccio a destra e uno a sinistra intorno al collo dei due cannonieri e chinò la fronte sul petto del luogotenente. Questi, commosso, rapito, strinse fra le mani la testa del vecchio e gli rese sulla fronte il bacio che avea dato al figlio sul campo di battaglia.
— Tutti i miei figli! — gridò il povero padre.
Il capitano fece un cenno; tutti i soldati si levarono in piedi e lo salutarono militarmente.
Il buon vecchio si sentì mancar sotto le ginocchia e cadde fra le braccia dei figliuoli.
Qualche minuto dopo, l’ultimo cannone della batteria stava per isparire in fondo alla strada, e il padre appoggiato al braccio dei figli dinanzi alla porta di casa, lo salutava colla mano come se veramente partisse con esso il suo morto figliuolo.
— Oh babbo — gli disse uno dei giovani — nostro fratello non è morto!
Egli, levando alteramente la testa, rispose:
— E non morirà più.