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il più bel giorno della vita. 481

non gli piace il pane di munizione, diceva un sergente, fateglielo mangiare a furia di bastone, — e diceva giusto. — Io l’ho sempre mangiato tutto fino all’ultimo briciolo. — E tu? — Anch’io. — E tu? — Anch’io. — E tu, Cesare? — Il cuore di Luisa diè un palpito forte; Cesare le afferrò la mano che avea sotto la tavola e rispose prontamente: — Anch’io. — Di’ Cesare; diceva un altro poco dopo; dove te l’han fatta quella ferita alla mano? — Era la ferita del duello; gli occhi di Luisa lampeggiarono. — Te lo dirò poi, — Cesare rispose; — è una storia lunga. — Di lì a un momento: — Fa vedere questa borsa da tabacco, — un terzo gli diceva, pigliandogli la borsa che gli spuntava dalla tasca della giacchetta. — Bella, graziosa; chi te l’ha data?... Una mia amorosa — rispondeva Cesare. — Ah si? Luisa sussurravagli allora nell’orecchio — aggiusteremo i conti. — E rideva. Era il primo scherzo di quel genere che diceva al suo sposo: egli n’ebbe una sorpresa e un piacere indicibile.

Tutt’ad un tratto, un bersagliere si levò in piedi, alzò il bicchiere e gridò: — Alla salute degli sposi!

— Alla salute degli sposi! — risposero tutti in coro, e alzatisi in piedi, cominciarono a far cozzare i bicchieri, allungandosi quanto più potevano sopra la tavola, intrecciando le braccia in tutt’i versi, chiamandosi l’un l’altro, cercandosi, facendosi un po’ di posto in mezzo alle braccia dei vicini, di sopra, di sotto, alle spalle, e scambiandosi augurii, occhiate e sorrisi. Fra tutte quelle brune e robuste mani dei soldati e dei contadini, spiccavano le piccole e bianche mani di Luisa. — I soldati le dicevano l’un dopo l’altro: — Sposina.... — ed essa rispondeva man mano colla voce commossa. — Grazie... grazie...

Si rimisero tutti a sedere. Si alzò il colonnello. Un’auretta viva gli scompigliava e teneva su ritti i