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il più bel giorno della vita. |
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che.... — Basta, ho capito — diss’io; — eccomi qua bell’e
pronto. — Bravo; capisci anche tu che l’è una faccenda
da terminarsi così, e poi è anche un onore ch’egli
ti fa a sfidarti; lasciati guidare da noi. — Se loro abbiano
fatto bene, non so; ma io credo d’aver fatto quel
che non si poteva a meno di fare. E per tagliar corto,
la cosa seguì due giorni dopo, un miglio fuori di città,
verso le cinque di sera. Avevano scelto la sciabola;
s’immagini cosa potevo saper fare io colla sciabola, che
l’avrò presa in mano sei o sette volte; ma ero istruttore
di bastone, in guardia ci sapevo stare, e avevo il braccio
forte e le gambe pronte. Andammo in un prato.
Quando lo vidi, pensai a Luisa, a quel gesto ch’egli
aveva fatto per alzarla da terra, a quella volta che
mi aveva riso alle spalle, e mi si accese il sangue e mi
sentii pieno di coraggio. Quanto a lui, era un po’ pallido,
ma capii che era deciso di tirare a freddarmi. — Sia
pure, dissi fra me; tanto la pelle, se non si taglia, si
logora; niente paura. — Al segnale dei padrini, ci mettemmo
in guardia; m’accorsi subito che sapeva tirare.
Uno, due, tre colpi, alto, son ferito al braccio; lo prevedevo;
è una cosa da niente; avanti. Altri due colpi,
un’altra ferita, il medico guarda, è una scalfittura. — Si
continui — dicono i padrini. Si continuò; mi cominciava
a montare il sangue alla testa; avrei preferito pigliarmi
una botta che mi buttasse in terra; essere tagliuzzato
a quel modo, come un pollo, mi umiliava;
cominciai a avanzare digrignando i denti che parevo un
arrabbiato; mi sentivo un braccio di acciaio; la sciabola
mi tremava nel pugno come una verga di salice. Altri
quattro o cinque colpi, un’altra ferita alla spalla; gettai
un urlo, diventai una bestia, non ci vidi più, mi cacciai
sotto alla disperata; egli fu sopraffatto, dette indietro;
poi tutto ad un tratto lasciò cadere la sciabola, portò tutte