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il più bel giorno della vita. 461

che.... — Basta, ho capito — diss’io; — eccomi qua bell’e pronto. — Bravo; capisci anche tu che l’è una faccenda da terminarsi così, e poi è anche un onore ch’egli ti fa a sfidarti; lasciati guidare da noi. — Se loro abbiano fatto bene, non so; ma io credo d’aver fatto quel che non si poteva a meno di fare. E per tagliar corto, la cosa seguì due giorni dopo, un miglio fuori di città, verso le cinque di sera. Avevano scelto la sciabola; s’immagini cosa potevo saper fare io colla sciabola, che l’avrò presa in mano sei o sette volte; ma ero istruttore di bastone, in guardia ci sapevo stare, e avevo il braccio forte e le gambe pronte. Andammo in un prato. Quando lo vidi, pensai a Luisa, a quel gesto ch’egli aveva fatto per alzarla da terra, a quella volta che mi aveva riso alle spalle, e mi si accese il sangue e mi sentii pieno di coraggio. Quanto a lui, era un po’ pallido, ma capii che era deciso di tirare a freddarmi. — Sia pure, dissi fra me; tanto la pelle, se non si taglia, si logora; niente paura. — Al segnale dei padrini, ci mettemmo in guardia; m’accorsi subito che sapeva tirare. Uno, due, tre colpi, alto, son ferito al braccio; lo prevedevo; è una cosa da niente; avanti. Altri due colpi, un’altra ferita, il medico guarda, è una scalfittura. — Si continui — dicono i padrini. Si continuò; mi cominciava a montare il sangue alla testa; avrei preferito pigliarmi una botta che mi buttasse in terra; essere tagliuzzato a quel modo, come un pollo, mi umiliava; cominciai a avanzare digrignando i denti che parevo un arrabbiato; mi sentivo un braccio di acciaio; la sciabola mi tremava nel pugno come una verga di salice. Altri quattro o cinque colpi, un’altra ferita alla spalla; gettai un urlo, diventai una bestia, non ci vidi più, mi cacciai sotto alla disperata; egli fu sopraffatto, dette indietro; poi tutto ad un tratto lasciò cadere la sciabola, portò tutte