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480 | il più bel giorno della vita. |
mili occasioni, per cui anche i superiori che s’odiavano diventano «buoni diavolacci» e i compagni più indifferenti «camerata d’oro.»
Luisa aveva accanto un soldato che s’ingegnava di farle il cavaliere, e non sapendo che dirle altro, le tesseva i più caldi elogi di Cesare, suo amico da molti anni, — un giovane d’oro, un giovane che ce n’è pochi come lui, e che ha anche dell’istruzione, e che se fosse nato signore sarebbe diventato qualche cosa di grosso. — Ed ella stava a sentire attenta attenta, coll’aria di chi ascolta una musica delicata e sommessa, mormorando di tant’in tanto: — Oh sì! — È vero. — Lo so. — E guardava intorno ai commensali, e incontrando lo sguardo di uno, si lasciava sfuggire un lieve sorriso, e guardava un altro, e domandava al suo vicino i nomi, e si faceva spiegare le differenze delle uniformi. E Cesare era il più allegro e il più chiassone della brigata; chiamava a nome i lontani, batteva la mano sulle spalle ai vicini, versava da bere di qua e di là, ed entrava nei discorsi di tutti, voltandosi di tratto in tratto per dir a fior di labbra: — O Luisa! — a cui rispondeva un: — Cesare! — sempre più pronto e più soave. A mano a mano l’andirivieni delle bottiglie si andava facendo più rapido, le ragazze cominciavano a snodare la lingua, tutte le voci si mescolavano, tutti gli occhi scintillavano, tutte le mani s’agitavano in aria, e il colonnello, rapito dalla comune allegrezza, s’era lasciato andare fino a prendere a braccetto i suoi due vicini e a dar loro una scossetta vigorosa esclamando: — Ah benedetti ragazzi, voi mi fareste ritornare al reggimento, vecchio come sono!
— Questo è il re dei pani! — gridò un bersagliere levando in alto un pane di munizione ch’era rimasto intatto sulla tavola: tutti si voltarono a guardarlo. — Chi