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il più bel giorno della vita. 463

compagnia, dal maggiore; m’interrogarono, interrogarono i miei amici, e vennero in chiaro di tutto. Un soldato che si batte con un signore non è affare di tutti i giorni; la cosa fece chiasso per la città; per un pezzo non si parlò d’altro; tutti, anche i miei superiori, lodavano il coraggio e la forza che avevo avuto di resistere tante ore alle ferite; tutti volevano sapere chi fosse quel signore; tutti erano curiosi di conoscere la ragazza. Dirle quanto mi rincresceva, quanto mi faceva male il pensare che Luisa veniva così messa in piazza, come suol dirsi, per causa mia, io non saprei dirglielo; n’ero disperato, avrei dato metà del mio sangue Perchè non fosse. Seppi dopo che quel giovane aveva una ferita grave nella testa; poi mi dissero ch’era quasi guarito, e poi che se ne voleva andare dalla città. Di Luisa non seppi più notizia. Temevo che fosse malata, che fosse andata via, poi m’immaginavo che suo fratello, a cagione di quello ch’era seguìto, la maltrattasse peggio di prima, e che quel signore, appena guarito, avesse ricominciato a ronzarle intorno; vivevo in ansietà continua, e stentavo a guarire, e la sera, debole com’ero che m’intenerivo per niente, qualche volta mi veniva da piangere, e facevo compassione a me stesso. Intanto stava per finire l’inverno, e si cominciava a parlare della guerra. — Ci fosse pure la guerra! pensavo; chi sa che non mi levasse dal cuore questa disgraziata passione. — Dopo la febbre mi eran venuti addosso cento altri malanni, e io menava la più triste vita che si possa immaginare. Non mi lasciavano neanche veder gli amici per paura ch’io mandassi lettere o imbasciate per mezzo loro, e facessi nascere nuovi guai, e volevano che tutto fosse finito. Oh che brutte giornate, signor colonnello!... Ma in una sera, in una sola sera tutto mutò. Era sull’imbrunire; io stavo già a letto; ero più tristo del solito;