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il più bel giorno della vita. |
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regalare al ragazzo una cravatta vecchia da bersagliere,
di quelle azzurre, che io non so perchè avevo rotondata
colle forbici ai due capi. Due giorni dopo ti vedo l’amico
della ragazza con quella cravatta al collo. Lo guardo ben
bene nel viso, confronto le due fisonomie, e mi pare che
lui e il ragazzino si somiglino, e mi viene il sospetto che
siano fratelli. L’indomani tiro in disparte il ragazzo, e gli
domando: — Di’ un po’, lo mangi tutto tu codesto pane,
o ne dai anche a tuo fratello? — Ne do a mia sorella,
mi rispose. — Hai anche una sorella? — Una sorella e
un fratello. — E che cosa fa tua sorella? — La sarta. — E
tuo fratello? — Pensò un momento e poi rispose: — Niente. — È
lui, pensai. E infatti, continuando a interrogarlo,
mi accertai di tutto. Seppi che la ragazza si chiamava
Luisa, ed era sui diciassett’anni; che non aveano
più padre nè madre nè altri parenti da quasi due anni;
che lei, povera giovane, lavorava dì e notte per vivere
e per dare qualche soldo a suo fratello, il quale andava
poi a spenderli all’osteria, e tornava a casa ubriaco, e
la maltrattava, e la faceva piangere. — Tante volte, mi
disse fra le altre cose il ragazzo, egli torna a casa alle
due o alle tre dopo mezzanotte, e mia sorella lavora ancora;
e poi conduce con sè i suoi compagni, e tutti insieme
si mettono a cantare e a ballare, e allora essa
esce di casa e resta addormentata sugli scalini col suo
lavoro in mano. — Se non mi venne da piangere lì in
presenza sua fu perchè feci un gran sforzo; ma non ho
potuto tenermi quando fui solo. Da quel giorno diedi al
ragazzo tutto il mio pane, risparmiai tutti que’ pochi
soldi che ho potuto e gli diedi anche quelli; mi parve
quasi che fosse un mio dovere; non mettevo più soltanto
il cuore in codesti sacrifizi, ma anche la coscienza, e
mi sentivo il coraggio di tirare avanti così eternamente,
tanta era la tenerezza e la compassione che mi faceva