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450 il più bel giorno della vita.

Oh! che buon giovane! — Oh! che buona ragazza! pensai subito tra me, al primo vederla. Sa, signor colonnello, ve n’è di quei visi che fanno dire così; appena veduti si fanno voler bene; che so io? paion persone di casa; si direbbe d’averle conosciute qualche altra volta. Basta, non ne feci caso e tirai avanti per la mia strada. Ma ricordo che era una bella giornata, e faceva un fresco ch’era un piacere, e tutta la gente pareva allegra, e non so come, ma tutto in un momento mi parve d’esser contento anch’io. Ora senta che cosa m’è seguito una settimana di poi. Si faceva una festa a un santuario poco lontano dalla città. Io e due miei compagni ci andammo. C’era moltissima gente. Sul tardi, mentre tutti tornavano, in un punto dove la strada faceva un gran giro, uno dei miei camerata domandò: Prendiamo una scorciatoia? Prendiamola, si rispose. Bisognava saltare un fosso largo un quattro metri per lo meno. La gente fa un po’ di posto, il primo prende la rincorsa, spicca il salto, e va a cascare proprio sull’orlo della sponda, che un palmo più indietro gli era dentro. Il secondo salta anche lui, ma batte in terra colle ginocchia. Salto io, e piombo di là un buon passo d’avanzo, dritto come un fuso. — Bene! Bravo! Svelto quel giovane! — dicono dall’altra parte. Io mi volto, e in mezzo a tutti quei visi che mi guardavano, rivedo quel tale, quel della ragazza, un po’ chinato da una parte e che sorrideva, proprio come la prima volta. Allora mi sono sentito un po’.... Da quel tanto che ho potuto travedere, perchè era mezzo nascosta dalla gente, e poi non mi venne più fatto di ritrovarla, mi è parso che fusse una povera ragazza. Tutta la sera, tutta la mattina del giorno appresso non me l’ho potuta levar dalla testa. — Dove l’ha la testa il numero sette? mi gridava il sergente in piazza d’armi. — A momenti lo consegno. — Quella parola «lo conse-