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466 il più bel giorno della vita.

capisce. Fu il giorno dopo che io scrissi la prima volta a casa tutto quello che era seguito, manifestandole mie intenzioni, e fu dopo quella lettera che lei ebbe la bontà di occuparsi dei fatti miei e di aiutarmi. Quel che avvenne poi lei lo sa. Io feci tutta la campagna col mio battaglione. A San Martino, come le ho scritto, girando pei campi dopo il combattimento, trovai tra i feriti più gravi un bersagliere che mi parve di conoscere e che portai io stesso all’ambulanza, dove morì appena arrivato. Era il fratello di Luisa, che si era arrolato volontario dopo cominciata la guerra, e avea toccato una palla in un fianco. Prima di morire, mi riconobbe, mi ringraziò, e mi raccomandò sua sorella. Povero giovane! Finita la guerra, il mio battaglione andò a Torino. Là seppi che una signora di Savigliano, sua conoscente, avea preso a proteggere Luisa, e che Luisa stava bene, benchè avesse molto sofferto per la morte di suo fratello maggiore, e che il ragazzino andava a lavorare. La mia classe fu congedata, e io partii subito per Savigliano, dove sapevo che, per grazia sua, signor colonnello, erano arrivati o stavano per arrivare mio padre e mia madre. Arrivai la mattina per tempo. Era una bella mattinata serena e fresca come quel giorno che avevo visto Luisa per la prima volta. Corsi subito, così come ero vestito da bersagliere, nella strada dietro l’ospedale. Essa stava sempre là, non aveva voluto mai andarsene, benchè la signora sua protettrice le avesse offerto di riceverla in casa propria. Salii le scale a salti, col cuore che mi batteva da rompersi; mi avvicinai in punta di piedi a quella porta; una donna che era sul pianerottolo, e pareva informata di tutto, mi fece segno che Luisa c’era; la porta era socchiusa; accostai l’orecchio allo spiraglio; sentii canterellare, era lei; tirai fuori la borsa e la gettai dentro la stanza; il canto cessò, udii un grido acuto,