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il più bel giorno della vita. 465

dissi sottovoce e con forza: — Luisa. — Ah! — essa gridò, e rimase là ferma come una statua a guardarmi. — Luisa! io ripetei. — Essa sorrise e si appoggiò con una mano al davanzale come se le mancassero le gambe. Io la chiamai ancora una volta. — Oh Dio! — essa gridò, e scomparve. La stessa mattina mi mutarono di posto, e addio finestra. Ma in pochi giorni fui in piena convalescenza, e poco dopo mi trovai in grado di uscire. Parevo matto! Uscire, rivederla, dopo quel che era accaduto, dopo aver sofferto tanto! Ma guardi se non era proprio destino che io non dovessi mai esser contento per un pezzo. La guerra, in quel frattempo, era diventata quasi sicura; molti corpi avevano già lasciate le loro guarnigioni; ed eccoti che il giorno prima dalla mia uscita dall’ospedale, vien l’ordine ai due battaglioni di partire. Come fare? Non vederla più? Andar via così incerto, senza farle una promessa, senza almeno sapere di sicuro che mi vuol veramente bene, e che mi aspetterà? Ma ad avere una risposta non c’era più tempo, e bisognava che mi contentassi di scriverle io. Uscendo dall’ospedale dovevo andar difilato in quartiere, e dal quartiere difilato alla stazione della strada ferrata; pensai che qui o là avrei trovato il ragazzo. Scrissi un bigliettino in fretta proprio al momento di partire, e non dicevo altro che questo: — Se vivrò, tornerò; ne do la mia parola d’onore. — Al quartiere il ragazzo non c’era; lo vidi alla stazione; pareva che mi cercasse. In quei pochi minuti di riposo prima di salire nelle carrozze, potei allontanarmi dalle righe, egli mi venne dietro, e tutt’e due mettemmo nello stesso tempo le mani in tasca; io gli diedi il biglietto; lui tirò fuori con gran segretezza una cosa ravvolta in un pezzo dì carta, me la mise in mano, e disse: — È mia sorella, — e scappò. Guardai:

era una borsa da tabacco. Signor colonnello.... lei mi


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