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il più bel giorno della vita. |
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dissi sottovoce e con forza: — Luisa. — Ah! — essa gridò,
e rimase là ferma come una statua a guardarmi. — Luisa!
io ripetei. — Essa sorrise e si appoggiò con una mano al
davanzale come se le mancassero le gambe. Io la chiamai
ancora una volta. — Oh Dio! — essa gridò, e
scomparve. La stessa mattina mi mutarono di posto, e
addio finestra. Ma in pochi giorni fui in piena convalescenza,
e poco dopo mi trovai in grado di uscire. Parevo
matto! Uscire, rivederla, dopo quel che era accaduto,
dopo aver sofferto tanto! Ma guardi se non era proprio
destino che io non dovessi mai esser contento per un
pezzo. La guerra, in quel frattempo, era diventata quasi
sicura; molti corpi avevano già lasciate le loro guarnigioni;
ed eccoti che il giorno prima dalla mia uscita dall’ospedale,
vien l’ordine ai due battaglioni di partire.
Come fare? Non vederla più? Andar via così incerto,
senza farle una promessa, senza almeno sapere di sicuro
che mi vuol veramente bene, e che mi aspetterà? Ma
ad avere una risposta non c’era più tempo, e bisognava
che mi contentassi di scriverle io. Uscendo dall’ospedale
dovevo andar difilato in quartiere, e dal quartiere difilato
alla stazione della strada ferrata; pensai che qui o
là avrei trovato il ragazzo. Scrissi un bigliettino in fretta
proprio al momento di partire, e non dicevo altro che
questo: — Se vivrò, tornerò; ne do la mia parola d’onore. — Al
quartiere il ragazzo non c’era; lo vidi alla
stazione; pareva che mi cercasse. In quei pochi minuti
di riposo prima di salire nelle carrozze, potei allontanarmi
dalle righe, egli mi venne dietro, e tutt’e due
mettemmo nello stesso tempo le mani in tasca; io gli
diedi il biglietto; lui tirò fuori con gran segretezza una
cosa ravvolta in un pezzo dì carta, me la mise in
mano, e disse: — È mia sorella, — e scappò. Guardai:
era una borsa da tabacco. Signor colonnello.... lei mi