L'orto botanico di Padova nell'anno 1842/Notizie storiche
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NOTIZIE STORICHE
DELL’ORTO BOTANICO
E
DE’ SUOI PREFETTI
Se il tessere brevemente la storia delle utili istituzioni fu sempre riputata opera commendevole e fruttuosa, come quella che le cause addita onde sorsero, e gli ostacoli che vi si opposero, e gli accorgimenti usati per superarli, e fa ragione a que’ benemeriti che le imaginarono o le addussero a compimento; ciò a miglior dritto dovrà affermarsi di quelle, la cui fondazione stata essendo di grandissimo giovamento alle scienze cui appartengono, forma ragguardevole parte della storia delle medesime. Tra le quali ultime se io mi farò a riporre l’Orto botanico dello Studio di Padova, rinomato in ogni tempo per la vetustà dell’origine, per l’acconcezza e disposizione delle sue parti, per gli uomini celeberrimi che ne furono reggitori od allievi, certo nessuno che alla utilità sua alcun poco consideri, e vegga nelle opere dei botanici del secolo XVI. e XVII. quanti qui ne accorressero per istudiarne le rare piante, potrà giustamente accagionarmi di parziale affezione a questo insigne ornamento della padovana Università. E fu perciò che quella gloriosa Repubblica, che per ben quattro secoli resse i destini di queste avventurate provincie, trovò giusto il commettere sin dal 1741 al celebre Giulio Pontedera, che qui leggeva Botanica, la storia dell’Orto nostro; ed egli raunò a tal fine documenti e memorie in gran numero, che ora si custodiscono nella biblioteca dell’Orto stesso. Or di questi documenti, e d’altri ancora da me raggranellati frugando qui e colà nell’archivio della Università e negli scritti de’ botanici di quel tempo, mi venne in animo di valermi onde compilare e far pubbliche alcune brevi notizie sul Giardino di Padova e de’ suoi Prefetti, con che sopperire nel miglior modo ad una storia circostanziata di lui, che tuttor si desidera nella scienza.
L’Orto di Padova, detto in origine Orto medicinale, ed anche Orto de’ semplici, come quello che serba e coltiva le piante medicinali, che formano la maggior parte de’ semplici medicamenti, fu fondato dalla Repubblica Veneta nella prima metà del secolo XVI. Dell’anno vero di sua fondazione grandemente discordano gli scrittori, altri riferendola al 1533, altri al 1535, alcuni al 1540, al 1545, ed anche dopo. Però doversi ella riportare al 1545 viene incontrastabilmente provato dal decreto stesso con cui il Senato Veneto la comandò, e che esiste nell’archivio della Università e fu da me pubblicato, nonchè dalla testimonianza dei contemporanei Marco Guazzo, Pietro Belon e Pietro Andrea Mattioli1. Dalle concordi parole di questi autori, nonchè dagli atti pubblici dell’archivio suddetto, chiaramente raccogliesi come Francesco Bonafede, che sino dall’anno 1533 professava in questo Studio la lettura dei semplici (che è ciò che più tardi chiamossi Materia medica, ed ora Farmacologia), scorgendo la difficoltà d’insegnare ai giovani la cognizione delle piante medicinali senza farne ad essi la materiale dimostrazione; e sull’avviso eziandio dei Professori di Medicina, fra’ quali particolarmente del celebre Giambattista da Monte; espose a quel Magistrato che soprantendeva allo Studio, e dicevasi dei Riformatori, la necessità di piantare un Orto pubblico, destinato alla istruzione dei medici, in cui si ragunassero da tutte parti, e specialmente dai paesi del Levante soggetti al Dominio Veneto, le piante medicinali; e nell’Orto stesso vi fosse una spezieria, ove si accogliessero saggi di tutti i semplici della miglior qualità, perchè potessero ivi studiarsi e distinguersi dai men buoni o dai falsi. Con ciò il benemerito uomo proponeva, oltre la fondazione dell’Orto, quella eziandio d’un Museo farmacologico, nel che precorreva di un mezzo secolo l’Aldovrandi. Questa prima domanda del Bonafede, a cui devesi il pensiero della istituzione dell’Orto nostro, non essendo stata nè rejetta nè acconsentita, il Rettore della Università degli Artisti (sotto il qual nome s’intendevano tutti i professori e studenti non addetti alle Leggi) con sua lettera degli 8 Novembre del 1543 richiese al Magistrato la concessione della medesima; nè traendone ancora il frutto desiderato, con altra lettera dei 14 Febbrajo 1544 rinnovellò l’inchiesta; e fu a prezzo di sì ferma perseveranza che il Senato, mosso dall’evidente vantaggio di tal proposta, e dalle istanze che e gli scolari ed i dottori ne veniano facendo un dì più che l’altro, in data dei 29 Giugno del 1545 decretò in quel Consiglio, che chiamavano dei Pregadi, di acquistare in Padova un luogo acconcio, non già alla fondazione del Museo proposto dal Bonafede, sì invece alla fondazione di un Orto medico. Al quale incarico essendo stato eletto il dotto senatore Sebastiano Foscarini, ed avendo egli stimato opportuno all’uopo quello spazio di terreno che anche adesso è occupato dall’Orto botanico, ne stipulò di corto la locazione coi monaci di S. Giustina, che ne erano i proprietarii, nel settimo giorno del Luglio successivo. Trovato il luogo, la cura di fondarvi sopra il Giardino fu confidata a M. Piero da Noale, già professore straordinario di Medicina nella nostra Università, ed in questa cattedra predecessore del Bonafede; al patrizio Daniele Barbaro, dottissimo uomo, Patriarca che fu poi d’Aquileja; e per l’esecuzioue a mess. Andrea Moroni da Bergamo, che allora curava la costruzione del tempio di S. Giustina2. Sul disegno pertanto imaginatone da quest’ultimo si pose mano al lavoro; e puossi credere che questo sia stato incominciato poco dopo appigionato il fondo, e proseguito molto celeremente, se poco appresso, cioè nel 1546, l’Orto nostro era tale da meritare il famoso elogio fattone dal cenomano Pietro Belon, e l’altro più particolareggiato di Marco Guazzo3. In quest’anno medesimo condotto l’Orto a tal punto da abbisognare dell’opera di un botanico per essere arricchito di piante, e della vigilanza sua per essere custodito, venne dai Riformatori con lettera de’ 18 Agosto invitato a presiedervi messer Luigi Anguillara, che alcuni tennero per Bolognese, altri per Ferrarese, ma che da Giovanni Kentmanno e da Corrado Gesnero, conoscenti ed amici suoi, nonchè dai contemporanei Marco Guazzo e Bartolommeo Marante, viene chiamato Romano. Il Guazzo anzi ne chiarisce sin la famiglia, dicendolo figlio del q.m Francescо Squalermo, physico del SS.mo Papa Leone. È poi molto probabile ch’egli fosse nativo di Anguillara presso Bruciano nello Stato Romano, per cui deposto il cognome gentilizio Squalermo, assunto avesse quello del natio luogo, e si chiamasse Anguillara, come acutamente argomenta il dottissimo Zeno4. Discepolo l’Anguillara del cel. Luca Ghini, che aveva alcuni anni innanzi insegnata la Materia medicinale in Bologna, stava egli pure in quella dotta città, e per molto studio sugli antichi botanici, e per utili relazioni coi viventi a quel tempo, e per varii viaggi in tutta Italia, in Provenza, in Isvizzera, in Istria, in Dalmazia, nel Peloponneso, nelle isole di Candia e Cipro, s’era levato in fama di sperto ed assai dotto botanico. Questo uomo, forse il primo Italiano che facesse viaggi botanici, che il grande Haller non dubitò di chiamare il maggior botanico che fosse stato sino allora in Italia, e che lo Sprengel appellò eruditissimo, e nella ricerca delle piante esercitatissimo5, fu invitato a Padova col titolo di Erbario e Maestro dell’Orto medicinale collo stipendio di ottanta ducati all’anno, cresciuti a cento nel 1551; ned egli tardò guari a pigliarne il governo6. Si fu questi il primo Custode e Prefetto dell’Orto nostro, giacchè il Bonafede, comechè promotore dell’opera, non fu mai chiamato a prendervi alcuna parte. Pietro Belon pone in suo luogo un Luigi Mundella, erbario Romano, e sulla di lui fede più altri; ma un tal nome non leggesi in alcun atto privato o pubblico di questo Studio, e dee credersi confuso e scambiato per errore coll’Anguillara. A questo fu dato l’obbligo di attendere all’incremento ed alla prosperità del Giardino; e per agevolargliene la sorveglianza gli fu acconciata una casa che già esisteva nel medesimo, col debito di soggiornarvi7; nè da quel tempo fų più permesso ai Prefetti di alloggiare altrove, quo (giusta il precetto di Catone) assidua domini praesentia cultura melius procedat. Non altro incarico ebbe mai l’Anguillara, nè insegnò qui la dottrina de’ semplici, come affermò lo Sprengel8; la qual cattedra restò affidata al Bonafede per tutto il tempo che l’Anguillara fu qui. Sotto la prefettura di lui nel 1547 si decretò che le immondezze delle pubbliche vie fossero recate all’Orto per ammendarne il terreno, e fu ordinata e compiuta, per facilitarne l’accesso, la costruzione di quel ponte che dicesi delle Priare9. Durò quindici anni nell’incarico l’Anguillara, dal 20 Agosto 1546 alla fine di Luglio del 1561; nel quale anno, qual che ne fosse la causa, di qui congedatosi, riparò a Ferrara, ove nell’Ottobre del 1570 morì di febbre pestilenziale. A lasciar Padova l’ebbero forse condotto le calunnie con che i malevoli s’erano adoperati di renderlo sospetto ai Riformatori, benchè la Università lo avesse vittoriosamente difeso (ved. Facciol. Fast. Gymn. Pat. Vol. III. pag. 400 et seq.), e i motteggi e le ingiurie del Mattioli e dell’Aldovrandi (ved. Fantuzzi Vita di U. Aldovrandi, Bologna 1774, p . 60-64), come verosimilmente dubita il Tiraboschi (Stor. della Lett. Ital. Vol. VIII. pag. 555, ediz. ven.). Nell’anno stesso, ch’ei di qui si partiva, pubblicò un assai pregevole libro, contenente osservazioni su varie piante da lui vedute nei viaggi sopraccennati, ed intitolato Semplici (Venezia presso Vinc. Valgrisi 1561), nel quale argomentossi d’indovinare quali si fossero alcune piante tuttora oscure, di cui trattarono gli antichi, e segnatamente Dioscoride: lavoro penoso e difficile, in cui riuscì sovente più fortunato di tutti gli altri commentatori; onde il suo libro, cui non potrebbe rimproverarsi coll’Haller che la brevità soverchia delle descrizioni, per cui è talora malagevole il riconoscere la pianta che esse risguardano, fu assai lodato dal Seguier, dall’Haller stesso, e dallo Sprengel. Lo tradusse, il commentò ed impresse a Basilea il cel. Gio. Bauhino nel 1593. Vantò l’Anguillara a discepolo l’illustre Jacopo Camerario.
Nel tempo stesso ch’egli reggeva l’Orto, i Riformatori, quasi a tutelare più amorosamente l’infanzia di questo loro prediletto Stabilimento, avevano dato incarico al patrizio Pier Antonio Michiel, versatissimo nella cognizione dell’erbe, di promuoverne ei pure l’incremento e l’arricchimento, concedendogli facoltà di trovare e pagare un giardiniere con ducati venti all’anno, e di chiudere affatto il muro circolare dell’Orto, che non essendo compiuto offeriva occasione a frequenti e pregiudizievoli ruberie10. Il primo giardiniere, di cui resti notizia negli atti della Università, si fu un cotal Jacopo da Treviso, deputato a tener mondo e curato l’Orto medicinale, quale allora questo chiamavasi; ed ei vi prestò l’opera sua dal primo di Gennajo del 1553 a tutto il Gennajo del 156511. Adoperossi con amore il Michiel all’adempimento dell’obbligo assuntosi dal 1551 al 1554, come rilevasi dalla lettera 30 Marzo 1554 dei suddetti Riformatori. E come se ancor ciò fosse poco, il doge stesso Francesco Donato allorchè con lettera dei 23 Sett. nominava nel 1551 il cel. Gabriele Falloppio a Lettore di Materia medica, di Notomia e di Chirurgia, raccomandavagli insieme di non negligere l’Orto suo; e delle cure prodigatevi da quel grande trovasi una testimonianza nelle opere di Pena e Lobelio, i quali affermarono aver veduto nell’Orto nostro un elegantissimo albero di guajaco seminatovi dal Falloppio12. E si fu appunto per la congiunta opera del Michiel, del Falloppio e dell’Anguillara, che l’Orto stesso era salito, benchè recente, ad altissima rinomanza: laonde il Belon, che sin dall’anno 1546 visitandolo l’aveva predicato pel più magnifico degli Orti da lui veduti, rivedendolo nel 1557 trovò giusto di allargarne le lodi, e di parlare eziandio delle rare piante che vi crescevano, fra le quali non dimentica il falso guajaco sopra citato13. Duolmi che nessun catalogo sia giunto a noi, da cui desumere il numero primitivo delle sue piante: deesi però crederlo notevole rispetto ai tempi e dalle parole dello stesso Belon, e dal titolo di ricchissimo di che l’onora il Gesnero14, e dalle frequenti citazioni delle sue piante registrate dall’Anguillara ne’ suoi Semplici, e meglio ancora da una Informazione sullo Studio di Padova scritta intorno all’anno 1552 da Gianfrancesco Trincavello veneziano ad un gentiluomo suo concittadino, ch’esiste manoscritta nella Biblioteca di S. Marco in Venezia, da cui ritraesi che l’Anguillara avea riempiuto l’Orto d’erbe rare e bellissime, ponendovene più di 1500 sorte; numero non ispregevole se vogliasi considerare alla poca età del medesimo, ed alla ristretta somma delle piante allor note; e se abbiasi a ritenere, com’è molto probabile, che a quel tempo non vi si coltivassero che piante indigene.
Partitone l’Anguillara, volle fortuna che fosse di que’ tempi in Italia Melchiorre Guilandino di Conigsberga, botanico illustre e sventuratissimo. Reduce egli da viaggi fatti per amore della scienza in Asia, in Palestina e in Egitto, mentre naviga dalla Sicilia alla volta del Portogallo, per poi recarsi alle Indie, viene ferito e fatto schiavo dagli Algerini. Francato appena di servitù con duecento scudi d’oro, mandati ai barbari qual prezzo del suo riscatto dal Falloppio, che gli era stretto d’antica e salda amistà, veleggia lieto verso l’Italia; ma dalle rive desiderate per fiera procella rispinto, sbattuto novellamente sulle coste dell’Africa, a nuoto salvasi dal naufragio; ed approdandovi ignudo e rifinito, ottiene a stento per larghe promesse d’essere condotto a Genova. Ivi la liberalità di quei patrizii Battista Grimaldi, Paolo Spinola, Nicolò Doria, Baldassare Lomellino e Franco Lercari sopperisce a’ suoi molti bisogni, e sovviene generosa a’ suoi debiti. Ora quest’uomo, che le patite calamità e la fortezza dell’animo nel tollerarle non rendeano men venerabile che la dottrina, trovandosi per caso in Venezia, fu con mirabile concordia de’ Padri eletto a successore dell’Anguillara cinquanta giorni dopo che questi si era tramutato di qua, come ricavasi dalla lettera di sua nomina, data dal doge Girolamo Priuli li 20 Settembre del 1561, assegnandogli cenventiquattro ducati. Non appena fu egli preposto alla direzione dell’Orto15, che rappresentò di corto ai Riformatori le necessità del medesimo; ed avutine i cercati provvedimenti, diessi a tutt’uomo ad arricchirlo di rare piante. Locchè veggendo il Senato, meditando il mezzo di rendere meglio utile e fruttuosa questa nobilissima istituzione, ed avvisando a ragione quali vantaggi ne verrebbero agli studiosi se alcun uomo della cognizione dei semplici addottrinato si facesse a mostrarli e dichiararli ai discepoli nell’Orto stesso ove erano coltivati, venne a deliberare con decreto 20 Febbrajo del 1564 doversi al Guilandino imporre il carico di leggere, mostrare e dichiarare nel medesimo Horto li semplici. Con ciò fu creata allora, cioè diciannove anni dopo fondato l’Orto, la cattedra di Botanica, che per assai tempo si chiamò Ostensione dei semplici, onde distinguerla dalla Materia medica, la quale dicevasi Lettura dei semplici, e trattava dei rimedii composti e di quelli che traevansi dal regno minerale ed animale, ed era stata fondata già per opera del Bonafede sin dall’anno 153316. Attese con molto amore il Guilandino al buon governo ed alla ricchezza dell’Orto, per cui s’ebbe in più tempi assegni straordinarii, quando per ristaurarne i malconci edifizii, quando per acquistarvi novelle piante, e quando ancora per intraprendere egli stesso alcuni viaggi allo scopo di raccorne altre per l’Orto. Fra le opere da lui promosse a vantaggio di questo resta tuttora memoria di una principalissima, quale si fu la costruzione di una macchina idraulica fattasi l’anno 1575, la quale posta in acconcio edificio fuori dell’Orto, e rimpetto al portone che guida ad esso, spinge l’acqua per sotterranei tubi nelle vasche e fontane del medesimo; con che provvedesi all’innaffiamento delle sue piante17. Sussiste ancora antica e corrosa lapide, che ricorda quest’opera, la quale affissa prima all’interno lato dell’ala sinistra del portone d’ingresso, fu nel 1839 trasportata nell’atrio della casa ove abita il professore, coll’intendimento di sottrarla alle ingiurie delle stagioni. Ivi può leggersi, ed è la seguente:HEUS VIATOR BENE PRECARE PRAESTAN
TISSIMIS SENATORIBUS JACOPO FOSCARE
NO DOCTORI PRAETORIQUE PATAVINO ET
FRANCISCO DUODO PRAEFECTO PATAVINO QUI STIRPES SITI ARENTES ADDUCTA IN VI
RIDARIUM AQUA LONGE REFOVERUNT ABI
MDLXXV
Funse il Guilandino con tanto plauso ed utilità la novella scuola, insegnandovi tutto di che poteano abbisognare gli studenti per la piena conoscenza dei semplici, che il Senato trovata soverchia l’altra della Lettura tenuta in allora da Bernardino Trevisan, la soppresse; nè questa cattedra si riebbe se non dopo la morte del Guilandino medesimo18. Ma quell’inclito Magistrato, crescendogli i carichi, non cessò di onorarlo con sempre nuove significazioni di stima; perlochè riconfermatolo più volte nelle due cattedre, accresciutogli in più epoche lo stipendio, sino a trecento settanta ducati o fiorini, datagli facoltà di scegliere ei medesimo a suo piacere e pagare due giardinieri, in luogo del solo che nominavasi dai Riformatori, volle con novità d’esempio dichiararlo professore in perpetuo, aumentandone lo stipendio fino a 600 ducati; nel quale però, come prima, erano compresi i salarii dei giardinieri19. Dalle quali solenni testimonianze della pubblica fede confortato egli quel più, arricchì l’Orto quant’era in lui, come puossi ritrarre meno dal Catalogo stampatone dal suo discepolo Giorgio Schenck20, e da quanto ne dice ivi lo Schenck medesimo, ma e più dalle opere dei contemporanei Giovanni Bauhino, Matteo Lobelio, Corrado Gesnero, che ne accennano di molte altre esistenti in quest’Orto all’epoca del Guilandino, e delle quali ha tessuto un indice diligente il benemerito Pontedera nel volume primo della Storia dell’Orto nostro. Uomo nelle lettere ed in ogni parte della naturale filosofia versatissimo si fu il Guilandino, di raro ingegno, di singolare facondia, nello studio dell’erbe dottissimo, per cui il Pontedera stesso non dubitò di scrivere aver egli a gran pezza vantaggiato tutti i suoi successori. Onorato dai Magistrati, amato da’ suoi allievi, riverito da tutti, morì di colica in Padova addì 8 Gennajo del 1589, dopo ventitrè anni e tre mesi da che reggeva l’Orto, e la doppia scuola della lettura e della ostensione dei semplici. Pubblicò molte opere, e sono:
Apologiae adversus Petrum Andream Matthiolum. Liber primus, qui inscribitur Theon. Patavii ap. Percacchium 1558, 4.°
Papyrus, hoc est Commentarius in tria C. Plinii majoris de Papyro capita: accessere Hieron. Mercurialis repugnantia, qua pro Galeno strenue pugnatur. Item Melchioris Guilandini assertio sententiae in Galenum a se pronunciatae, ac ejusdem Glossemata in praecedens Hier. Mercurialis caput. Venet. apud Ant. Ulmum 1572, 4.°
Epistola de quibusdam stirpibus ad Conradum Gesnerum.
De stirpibus aliquot Epistolae V. Patav. 1558, 4.°
Problemata XX.
Descriptio aviculae indicae, quae in perpetuo volatu est, quaeque dicitur Manuco- Diaca, vel Manucodiata.
Conjectanea synonimica plantarum. Pat. 1591. Eadem publicante Jo. Georgio Schenckio. Francof. 1600, 8.°
Lasciò morendo i suoi libri, che ora trovansi nella Marciana in Venezia, e buona parte delle sue sostanze alla Repubbliса, che lo avea colmo d’onori e di benefizii; l’altra parte legolla a Benedetto Zorzi, cui era affezionatissimo. Fu sepolto nel chiostro di S. Antonio. Ebbe nemici acerrimi il Mattioli, lo Scaligero, il Casaubono; lodatori i primi botanici del suo tempo; amicissimo il Falloppio; seguaci di sua dottrina moltissimi, fra’ quali un per tutti, Prospero Alpino. Durante la prefettura di lui nella coltura dell’Orto a Jacopo Trevisan era succeduto nel Marzo del 1565 Francesco Farinante, ed a questo il dì 1.° Gennajo del 1566 Matteo Borghesan, che vi stette fino al 1574, così attestandolo gli atti di questa Università.
Trapassato il Guilandino, fu con ducale dei 10 di Novembre del 1590 di Pasquale Cicogna dato l’incarico di Custode dell’Orto ed Ostensore dei semplici a Jacopo Antonio Cortuso, gentiluomo padovano, nella cognizione dell’erbe spertissimo, e coll’assegno di cento ducati. Assuntone appena il governo, chiese egli ed ottenne che fosse cinto di fossa l’Orto per impedirne le inondazioni 21, e due anni dopo furono a sua richiesta apprestati per Marco Manante fiammingo tubi di piombo per derivare l’acqua dalla macchina posta dal Guilandino alle varie parti dell’Orto stesso22. Questo fu a di lui cura arricchito per guisa, che ne uscirono in luce due cataloghi ragguardevoli delle sue piante: l’uno sopra citato pubblicatone dallo Schenckio col titolo di Hortus Patavinus, Francof. 1600, 12.°; l’altro intitolato L’Horto dei semplici di Padova. In Venetia appresso Girolamo Porro 1591, 12.°: entrambi i quali danno una medesima enumerazione dei vegetabili che ivi si coltivavano del 1591, e sommavano a 1168; ai quali aggiungendo le varie specie, di cui non fu in quello nominato che il genere coll’aggiunta e sue specie, sarà agevole apporsi come l’Orto nostro potesse allora contare almeno duemila piante. Dalla prefazione posta dal Porro al catalogo per lui stampato si fa aperto come il Senato Veneto avesse risoluto d’abbellire l’Orto con ornamenti vaghissimi di statue rappresentanti gli Iddii od i personaggi dell’antichità più eccellenti nella cognizione delle erbe, di fontane e serbatoi d’acqua opportuni non solo ad innaffiarne le piante, sì ancora ad irrigar tutto il Giardino con grandissima facilità; e sopra tutto di fabbricarvi fuori della muraglia che lo circonda intorno intorno stanze o camerette in quella forma che tuttavia si veggono principiate dall’uno e dall’altro lato della porta verso la strada, per dove s’entra in esso Giardino. Le quali stanze et appartamenti haveranno a servire a varie e diverse operationi attenenti alla materia medicinale, come per gratia d ’ esempio a fonderie, distillatorie, et altre si fatte. Et in altra stanza particolarmente a ciò deputata sifarà conserva di minerali, terre, pietre, gioje. In altra si conserveranno pesci ed animali marini, e tutti i mostri meravigliosi che manda il mare, sali, sponghe, coralli, e simili. Altre stanze serviranno per gli animali terrestri; altra per li volatili, che vi si terranno secchi e ben conservati. Talche da così vario e diverso ordine di cose si formerà un bellissimo e maraviglioso Museo a pro e beneficio degli studiosi di questa rara professione. Et in questo picciolo Theatro, quasi in un picciol mondo, si farà spettacolo di tutte le meraviglie della natura. Le quali parole, che il Porro scrive avere udite dal Cortuso, ho voluto io qui riferire a far manifesto come il Senato Veneto precorresse di qualche secolo le altre nazioni nel bellissimo divisamento di raccorre in un luogo solo quanti sono i naturali prodotti, onde coll’agevolarne lo studio facilitare ancora lo scoprimento delle utili applicazioni, di che potrebbero eglino vantaggiare la Medicina. Pure, benchè apparisca dal sopra detto ch’erano di già incominciate le stanze per riporvi siffatti oggetti, non fu oltre proseguito il lavoro, nè condotto a termine il generoso proposito. Ignorasi la vera epoca della morte del Cortuso, che alcuni molto verosimilmente riportarono al dì 21 Giugno del 1603. Sembra diffatti ch’egli cessasse dalla vita e dall’ufficio in quell’anno in cui finiva eziandio la riconferma concessagli per anni sei colla ducale 19 Dicembre 1596 di Marino Grimani, giacchè dalla ducale dei 5 Agosto 1606 di Leonardo Donato ricavasi essersi offerto prontamente Prospero Alpino il dì 3 Ottobre del 1603 ad accoppiare in sè solo alla Lettura, ch’ei professava sin dal 1594, la custodia ancora dell’Orto, e l’ostensione dei semplici (resesi vacanti per la morte del Cortuso), ed esservi stato anco eletto dai Riformatori d’allora. Nulla pubblicò colle stampe il Cortuso: studiò però molto accuratamente le piante, giovò de’ suoi lumi e fornì di specie ignote il Mattioli, il quale non contento di averne fatto onorevole ricordanza in assai luoghi de’ suoi Commentarii sopra Dioscoride, volle pure intitolargli una pianta dal Cortuso stesso trovata in Valstagna della provincia Vicentina, che appellò Cortusa, il qual nome tuttora rispettasi nella scienza.
De’ giardinieri dell’Orto non havvi notizia negli atti della Università dal 1574, anno in cui fu rimessa al Guilandino la cura di sceglierli e pagarli del suo, la quale continuò ancora al Cortuso, sino a che nel 1593 fu questi incaricato di stipendiarli per conto pubblico; e solo allora apparisce essere stati scelti da lui a titolo di primo e secondo Gastaldo Melchiorre Zambon e Battista Carraro, i cui salarii si pagarono sempre in appresso dalla cassa della Università. Cominciarono il loro servigio dal 10 Aprile di quell’anno: lo Zambon con ducati ottanta, e poscia novanta sino al 1616; il Carraro con ducati sessanta sino al 1594; a cui li 24 Febbrajo del 1595 successe Bartolommeo Tiso, che morì nell’ufficio in Febbrajo dell’anno 1617.
Il celebre Prospero Alpino di Marostica, che reduce da un viaggio fatto in Egitto nel 1580 con Giorgio Emo, avea già nome illustre fra’ medici e fra ’ botanici per opere pubblicate, e che sin dall’Aprile del 1594 tenea nello Studio nostro la lettura de’ semplici, fu li 3 Ottobre del 1603 incaricato insieme della custodia dell’Orto e della ostensione de’ semplici, come chiaramente ritraesi dalla testè citata ducale dei 5 Agosto 1606 di Leonardo Donato, esistente nell’archivio della Università, coll’aggiunta di soli ducati cinquanta all’anno alla sua paga ordinaria di ducati duecento. I meriti però distinti dell’insigne uomo movendo l’animo del Senato, gli valsero l’anno 1613 il cospicuo e inusitato aumento del suo stipendio sino a settecencinquanta ducati. Illustrò sommamente le due cattedre che copriva, e l’Orto ch’ei dirigeva, e continuò in questi incarichi sino alla morte, avvenuta l’anno 1616. Diede in luce le seguenti opere:
De Rhapontico Disputatio. Patav. apud Petr. Bertolium 1612, 4.°
De Balsamo Dialogus. Venet. 1592, 4.°
De plantis Ægypti Liber. Venet. apud Franc. de Franciscis 1592, 4.°
De praesagienda vita et morte aegrotantium Libri VII. Venet. 1601.
De plantis exoticis Libri duo. Venet. apud Jo. Guerilium 1629, 4.°
De Medicina Egyptiorum Libri quatuor. Lugd. Batav. 1719, 4.°
Historia naturalis Ægypti. Lugd. Batav. 1735, 2 vol. 4.°
All’Alpino per decreto del doge Giovanni Bembo dei 14 Gennajo del 1616 successe Giovanni Prevozio, nativo di Augst nella Svizzera, città altra volta considerevole, e detta Augusta Ravracorum, ora grosso villaggio a due leghe da Basilea. Insegnava egli allora la pratica straordinaria di Medicina, alla quale venne aggiunta la sola ostensione de ’ semplici, coll’accrescere di ducati sessanta lo stipendio proprio di quella. La lettura invece dei semplici stette per due anni vacante, e solo nell’anno 1618 con ducale dei 26 di Ottobre di Antonio Priuli fu conferita a Jacopo Zabarella. Sotto la prefettura del Prevozio fu ristaurata la casa, fu raccomodata e tramutata di luogo la macchina idraulica, e fu inoltre concesso un assegno annuo a un cotale Maestro Ambrogio, perchè ne curasse la migliore conservazione (23). Morì esso nel 1631, imperversando in Padova la pestilenza, e lasciò maggior fama di medico che di botanico . Pubblicò queste opere:
De remediorum cum simplicium tum compositorum materia. Venet. 1640, 12.°
Hortulus medicus. Patav. ap. Jac. de Cadorinis 1681, 12.º edit. IV.
Medicina pauperum et Libellus de venenis. Lugd. 1693, 12.°
Scrisse ancora un Trattato De compositione medicamentorum, che si pubblicò da’ suoi figli in Padova nel 1666 in 12.°
Nella coltura dell’Orto, sotto la presidenza del Prevozio, era intanto sottentrato a Bartolommeo Tiso nel Febbrajo 1617 Domenico Zanetti, e nel 1625 vi si aggiunse qual secondo giardiniere Biagio d’Asolo, poi nel 1628 trovasi indicato qual altro giardiniere un Tonello.
Morto il Prevozio, nominò il Senato, come da lettera dei 17 Gennajo del 1631 chiaramente apparisce (24), Giovanni Rodio danese tanto alla cattedra di Botanica e alla direzione dell’Orto, quanto alla lettura de’ semplici, la quale era allora vacante per la morte di Jacopo Zabarella. Non esiste però memoria alcuna negli atti dello Studio nostro od altrove, da cui ritraggasi aver egli assunto questo duplice incarico . Per lo che rifiutatosi il Rodio, qual che ne fosse stata la causa, il Senato con ducale di Francesco Erizzo dei 9 Maggio del 1633 conferì l’uno e l’altro ad Alpino Alpini figlio di Prospero, il quale per le parole della ducale suddetta era da tre anni impiegato nell’ostensione de’ semplici; dal che deducesi aver egli supplito al professore mancante sin dalla morte del Prevozio. Nulla trovasi di rimarchevole operato dall’Alpino nella sua prefettura, nè lasciò scritti nè opere pubblicate che ne raccomandino la memoria. Diè soltanto in luce i due libri De plantis exoticis del padre suo in Venezia nel 1627, e a questo forse accennano per isbaglio, confondendone l’editore coll’autore, le parole della ducale sopra citata, colle quali vien detto aver egli mandato alla stampa un libro nella materia de’ semplici. Morì nel 1637. Prestarono l’opera loro in quegli anni ch’ei presiedeva all’Orto, Giovanni Macchion o Maggion dal 1631 continuando fino al 1694, Gio. Maria Zanchetto dal 1634 al 1637, e Giulio Rizzi o Ricci successo a quest’ultimo in quest’anno medesimo, e sino al 1661.
All’Alpino per ducale di Francesco Erizzo dei 13 Marzo 1638 seguitò sì nella ostensione che nella lettura de’ semplici il celebre Giovanni Veslingio, nativo di Minden nella Vestfalia, conservando insieme l’insegnamento della Notomia e Chirurgia, che da più anni ei teneva nella nostra Università con altissima rinomanza, ed accrescendogli lo stipendio sino a settecento ducati all’anno. E il grand’uomo sostenne tutti e quattro gli incarichi con tal valore, e diè in tutti sì belle prove sua perizia, da essersi meritato e dai contemporanei e dai posteri durevole e chiara fama di distinto botanico ed anatomico. Nè men lodevole opera prestò il Veslingio all’Orto affidatogli; chè ritrovato da lui affatto privo di piante straniere (25), fu arricchito ben presto di rare specie procacciatesi dall’Egitto, dalla Spagna, dalle Indie. Nè a ciò contento, indusse egli i Riformatori a mandare in Creta a spese pubbliche un botanico raccoglitore, che si fu Ignazio Des Champs fiammingo, il quale di quell’isola trasportò all’Orto quasi trecento fra semi e piante vive, di cui stampò un catalogo il Tommasini (Gymn. Pat. pag. 90). Per le quali cure crebbe il Giardino nostro in numero ed isceltezza di vegetabili, come lo attestano i due elenchi stampatine dal Veslingio; l’uno col titolo: Catalogus plantarum Horti Gymnasii Patavini, quibus auctior erat anno 1642, Praefecto ejusdem Horti D. Jo. Veslingio (Patav. 1642), che nomina 1602 piante; l’altro sotto quello di: Catalogus plantarum Horti Gymnasii Patavini, quibus auctior erat anno 1644 etc. (Pat. eodem anno), che ne annovera 1647, e che venne anche ristampato dal Tommasini alla pag. 99. Alle quali aggiungendo quelle registrate in un autografo del Veslingio posseduto dal Pontedera, il novero delle piante che educavansi nell’Orto nostro a que’ tempi, per testimonianza del Pontedera medesimo, ammontava presso a duemila specie . Aveva il Veslingio, pria di venire a Padova, viaggiato in Grecia, in Palestina e in Egitto; perloché aveva potuto commentare ed illustrare le piante egizie osservate e descritte già dall’Alpino, aggiungendovene altre ancora da quest’ultimo non vedute. Continuò il Veslingio sino a’ tre di Settembre del 1649, cioè sino alla morte sua avvenuta in quel giorno, nel moltiplice incarico, pubblicando le seguenti opere di Notomia e di Botanica.
De plantis Egypti Observationes. Patav. 1638, 4.°
Opobalsami veteribus cogniti vindiciae. Patav. 1644, 4.°
De Balsamo Epistolae duae ad Baldum Baldum in Romano Gymnasio Practicae Medicinae Professori.
Paroeneses ad rem herbariam publicis plantarum ostensionibus praemissa. Patav. 1644, 4.°
De florum usu Dissertatio habita anno 1602. V. Non. Maj. Pat. typ. Paul. Frambotti, 4.°
Syntagma anatomicum. Pat. 1641, Amstel. 1666.
Oltre ciò scrisse un’elegante lettera a Pietro Servio, professore di Medicina in Roma, che pubblicò poscia il Tommasini (Gymn. Pat. pag. 86), e contiene una descrizione dell’Orto nostro. Fu sepolto nella chiesa di S. Antonio, e gli fu eretto nella medesima per cura degl’illustri Ottavio Ferrario e Giovanni Rodio onorevole monumento.
Continuarono sotto di lui nella coltura dell’Orto Giovanni Macchion e Giulio Rizzi.
Passato di questa vita il Veslingio, gli fu poco stante nominato a successore nella lettura ed ostensione de’ semplici Giorgio Dalla Torre, gentiluomo di Padova, con ducale de’ 6 di Ottobre del 1649 di Francesco Molin, ed a richiesta degli scolari. Sotto la prefettura di lui fu riparata la casa del Prefetto con palafitta nel fiume, che ne lambe il lato settentrionale, e col ristaurarne il coperto; fu quasi rinnovato l’idroforo; fu costruita una conserva per custodirvi le piante di Creta, d’Egitto, delle Indie, e d’altri paesi caldi; fu rallargata d’un terzo e migliorata la casa de’ giardinieri. De ’ quali provvedimenti, che il Dalla Torre riferì allo zelo del senatore Angelo Marcello, allora prefetto della città, volle egli perpetuare la ricordanza con iscrizione da lui composta nello stile del tempo, che fu scolpita in lapide murata nell’interno del portone che guida al Giardino, donde per conservarla fu trasferita l’anno 1839 nell’atrio dell’abitazione del professore. Ivi essa può leggersi come segue:ANGELO • MARCELLO
QUOD • MUSARUM • VIRETA • SILVESCENTIA IN
TERLUCAVERIT • ATQUE • CRESCENTIBUS • HERBIS • CAS
TALIOS • LATICES • INDUXERIT • NUDISQUE • STIRPIBUS
FLORUM • CORONAMENTA • NATURAE • MUN
DUM • ADIECERIT • QUO • TEMPORE • URBIS • PRAEFECTUS
ERADICATO • OMNIS • HOSTILITATIS • ACONITO • PACI
FERAS • OLEAS • LAURIS • TRIUMPHALIBUS • INSEREBAT
GEORGIUS • A • TURRE
REI • HERBARIAE • PROFESSOR • ORDINARIUS • HORTIQ. PU
BLICI • PRAEFECTUS. B. M. P.
Attese ancora il Dalla Torre all’arricchimento del Giardino; perlochè ottenne un ordine dal Senato de’ 23 Luglio 1661, affinchè fossero a spese pubbliche raccolte piante a tal uopo. Però un anno innanzi ne aveva egli pubblicato un elenco col titolo: Catalogus plantarum Horti Patavini, Pat. 1660; ed un altro con egual titolo ne diè in luce l’anno 1662; dai quali cataloghi, nonchè da uno serbatoci manoscritto dal Pontedera nel primo volume della sua Storia dell’Orto nostro, ricavasi che a’ tempi del Dalla Torre vi si coltivavano meglio che 2272 piante, fra le quali non poche esotiche, come la Cassia fistula, Tamarindus indica, Canna indica, Arum Colocasia, Jasminum odoratissimum, Coix lachryma, Ipomaea Quamoclit, e molte altre. La estesa fama, di cui godeva il Dalla Torre non solo come botanico, sì ancora qual medico, gli procacciò dal Senato l’onore di essere con ducale 28 Agosto 1666 nominato professore di Medicina pratica straordinaria 9 conservando la ostensione de ’ semplici, ed abbandonandone la lettura, la quale con decreto dei 4 Novembre dell’anno stesso venne affidata ad Ilario Spinelli. Nè gliene venne gloria minore allorchè essendo stato richiesto il Collegio medico dello Studio, se l’aria di Padova e le sue terme potessero essere di giovamento alla malattia di che infermava la Elettrice di Baviera, ei vi rispose col pubblicare un libro intorno all’acqua ed all’aria, che intitolò: Junonis et Nestis vires in humanae salutis obsequium traductae, Pat. 1668, 4.º La liberalità del Senato gli accrebbe in più volte lo stipendio, sino a che nel 1679 questo ammontava alla cospicua somma di 1550 ducati. Nè a ciò contento, lo promosse nel 1680 alla cattedra di Pratica medica ordinaria in secondo luogo, con ducale di Alvise Contarini dei 29 Ottobre, coll’obbligo però di continuare la ostensione dei semplici e la custodia dell’Orto. I quali incarichi sopravanzando per avventura le forze sue, chiese egli al Senato che quest’ultimo fosse dato a Jacopo Pighi, che leggeva già Notomia da più anni, promettendo di fare ei pure una qualche lezione, e d’invigilare alla miglior coltura dell’Orto; il che fugli accordato con ducale degli 8 Agosto 1681 del doge medesimo Contarini. Ma tal sollievo concesso al benemerito uomo fu di corto interrotto dalla subita morte del Pighi, avvenuta nei primi mesi del 1683, e quindi poco dopo di un anno dalla nomina di lui alla custodia dell’Orto, per cui pochissimo potè operare a pro del medesimo; pure troviamo notizie negli atti pubblici aver il Pighi fatto raccor piante, estesone un catalogo conservatoci dal Pontedera, e fatto ristaurare la macchina idraulica e le fabbriche del medesimo, che ne aveano mestieri (26). Morto il Pighi, profferse di bel nuovo l’opera sua il Dalla Torre quanto alla scuola, proponendo ai Riformatori l’ab. Felice Viali, già stato professore a Pisa, perchè sotto la sua direzione attendesse al Giardino; il che fu concesso dal Magistrato, a condizione che il Dalla Torre seguitasse nella ostensione dei semplici, ed il Viali abitasse costantemente nell ’ Orto, come ritraesi dalla lettera 20 Marzo 1683 del Magistrato medesimo. In appresso avendo il Dalla Torre pubblicata la sua Historia plantarum, e per gli anteriori e lunghi servigi essendosi reso degno di una speciale rimunerazione, il doge Marcantonio Giustinian con lettera dei 3 Aprile 1687, dietro proposta dei Riformatori, lo promosse alla prima cattedra di Medicina pratica nello Studio; e riconoscendo non poterglisi conservare l’altra della ostensione dei semplici, conferi questa al Viali. Cessò in tal guisa dalla prefettura e dalla ostensione l’uom venerabile, che da ben trentotto anni sosteneva con tanto plauso, e con manifesto vantaggio della scienza e dell’Orto, l’insegnamento dell’una e l’amorevole direzione dell’altro. Diede in luce le opere sopra citate:
Junonis et Nestis vires in humanae salutis obsequium traductae. Pat. 1668, 8.° Historia plantarum. Pat. 1685, fol.
Oltracciò pubblicò due cataloghi dell’Orto nostro:
Catalogus plantarum Horti Patavini, Pat. 1660, al quale fece egli stesso alcuni commenti in un suo manoscritto, che serbasi nella biblioteca dell’Orto stesso, e s’intitola: In Catalogum plantarum Horti Patavini anno MDCLX editum Notae; le quali però non furono pubblicate, ma servirono a lui per la compilazione dell’altro Catalogus plantarum Horti Patavini. Patav. 1662, 16.°
Sotto la prefettura sua lo coltivarono, oltre Giovanni Macchion, Antonio figlio di questo fin dal principio del 1651 in assistenza del padre, e Filippo Picci o Rizzi dal 1660, qual altro assistente gratuito del padre proprio, cioè di Giulio, che già era giardiniere sin dal 1637. Avvenne in questo mezzo, che non albergando il Dalla Torre nel Giardino, ma nella casa paterna, che qual padovano ei possedeva nella città, Giulio attribuendo a sè solo il merito di avere levato l’Orto alla floridezza che allora vi si ammirava, chiese ai Riformatori che per tali benemerenze fosse accordato a suo figlio, sino a che avesse paga e posto fisso, tutto il frutto di quel terreno che circonda l’Orto medesimo, e che prima e poi era stato sempre lasciato a beneficio ed utilità del Prefetto. E ciò eragli stato consentito dal Magistrato con terminazione dei 15 Luglio del 1660; se non che il Dalla Torre, mosso da si sfacciata impudenza, ne fe sì vive doglianze ai Riformatori, e chiarì siffattamente la cupidità insaziabile e la venalità d’ambi i Picci, che questi con decreto dei 30 Febbrajo del 1661 furono cacciati dall’Orto. Per l’accaduto però avvedendosi il Magistrato essere necessario, a toglimento di nuovi disordini, che il Prefetto continuamente vegli lo Stabilimento affidatogli, fu al Dalla Torre dai Riformatori commesso di dover subito portarsi ad habitare la casa dell’Horto, et nella medesima fermare il suo soggiorno, acciò possa meglio invigilare a tutto quello concerne il servizio dell’Horto, conforme è di sua particolare obbligatione, e di nostra risoluta volontà.» Espulsi i Picci, continuarono i due Macchioni nella coltura dell’Orto; però Antonio vi stette soltanto sino al Febbrajo del 1664, nel qual mese passò di vita, e gli fu eletto a successore il dì 15 del mese stesso Tommaso Andreola, qual secondo giardiniere, o ajutante del primo. Il Macchion in seguito, gravato di 80 anni d’età, de’ quali ne avea consumati 54 nel Giardino botanico, e mal reggendo alle fatiche indispensabili per coltivarlo, chiese ai Riformatori gli fosse concessa la soccorrevole e gratuita opera del nipote Antonio Tita, allevato già fra le piante, e conoscente di loro coltura: quel desso che passò poscia dalla umile condizione di giardiniere a quella di autore, pubblicando nel 1713 il catalogo dell’Orto che teneva in Padova il cav. Gianfrancesco Morosini, e ch’era dal Tita stesso curato; aggiuntovi un suo viaggio botanico pei monti di Feltre, di Bassano e de’ Sette Comuni Vicentini. E i Riformatori vi consentirono, promettendo con lettera 5 Febbrajo 1683, che il Tita succederebbe all’Andreola, quando questi da secondo giardiniere fosse promosso a giardiniere primario.
Assunto ch’ebbe il Viali, per la ducale 3 Aprile 1687 di Marcantonio Giustinian, la ostensione de’ semplici, diessi a tutt’uomo a riparare il Giardino, ad accrescerlo ed abbellirlo; per cui il degno suo successore Giulio Pontedera non dubitò di scrivere in una lettera diretta a Nicolò Comneno Papadopoli, da questo pubblicatasi nella sua Historia Gymnasii Patavini, Ven. 1726, pag. 16, doversi il Viali riputare quasi un secondo padre dell’Orto dopo il Bonafede, non essendo restato per lui che quel Giardino, a cui cedevano d’antichità e d’ampiezza tutti gli altri d’allora, fosse tenuto e predicato ancora primo di tutti per nobiltà, per eleganza d’architettura, per copia d’acque, per vaghezza di edifizii acconci a ripararne le piante. Nel quale arduo proposito insistendo egli colle esortazioni, colle preghiere e cogli uffizii per tutti i 34 anni che ne tenne il governo, gli venne fatto di lasciarlo a noi di quella bellezza che vi ammiriamo. Furono perciò costruite nel 1694 le numerose fontane e vasche dell’Orto, ed eretto da’fondamenti il gran portone d’ingresso nel 1700, sui colossali pilastri del quale stanno scolpite al di fuori, a regola di chi v’entra, le parole: HIC OCULI, HINC MANUS; al di dentro le altre: FULMINIS OPUS; per indicare come la porta stessa traesse sua origine dall’essere stato incenerito dal fulmine un porticato antichissimo che prima era addossato alla porta vecchia, nella quale occasione fu rinnovata questa nella maestosa forma che or vi si scorge. Nel medesimo anno si fabbricarono presso alla casa del Prefetto quattro svernatoi per le piante; si rinnovò in miglior guisa la macchina idraulica nel 1702; e si fecero altre riparazioni ad essa, e all’edifizio che la rinserra, nel 1715; s’innalzarono nel 1704 due gran portoni del tutto simili al primo a settentrione ed a mezzo dì, fregiando quello di due vasi di pietra contenenti imitate in rame due piante dell’Ananas, a que ’ giorni rarissime. Nel 1706 si sovrapposero eguali vasi con altre piante agli altri portoni, e si costruì il quarto rivolto a levante, che ancora mancava, e che cominciato sin dal 1696, non apparisce terminato che nel 1707. Si eressero statue ai botanici dell’antichità Salomone e Teofrasto, e busti a Fabio Colonna e Gianantonio Saraceno, ponendoli sull’elegante balaustrata che corona la sommità del muro che cinge l’Orto, e che cominciata già nel 1707, fu addotta a tre quarti del muro stesso sino al 1718 (27). Nè ciò bastando, piantato un bosco, procacciate piante dall’India, tutto ravvivato, rinvaghito, ampliato, il Viali lasciò l’Orto di Padova a’ suoi successori in tale stato di floridezza da togliere a quanti lo seguirono la speranza non che di vincerlo, pur di emularlo. Peritissimo nella cognizione delle piante, come attestano gli encomii di che l’onorarono il Riva, il Pontedera ed il celebre Tournefort, nulla egli pubblicò che sia fino a noi pervenuto. Durò nell’ufficio sino al mese di Marzo del 1719, nel qual mese con ducale di Giovanni Cornaro del giorno 17 al venerabile e benemerito vecchio, siaccato dagli anni e dalle infermità, fu concesso onorato riposo, sostituendogli l’illustre Giulio Pontedera, d’origine Pisano, ma nato in Lonigo nella provincia di Vicenza, che i Padri anteposero al veneziano Lodovico da Riva ed al celebre svizzero Giovanni Scheuchzero, i quali a gara si disputavano questo incarico. Morì il Viali nel 1722.
Nè della fama che già godeva moltissima, nè della destata espettazione, nè dell’accordata preferenza minore mostrossi poi il Pontedera, sia per opere pubblicate a pro della scienza, sia per cose fatte in vantaggio dell’Orto. Continuò egli i lavori lasciati imperfetti dal Viali; ma oltre ciò riparò efficacemente alla povertà di piante, ed alla negligenza estrema della coltura, in che a quel tempo era l’Orto caduto. Avvenuta nel 1694 la morte del primo giardiniere Gio. Macchion, era stato posto nelle sue veci il secondo giardiniere Tommaso Andreola, e in quelle di lui anzichè collocare quel Tita cui già era stato promesso, ma che sdegnava di stare agli ordini dell’Andreola, fu allogato un figlio di quest’ultimo, di nome Santo. Restato così in casa gli Andreola il governo e quasi la possessione dell’Orto, essi lo neglessero di tal guisa, che molte e rare piante se ne perdevano alla giornata, e di tutte era abbandonata la coltivazione; onde che, mentre per opera del Tita, passato a custode dell’Orto Morosini, che allora fioriva nella contrada di S. Massimo in questa città, quest’ultimo cresceva sempre in beltà e rinomanza, l’Orto pubblico cadde in sì basso stato, che il Viali fu costretto a farne lamentanza pubblica al Magistrato. Ma non cavandosene verun frutto, e protetti gli Andreola da troppo validi patrocinii, non ebbe forza il buon vecchio di affrontarne coraggiosamente il potere; per lo che paurosamente accomodandosi ai tempi, si diede invece ed al tutto a curare la parte degli ornamenti, abbandonandone la coltura e le piante all’arbitrio di que’ due tristi. I quali mandando un dì più che l’altro in dileguo le ricchezze vegetabili accumulate dai precessori, lo avrebbero certamente condotto di corto allo stremo della miseria, se non veniva fortunatamente a ricattarlo dalle infedeli mani la operosa sollecitudine del Pontedera. Nominato alla prefettura ed alla ostensione de’ semplici con ducale dei 16 Marzo 1719 del doge Giovanni Corner, senza mettere tempo in mezzo si fece a ristorar l’Orto dalle sue perdite, a ritornarlo alla buona coltura, ad animarne e in uno ad ammonirne i coltivatori. Ma e le cure e le esortazioni erano gittate; chè un bel dì, mentre egli viaggia pei monti ad oggetto di raccorre altre specie per arricchirnelo, gli Andreola ne sprecano per denaro e gli utensili e le piante: il che conosciutosi dal Pontedera, ed avvisando infruttuoso ogni più mite provvedimento, chiese e, malgrado il mal locato favore, ottenne lettere dei Riformatori del 5 Dicembre 1721, che ordinavano la espulsione di que’ malvagi dall’Orto pubblico. Vi fu sostituito nel giorno stesso un operajo nella persona di Santo Migliorini, e li 3 Marzo 1722 fu nominato a giardiniere Silvestro Latini di Siena, a ciò proposto dal Pontedera. Da una informazione sull’Orto nostro, che leggesi nel volume vigesimo primo degli Atti degli Artisti, ritraesi che al Pontedera erano state consegnate dal suo predecessore soltanto quattrocento piante e centotrenta vasi; locchè basta a far conoscere a che stato fosse ridotto l’Orto. In pochi anni però per cura del suo Prefetto ve n’erano ben 7000 individui, oltre 5000 e più coltivati nei vasi (28). Per opera del medesimo vi si eressero due stufe maggiori e due minori, tutte e quattro riparate da vetri; si costruirono due forni sotterranei per riscaldare le conserve mobili, fabbricandone una nuova lunga 96 piedi, ed ampliando l’altra che già esisteva; e fra la casa del Prefetto e le stufe si edificò una terrazza a vôlta, sotto cui riparare nel verno di molte piante. Oltre ciò, sotto la prefettura del medesimo fu continuata e compiuta la balaustrata che ancor rimaneva a farsi sulla quarta parte del muro che cinge l’Orto, e sta a diritta di chi entra in questo per la porta occidentale, la quale ripresa nel 1726, venne condotta a termine l’anno 1829. Furono ristorati gli altri edifizii dell’Orto stesso, ed assicurato il lato settentrionale del medesimo con fondamenta e con muro dalle corrosioni e dagli straripamenti del fiume. Di molte delle benemerenze del Pontedera resta memoria in una lapide murata nel sianco interno del gran portone esteriore alla diritta di chi entra, che così leggesi:
DANIEL • I • DELPHINUS
SENATOR • PRAESTANTISSIMUS
URBIS • PRAEFECTUS • ET • PROPRAETOR
AEDES • PUBLICAS • AC • STIRPIUM • HYPOCAUSTA
REFECIT • SUBSTRUCTIONIBUS • ET • PARIETE
PERPETUO • CONTRA • FLUMINIS • VIM • MUNIUIT
SUMMO • BOTANICES • FAUTORI
JULIUS • PONTEDERA • HORTI. PRAESES • B. M. P.
ANN. CIↃIↃCCXLIX.
Da molto tempo era costume di assegnare all’Orto per suoi bisogni ordinarii cencinquanta ducati veneti; ma al Pontedera vennero fatti assegni più generosi, e perciò trovasi ch’egli nel 1751 vi spese lire venete 2893: 16; nel 1752 lire venete 3455: 3; nel 1753 lire venete 3153: 17; che a lui vennero compensate, aggiungendovi quel tanto che oltrepassava l’assegno ordinario dei ducati centocinquanta. L’utile suo servigio fu in più occasioni rimeritato di onorevoli encomii dal suo Governo, e gli valse sempre maggiori aumenti dello stipendio, sino a che nel 1752 con ducale 20 Maggio di Francesco Loredan fu portato sino a ducati 1400. Però, oltre la prefettura dell’Orto e la ostensione dei semplici, il Pontedera teneva ancor la lettura, come raccogliesi dalla ducale 7 Agosto 1721 di Gio. Corner, quantunque contemporaneamente avesse tal cattedra il prof. Gio. Maria Rossi; per cui è da credere che il primo dichiarasse soltanto i semplici vegetali, l’altro gli animali ed i minerali. Soppressa però definitivamente con decreto 27 Novembre 1738 dal Senato Veneto questa cattedra, fu incaricato il Pontedera della formale dichiarazione delle facoltà e degli usi medici delle piante, chiamandosi allora la cattedra di Botanica del doppio titolo di lettura ed ostensione dei semplici; e fu in pari tempo istituita altra scuola col nome di Lettura ed ostensione degli altri semplici, al professore della quale, che era allora Antonio Vallisnieri, restò appoggiata la soprantendenza e custodia del Museo di Storia Naturale (29). Durò l’egregio uomo nell’incarico sino a che bastògli la vita, cessando dall’uno e dall’altra nel 1757. Botanico spertissimo, ed insieme letterato ed erudito insigne, scrisse e di Botanica e di Letteratura e di Archeologia. Le opere pubblicate sono queste:
Compendium Tabularum Botanicarum. Patav. 1718, 4.°
Anthologia et Dissertationes XI de re herbaria et medica. Patav. 1720, 4.°
Antiquitatum latinarum graecarumque enarrationes. Patav. 1740, 4.°
Lasciò inedite Lettere e Dissertazioni di assai vario argo mento, che il mio predecessore Giuseppe Ant. Bonato pubblicò poscia col titolo:
Jul. Pontederae Epistolae ac Dissertationes. Tom. II. Patav. 1791, 4.°
Fra queste stanno le tre Dissertazioni da lui dirette all’Accademia reale di Parigi d’Iscrizioni e Belle Lettere, mercè le quali egli discute i tre argomenti dalla stessa in tre tempi proposti: 1.° Quibus anni temporibus mensibus diebusque in Romana Republica Consules inire honorem solebant. — 2.° Quodnam fuerit et quale romanae religionis institutum graecumne, aut proprium ac patrium. - 3.° De graecorum πολυτεὶα. Tutte e tre le quali furono riputate degne di premio dalla medesima. Lasciò inoltre una collezione di documenti da lui raccolti per la storia dell’Orto nostro, ch’ei s’era offerto di scrivere, e per cui aveva ricevuto lettere e rimunerazioni onorevoli dai Riformatori dello Studio in data dei 13 Settembre 1741, dei 20 Marzo 1744, e dei 27 Gennajo del 1747. Questo suo manoscritto, che ora conservasi nella biblioteca dell’Orto stesso, è composto di sette volumi di varia mole, nel primo dei quali n’è incominciata la storia la quale però non arriva che alla morte del Guilandino, e vi sono poi i cataloghi delle piante coltivatevi sotto ai varii Prefetti, co’ sinonimi aggiuntivi dal Pontedera; negli altri vi stanno osservazioni botaniche da lui fatte, figure che a queste si riferiscono, e notizie storiche da lui raccolte relative all’Orto ed ai professori.
Malgrado l’avversione sua alle innovazioni allora fresche dell’immortale Linneo, e specialmente al sistema sessuale, e malgrado il poco conto in cui il Linneo sembrava avere le opere del Pontedera; pure fu riverito e lodato dai primi botanici del suo tempo, l’Eistero, il Monti, il Tilli, il Ludwig, l’Haller; ed il Linneo stesso trovò giusto di intitolargli un genere che portasse il nome del professore di Padova. Fu onorato della estimazione di quanti lo conobbero di persona, fu amato qual fratello dall’illustre Poleni, qual figlio dall’immortale Morgagni. Dopo la morte sua decretò il Senato che gli venisse eretto marmoreo busto in quell’Orto ch’egli aveva del nome e dell’opera sua mirabilmente nobilitato.
Sotto la prefettura del Pontedera a Santo Migliorini, che aveva abbandonato il servigio dell’Orto, fu sostituito con lettera dei 23 Dicembre 1727 dei Riformatori il fratello di lui Antonio Migliorini, che da qualche tempo lavorava nell ’ Orto stesso; ed a Silvestro Latini, che da diciassette anni teneva il posto di primo giardiniere, fu aggiunta con lettera 5 Giugno 1738 l’opera del di lui figlio Giovanni, il quale avendo in appresso assai negletta la coltura dell’Orto, e cagionata la perdita di due rare piante, fu cacciato dal servigio con lettera 4 Marzo 1748 dei Riformatori. Incaricato allora il Prefetto di proporre persona a ciò idonea, lo fece egli profferendo un Andrea Candiano, che aveva incominciato il servigio sin dal 20 Febbrajo del 1748. Ma questi pure lasciò il Giardino nel 1753; per cui con lettera 30 Maggio dell’anno stesso fu eletto a primo giardiniere, cominciando dal nono giorno del mese stesso, quel Pietro Arduino veronese, che distintosi poscia come botanico, ottenne di essere nominato a professore di Agricoltura in questa stessa Università.
Alla morte del Pontedera la custodia dell’Orto fu affidata alla perizia e diligenza dell’Arduino, e ciò sino alla nomina di Giovanni Marsili di Venezia, che reduce da viaggi fatti all’oggetto di arricchirsi ognor più di cognizioni scientifiche e letterarie, ma particolarmente botaniche, fu eletto a professore di lettura ed ostensione de ’ semplici ed a prefetto dell’Orto con ducale 24 Gennajo 1760 di Francesco Loredan. Adoperossi tosto il Marsili a rifornir l’Orto di piante, ed a ristorarne i pregiudicati edifizii. Fra le opere da lui fatte merita particolare menzione l’innalzamento considerevole di tutta l’area interna ed esterna dell’Orto, onde preservarlo dalle frequenti inondazioni del vicin fiume; nella quale occasione fece rialzarne gli argini, ripararne il ponte e la porta. Pubblicò egli le seguenti Memorie:
Fungi Carrariensis Historia. Patav. 1766, fol.
Descrizione della Firmiana, stampata nel primo volume dei Saggi scientifici e letterarii dell’Accademia di Padova 1786, pag. 106.
Del genere e di una nuova specie di Phytolacca, stampata nei Saggi stessi, tomo III. Parte I. pag. 104, anno 1794.
Lasciò inedite alcune Notizie del pubblico Giardino dei semplici di Padova, che furono pubblicate per le stampe nel 1840; nonchè un’altra operetta Dei Patrizii Veneti dotti nella cognizione delle erbe, e dei loro Orti botanici più rinomati, che si stampò l’anno stesso; gli autografi delle quali si custodiscono nella biblioteca dell’Orto. Erudito, letterato e botanico, il Marsili coltivando più studii mise insieme una bella raccolta di libri di vario genere, in cui però prevale la parte botanica: la quale acquistata poi dal suo successore il Cav. Bonato, e da questo accresciuta, fu dal medesimo liberalmente donata all’Orto, di cui forma utilissimo e singolare ornamento. Sotto la prefettura sua l’Arduino, che aveva ottenuto il titolo di primo custode, onde distinguerlo come di merito così di nome dai giardinieri ordinarii, fu eletto a professore di Agraria nel 1763, e perciò nel 1768 fu nominato in suo luogo Andrea Vecchiato, ed al Vecchiato sostituito nel 1791 Antonio Lodi di Rovigo.
Giunto l’anno 1793, nel Settembre di questo con lettera dei Riformatori, attesa la molta età e le infralite forze del Marsili, era stato incaricato Giuseppe Antonio Bonato di Padova, allora bibliotecario della Università, a supplire al professore suddetto nella ispezione e soprantendenza dell’Orto. Ma giubilato quest’ultimo nell’anno appresso con ducale 27 Agosto del doge Lodovico Manin, fu colla stessa promosso il Bonato alla lettura ed ostensione de ’ semplici con tutti gli emolumenti annessi alla cattedra, meno l’alloggio nella casa dell’Orto, che fu riservato al Marsili sino alla morte. Molti meriti vanta quest’uomo egregio verso l’Orto botanico. Prefetto il Bonato, fu incominciato e bene avviato l’erbario del medesimo, fu ristaurata la metà del muro che lo cinge, furono riparati i muri ed i tetti de’ suoi edifizii, furono fabbricate due conserve nuove in sostituzione alle vecchie; e più che tutto per munifica disposizione del principe Eugenio di Beauharnais, allora Vicerè d’Italia, comunicata con lettera 23 Maggio 1807 del Consigliere Moscati, direttore della pubblica istruzione, fu decretata la costruzione delle grandi serre, le quali compiute appena nel 1816, illustrano ora ed adornano questo antico stabilimento. Due cataloghi delle sue piante ne avea pubblicati il Bonato, dai quali apparisce qual ne fosse di quei giorni la ricchezza; mentre il primo, stampato nel 1812, ne nomina 4500 specie; l’altro, pubblicato nel 1820, ne porta il novero a 5500 all’incirca.
Ma era scritto lassù, che le fatiche e le cure dell’uom benemerito dovessero essere indarno, e che un solo istante dovesse annientare il frutto di molti anni. Piombò diffatti sulla città di Padova, e particolarmente sull’Orto, nel dì 26 Agosto del 1834 una grandine di mole sì sterminata, che malconcie, ferite o morte le piante che a quel tempo erano tutte all’aperto, e rotti i tetti degli edifizii, e fracassati i vetri delle sue serre, ridusse in brev’ora dalla floridezza passata le sue piante ad un ingombro di foglie lacere, di frondi spezzate, di tronchi ignudi; i suoi coperti, i suoi vasi ad un cumulo di macerie. A tanta sciagura venne meno e scorossi l’animo del buon vecchio. Il Governo però, ben consapevole degli utili servigi da lui prestati, per che altre volte allo stipendio ordinario al suo posto di fiorini mille aveva aggiunto alla sua persona altri 300 fiorini, nel concedergli quel riposo che ben meritavasi la più che ottuagenaria sua età, gli ottenne dalla clemenza del Principe le insegne dell’Ordine cavalleresco della Corona di ferro. Poco dopo la toccata calamità, le cui vestigia resteranno per molti anni visibili nell’Orto nostro, il Bonato, che l’amava di tenerezza, quasi volesse sopperire in alcun modo alle ricchezze perdute per la spaventosa meteora, lo volle fregiare d’un suo preziosissimo dono, per cui con lettera del 1835 offerì al Governo per l’Orto botanico di Padova il cospicuo presente della sua nobile biblioteca, la quale acquistata già dal Marsili, aveva egli arricchito di molte opere nuove e di gran valore. E questa conservasi nell’Orto nostro a perenne e cara testimonianza dell’affetto suo per un luogo ove egli, uomo integerrimo, botanico coscienzioso, professore zelante, medico celeberrimo, avea passato quarantadue anni di una vita utile ed operosa. Pubblicò, oltre le Epistole e Dissertazioni inedite del Pontedera, di cui premise la vita, e che illustrò con annotazioni, ed oltre i due cataloghi dell’Orto nostro sopra citati, le seguenti operette:
Pisaura automorpha et Coreopsis formosa, piante nuove. Padova 1793, 4.°
Epistola ad J. A. Cavanilles. Ib.
Metodo di curare la tenia. Padova 1775.
Osservazioni sopra i funghi mangerecci. Pad. 1815, in unione ai professori Dalla Decima e Brera.
Fu giubilato nel 1835, e cessò di vivere l’anno 1837. La scuola botanica, che insegnava prima la parte teorica della scienza, la pratica e l’applicata, e che in appresso fu limitata a quest’ultima, si teneva dal Bonato sino all’anno 1820 nell’Orto stesso; e solo allora cresciuto il numero degli accorrenti a tale da non poter capire nell’angusto e meschino luogo in cui si facevano le lezioni, s’incominciò a tenere alla Università. Nell’anno 1818 fu dato a questa cattedra, come ad altre, un assistente biennale, che dal professore dev’essere istruito nella scienza botanica, e pel qual posto si sceglie alcuno fra’ giovani laureati di fresco che mostri più propensione a siffatto studio. Il primo nominato si fu il dott. Alessandro Sandi, al quale, confermato in tale ufficio per altri due anni, successe nel 1822 chi scrive queste notizie; a questo seguitò il dott. Paolo Menegazzi; al Menegazzi nel 1830 il dott. Francesco Beggiato; a lui nel 1832 il dott. Giuseppe Ruchinger, ora professore di Patologia e Farmacologia nella Università di Praga; a questo nel 1834 il dott. Francesco Pegoretti; al Pegoretti, morto poco dopo la nomina, il dott. Giuseppe Meneghini nel 1835, il quale ora professa le scienze preparatorie pei chirurghi in questa stessa Università; al Meneghini nel 1839 l’attuale assistente dott. Giuseppe Clementi. Continuò nella custodia é cultura dell’Orto sotto il Bonato il giardiniere Antonio Lodi; e qual primo operajo a Sebastiano Migliorini, morto nel 1819, sottentrò l’attuale Giacomo Raimondi.
Giubilato il Bonato, fu nominato a supplirgli temporariamente nella cattedra di Botanica e nella prefettura dell’Orto l’autore di questo scritto con decreto del Governo de’ 14 Gennajo 1835, e poscia con Risoluzione Sovrana di S. M. FERDINANDO I. dei 9 Marzo 1837 fu stabilmente confermato nel doppio incarico. D’allora sino ad oggidì si fecero, per le zelanti sollecitudini del Governo, per la generosa protezione di S. A. I. l’Arciduca Vicerè Rainieri, e per la Sovrana munificenza, di grandi spese nell’Orto nostro. Si ristorò e quasi rifabbricò la metà meridionale del muro di cinta; si rifece presso che per intero la stufa che dicesi delle Palme; si costruì una stufa sotterranea lungo il muro meridionale dell’abitazione del professore; si ripararono infine tutti gli edifizii, le cordonate, i cancelli, le fontane, le vasche dell’Orto stesso; e si eresse una grande e bella macchina idraulica in sostituzione dell’antica infracidita e inoperosa. Oltre a ciò, si piantò un boschetto di pini, ed uno assai più grande d’altri alberi forastieri nel terreno adiacente all’Orto; si allogò e dispose in regolari scompartimenti dinanzi alle grandi serre una ricca collezione di arbusti; si fornì stabilmente di piante esotiche la grande ajuola della Conserva mobile posta a levante, che sino allora non serviva che di ricovero ai vasi durante il verno; si cinse l’Orto di fossa e siepe; se ne numerarono e denominarono novellamente le piante. In uno degli stanzini intermedii alle serre si distribuì una bella collezione di frutta e semi; nel pian terreno della casa del professore si fe raccolta di tutte le sostanze che le piante esotiche naturalmente forniscono alla Medicina, di molti legni stranieri e nostrali, di funghi modellati in cera, di piante fossili, di preparati di notomia vegetale; e fu arricchito d’assai l’erbario cominciato già dal Bonato. Finalmente fu ordinato e già ben avviato il completamento delle opere di Botanica ch’esistevano imperfette nella biblioteca lasciata all’Orto dal Bonato medesimo. Restava, a compimento di tanti beneficii vôlti a ritornare l’Orto nostro al suo antico splendore, che la Sovrana munificenza accordasse a questo l’implorata costruzione di due nuove conserve per raccogliervi le ognor crescenti sue piante, e di un anfiteatro per le lezioni di Botanica, onde i numerosi studenti di questa cattedra trovassero nel luogo stesso anche qui, siccome in tutte le altre Università, l’insegnamento teorico e la ostensione materiale dei vegetabili di che servesi la Medicina. Ed anche questo nuovo ornamento dell’Orto nostro fu concesso dalla Sovrana liberalità con Risoluzione dei 3 Maggio dell’anno in cui siamo, e nel venturo anno sarà compiuto.
Toccata così rapidamente la storia dell’Orto di Padova e de’ suoi Prefetti, stimiamo ora acconcio di porgerne una descrizione assai breve, però fatta di guisa che nulla ometta di ciò che vuol esser notato, e che ajutata dalla veduta panora mica dell’Orto stesso, che precede queste notizie, basti a rappresentarlo fedelmente a chi no ’ l conosce, a rammentarlo a chi’l vide. Posto fra le due insigni basiliche di S. Antonio e di S. Giustina, occupa una superficie di 20664,37 metri quadrati, serbando ancora inviolati i suoi antichi ed originarii confini. Era cinto in passato da un ramo del fiume Brenta, che bagnavalo da tutti i lati; e solo da pochi anni, per cessare il pericolo delle inondazioni fattesi assai frequenti, s’impedì con arginatura il corso all’acqua lungo i lati di mezzodi e levante; talchè questa ne lambe ora soltanto il lato occidentale e settentrionale. Rimpetto al primo, ed al di là della strada, sorge in acconcio edifizio una bella, grande e solida ruota idraulica, che innalzando l’acqua suddetta, la manda poscia per sotterranei tubi di piombo a risalire e zampillare in diciassette fontane, ed a riempiere vasti serbatoi di piante acquajuole. Mette all’Orto un portone di rustica architettura, al sommo del quale stanno scolpite sin dalla fondazione le leggi imposte dai Riformatori dello Studio a coloro che movessero a visitarlo, l’austera latinità delle quali si attribuisce al celebre Daniele Barbaro, e mostrano quanto amore ponessero i Veneti a questo loro nuovo e pellegrino ritrovamento.
TRIVMVIRI LITTERARII.
I. PORTAM HANC DECVMANAM NE PVLSATO ante diem MARCI EVANGELISTAE NEC ANTE HORAM XXII.
II.
PER DECVMANAM ÎNGRESSVS EXTRA DECVMANVM NE DECLINATO.
III.
IN VIRIDARIO SCAPVM NE CONFRINGITO NEVE FLOREM Decerpito ne semen FRVCTVMVE SVSTOLLITO radicem ne effodito. IV.
STIRPEM PVSILLAM SVCCRESCENTEMQVE NE ATTRE CTATO NEVE AREOLAS CONCVLCATO TRANSILITOVE.
V.
VIRIDARII INIVRIA NON AFFICIVNTOR.
VI.
NIHIL INVITO PRAEFECTO ATTENTATO.
VII.
QVI SECVS FAXIT AERE carcere exSILIO MVLTator.
Nell’ingresso si fanno innanzi i vivai dell’Orto, riserbati agli alberi ed agli arbusti; a sinistra l’abitazione del Prefetto, appiè di cui stendesi a mezzodì una stufa sotterranea destinata a moltiplicare di talea le piante rare, a riaver le malate, a forzare la germogliazione dei semi de ’ tropici, a coltivare in ambiente assai caldo ed umido le Orchidee; e sul dinanzi un giardinetto a spartimenti simmetrici, sui quali schieransi in bell’ordine presso a 3000 vasi, che si seminano a primavera di ciò che ogni anno ritraesi dagli orti corrispondenti. A destra v’ha la casa de ’ giardinieri, e presso a questa l’antico bosco dell’Orto, folto di eccelsi alberi per la più parte stranieri, fra cui torreggiano giganteschi una Gleditschia horrida di ventotto metri, un Carpinus Betulus e un Liriodendron Tulipifera di ventinove, un Ailanthus glandulosa di trenta, una Juglans regia di trentatrè; ma più che tutti si ammira un Platanus orientalis che tiensi contemporaneo alla fondazione dell’Orto, e che certamente colla enorme grossezza d’oltre due metri, e colla strana irregolarità del suo tronco, tutto nodi e bozze e bernoccoli, in guisa da far sembianza più di macigno che d’albero, sembra giustificare la tradizione, che gli attribuisce quasi tre secoli. Dal bosco vecchio si passa ad un novello di pini, di là ad un terzo di pari età (che posti furono entrambi l’anno 1836 ), ricco d’alberi dell’America boreale, oltre il quale s’innalza il lungo edifizio delle serre. A questo fa specchio un largo spiano ad ajuole, di figura semirotonda, che contiene una numerosa collezione di arbusti appartenenti alle famiglie dei Gelsomini, dei Caprifogli, dei Ramni, delle Berberidee, e sopra tutto delle Leguminose e delle Rosacee. Le serre, costruite con molta intelligenza dall’architetto Antonio Noale sopra disegno del professore Alessandro Barca sin dalla fine del 1807, formano un fabbricato lungo cinquantacinque metri, vôlto a mezzodi, e diviso in sette stanzoni di varia ampiezza, che per opera di sotterranei fornelli si scaldano a diverse temperature. Vi si distingue una ricca serie di piante grasse, e vi albergano in notevoli dimensioni i rappresentanti della vegetazione di tutti i climi. Vogliono esservi ammirate o per rarità di specie o per mole alcune Acacie, alcuni Cacti, un’Hura crepitans, una Coccoloba pubescens, una Carolinea insignis, la Vanilla planifolia fruttifera già da due anni, la Urania speciosa, la Cinchona floribunda, l’Artocarpus integrifolia, la Nepenthes distillatoria, e le singolari Tillandsia dianthoidea e T. Duratii, che, di poca acqua contente, vivono, crescono e fioriscono senza terra e senza radici, sospese all’aria in canestrino metallico. Ma più presto che ogni altra muovono la piacevole meraviglia de’ risguardanti i maestosi Banani (Musa sapientum, rosacea, rubra, discolor), che piantati in terra nella penultima stanza serbata a dar saggio della magnifica vegetazione dell’Asia, e parata tutta a verzura co ’ tronchi appiccaticci e lunghissimi del Ficus stipulata e di più Passiflore, gareggiano di beltà e di grandezza colle Palme fra cui s’innalzano, ma che per la celerità del crescere ricoprono e vincono colla sterminata ampiezza il verde e gajo di lor fogliame. De ’ quattro stanzini intermedii alle tre serre maggiori, ne ’ due primi nel quarto stanno le piante della Nuova Olanda, ed altre che dicono di aranciera, frà cui vuol essere specialmente osservata una numerosa collezione di Acacie, e le superbe Araucarie (4. excelsa, brasiliensis, imbricata). Nel terzo stanzino ritrovasi invece una ordinata collezione di frutta e semi. Dalle serre si passa all ’ Orto centrale, cinto circolarmente da un muro, sul quale corre una elegante balaustrata di pietra, fregiata di qua e di là dal portone orientale dei busti de’ botanici Fabio Colonna e Giannantonio Sarraceno, e dei prefetti di quest’Orto Prospero Alpino, Giulio Pontedera e Giovanni Marsili. Vi conducono quattro grandi portoni, ornati al di fuori di una fontana con ampia vasca; ed oltre a ciò, quello a settentrione è decorato della statua di Teofrasto, erettavi dal podestà di Padova Federico Venier; quello a levante di una simile di Salomone, innalzata dal podestà Domenico Tiepolo; ed il terzo o meridionale dovea portare la statua di Dioscoride, che però non vi fu mai collocata. Colossali pilastri in pietra, chiusi da robusti cancelli di ferro e bronzo, compongono i portoni suddetti. La superficie dell’Orto, per viali maggiori e minori, retti e curvi, è divisa in più spartimenti di varia forma, guardati presso che tutti da cancelletti di ferro: gli spartimenti stessi sono, oltre ciò, ripartiti ancora in ajuole disposte in varia e regolare figura, contornate tutte di cordonata di pietra, la quale separando l’una pianta dall’altra, serve a tenerle ognor divise e distinte. Qui fermano l’attenzione due Magnolie d’insigne altezza, che si contano fra le prime introdotte in Italia; una Ginkgo biloba, una Quercus coccifera di mole straordinaria, e due scelte piantagioni di vegetabili della Nuova Olanda, del Perù, dell’Africa boreale, e d’altri climi più miti, che crescono in piena terra lunghesso il muro di cinta, ov’esso. guarda fra levante e ponente, e sono divise in due parti; la occidentale delle quali chiamasi Conserva delle lastre, la orientale Conserva verde. Ambedue vengono riparate nel verno coll’applicare in autunno alla balaustrata del muro stesso un tetto mobile ed un’invetriata al dinanzi, che poi si tolgono a primavera. Egli è a questo provvedimento che dee l’Orto di Padova la bellezza e la mole di quelle piante, che altrove allevate in vaso, appena vivono rappiccolite e stentate; fra le quali vuol essere veduto un bell’albero d’Hibiscus mutabilis, e grandi individui di Clerodendron fragrans, Brugmansia candida, Ficus elastica, Acacia vera, Garuga pinnata; più specie di Eucalipti, di Lauri, di Metrosideri, di Melaleuche, di Leptospermi; e sopra tutti una maestosa Palma a ventaglio ( Chamaerops humilis var. arborescens), che da un folto cespuglio di otto tronchi innalza sugli altri il maggiore di questi a più che sei metri di elevazione.
La distribuzione delle piante nell’Orto tutto è per ordini naturali, tranne una sola parte del medesimo, ove stanno raccolte tutte le piante medicinali che vivono in piena terra, ed una porzione di quelle che crescono lungo il muro di cinta, e si coprono nell’inverno. Vi si coltivano presso a diecimila specie, che riuscì di raccorvi dopo la spaventosa gragnuola, che nel dì 26 Agosto 1834 l’avea disertato, e ristretto appena a tremila. Tiene operosa corrispondenza con cinquantadue Orti botanici dei più cospicui d’Europa, quali sono quelli di Mosca, Pietroburgo, Dorpat, Kiew e Varsavia nell’Impero Russo; di Vienna, Gratz, Lipsia, Dresda, Pillnitz, Gottinga, Amburgo, Cracovia, Erlangen, Monaco, Berlino, Grifiswald, Erfurt, Bonn, Königsberg ed Halle negli Stati Germanici; di Trieste nell’Illirico; di Pesth nell’Ungheria; di Ginevra è Zurigo nella Svizzera; di Montpellier, Dijon, Strasburgo, Lione e Parigi nella Francia; quello di Lovanio nel Belgio, di Copenaghen nella Danimarca, della Società di Orticoltura in Londra; nonchè con tutti gli Orti botanici d’Italia, quali sono quelli di Venezia, Bassano, Milano, Monza, Lainate, Pavia, Genova, Torino, Rivoli, Pisa, Siena, Firenze, Bologna, Modena, Parma, Ferrara, Roma, Napoli e Palermo. Vegliato da un direttore o prefetto dell’Orto, ch’è pure il professore di Botanica, ajutato da un assistente che dura in posto due o al più quattro anni, coltivato da un giardiniere o custode, un Sottogiardiniere, tre operai fissi e tre allievi, ha un assegno ordinario per le sue spese di manutenzione e cultura di austriache lire 2900 (2522 fr.), in cui però sono compresi gli stipendii degli operai. Oltre questi, la Sovrana munificenza provvede ogni anno con assegni speciali ai bisogni staordinarii dell’Orto; talchè puossi affermare che in questi ultimi sette anni a redimerlo da quello stato di povertà e di disordine a cui l’aveano condotto i patiti disastri, e la età sua che già tocca i tre secoli, vi si profusero nulla meno che ventimila fiorini, ai quali resta ancora da aggiungere il costo della nuova fabbrica dell’anfiteatro per le lezioni e delle conserve, decretata di fresco dalla splendida liberalità del Monarca FERDINANDO I.
Della casa destinata a comoda e decente abitazione del Prefetto dell’Orto pubblico il pian terreno è riservato alla custodia di alcune collezioni botaniche. Nella prima stanza del medesimo v’ha una raccolta di tutte le sostanze medicinali che le piante somministrano naturalmente, quali sono radici, tronchi, corteccie, legni, foglie, fiori, frutta e semi, gomme e resine; una seconda di legni puliti e greggi spettanti ad alberi forastieri e nostrali; una terza di piante fossili; una quarta di funghi modellati in cera; una quinta in fine di preparazioni diverse di organografia vegetale. La stanza successiva e la terza contengono la preziosa libreria lasciata all’Orto nel 1835 dal benemerito suo direttore il Prof. Cav. G. A. Bonato, ricca d’oltre 5000 volumi, de’ quali la massima parte di argomento botanico o di scienze affini, la minima di letteratura. Fra quelli sonovi pressochè tutte le opere botaniche anteriori e contemporanee al Linneo, molte eziandio delle posteriori; e sì nelle une che nelle altre ve n’hanno di assai costose e assai rare. Nelle letterarie si trovano non poche preziose edizioni del secolo XV. Tiene ancora questa biblioteca parecchi autografi ragguardevoli del celebre Prospero Alpino, di Federico Cesi fondatore dell’Accademia de’ Lincei, di Gaspare Gabrieli insigne letterato padovano, dell’immortale Malpighi, di Giulio Pontedera, e lettere originali di Andrea Ce salpino, del Linneo, del Seguier, dell’Haller, dello Spallanzani, di Gio. Arduino, dell’Allioni, del Roemer, del Willdenow, oltre quelle de’ più celebri botanici viventi che corrispondono coll’Orto nostro. Nell’ultima stanza è collocato in eleganti buste un erbario di circa quattordicimila piante nostrali ed esotiche, coltivate e spontanee, il quale si va accrescendo continuamente; nonchè l’erbario originale su cui si lavora e si pubblica una Flora della Dalmazia dal professore attuale.
Quest’Orto per la vaghezza, convenienza ed estensione degli edificii, per l’acconcia e leggiadra distribuzione delle sue parti, per la copia delle acque, per le stupende vedute di che l’attorniano le circostanti basiliche, e per essere il solo Orto botanico che possegga apposita biblioteca, sarebbe già tale da vincer molti e pareggiar tutti gli Orti pubblici delle altre Università, anche se la origine sua nobilissima avendo segnato un’epoca luminosa nei fasti della scienza, cui si consacra, no ’l rendesse per ciò solo sopra tutti rispettabile e venerando.
Note
- ↑ [p. 55 modifica]Veggasi Della origine ed anzianità dell’Orto botanico di Padova, Memoria di R. de Visiani, Venez. 1839, nella quale la quistione si della fondazione che dell’anteriorità dell’Orto nostro sopra quello di Pisa e di Bologna, e quindi su tutti gli altri di Europa, è posta in quella maggior luce che la lontananza dei tempi ed il difetto di pubblici documenti intorno alla vera epoca, cui riferire la fondazione di quello di Pisa, poteano permettere. Ivi medesimo stanno anco le prove di quanto relativamente alla storia dell’Orto nostro si verrà sponendo in appresso: perchè ad essa rimandiamo il lettore che bramasse conoscerle per disteso.
- ↑ [p. 55 modifica]Questo architetto nella lettera degli 11 Agosto del 1547 dei Riformatori, che serbasi nel nostro archivio, viene semplicemente nominato M. Andrea Proto di S. Giustina; ciocchè indusse il Facciolati (Fasti Gymn. Pat. pag. 400) a credere essere egli il celebre Andrea Riccio. Però a torto, si perchè il Riccio di quel tempo era morto, si perchè dalla storia del monastero di S. Giustina, scritta dal Cavaccio, ritraesi che in allora Proto di questa chiesa si era il Moroni.
- ↑ [p. 55 modifica]Pierre Belon, Observ. de plus. singul., et chos. mémorabl. Paris 1588, pag. 460. — Marco Guazzo, Historia di tutti i fatti degni di memoria nel mondo successi dall’anno 1524 sin a questo presente. Vinegia appresso Gabriele Giolito de Ferrari 1546, pag. 371 tergo.
- ↑ [p. 55 modifica]Ap. Zeno, Note alla Biblioteca della Eloquenza italiana di M. Giusto Fontanini, Tom. II. pag. 332.
- ↑ [p. 55 modifica]Alb. Haller, Biblioth. Bot. 1. pag. 329. — Spreng., Hist. rei herb. 1. pag. 334.
- ↑ [p. 55 modifica]Cominciò lo stipendio dell’Anguillara dal di 20 Agosto 1546, come raccogliesi da lettera 28 Settembre dell’anno stesso, esistente [p. 56 modifica]nell’archivio di questa Università, e crebbe a cento ducati per altra dei Riformatori del 25 Febbrajo 1551.
- ↑ [p. 56 modifica]La lettera 11 Agosto 1547 dei Riformatori così ne scrive: È perchè importa sommamente per molte cause, ch’esso Herbario habiti nel luogo dell’Horto predetto, havemo ordinato che li sia acconciata una casa vecchia, la quale si ritrova sopra quel terreno.
- ↑ [p. 56 modifica]Spreng. Hist. rei herb. 1. pag. 334. Ivi lo Sprengel commette altro errore, accusando l’Anguillara di essere stato l’unico che poco pregiasse il Ghini, mentre in più luoghi del suo libro intitolato I semplici l’Anguillara ne parla con lode, e ne cita l’autorità.
- ↑ [p. 56 modifica]Veggasi la lettera 11 Agosto 1547 sopra citata.
- ↑ [p. 56 modifica]Lettera dei Riformatori del 25 Febbrajo 1551 su nominata.
- ↑ [p. 56 modifica]Ciò ricavasi dall’antico Bollettario dell’Università dall’ultimo Gennajo 1553 a tutto il Gennajo 1565, che serbasi nell’archivio. Non è però a credere che sino allora l’Orto botanico non avesse avuto chi’l coltivasse, giacchè nella sopraddetta lettera de’ 25 Febbrajo 1551 ordinandosi la destinazione di un ortolano, vi si soggiunge: come ancho altra fiata è stato fatto; ma Jacopo forse fu il primo ortolano stabile, e pagato con annuale e determinato stipendio dalla cassa della Università, mentre gli anteriori erano operai giornalieri.
- ↑ [p. 56 modifica]Matth. Lobelii Stirp. advers. pag. 439, et Observ. Stirp. pag. 605. In quest’ultimo luogo il Lobelio dà eziandio la figura del Guajacum Patavinum del Falloppio, dalla quale ritraesi a non dubitarne, che la pianta coltivata da questo nell’Orto nostro non era già il vero Guajaco, che non è albero da provare all’aperto, si invece la Guajacana, o Diospyros Lotus.
- ↑ [p. 56 modifica]P. Belon, Les remonstrances sur le def. de lab. et cult. des plantes. Paris 1558, pàg. 71.
- ↑ [p. 56 modifica]Conr. Gesneri De raris et admirandis herbis Commentarius. Tigur. 1555, pag. 40. Questo autore cosi scrive dell’Anguillara e dell’Orto: Qui vir ( Aloysius Romanus ) exquisita harum rerum cognitione clarus, Patavii instructissimo medicorum Horto praefectus est.
- ↑ [p. 56 modifica]Dal Bollettario su mentovato apparisce aver egli assunto l’incarico col giorno 21 Settembre 1561.
- ↑ [p. 57 modifica]Giovanni Fantuzzi nelle sue Memorie della vita di Ulisse Aldrovandi, Bologna 1774, pag. 19. not. 10, su questo argomento pubblicò quanto segue: La cattedra de’ semplici fu istituita in Bologna come straordinaria l’anno 1534, ad imitazione di Padova, che l’anno avanti, cioè nel 1533, ne avea dato il primo esempio. A Padova pertanto resta l’onore della più antica cattedra di Materia medicinale, e quello pure della prima cattedra di Botanica, essendo provato che questa non fu aperta nè a Bologna nè a Pisa se non molto dopo che qui l’apri il Guilandino, giacchè Luca Ghini non insegnò, pria nell’una e poscia nell’altra Università, se non la dottrina de’ semplici, ossia la Materia medica.
- ↑ [p. 57 modifica]Questa macchina, ristorata ed anche ricostruita in più tempi, fu nel corrente anno rinnovata del tutto sopra un sistema idraulico più conveniente; ed ora merita osservazione per la esattezza e solidità della costruttura, nonchè per la copia d’acqua che manda all’Orto, d’assai maggiore di quella che vi portavano le macchine precedenti.
- ↑ [p. 57 modifica]Veggasi la ducale dei 16 Dicembre 1567 di Pietro Loredan, che sopprime la lettura de’ semplici alla Università, e conferisce al Guilandino la facoltà d’insegnarla nell’Orto. Fu ripristinata tal cattedra solo nel 1594 con ducale di Pasquale Cicogna 19 Aprile, e fidata a Prospero Alpino.
- ↑ [p. 57 modifica]Sino dall’anno 1574 con ducale dei 28 Dicembre di Alvise Mocenigo era stato cresciuto lo stipendio del Guilandino fino a ducati trecentosettanta, però coll’obbligo di pagare ei medesimo due lavoranti per l’Orto. Questo assegno per la ducale di Nicolò da Ponte dei 24 Maggio 1578 crebbe poscia a ducati seicento.
- ↑ [p. 57 modifica]Hortus Patavinus, cui accessere V. Cl. Melchioris Guilandini medici botanici cluentiss. (sic) conjectanea synonymica plantarum eruditissima, publicante Jo. Georg. Schenckio. Francof. MDC, 12.°
- ↑ [p. 57 modifica]Ved. Lettera dei Riformatori dello Studio dei 23 Dicembre 1590 nel Tomo XXI. carte 138 degli Atti degli artisti.
- ↑ [p. 57 modifica]Ved. Lettera dei Riformatori dei 9 Settembre 1592 nel Tomo XXI. carte 141.