Il Buddha, Confucio e Lao-Tse/Parte Seconda/Capitolo II

II - Confucio e la sua Scuola

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Capitolo II.


Confucio e la sua scuola.


La Cina ai tempi di Confucio. — Vita del Filosofo. — Leggenda. — La scuola di Confucio. — Culto tributato al Filosofo. — Unificazione dell’Impero Cinese, e incendio dei libri. — Ritrovamento delle scritture canoniche e classiche.

§ 1. — Più di undici secoli avanti l’era nostra incominciò a regnare nell’Impero di Mezzo la dinastia che vide nascere Confucio, Mencio e altri filosofi di questa scuola, i quali elaborarono e composero quei libri che chiameremo «Le Scritture sacre della Cina»: sacre, non perchè opera soprumana, ma perchè contengono molte di quelle verità, che più tardi, sotto altra forma, apparvero anche in altri codici di morale e di religione, compilati coll’aiuto e per comando d’alcun Dio. Wen-wang [p. 298 modifica]e il suo figliuolo Wu-wang, i due primi di questa stirpe reale, che fu detta dei Ceu, dal nome del principato, che era loro appannaggio quando imperavano i Shang, sono tra’ santi, dai quali Confucio dice d’aver attinta la sua dottrina.1 Il territorio di cui essi diventarono sovrani, era circa un terzo di quello che forma la Cina d’oggi: l’antico delta del Fiume Giallo, la valle inferiore del medesimo, e il bacino del fiume Wei, erano le terre del regno di Ceu.2 Il quale al nord confinava col principato di Tsin, al sud col principato di Thsu, all’ovest con quello di Thsin, all’est con quello di Wu e col mare.

La dinastia dei Ceu a giudicare dalla virtù dei suoi primi sovrani pareva destinata, come quella dei Shang, che fu una volta la preferita del Cielo,3 a prosperare e a perpetuarsi; eppure non tardò anch’essa a uscire dalla buona strada, e, d’anno in anno perdendo della sua grandezza, ad avvicinarsi a un totale sfacelo. Gli Stati limitrofi invece, che da feudatari divennero suoi nemici, si andavano accrescendo; e in breve giunsero ad occupare un territorio di molto maggiore dei dominii di Ceu, o del Reame di Mezzo; il quale, stretto come d’assedio da que’ formidabili rivali, era in continuo pericolo di soccombere. Il disordine politico e sociale della Cina, dopo i primi re della schiatta, di cui discorriamo, andò sempre aumentando; e a’ tempi di Confucio era tale, che Mencio lo paragona alla generale devastazione prodotta dalle [p. 299 modifica]acque, che circa tremila anni innanzi avevano sommerso il paese:4 e come il grande Yu volle mettere un riparo a quel disordine della natura,5 così Confucio si credè destinato a ristabilire l’ordine morale nella società. Ora, quando questo filosofo venne al mondo, il reame di Ceu, notabilmente diminuito, non comprendeva che una piccola estensione di terra, che oggi sarebbe presso a poco la parte nord-ovest della provincia dell’Ho-nan. Gli Stati d’intorno erano in numero di venti; e tra questi era il reame di Lu, che occupava una parte di quella che oggi chiamasi provincia di Shan-tung. Fu appunto in un villaggio di questo reame, la cui città principale6 era capitale della Cina al tempo degl’imperatori Shên-nung e Shao-hao (3000 av. C.),7 che nacque il Filosofo, del quale ora dobbiamo occuparci.

§ 2. — Per scrivere di quest’uomo straordinario, come richiederebbe l’importanza dell’opera da lui compiuta, la fondazione cioè della civiltà mongola, non basterebbe l’intero volume che noi abbiamo consacrato alle credenze religiose e filosofiche dell’Asia orientale. Laonde non ci sarà fatto carico, se ci terremo a esporre le cose principali e caratteristiche, tanto da non uscire dai limiti stabiliti dall’indole generale del nostro lavoro. Nel narrare la vita del Filosofo cinese saremo dunque brevi; e ci basterà di rimandare alle fonti, o a quegli autori europei, che hanno di lui più ampli ragguagli. Ora, le fonti, da cui hanno attinto ì Cinesi e gli Europei, sono in [p. 300 modifica]primo luogo le opere che si possono riguardare come di Confucio, perchè compilate in parte da lui, o contenenti i suoi pensieri e le sue massime; e tra queste opere specialmente il Lun-yü, del quale in appresso parleremo distesamente. Dopo vengono i filosofi e i letterati che insegnarono scrissero negli ultimi quattro secoli avanti l’era cristiana: primo dei quali Mêng-tse (450 av. C.), o Mencio, come è conosciuto tra noi; Meh-ti suo contemporaneo; Siun-huang suo oppositore in ciò che concerne la natura dell’uomo; Cuang-tse e Lie-tse, seguaci della «Dottrina del Tao», che fiorirono nel iii secolo av. C., ed altri ancora. Dopo viene il più famoso storico della Cina, Sse-ma-thsien, il quale nella sua egregia opera, che porta il titolo di She-ki «Memorie storiche», dedica il Libro xlvii (intitolato Khung-fu shih-kia) a parlar lungamente della famiglia del Filosofo: e il Libro lxvii (intitolato Cung-ni ti-tse lie-cuan) a parlare della scuola confuciana.8 Ma l’opera che più delle altre ha fornito materia per scrivere la vita di questo Savio, è quella conosciuta col titolo Khung-tse kia-yü yüan-cu o più comunemente con quello abbreviato di Kia-yü, [p. 301 modifica]la quale fu compilata da Wang-suh in sul cominciare del iii secolo d. C., e, si crede, da un libro di varii secoli più antico, che portava lo stesso titolo e conteneva molte tradizioni su le dottrine e la persona di Confucio.9 Da queste opere principalmente trassero notizie sulla vita del Filosofo il Couplet, il Noel, lo Schott,10 l’Amiot,11 il Pauthier,12 il Thornton,13 il Legge;14 e finalmente il dotto sinologo Enrico Plath, il cui lavoro intitolato Confucio, la sua scuola, la sua vita e la sua dottrina riuscirà, intorno a tal soggetto, più d’ogni altro utile allo studioso.15

Gli antenati di Confucio erano originarii del reame di Sung, e furono perciò detti Sung-jên o «Gente di Sung». Ecco quel che si narra di loro: Wei-tse Khi, ossia Khi principe di Wei, riparò nel detto Stato di Sung, quando Wu-wang, capo della dinastia dei Ceu, disfece l’ultimo re della stirpe dei Shang. Da questo Wei-tse Khi discese un tal Khung Fu-kia, che si crede [p. 302 modifica]sia il primo antenato della famiglia Khung,16 d’onde nacque Confucio. In quanto poi alla cagione che condusse i Khung nel reame di Lu, un commento, scritto da un contemporaneo del Filosofo, alla cronica di quel regno, dice fosse la seguente. Un gran magistrato della corte dei Sung, avendo veduto per la via la moglie di Khung Fu-kia, il quale anch’egli aveva una carica a corte, se ne innamorò perdutamente, e ucciso il marito, si ebbe la moglie; e preparavasi a sterminare la famiglia, quando i figliuoli di Khung Fu-kia, per fuggire dalle mani di quell’uomo potente, andarono a stabilirsi nello Stato di Lu. Ivi, dopo quattro generazioni, nacque Khung Shu-liang-hsi padre del nostro filosofo, la cui famiglia era già divenuta una delle più illustri del paese. Costui, che era anche uno dei principali magistrati del reame, era ambizioso d’avere un erede maschio; ma la sua moglie legittima non gli dette che nove figliuole: un fanciullo lo ebbe da una sua concubina; ma era così difettoso nella persona e malato, che non prometteva d’essere un valido sostegno della casa. Rimasto vedovo a settant’anni, non ostante la sua età avanzata, volle rimaritarsi per avere l’ambito rampollo, e fece chiedere la mano d’una delle fanciulle della famiglia Yen. Il [p. 303 modifica]padre Yen aveva tre figliuole; e ricevuta la richiesta di Shu-liang-hsi, disse loro: L’uomo che chiede una di voi per isposa è vecchio assai, brutto, volubile, collerico, del peggio carattere possibile, ma è potente e io desidero averlo alleato. Chi di voi tre lo vuole a marito? Le fanciulle stettero zitte un pezzo; finalmente la maggiore, chiamata Wei-tsai, per compiacere al padre, acconsentì a prendere il vecchio vedovo. Un anno dopo le nozze, nella città di Tseu,17 di cui Shu-liang-hsi era magnate, nacque un fanciullo, a cui fu posto il nome di Khiu, e più tardi anche quello di Cung-ni;18 e fu quel filosofo che l’Europa conosce col nome di Confucio (551 av. C.).19 Tre anni dopo il vecchio Khung morì.

La fanciullezza del nostro filosofo è poco conosciuta. I biografi scrivono di lui quel che in generale scrivono sempre della fanciullezza degli uomini che divennero illustri; e quel che tutti i genitori dicono dei loro figliuoli anche quando non divengono, tutto al più, che i padri dei loro nipoti: accennava insomma fin da bambino a diventare un portento. A sette anni incominciò a frequentare la scuola, dove fece quel profitto, che ognuno si può immaginare. A diciannove anni prese in moglie una fanciulla [p. 304 modifica]de’ Kien-kuan, famiglia che abitava il vicino reame di Sung; e un anno appresso ebbe un figliuolo, a cui pose nome Li-yü «Pesce Carpo», o Li Peh-yü: perchè in tale occasione il Signore di Lu gli mandò in regalo un bel pesce Li.20 Giunto all’età di venti anni, Cao-kung, che era allora il sovrano di Lu, gli conferì la carica di Wei-li21 «Ricevitore delle tasse sui pascoli», e quella di Ci-li, «Guardiano delle pecore e de’ buoi destinati a’ sacrificii». Per quanto modesti fossero questi ufficii, e poco conformi alle occupazioni della maggior parte de’ filosofi, egli li adempì con tutta coscienza e grande zelo: con quello zelo, che messe più tardi negli altri ufficii, ben più importanti, di Governatore e di Ministro. Inquantochè, secondo il parere di Confucio, che dovrebbe essere quello di tutti, l’uomo bisogna che faccia sempre il suo dovere; anche quando è un filosofo, una persona di vaglia, a cui sia affidato un ufficio, che stima inferiore ai proprii meriti. Infatti il nostro Cung-ni, quando i suoi conti tornavano, e i suoi animali erano ben pasciuti e grassi, altero d’aver così ben compito l’obbligo suo, provava la stessa sodisfazione di quando escogitava il commento a’ Libri canonici.22

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La morte della madre,23 che avvenne mentre egli era nel suo ventiquattresimo anno, lo indusse a lasciare que’ pubblici impieghi; e per assopire il dolore di quella perdita s’applicò totalmente alla filosofia, ritirato nella solitaria sua casa. Ma a poco a poco quell’asilo divenne il convegno di tutti i giovani amanti del sapere, a’ quali talora era maestro, talora compagno di studio; e la sua fama non tardò eziandio a varcare i confini del suo paese natale. Fu per tal modo che egli cominciò a fondare quella scuola, a cui la Cina è debitrice di una civiltà così durevole. Ne’ discepoli, che fin d’allora s’andò procurando, sopra ogni cosa voleva che predominasse la costanza; «perchè il fardello dell’uomo di lettere è grave, e la via è lunga».24 L’antichità era il suo studio prediletto; e que’ vecchi filosofi e sovrani, padri d’un popolo fanciullo, al quale avevano insegnato i primi passi del viver civile, erano i modelli, a cui s’ispirava. «Innalziamo, diceva egli a’ suoi scolari, l’animo nostro con la lettura delle Canzoni, che ci dipingono la vita dei nostri padri; procuriamo di condurci secondo gl’insegnamenti del Libro dei Riti; e perfezionamoci i sensi con lo studio della musica».25 La musica, che principiò a studiare a ventinove anni sotto il maestro Sih-hsiang, fu una delle sue più gradite occupazioni; e non cessò mai, fin da vecchio, di lodarne la eccellenza, come mezzo di educare lo spirito, e render miti i costumi.26

[p. 306 modifica]Trascorsi dieci anni in mezzo a siffatte occupazioni, ebbe desiderio di far conoscere le sue dottrine oltre la patria, e di estendere così l’efficacia di quelle. Perciò, avendolo il principe di Ceu mandato a invitare a corte, per avere consiglio in certe questioni di cerimoniale, intorno al quale Confucio passava per maestro; questi accettò l’invito del sovrano, e recossi nel vicino reame.27 Un’altra cagione lo mosse a far quel viaggio; e fu che in quel paese abitava un uomo, il quale aveva già fatto dir molto di sè; ed era per la sua scienza salito in gran fama. Costui era Lao-tse, che Confucio, da molto tempo, ardeva di conoscere. Noi abbiamo più avanti fatto menzione del colloquio che ebbero i due filosofi;28 l’uno già inoltrato negli anni, e poco amante della società degli uomini, che non stimava gran fatto degna di troppo seria occupazione; l’altro, giovane pieno d’ardore per ricondurre i governanti e i popoli in sulla via tracciata dagli antichi savii, dalla quale s’erano di gran lunga scostati. Alcuni autori cinesi ricordano i propositi che tennero in quel colloquio, che la tradizione pretende di aver conservato,29 e intorno al quale non possiamo ora trattenerci di nuovo.

Il nostro filosofo ritorna poco appresso in Lu, ma tosto ne riparte per condursi nel regno di Thsi, dove lo invitò il principe King-kung.30 Aveva allora trentacinque anni. Partì con pochi discepoli, ma appena uscito [p. 307 modifica]dalla città, una folla di giovani volle seguirlo. A Confucio non piaceva che costoro trascurassero a quel modo i doveri di figliuoli, abbandonando le loro case e i loro parenti; ma lasciolli fare, senza pertanto incoraggiarli; persuaso che ai più verrebbe meno l’ardore, il quale spesso la gioventù, crede di possedere prima d’aver misurate le proprie forze; e convinto d’altra parte che non mancherebbe, durante il viaggio, occasione d’istruir loro con l’esempio: e l’esempio non mancò. Arrivata ai confini del regno di Lu, la comitiva incontra un uomo che s’era allora allora impiccato a un albero. Lo salvano dalla morte; e Confucio sceso dal carro gli domanda la causa di quell’atto disperato. «Negli anni della mia giovanezza, risponde quell’uomo, non ebbi altra passione che lo studio, altro desiderio che di conoscere, altro piacere che il possedimento della scienza. Lasciai la casa paterna e viaggiai pel mondo. Tornai dotto; ma i miei genitori erano morti; e io non avevo fatto nulla per loro; m’ero arricchito di sapere, ma non avevo sollevato dalla miseria mio padre e mia madre. Sono un filosofo, mi dissi, andiamo alle corti a consigliare i principi e i ministri; ma i principi e i ministri si godevano la vita, e si burlarono di me. Degli amici ne avevo molti; mi rivolsi a loro; eglino, pensai, apprezzeranno la mia scienza, mi stimeranno, o almeno mi saranno larghi di consolazioni. Ma nessuno più si ricordava di me, o voleva ricordarsene. Ritornai in patria; ero vecchio, senza figliuoli, senza amici; tormentato dai rimorsi per la mia condotta passata, disperato per l’avvenire, tentai uccidermi». — Confucio consolò come potè quell’infelice; poi rivoltosi ai discepoli disse loro: avete udito, miei giovani amici, le parole di quest’uomo? Vi siano esse d’ammaestramento. — Quindi risalito in carro proseguì la strada. [p. 308 modifica]verso il paese di Thsi, accompagnato da pochi, mentre i più se ne andarono alle case loro.31

Confucio non fece ritorno nel paese di Lu che all’età di quarantatrè anni (508 av. C.). Quello Stato era allora in pieno disordine, a cagione del mal governo; e specialmente per opera di un tal Yang-hu, gran dignitario che tentava usurpare il potere sovrano; laonde il nostro filosofo si tenne lontano da tutti i pubblici affari, e si dette nuovamente ai suoi studii prediletti; e in particolare modo a interpretare e illustrare lo Shih-king, lo Shu-king e il Li-ki, e a coltivare la musica. Egli passò così nove anni in mezzo a molti discepoli; quando le cose del governo volgendo al meglio, si decise ad accettare la carica di Governatore di Cung-tu,32 che gli offrì Ting-kung, allora principe di Lu (499 av. C.). Dopo un anno fu fatto «Soprintendente ai Lavori pubblici» (Sse-kung) e poco appresso «Supremo amministratore della Giustizia» (Ta-sse-keu), carica che tenne dieci anni, quindi fu creato Ministro di Stato. Erano appena tre mesi che egli amministrava la cosa pubblica, che il paese di Lu, dicono le storie, ebbe un governo perfetto, sì che gli Stati vicini lo presero tutti a modello.

Dopo questo breve periodo di vita ufficiale, Confucio volle intraprendere un nuovo viaggio fuori de’ confini del suo paese, affine di vedere come i governi dei piccoli reami, che allora costituivano la Cina, si mantenessero fedeli alle dottrine, che egli dapprima aveva loro insegnate con la parola, poi coll’esempio. Ma non ebbe molto a lodarsi di questo suo proposito. Visitò molte [p. 309 modifica]corti, fu onorato secondo il suo merito; ma si accorse eziandio che principi, ministri, magistrati, eran lontani dal governare e amministrare con quella rettitudine, che egli avrebbe voluto. La virtù era, se vuolsi, apprezzata da quasi tutti in teoria, ma in pratica il vizio era sempre il preferito, e regnava nella corte come nella piazza. Dopo diverse vicende, che ebbe durante il viaggio, disingannato e scorato tornò in patria all’età di anni sessantotto. Non volle più immischiarsi in cose di governo, non volle ufficii di sorta; e attese soltanto a studiare gli antichi, le cui virtù disperava oramai di far rinascere. Fu in questo tempo e negli ultimi anni di sua vita, che egli s’applicò al Li-ki, corresse e ordinò le odi dello Shih-king, scrisse intorno all’Yi-king, continuò ad occuparsi di musica; e da ultimo compilò la storia del reame di Lu (479 av. C.): due anni dopo compiuto questo suo lavoro, morì in età di settantatrè anni (477 av. C.).33

§ 3. — La vita di questo savio, di cui può andare orgogliosa non solo la Cina, ma l’umanità, non presenta, come s’è veduto, nulla di straordinario. Se si eccettua quella parte data agli studii, il restò può essere la vita menata da qualsiasi onesto funzionario pubblico. Quel che reca maraviglia è appunto tanta semplicità: è la [p. 310 modifica]quasi assoluta mancanza d’alcuno di quei fatti, che si riscontrano nella vita di que’ pochi, i quali diventarono come la incarnazione d’un’intera civiltà. Quest’uomo, senza darsi per una natura superiore, senza allontanarsi dalla società dei suoi simili, e starsene in una prudente e misteriosa inazione, senza parlare di cose arcane in un linguaggio incompreso dai più; ma al contrario, con parole intese da tutti, parlando dei doveri di tutti, e praticandoli il primo, riusci a trasformare un popolo, e a protrarre l’efficacia dei suoi insegnamenti per circa ventiquattro secoli. Un tal fatto, che per noi può essere inesplicabile, è tuttavia un di quei fenomeni, co’ quali la Cina ha non di rado maravigliato il mondo occidentale. Ma l’uomo è uomo da per tutto; e se le persone assennate dell’Impero di Mezzo accettano Confucio quale è nella storia; neppure il volgo di quel paese può ammettere che uno, il quale ha fatto cose non comuni, non debba aver fatto anche dei prodigi; o che almeno qualche prodigio non debba avere annunziato la nascita dell’uomo straordinario: perciò come la vita del Buddha, così quella di Confucio fu abbellita dalla leggenda. Ma l’immaginazione cinese non è molto fervida, in fatto di tali produzioni, onde la leggenda di Confucio, in paragone di quella del Buddha, è davvero meschina. Tutto si riduce a far discender il filosofo da un lungo ordine di magnanimi lombi, che va fino a’ tempi favolosi; a farlo nascere in virtù d’uno dei tanti genii, che animano la natura; e a certe apparizioni strane il giorno della nascita. In un libro, scritto nel iv secolo dell’era nostra, e che porta il titolo di Shih-i-ki, nel qual l’autore vuol fare intendere d’aver registrate le cose omesse negli annali dell’Impero, si trova la breve leggenda della vita del Filosofo, che io riporto qui sotto; e che credo che sia la più [p. 311 modifica]antica; imperocchè spesso è citata in questa forma dagli autori, i quali dicono d’averla tolta dal detto libro.

«Si narra dunque che una fata, per nome Kien-ti, in sul cominciare della dinastia dei Shang (1766 a. C.) passeggiando per un campo di gelsi vide un uccello nero deporre in terra un uovo bellissimo, ornato di mille fregi de’ più vaghi colori. Essa lo raccolse, e lo messe in un paniere che copri ben bene. La notte sognò la mamma delle fate, che le disse: Cova quest’uovo e nascerà un santo, che sarà il continuatore dell’aurea virtù de’ vecchi. La donna covò l’uovo, e dopo un anno si trovò incinta, e passati altri quattro mesi partorì un figliuolo che fu chiamato Khi».34 Costui appunto è tenuto per il fondatore della famiglia Khung, da cui nacque il Filosofo: egli è una persona storica, essendo figliuolo di Chêng-thang, primo imperatore della stirpe dei Shang, il quale discendeva in diciottesima generazione da Huang-ti (2600 av. C.); e quella fata Kien-ti non è che la seconda moglie del detto sovrano. In questo modo il nostro Confucio verrebbe a discendere in linea retta da colui, che è il primo nella serie cronologica degli Imperatori della Cina; e la famiglia Khung, la quale esiste anche oggi e gode di certi privilegi, conterebbe circa 4000 anni d’antichità e 12,000 discendenti maschi. In quanto al nome di Khung, ecco come ebbe origine. Un’altra opera cinese, narrando un po’ diversamente il fatto dell’uovo, dice che Kien-ti, moglie dell’imperatore Chêng-thang, avendo ingoiato un uovo di rondine, partorì un figliuolo che fu chiamato Khi, e al quale fu poi dato anche il nome di Tse e il soprannome di Yi; ora, da Yi e Tse venne il nome di Khung.35 [p. 312 modifica]Da yi e tse venne khung? domanderà il lettore, quasi spaventato, non ostante che abbia dinanzi agli occhi i miracoli della moderna linguistica! — È da rispondere, che bisogna fare attenzione al significato e non al suono: yi, che significa volgarmente «unità», è uno dei tanti nomi che si danno alla rondine, tse poi vuol dire «figliuolo; e yi-tse», figliuolo di rondine; come infatti Khi aveva diritto d’esser chiamato, se la sua nascita accadde a quel modo. Ora, il carattere cinese che si pronunzia khung è propriamente formato di due parti, le quali separatamente formano le due parole monosillabiche yi e tse «figliuolo di rondine». Se poi si troverà curioso, anzi assurdo, il fatto, che due caratteri che separati si pronunziano yi e tse, riuniti in un solo si pronunzino khung; io mi contenterò di scusarmi come soleva un sinologo, del resto valentissimo, quando gli venivano fatte delle osservazioni sulla stranezza della lingua dell’Impero di Mezzo: «Che volete, diceva, non son io che ho fatto il Cinese».

Comunque sia, questa è l’origine favolosa della famiglia del Filosofo di Lu; e, si sa, nella favola, e pur troppo anche in altre faccende di questo mondo, non bisogna pretendere che tutto vada come vorrebbe il buon senso. Torniamo alla leggenda. «È notte: e sulla casa, dove era Wei-tsai, la futura madre del filosofo, si posano due Draghi, scesi dall’alto dei cieli; e allora Wei-tsai ebbe un sogno, in cui gli fu rivelato, che ella doveva partorire il Savio. Due fate vengono con profumi a purificare la donna. L’Imperatore celeste discende in terra: e dal mezzo dei quattro punti cardinali si ode una musica soave, che invade la stanza di Wei-tsai; e una voce nello spazio va gridando: — Il Cielo si commuove, nasce il Santo; e questo suono inusitato di flauti e di campane accompagna la sua venuta. — [p. 313 modifica]cinque vecchi venerandi presero posto nella corte della casa: erano, le essenze dei cinque pianeti. Intanto un Khi-lin36 aveva gettato dalla bocca una tabella di pietra preziosa con uno scritto che diceva: — Questo figliuolo dell’essenza del secondo elemento,37 sarà l’ideale de’ sovrani che succederà alla cadente dinastia dei Ceu: perciò i Draghi si sono aggirati intorno a questa casa, e le cinque stelle sono scese nel cortile. — Wei-tsai conobbe chiaramente che tuttociò era un prodigio divino; e volle ornare le corna del Khi-lin con nastri di seta, sperando di trattenerlo seco; ma il Khi-lin fuggì via. Quelli che erano presenti al fatto dissero: — Il savio, che nascerà, essendo progenie di Chéng-thang, il quale esercitò la sovranità sotto l’influsso dell’acqua, sarà anch’egli un re in ispirito.38 — In sul finire del regno di King-wang dei Ceu, il 24º anno di Ting-kung principe di Lu, un uomo di quel paese per nome Thsu-shang, trovò per una gran palude un Khi-lin. Confucio lo condusse seco legato per le corna, e poco dopo accortosi il Filosofo, che la sua vita era al termine, dopo avere sparse molte lacrime, lasciò che quell’animale se ne partisse».39

[p. 314 modifica]Intorno poi a’ nomi di Khiu e Ni, che furono dati a Confucio, la leggenda racconta, che Wei-tsai domandò al vecchio consorte il permesso di fare un pellegrinaggio al colle (khiu) chiamato Ni,40 per raccomandarsi al Genio di quel luogo, che le desse un figliuolo maschio; e infatti dopo nove mesi da che s’era allontanata dalla casa maritale, partorì per intercessione di quello Spirito un fanciullo, a cui fu imposto il nome di Khiu Cung-ni, che in italiano suonerebbe presso a poco: «Ni il secondogenito detto Collina».41 Ma i più, per togliere ogni cagione di men che onesto pensiero sul conto della madre del filosofo, dicono che il pellegrinaggio al monte [p. 315 modifica]Ni, per invocare il Genio del luogo, lo fecero insieme marito e moglie: ed è inoltre asserito, che mentre essi salivano la strada del monte, le foglie degli alberi e delle erbe si ergevano, e mentre essi scendevano, le dette foglie si abbassavano, come per salutare quella coppia di sposi. Secondo altri poi, e specialmente secondo gli storici indigeni che sdegnano tali favole, il nome di Khiu fu dato al fanciullo, perchè aveva una fronte assai prominente, da farla rassomigliare a una collinetta.42

§ 4. — Non ostante che la dottrina di Confucio fosse, com’egli stesso dice, semplice e tale da penetrare da per tutto;43 sì da poterla compendiare nella massima: «si adoperi ognuno a far l’obbligo suo, ed abbia ognuno per gli altri l’amore che ha per sè stesso»;44 pure ebbe dapprincipio molti ammiratori, ma pochi seguaci; o almeno pochi sinceri osservanti di quella sublime verità. Dall’elogio enfatico che fa di lui un suo nipote, figliuolo di quel Li-yü che nominammo più sopra,45 parrebbe che il nome di Khung-tse avesse presto riempito il mondo intero. «Le sue facoltà, dice egli facendo il ritratto del savio perfetto, col quale vuole personificare Confucio, le sue facoltà sono tali che si possono paragonare a una [p. 316 modifica]immensa sorgente, da cui ogni cosa procede a suo tempo: egli si può paragonare al Cielo e alla Terra, che contengono e nutrono tutti gli esseri. L’ascosa origine, da cui proviene la sua profonda dottrina, è come l’abisso. Se egli si mostra con la sua possanza, il popolo non può fare a meno di venerarlo; se egli parla, il popolo non può che aver fede nelle sue parole. Laonde la fama delle sue virtù è un oceano, che inonda per ogni verso l’impero; che si estende ai barbari del mezzogiorno e del settentrione, e da per tutto dove le barche o i carri possono andare, dove l’industrie umane hanno penetrato: in ogni parte della terra che il sole illumina».46 Come profezia, le parole del contemporaneo e parente del Filosofo si possono dire avverate; ma se con esse si allude alla fama, che si era acquistata in vita, poco dopo la morte, oltre alla esagerazione rettorica quelle parole contengono anche un errore storico. Durante la vita di Confucio nessuno dei principi che governavano gli Stati cinesi, volle ascoltare le sue dottrine, nè mettersi sulla via da lui tracciata: ed egli pur voleva che dai sovrani incominciasse una nuova èra di moralità per la Cina; poichè senza il loro esempio non credeva che il popolo si potesse convertire alla virtù. — Le dottrine confuciane principiarono a divulgarsi e a pigliar vigore, soltanto dopo che l’ordinamento della Cina venne affatto mutato da un generale rivolgimento politico, di cui terremo parola fra poco.

I discepoli che ebbe Confucio si contano a centinaia, dicono i biografi. Fra essi, settantadue, oppure, secondo altri, settantasette o settantanove, si distinsero più di [p. 317 modifica]tutti; e i loro nomi sono anc’oggi ricordati.47 Dieci però fra quest’ultimi sono stimati più illustri, e sono detti i «Dieci Savi», Shih-ce:48 sicchè fan riscontro a «Dieci Sthavia», o ai dieci più famosi discepoli del Buddha. Ma il più celebre campione della scuola di Confucio, il Savio, che nel culto officiale della Cina, nel tempio consacrato alle lettere, occupa un posto accanto al gran filosofo, e che è ben degno di tanto onore, nacque circa un secolo dopo la morte di lui. Questi è Mencio, per chiamarlo, anch’esso, come in occidente è conosciuto il cinese Mêng-tse, ossia «Il filosofo della famiglia Mêng». Nacque nella città di Tseu-hsien,49 poco distante dal luogo dove nacque Confucio, ed ebbe nome Kho, e il soprannome di Tse-yü o Tse-chê.50 Gli storici non registrano l’anno preciso della nascita nè della morte di Mêng-kho; ma dalle memorie della famiglia Mêng si rileva, che questo filosofo venne al mondo il 4º anno del regno di Lieh-wang dei Ceu (371 av. C.); e morì il 15º giorno, 1º mese, 26º anno del regno di Nan-wang [p. 318 modifica]di quella stessa dinastia (288 av. C.), in età di ottantaquattro anni.51

Il padre di Mencio morì mentre il figliuolo era in tenerissima età; e tutta l’educazione di lui è dovuta alla madre, la quale vi pose ogni sollecitudine. Narrasi fra le altre cose, che essa s’indusse a mutare più volte d’abitazione, per evitare i mali esempi del vicinato. Dapprima abitava presso un macellaro; e se ne allontanò per non assuefare il figliuolo alla vista de’ poveri animali, che si uccidevano e squartavano. Andò a stare presso un cimitero; ma il giovanetto s’avvezzò così bene a contraffare coloro che andavano a piangere su le tombe dei loro estinti; che la madre dovette andar via anche di là, per timore che prendesse il mal vezzo di burlarsi delle cose sacre. Non trovò di meglio che cercar casa in vicinanza d’una scuola; e non ebbe a pentirsene; perchè il giovane, preso dalla voglia d’andarvi anche lui come gli altri, si dette con amore allo studio. Cresciuto in età e in senno, si fece discepolo di Tse-sse, nipote di Confucio; e quando sotto la sua disciplina fu diventato anch’egli maestro, seguendo un’usanza già antica, incominciò i suoi viaggi per le corti de’ piccoli Stati: dove offriva in servigio la propria dottrina, e discuteva di morale, di politica e di filosofia. Ma i tempi non volgevano propizii a tali occupazioni. La Cina era in quel tempo divisa in sei reami, (quegli di Thsu, di Yen, di Thsi, di Han, di Cao e di Wei), rivali e nemici l’un dell’altro: e l’arte della guerra era perciò stimata al di sopra d’ogn’altra. Mencio non fu dunque più fortunato di Confucio, coi suoi contemporanei; e le sue dottrine fiorirono anch’esse più tardi, con quelle del filosofo di Lu, quando [p. 319 modifica]la Cina ebbe un poco di pace, dopo la distruzione dei regni feudatarii. Degli scritti di questo Savio, che formano il quarto dei Libri classici, tratteremo nel seguente capitolo; ora è mestieri riprendere il filo della nostra esposizione, e ritornare al Maestro.52

§ 5. — Se Confucio ebbe in vita il dolore, che fu quel che più amareggiò la sua esistenza, di vedere inefficaci i suoi insegnamenti a correggere il vizio;53 non gli mancarono pertanto la stima e l’affetto dei suoi concittadini: stima ed affetto che col tempo si trasformarono in culto, che divenne poi nazionale. Questo culto non varcò dapprima gli stretti confini del reame di Lu; ma a poco a poco il tempio, in cui fu convertita la casa che vide nascere il filosofo,54 divenne un luogo di [p. 320 modifica]pellegrinaggio, dove accorrevano i dotti, i grandi e i principi degli Stati vicini; e l’anno 192 av. C., per la prima volta l’imperatore stesso, il fondatore della dinastia degli Han, andò in Lu a offrir sacrifici sulla tomba del Saggio; e dopo di lui altri di quella e delle altre famiglie reali ne seguirono l’esempio.

I templi si andarono moltiplicando; e circa l’anno 630 d. C. s’incominciarono ad erigerne di struttura particolare; ma sempre annessi ai collegi, alle scuole e ai luoghi, dove facevansi i pubblici esami. Nella sala di questi templi, che si veggono oggi in ogni parte della Cina, sta nel luogo principale una tavoletta col nome e il titolo onorifico del Savio,55 e qualche volta l’imagine stessa; [p. 321 modifica]poi altre tabelle, coi nomi degli antenati di lui, dei principali discepoli, e di coloro che si resero più celebri nelle lettere. Nel primo giorno di ciascun mese si fanno offerte di frutta e vegetali; e nel quindicesimo giorno si bruciano solennemente incensi. Il collegio imperiale che trovasi nella capitale della Cina, ha anch’esso un simile tempio; e il monarca in persona prende parte alla cerimonia, che vi si fa due volte l’anno. Il Figliuolo del Cielo, in tale occasione, s’inginocchia dinanzi alla tabella col nome del filosofo Khung, batte sei volte la testa in terra, ed esclama: «Grande sei tu, o perfettissimo Saggio! la tua virtù è piena, sublime la tua dottrina. Tu, onorato da tutti i re, sei il più grande de’ mortali. O patrono di questa scuola imperiale, [p. 322 modifica]accetta i vasi sacrificiali che ti poniamo dinanzi; mentre compresi di rispetto facciam risuonar le campane e i timpani». Deposte le offerte di vario genere, un ufficiale legge il seguente: «In questo mese... ed anno..., l’Imperatore offre sacrificii al filosofo Khung, l’antico maestro, il saggio perfetto, e dice: — O maestro, che per virtù sei eguale al Cielo e alla Terra! o filosofo, la cui dottrina abbraccia il presente e l’avvenire! che compilasti e ci desti in retaggio i Libri sacri, a perpetua istruzione di tutte le generazioni; oggi secondo mese di primavera (o autunno), in reverente osservanza degli antichi statuti, con vittime, seta, vino e frutta, umilmente ti ossequio. Con te intendo onorare insieme il filosofo Yen, tuo continuatore, il filosofo Tsêng, espositore dei tuoi principii immortali, il filosofo Tse-sse, trasmettitore di quelli, e il filosofo Mêng, che è come un secondo te stesso. Ti possano esser grate le nostre offerte, o sovrano filosofo!».56

§ 6. — Torniamo a dire degl’intendimenti di Confucio. Questo filosofo, commosso e addolorato in veder la nazione divisa dalle discordie, lacerata dall’ambizione dei principi, caduta in basso per la malvagità d’ogni classe di persone, volle far risplendere agli occhi di tutti gli esempii dell’antichità: di quell’età dell’oro, dai costumi semplici, che dette nascimento a tanti uomini virtuosi e savii. Egli credette che la società del suo tempo si sarebbe lasciata sedurre, come lui, da quella luce che veniva di così lontano, ed era pertanto sì splendente; e a quella avrebbe saputo riconoscere lo smarrito sentiero, entrare di nuovo nella retta strada e non dipartirsene più. Vana [p. 323 modifica]speranza! I difetti degli antichi tempi erano già diventati vizi ai tempi di Confucio;57 e la sua dottrina che predicava l’umanità, l’onestà, la giustizia, fu del tutto inefficace a ripristinare l’ordine sociale. La Cina dopo di lui andò di male in peggio. Il filosofo, fattosi storico, volle con la pittura del disordine politico della sua patria mostrare l’abisso, in cui essa stava per cadere; e il disordine invece si mutò in anarchia; ci fu un tempo, in cui l’Impero di Mezzo non aveva più governo. «I popoli barbari dell’oriente e del settentrione, esclama il Filosofo, hanno i loro capi; e il popolo cinese non ha ormai più sovrano!».58 Se la nazione fosse stata già costituita politicamente, e se non vi fossero state più cagioni di temere discordie interne o nemici stranieri; allora la virtù e la giustizia, o le apparenze della virtù e della giustizia avrebbero certo contribuito a render più solide le basi della società e dello Stato. Ma in quel tempo i molti principi de’ piccoli reami della Cina non avevano utilità di mostrarsi virtuosi, nè timore di apparire tiranni; volevano solo soverchiarsi a vicenda con la forza per usurpare il potere supremo, o almeno ingrandire i proprii dominii. Le dottrine di Confucio erano come semi buttati dall’alto, in tempo di gran tempesta: trasportati dal turbine, non arrivavano in terra, e non potevano germogliare. Venne però un uomo che preparò il terreno; e al quale la Cina dovrebbe tanta venerazione, quanta a Confucio stesso. Costui, è vero, trucidò i letterati, bruciò i libri, distrusse le scuole; ma fece l’unità dell’Impero cinese: e passata la bufera politica, e tornata la calma, la filosofia e le lettere poterono fare la loro opera di civiltà [p. 324 modifica]e di progresso. Quest’uomo, a cui alludo, era uno dei principi dei varii regni, in cui allora si divideva la Cina: di quello di Thsin, che era tra’ più grandi. Chiamavasi Cêng-shih; ambiziosissimo, secondo alcuni, e progenie d’un cocchiere, il quale riuscì a sedere sul trono dell’antico padrone; secondo altri, invece, di stirpe reale, coraggioso e amante del suo paese. Plebeo o nobile, animato da ambizione o da patriottismo, fece un’opera grande, ch’ebbe resultati immensi pel benessere e la prosperità di una grande nazione; e la storia può senza esitare registrarne il nome tra’ suoi più illustri. A noi non spetta narrare qui le gesto di questo monarca famoso; solo c’incombe l’obbligo di menzionare il fatto, che rese odiosa la sua memoria ai dotti della Cina e dell’Europa: l’incendio dei libri, che avvenne per suo comando. Ma non posso lasciar di notare, che, distrutti i feudi e riuniti sotto uno stesso scettro i varii reami, stabilì un governo solo e un’amministrazione uniforme a tutto l’Impero; il quale estendevasi dal Deserto di Gobi al Mar Giallo, dalla Corea al Tonkino: costruì strade per mettere in comunicazione le più lontane provincie, fece un’accurata statistica generale dei suoi Stati, e innalzò una muraglia, che si vede anc’oggi, e si prolunga per circa venti gradi di longitudine, affine di difendere il paese dai nomadi del settentrione: l’anno 221 av. C. prese il titolo di Thsin Shih-Huang-ti, o «Augusto Primo imperatore della Cina».

Thsin Shih-Huang-ti sarebbe stato volentieri l’amico dei letterati; ma i letterati non lo vollero per tale. Egli non somigliava a Yao nè a Shun; non aveva nulla che ricordasse Wên-wang o Wu-wâng; il Khi-lin, quest’animale favoloso, che a dir dei Cinesi si fa veder per le campagne, quando siede sul trono un sovrano, il quale [p. 325 modifica]tiene in conto la vita dei sudditi, e abborre dalle uccisioni e dalle stragi, non era davvero apparso durante il regno di quel monarca. Egli doveva essere adunque il nemico naturale dei letterati e dei filosofi; e costoro non mancarono di fargli guerra, secondo le loro forze, con la lingua e con gli scritti; e il sovrano, con la spada e col fuoco. Le storie riportano una lunga serie di rimostranze, fatte al re, da que’ severi censori, in ogni tempo, in ogni occasione, per la condotta di lui non conforme a’ sempre lodati savii dell’antichità; rimproveri continui, e continui impedimenti allo spedito proceder per la via ch’egli si era prefissa, i quali avrebber fatto perder la pazienza a qualunque uomo, non che a un sovrano, che non avesse in mente un gran concetto da porsi in atto in breve volgere di anni. Finalmente un celebre ministro chiamato Li-sse, in un suo discorso, pronunziato contro quegl’importuni inquisitori della condotta sovrana, propose al re un rimedio energico. «Questi uomini di lettere, esclamò egli concludendo il suo dire, pieni di sè stessi, e del preteso lor merito, che ammirano dell’antichità fin le sciocchezze, che non vedono d’utile cosa alcuna, tranne quella scienza, per la quale si stimano superiori a tutti, ma che in realtà rende loro le persone più inutili del mondo; costoro, dico, si fanno forti dell’autorità dei libri, e da essi tolgono quella iattanza che li rende veramente insopportabili agli altri; siano tolte loro adunque quelle vecchie scritture: si distrugga coi libri la potenza dei letterati, e se ne abbatta, per tal mezzo, l’orgoglio».59

[p. 326 modifica]Il ministro non parlò a sordo. Thsin Shih-Huang-ti, nel trentaquattresimo anno del suo regno, venticinquesimo del ciclo (213 av. C.), emanò un decreto, dove ordinava che si gettassero alle fiamme tutte le copie che allora esistevano del Shih-king, del Shu-king, e d’altri scritti della scuola confuciana; e coi libri i letterati che non ubbidissero ai comandi imperiali; e trafugassero o nascondessero alcuno di quei libri scomunicati. Il decreto fu severamente eseguito, e si pose in opera ogni mezzo, perchè la distruzione riuscisse compiuta; e non mancarono coloro, i quali piuttosto che cedere ai cenni barbari del sovrano preferirono la morte. Quattrocento sessanta letterati perirono così nelle fiamme, che consumarono tutto il tesoro letterario raccolto fino allora. Alcuni libri non vennero pertanto compresi nell’editto di distruzione; e questi furono i ricordi storici della stirpe dei Thsin, i libri che trattavano di agricoltura, quelli di medicina, e l’Yi-king, il solo libro canonico che trovò grazia appo il re. Imperocchè Thsin Shih-Huang-ti, come altri valorosi capitani dell’antichità, era superstizioso; e venerava quelle pagine che erano e sono anche oggi il fondamento della scuola degl’indovini e degli auguri; i quali si mostrarono sempre compiacenti a predirgli un avvenire a suo modo, e a comporgli un beveraggio che doveva renderlo immortale; il che non gl’impedì di passare agli eterni riposi, nell’ancor giovane età di dieci lustri, l’anno 210 av. C.

Dopo i fatti che abbiamo narrati, ci potrem domandare, come fu egli possibile raccogliere nuovamente le opere e gl’insegnamenti del filosofo Khung-tse; e qual sia la storia di que’ volumi che contengono tali scritture; i quali stampati a centinaia di edizioni e a molte migliaia di copie circolano da varii secoli fra’ Cinesi, e non [p. 327 modifica]sono oramai rari neanche in Europa. Fare questa storia sarebbe far gran parte della storia letteraria della Cina, la qual cosa ci condurrebbe troppo fuori di strada. Dovrò dunque contentarmi di esporre solamente la storia del ritrovamento degli antichi testi, quale è generalmente narrata dagli autori cinesi, senza occuparmi delle vicende, a cui soggiacquero in appresso, fino ad assumere quella forma, in cui oggi si leggono. Il modo con cui queste opere furono ritrovate, non soddisfarà forse appieno i critici d’Europa; ma questo a me non cale; inquantochè il mio ufficio è di esporre i fatti quali sono, meglio, quali sono stati riferiti dagli autori indigeni. Soltanto noterò che i Cinesi sono anch’essi buoni critici in fatto di storia letteraria; e non accettano un’opinione senza prima averla esaminata e discussa. Essi non credono far torto a Confucio, nè diminuire l’efficacia delle sue dottrine, se esprimono dei dubbii intorno ad alcuna parte d’alcuna delle scritture generalmente ammesse per canoniche: la critica severa dei testi sacri non pone i dotti addirittura fuori della scuola ortodossa, per diminuire o annullare in tal modo l’autorità delle loro opinioni; come avviene in altri paesi, dove la civiltà ha fatto più progressi che in Cina. Cu-hsi, per esempio, l’editore e il comentatore dei libri confuciani, in quella forma che è oggi più comune, nega l’autenticità dello Shu-king, e per tanto non è posto all’indice. Inoltre è difficile trovare in tutta la storia delle religioni, che uomini libri non abbian sofferte peripezie tali da mettere in pericolo la loro esistenza; e come si salvò dalla strage degl’innocenti, per fortuna, Gesù, così, a più forte ragione, possono essere scampati dalla persecuzione feroce di Thsin Shih-Huang-ti pochi volumi scritti. Ecco intanto come i Cinesi dicono che furono ricuperati.

[p. 328 modifica]§ 7. — Degli Wu-king e dei Sse-shu, ossia dei «Cinque libri Canonici» e dei «Quattro Classici», i quali compongono le Scritture sacre della Cina, tratteremo ne’ due Capitoli che seguono. Ora, per intendere quel che sarem per dire, intorno al loro ritrovamento dopo l’ecatombe letteraria di Thsin Shih-Huang-ti, è necessario almeno enumerarli. I Cinque libri Canonici dunque sono: «Il Libro delle Istorie» Shu-king, che abbraccia la storia cinese dall’imperatore Yao ai sovrani di Ceu; «Il Libro dei versi», Shih-king, che raccoglie tutte le canzoni che correvano per la bocca del popolo a’ tempi di Confucio, e nei secoli avanti; «Il libro dei riti» o Li-ki; «La cronica del reame di Lu», che ha il titolo di Chun-thsiu; e l’Yi-king, che intanto, traducendo alla lettera il titolo, ci contenteremo di chiamare «Il libro de’ mutamenti». I Quattro classici o i Sse-shu sono: 1º il Ta-hsio, 2º il Cung-yung, 3º il Lun-yü, e 4º l’opera di Mêng-tse; per la natura del loro contenuto non possiamo definirli in poche parole: ma per ora basta conoscerli solo di nome. Confucio è tenuto generalmente per autore o compilatore di quasi tutte queste opere (eccetto naturalmente il libro di Mêng-tse, ed anche il Cung-yung). Nondimeno il Li-ki sembra certo essere una produzione posteriore; e degli altri King non è bene stabilita la parte che ebbe il nostro filosofo, come compilatore, ordinatore, o comentatore dei testi sacri.

Questa divisione dei libri, venerati dai Cinesi come il più gran monumento della loro civiltà, è quella usata oggigiorno, ed è anche la più antica. Ma non fu però sempre la stessa; ed una volta le scritture sacre si indicavano tutte col nome di Kiu-king, cioè a dire i «Nove King»; ed erano i l’Yi-king, ii lo Shih-king, iii lo Shu-king, iv il Ceu-li, o rituale della dinastia dei Ceu, [p. 329 modifica]v l’I-li, altra opera sul cerimoniale, vi il Li-ki; vii, viii e ix tre edizioni diverse, con diverso comento, della Cronica di Lu, o Chun-thsiu, l’una dovuta a Tso-khiu Ming, l’altra a Kung-yang Kao, la terza a Kuh-liang Cih. Nella famosa compilazione dei classici fatta per ordine dell’imperatore Thai-tsung dei Thang (627-649 d. C.), la quale venne in luce durante il regno del suo successore Kao-tsung (650-684), le scritture furono ordinate in xiii king così distinti; i Yih-king, ii Shih-king, iii Shu-king, iv, v, vi i tre surriferiti cementi del Chun-thsiu, vii Li-ki, viii Ceu-li, ix I-li, x Lun-yü, xi Erh-ya, che è un antichissimo lessico della lingua cinese, xii Hsiao-king, ossia il «Libro dell’amor filiale» e finalmente xiii il libro di Mêng-tse. In appresso gli scritti di Mêng-tse, il Lun-yü e il Hsiao-king furono tolti dai king propriamente detti, e insieme col Ta-hsio e il Cung-yun fecero i «Piccoli king»; in appresso si ritornò all’antica divisione, che abbiamo riferita di sopra. Questa raccolta, eccettuatine i libri dell’Yih-king, costituì l’antica letteratura, o le opere capitali di essa, che le fiamme accese dall’ira del primo imperatore assoluto della Cina tentarono invano distruggere; per distruggere al tempo stesso i nemici di quell’unità nazionale, che non era fra i concetti dei savii dell’antichità, de’ quali que’ vecchi testi cantavano le lodi.

Ora dunque al tempo di questa distruzione delle memorie antiche, e di questa persecuzione ai letterati e ai filosofi, si adoperava ogni strattagemma per sottrarre dal fuoco alcuna di quelle venerate scritture. I luoghi preferiti per nascondere i libri condannati dall’editto imperiale, libri che allora erano scritti in tavolette di bambù,60 [p. 330 modifica]erano nell’interno de’ muri delle case. Così avvenne per una copia dello Shu-king, un’altra del Hsiao-king ed una terza del Lun-yü; le quali furono in tal modo nascoste, da alcuni discendenti di Confucio, murandole nelle pareti dell’antica abitazione del Filosofo.61 Caduta la dinastia degli Thsin, i primi imperatori di quella degli Han rivolsero la loro attenzione a ricuperare le produzioni dell’antica letteratura nazionale. Il decreto di Thsin Shih-Huang-ti fu abrogato da Hsiao-hui Huang-ti, secondo imperatore degli Han, nel quarto anno del suo regno (190 av. C.); e da quel tempo, coloro che erano riusciti a salvare alcun testo, e a scampare dalla morte che puniva i disobbedienti all’ordine del sovrano di Thsin, si posero all’opera per ricercar liberamente i loro tesori. Un tal Fu-shêng, letterato, che era riuscito così a campar dal rogo sè e una copia dello Shu-king, o «Libro delle Istorie», pose tutta la sua cura nello studio di quello. Alquanti anni dopo, l’imperatore Hsiao-wên-ti (163-156 av. Cr.), avendo invano fatto ricercare dappertutto un testo di questo libro, venne a sapere di Fu-shêng. Il quale subito ebbe invito di recarsi a corte, per mettere a profitto l’opera sua, e ricuperare in parte col suo aiuto e i suoi studii le Memorie storiche della nazione cinese; ma Fu-shêng, che era vecchio di novant’anni, non potè sodisfare al desiderio del principe. Questi allora gli mandò un messo, perchè scrivesse quel che il letterato diceva [p. 331 modifica]intorno al detto Libro; ed infatti Fu-shêng, che lo sapeva quasi tutto a mente, lo dettò a costui. La pronunzia del vecchio letterato, a cagione della età decrepita, era così poco intelligibile, che una sua figliuola spiegava a mano a mano all’inviato del sovrano quel che il padre voleva dire. Ma cotesta figliuola parlava il dialetto del paese, non bene inteso dal messo; per guisa che può immaginarsi facilmente gli errori, che incorsero nella compilazione di 22 o 23 capitoli dello Shu-king, che egli riusci a questo modo di mettere insieme. Stando così le cose, si ebbe notizia, che nel reame di Lu, mentre si demoliva la casa di Confucio, per ingrandire il palazzo del principe, furono trovati, nascosti e murati nelle pareti di quella, un antico testo delle istorie, contenenti i libri che riguardavano le memorie di Yu, e quelle delle dinastie degli Hsia, de’ Shang e de’ Ceu, e inoltre un testo del Lun-yü e un altro del Hsiao-king: tutti scritti in que’ caratteri conosciuti col nome di Ko-teu, o «Scrittura de’ Rospi».62 Quella scrittura, allora, non la intendeva più nessuno, essendo da molti anni caduta in disuso; ma aiutandosi coi libri dettati da Fu-shêng e dalla sua figliuola, i dotti di quel tempo poterono giungere a decifrare le tavolette, che contenevano le Memorie storiche, correggendo gli errori incorsi nella prima compilazione. Così si ottenne l’antico testo dello Shu-king, conosciuto col nome di Shun-shu, il «Libro per eccellenza», il quale fu trascritto in caratteri detti Li-tse, che si adoperavano in [p. 332 modifica]quel tempo. Fu-shêng, oltre al merito d’aver conservato il testo del Shu-king, ebbe pur quello d’avervi fatto un commento in 41 capitoli, e d’essere stato il fondatore d’una scuola intesa a interpetrare le antiche storie patrie. Ma quello che più d’ogni altro studiò a decifrare le vecchie tavolette rinvenute nelle pareti della casa di Confucio, fu An-kuo, che era pur esso della famiglia Khung; il quale, dopo aver ricomposto 25 o 26 capitoli del testo antico, fece un ampio commento dei medesimi, che è giunto fino a noi. La compilazione che si stampa oggigiorno del Shu-king, è generalmente tenuta per opera di An-kuo, non ostante che alcuni critici cinesi, tra i quali Cu-hsi, dubitino della autenticità.63

In quanto allo Shih-king, o «Libro dei Versi», ebbe anch’esso la sorte comune; ma la sua natura lo rese più degli altri capace di resistere, non solo alle fiamme, ma alle ingiurie stesse del tempo. Le canzoni che lo componevano, non si erano per anche cancellate dalla memoria del popolo; e l’opra che fece Confucio, di raccoglierle dalla viva voce della gente, fu ripetuta da altri in tempi diversi; laonde se ne ebbero varie compilazioni, se non uguali a quella perduta nell’incendio, non di molto dissimili. Di queste compilazioni però una sola è pervenuta fino ai tempi nostri; ed è quella fatta da Mao-cang, il quale diceva d’averla messa insieme co’ materiali che gli venivano da Tse-hsia discepolo di Confucio:64 questa [p. 333 modifica]compilazione è conosciuta perciò col nome di Mao-shih, ossia Shih-king di Mao-cang.65

Circa l’anno 130 av. C. fu istituita dall’imperatore allora regnante una Società di letterati, col solo ufficio di fare assidue ricerche intorno ai Cinque king, per rimetterli nella loro forma primitiva, integra e corretta. I lavori procedettero per varii anni, ed alcuni sovrani della Cina, tra i quali Hsiao-ming-ti (58-76 d. C.), Hsiao-cang-ti (76-88) e Hsiao-ho-ti (89-105), presero parte alle discussioni e ai lavori di quell’Accademia letteraria. Il testo dei «Cinque libri canonici» venne finalmente stabilito, durante il quarto anno di regno dell’imperatore Ling-ti della dinastia degli Han orientali (175 d. C.), e inciso su tavole di pietra, e in tre differenti forme di scrittura, fu conservato nella grande aula della Università di Lo-yang, che era allora la capitale dell’Impero cinese.66

Note

  1. Vedi più oltre.
  2. La Cina propriamente detta si estende oggi, all’incirca, dal 20° al 40° lat. nord, e del 100° al 121° long., e abbraccia presso a poco 20° in quadrato di superfice; la Cina dei Ceu si estendeva dal 33° al 38° lat. nord, e dal 106° al 119° di long.
  3. Vedi Shih-king.
  4. Mêng-tse, iii, ii, ix, 11.
  5. Vedi a pag. 261.
  6. Lu-Chêng, odierna Khiu-fu hsien nel circondario di Yen ceu-fu, provincia di Shan-tung.
  7. Vedi a pag. 294.
  8. Sse-ma-Thsien, conosciuto in Cina comunemente col titolo di Thai-she-kung, e in Europa con quello, non so quanto appropriato, di Erodoto cinese, nacque intorno il 160 av. C. e morì l’85 av. C. Una parte dei materiali del She-ki incominciò a raccoglierli Sse-ma Thang, padre dell’autore suddetto. Queste memorie istoriche, incominciando dall’antico sovrano Huang-ti, (2697 av. C.), vanno fino a Wu-ti degli Han (140 av. C.). L’opera è divisa in cinque sezioni: i ricordi storici intorno i sovrani (Ti-ki); ii prospetti cronologici (Nien-piao); iii scienze, lettere e arti (Pa-shu, letteralmente: «Gli otto trattati» intorno, 1 ai Riti, 2 alla Musica, 3 all’Armonia, 4 alla Cronologia, 5 all’Astrologia, 6 al servizio de’ Sacrificii, 7 all’idrografia, 8 ai pesi e misure); iv storia genealogica (She-kia); v storie staccate o narrazioni (Lie-cuan).
  9. Intorno a questa opera si consulti: Ueber die Quellen zum Leben des Confucius, von Dr. Joh. Heinr. Plath. München. 1863.
  10. Entwurf einer Beschreibung der chinesischen Liberatur, Berlin, 1854; — Kung-Fu-dsu, Der chinese Weisen und seiner Schüler. Halle, 1826.
  11. La vita di Confucio scritta dal padre Amiot occupa tutto un volume in 4º, che è il Vol. xii delle Mémoires concernant les Chinois, ed è giudicata severamente dal Plath.
  12. Description historique et géographique de la Chine, nel vol. i da pag. 121 a 183 si contiene la vita di Confucio, compilata in gran parte su quella dell’Amiot.
  13. History of China da pag. 151-215.
  14. The Chinese Classics, vol. I, Prolegomena, pag. 56-113.
  15. Confucius und seiner Schüller Leben und Lehren, München, 1867-1873.
  16. Ecco la genealogia della famiglia Khung fino a Confucio:
    Khung Fu-kia

    |               

    Khung Mu-kin-fu

    |               

    Khung Cih-i

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    Khung Fang-shu

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    Khung Pe-hsia

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    Khung Shu-lian-hsi

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    Khung Khiu-Cung-ni (Confucio).
  17. Questa città, o villaggio che fosse, era nel distretto di Chang-phing, odierno Sse-shui, nel Shan-tung.
  18. La data della nascita di Confucio è generalmente dagli storici registrata come appresso: 31º giorno (o secondo altri 4º) del 11º mese del 47º anno del ciclo, regnante nel reame di Lu da 22 anni il principe Siang-kung, e nel Reame di Mezzo, ossia nello Stato di Ceu, da 21 anni il re Ling. Questa data cadrebbe l’anno 551 av. C.
  19. Da Khung-tse, o Khung fu-tse, ossia il filosofo della famiglia Khung, che i primi missionari cattolici latinizzarono in Con fucio. Il monosillabo tse che volgarmente significa «fanciullo», in cinese significa anche «savio, filosofo».
  20. Kia-yü, xxxix, 6. — Non si dice quanti altri figliuoli avesse il filosofo; certo ebbe oltre a Li-yü anche una figliuola, perchè di essa si parla incidentemente nel Lun-yü v, 1, dicendo che la maritò al suo discepolo Kung Ci-cang.
  21. In Mencio si trova invece che il Principe gli conferì la carica di Cheng-thien; ma il comento alla breve vita di Confucio, che precede il Lun-yü, dice che l’ufficio di Ci-li è lo stesso di quello che Mencio chiama Cheng-thien. Vi è anche un po’ di disaccordo intorno alla natura di tali ufficii. Il comento a un passo di Mencio dice, che l’Wei-li era un soprintendente ai magazzini, e secondo altri, ai granai; e il Cheng-thien, un ispettore delle pasture. Mêng-tse, v, ii, v, 4.
  22. Mêng-tse. Loc. cit.
  23. Essa fu sotterrata sul monte Fang-shan, dove fu pure sotterrato il padre di Confucio, presso Kiu-fu, provincia di Shan-tung.
  24. Lun-yü, viii, 7.
  25. Lun-yü, viii, 8.
  26. Il Lun-yü, xviii, 9, nomina varii maestri di musica di quel tempo, e tra questi Shih-hsiang.
  27. Kia-yü, xi, 1-3. — She-ki, xlvii, 4.
  28. Vedi pag. xxxvii-xxxviii.
  29. Vedi Cuan-tse, iii, cap. Thien-yün, 57-59. — Kia-yü, xi, 1v; xii, 6v.
  30. Kia-yü, xiii, 9.
  31. Kia-yü, viii, 19.
  32. Oggi città di Tung-phing ceu nel Yen ceu-fu, provincia di Shan-tung.
  33. La tomba del Filosofo, conosciuta col nome di Hsüan-shêng mu «La tomba del Savio universale», è presso Kiu-fu, nella più volte nominata provincia di Shan-tung. La leggenda narra che l’imperatore Shih-Huang-ti (vedi più oltre a pag. 323 e seg.) avendo scoperchiata detta tomba, vi trovò dentro una memoria scritta che diceva: «Nelle generazioni future vi sarà un ribaldo, che si farà chiamare Primo imperatore supremo della stirpe dei Thsin (Thsin Shih-Huang-ti), il quale profanerà la mia casa, e metterà sossopra tutte le cose mie».
  34. Shih-i-ki lib. ii, fol. 2, 3.
  35. Vedi Khang-hsi-tse-tien, clas. xxxix, fol. 2 v, 1.
  36. Il Khi-lin è uno dei quattro esseri favolosi che portano buon augurio. Esso è reputato l’incarnazione dell’essenza dei cinque elementi primordiali.
  37. Il secondo elemento, cioè l’acqua. In antico si supponeva che gl’Imperatori regnassero in virtù o sotto l’influsso di uno dei cinque elementi (metallo, acqua, fuoco, legno e terra). Chêng-thang dei Shang regnò per virtù dell’acqua; e siccome Confucio, secondo la favola, discendeva da quell’imperatore, è chiamato qui «figliuolo dell’essenza dell’acqua», ossia progenie di Chêng-thang.
  38. Il testo ha: Su-wang, re moralmente, re virtuale, è un epiteto onorifico che vien dato a Confucio.
  39. Shih-i-ki, lib. iii, fol. 4-5. — Il fatto dell’apparizione di quest’animale, poco avanti la morte del filosofo, è tenuto per vero anche da alcuni storici. La Cronica di Lu narra la cosa come appresso: «In questa primavera, mentre si cacciava a occidente in luogo detto Ta-yeh (nome d’una palude), un uomo chiamato Tsu-shang, cocchiere di Shuh-sun, prese un Khi-lin. Pensando che fosse un animale di cattivo augurio lo dette al guardaboschi. Confucio, vistolo, esclamò: Egli è un Lin, e presolo seco lo condusse alla capitale». Chun-thsiu, xii, xiv, 1. — Altrove si trova che Confucio, addolorato per veder comparire quest’animale in tempo di calamità, quale era quello; e inoltre per non averlo altri conosciuto, e anzi fattogli oltraggio come a bestia di cattivo augurio, esclamasse piangendo: oimè, la mia dottrina è irremissibilmente perduta!
  40. Questo colle detto anche Ni-shan o monte Ni, è nel Kiu-fu hsien, in sui confini di due hsien, quelli di Sse-shui e di Tseu, nella provincia di Shang-tung. — Si è veduto, nell’altro capitolo, che nell’antico culto cinese entravano anche i Genii delle montagne. Vedi pag. 265.
  41. Si è detto che Khung Shu-liang-hsi ebbe già un figliuolo da una sua concubina, al quale fu dato il nome di Khung Mêng-pi; e siccome in Cina i figliuoli d’uno stesso padre, da qualunque donna vengano, hanno gli stessi diritti civili dei figliuoli che nascono dalle altre mogli così dette legittime, Confucio è chiamato, come era infatti, secondogenito.
  42. She-ki, citato in Khang-hsi tse-tien, clas. xxxii, fol. 2, v. 7.
  43. Lun-yü, iv, 15.
  44. Così traduco le due parole Cung e Shu, le quali sono spiegate dal commentatore, la prima: esaurir sè stesso (nel fare il proprio dovere), la seconda: estendere sè stesso o il proprio affetto agli altri. Quest’ultimo senso è più chiaramente espresso in un altro passo del Lun-yü, citato dal Dizionario di Khang-hsi, dove si trova: — La parola shu vuol dire, che ciò che non è desiderato per sè non si faccia ad altri.
  45. Costui è Ki-Tse-sse autore del Cung-yung.
  46. Cung-yung, xxx, 2; xxxi, 2, 3, 4.
  47. Questi Shih-ce o «Dieci Savi» sono:
    1. Yen-hui, detto Tse-sse, che ebbe il titolo di Yen-kuo Kung
    2. Jen-yung » Cung-kung » Hsia-phei Kung
    3. Tsai-yü » Tse-ngo » Lin-tse Kung
    4. Jen-kiu » Tse-yü » Phêng-chêng Kung
    5. Yen-yen » Tse-yü » Ceu-yang Kung
    6. Min-sun » Tse-kien » Lang-hsieh Kung
    7. Jen-kêng » Peh-niu » Tung-sin Kung
    8. Tuan-mu-tse » Tse-kung » Li-yang Kung
    9. Cung-yu » Tse-lu » Ho-nei Kung
    10. Puh-tih » Tse-hsia » Ho-tung Kung.
  48. Una lunga lista di 86 nomi dei discepoli di Confucio che si ricordano anche oggi, si potrà leggere in Legge, Chinese Classics, vol. i, prol., p. 113-128.
  49. Nel Yen-ceu-fu, provincia di Shan-tung.
  50. Il padre chiamavasi Keih-kung-i, la madre, Kheu-shih.
  51. Conf. Wa-kan-san-sai-tu-ye, lib. lxii, parte i, fol. 35.
  52. Mencio ebbe dall’Imperatore Yen-tsung dei Sung il titolo postumo di Tseu-kuo Kung; e dall’imperatore Thai-yüan della stessa dinastia, quello di Tseu-kuo Yu-shêng-Kung, ossia «Il secondo sapiente (dopo Confucio), Signore del paese di Tseu».
    I discepoli di Mencio sono diciassette; ed eccone i nomi:
    1. Kung-sun-cheu 10. Chên-tai
    2. Mêng-cung-tse 11. Phêng-keng
    3. Kung-tu-tse 12. Wan-cang
    4. Chên-tsin 13. Wu-lei-tse
    5. Kao-tse 14. Kao-tse
    6. Hsü-pi 15. Fei-ying
    7. Lo-chêng-tse 16. Chung-yu
    8. Hsien-khiu-mêng 17. Ceu-hsiao.
    9. Mêng-ki-tse
  53. Lun-yü, vii, 3
  54. Questo tempio esisteva, e forse anche ora, nel luogo dove fu la casa di Confucio. Un libro giapponese lo descrive a questo modo: «Il tempio detto Hsüan-shêng miao tempio del Santo universale, è nel luogo detto Khüeh-li, dove era la casa, in cui nacque il Savio, a otto li dalla città di Kiu-fu hsien. La cap- capella, o sala principale, è chiamata Ta-chêng tien, o della Gran perfezione. Nel dinanzi c’è il così detto «Altare del Susino», in memoria del luogo, dove il Filosofo, dopo le sue passeggiate campestri, soleva sedere; e riposandosi, ascoltare le letture dei discepoli, o cantare accompagnandosi con uno strumento a corda. A destra e a sinistra di esso altare vi sono tre alberi Kwei (Retinisphora obtusa (?)), piantati dalla mano di Confucio stesso. Sono oggi tronchi secchi, contorti come corpi di Draghi: fiorirono chi sa quante volte, ed ora sono tutti rosi dai tarli! Ai lati della cappella principale stanno, da una parte la cappella detta Sse-shui-heu tien, dove si fanno sacrificii a Peh-yü, figliuolo di Confucio; e dall’altra, la cappella detta Yen-kuo-kung tien, dove si onora Tse-sse. Nel di dietro vi sono altre tre cappelle, una consacrata al padre di Confucio, col titolo di Khi-shêng-wang; l’altra alla madre Yen-shih; la terza al Genio del monte Ni-khiu. In fronte all’edificio sono incisi in pietra i decreti principali emanati, in onore del Filosofo, da Cên-tsung dei Sung fino ai Ming». Wa-kan-san-sai-tu-ye, lib. lxii, parte i, fol. 33-34.
  55. I Sovrani della Cina solevano onorare la memoria degli illustri estinti con titoli di elogio; o col dir loro signori o duchi; come vien tradotto comunemente la parola Kung, della città o del paese che fu luogo principale delle geste di essi illustri; e in quest’ultimo modo furono notati con onore postumo i dieci più famosi discepoli di Confucio: vedi n.° 2, pag. 316.
    Confucio poi, come il più chiaro dei Cinesi, ebbe molte di siffatte onoranze. Ai principe di Lu, poco dopo la morte del Filosofo, dettegli il titolo modesto di Ni-fu, ossia «Padre Ni», o «Venerabile Ni». Più tardi i diversi imperatori della Cina gli dettero quegli epiteti pomposi, coi quali nelle tabelle dei templi è generalmente chiamato. Ecco questi titoli, per ordine di tempo:
    L’imperatore Ping degli Han (1-6 d. C.) gli decretò il titolo di Pheu-chêng-hsüan-ni-kung, ossia «Il Molto perfetto e illustre nobile Ni»; l’imperatore Ho degli Han (89-106), quello di Pheu-tsun-kung «Molto venerabil signore»; l’imperatore Wên dei Sui, quello di Hsien-shih-ni-fu «Padre Ni primo maestro»; l’imperatore Thai-tsung (627-650) dei Thang, quello di Hsien-shêng «Primo savio»; l’imperatore Kao-tsung (650-684) pure dei Thang, quello Thai-shih «Gran maestro»; l’imperatore Yüan-tsung (713-756) anche dei Thang, quello di Wên-hsüan-wang, «Illustre sovrano delle lettere»; l’imperatore Cên-tsung (998-1023) dei Sung, quello di Yüan-shêng-wên-hsüan-wâng «Sovrano illustre delle lettere e profondissimo savio»; titolo che più tardi lo stesso imperatore cambiò in Chih-shêng-wên-hsüan-wen-hsüan-wâng, «Sovrano illustre delle lettere, eccellente e perfetto».
  56. Legge, Chinese Classics, t. i, prolegomeni pag. 92. — Tathsin-thung-li, lib. xii.
  57. Lun-yü, xvii, 16.
  58. Lun-yü, iii, 5.
  59. Non si deve credere che Li-sse fosse nemico de’ dotti, perchè ignorante; egli era invece ai suoi tempi tenuto per buon letterato; e fu anche inventore d’una specie di scrittura chiamata Siao-cuan.
  60. «Le cose di molta importanza (letteralmente: i grandi affari) si registravano nei thse; quelle di minore importanza (i piccoli affari) nei kien». Così dice la prefazione al comento della cronica di Lu. Ora, per kien si vuole intendere una tavoletta di bambù, per thse parecchie di queste tavolette riunite insieme. Sicchè pare sì adoprassero i libri di bambù per conservare memoria delle faccende di maggior conto; mentre le altre si notavano in tavolette sciolte.
  61. Wên-hsien-thung-khao, lib. clxxvii, fol. 1.
  62. Propriamente «Scrittura de’ girini», che sono, come si sa, le larve dei ranocchi: e fu così chiamata, perchè i tratti che la componevano, gonfi all’un dei capi e assottigliati poi in coda, rassomigliavano a siffatti animali. Questa scrittura si dice fosse immaginata da Thsang-kie, che viveva a tempo dell’imperatore Huang-ti (2687 av. C.).
  63. Wên-hsien-thung-khao, lib. clxxvii, fol. 1-13.
  64. Ed ecco come: Tse-hsia, che aveva ricevuto lo Shih-king da Confucio stesso, lo trasmise a Kao Hêng-tse; questi a Sieh Thsang-tse; il quale lo passò a Mien Miao-tse, dal quale lo ebbe Mao-chang. Altri invece dicono che Tse-hsia lo trasmise a Thsang-Shin, questi a Li-khih; Li-khih a Meng Cung-tse; il quale lo lasciò a Kin Meu-tse; e questi a Siun-khing, da cui lo ebbe Mao-chang.
  65. Wên-hsien-thung-khao, lib. clxxvii, fol. 1.
  66. Fra il 240 e il 248 d. C., mentre era in trono la dinastia degli Wei, il testo dei king fu di bel nuovo inciso in tavole di pietra; ma esse tavole insieme con quelle incise dapprima andarono perdute intorno l’anno 620 d. C. In appresso gl’imperatori della dinastia dei Thang fecero nell’836 scrivere, anche una volta, su grandi lapidi i detti Libri sacri.