quasi assoluta mancanza d’alcuno di quei fatti, che si riscontrano nella vita di que’ pochi, i quali diventarono come la incarnazione d’un’intera civiltà. Quest’uomo, senza darsi per una natura superiore, senza allontanarsi dalla società dei suoi simili, e starsene in una prudente e misteriosa inazione, senza parlare di cose arcane in un linguaggio incompreso dai più; ma al contrario, con parole intese da tutti, parlando dei doveri di tutti, e praticandoli il primo, riusci a trasformare un popolo, e a protrarre l’efficacia dei suoi insegnamenti per circa ventiquattro secoli. Un tal fatto, che per noi può essere inesplicabile, è tuttavia un di quei fenomeni, co’ quali la Cina ha non di rado maravigliato il mondo occidentale. Ma l’uomo è uomo da per tutto; e se le persone assennate dell’Impero di Mezzo accettano Confucio quale è nella storia; neppure il volgo di quel paese può ammettere che uno, il quale ha fatto cose non comuni, non debba aver fatto anche dei prodigi; o che almeno qualche prodigio non debba avere annunziato la nascita dell’uomo straordinario: perciò come la vita del Buddha, così quella di Confucio fu abbellita dalla leggenda. Ma l’immaginazione cinese non è molto fervida, in fatto di tali produzioni, onde la leggenda di Confucio, in paragone di quella del Buddha, è davvero meschina. Tutto si riduce a far discender il filosofo da un lungo ordine di magnanimi lombi, che va fino a’ tempi favolosi; a farlo nascere in virtù d’uno dei tanti genii, che animano la natura; e a certe apparizioni strane il giorno della nascita. In un libro, scritto nel iv secolo dell’era nostra, e che porta il titolo di Shih-i-ki, nel qual l’autore vuol fare intendere d’aver registrate le cose omesse negli annali dell’Impero, si trova la breve leggenda della vita del Filosofo, che io riporto qui sotto; e che credo che sia la più