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306 | parte seconda |
Trascorsi dieci anni in mezzo a siffatte occupazioni, ebbe desiderio di far conoscere le sue dottrine oltre la patria, e di estendere così l’efficacia di quelle. Perciò, avendolo il principe di Ceu mandato a invitare a corte, per avere consiglio in certe questioni di cerimoniale, intorno al quale Confucio passava per maestro; questi accettò l’invito del sovrano, e recossi nel vicino reame.1 Un’altra cagione lo mosse a far quel viaggio; e fu che in quel paese abitava un uomo, il quale aveva già fatto dir molto di sè; ed era per la sua scienza salito in gran fama. Costui era Lao-tse, che Confucio, da molto tempo, ardeva di conoscere. Noi abbiamo più avanti fatto menzione del colloquio che ebbero i due filosofi;2 l’uno già inoltrato negli anni, e poco amante della società degli uomini, che non stimava gran fatto degna di troppo seria occupazione; l’altro, giovane pieno d’ardore per ricondurre i governanti e i popoli in sulla via tracciata dagli antichi savii, dalla quale s’erano di gran lunga scostati. Alcuni autori cinesi ricordano i propositi che tennero in quel colloquio, che la tradizione pretende di aver conservato,3 e intorno al quale non possiamo ora trattenerci di nuovo.
Il nostro filosofo ritorna poco appresso in Lu, ma tosto ne riparte per condursi nel regno di Thsi, dove lo invitò il principe King-kung.4 Aveva allora trentacinque anni. Partì con pochi discepoli, ma appena uscito