Il Buddha, Confucio e Lao-Tse/Parte Seconda/Capitolo III
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Capitolo III.
Delle scritture sacre della Cina.
Il Libro delle Istorie. — Il Libro delle canzoni. — Il Canone dei riti. — Il Libro delle metamorfosi. — La Cronica del reame di Lu.
Abbiamo tanto spesso parlato dei King e dei Shu, che sarebbe ormai tempo di dire che cosa sono questi tali libri, che autorità hanno, chi li scrisse o li compilò. La materia de’ seguenti capitoli sarà singolarmente fornita dai «Libri Classici» o dai Sse-shu: i canonici, o gli Wu-king, conservano memoria della Cina quale era avanti la nascita del gran filosofo, e li abbiamo messi a profitto, come meglio abbiam potuto, quando in altro luogo trattammo questo argomento. Le dottrine di Confucio e della sua scuola si attingono massimamente dai Libri Classici; e di essi ci dobbiamo ora dunque occupare in particolar modo. Ma non avendo dato fin qui che notizie imperfette delle scritture canoniche, prima di parlare delle classiche stimo conveniente dir qualcosa di più anche delle prime. È bene notare però fino da principio, che questa distinzione di canonico e di classico è un po’ arbitraria: e adoperata soltanto per indicare anche noi, con vocaboli italiani, quelle due serie stabilite dai Cinesi; le quali non di meno contengono scritture, che, in sostanza, sono tutte insieme tanto canoniche, quanto classiche.
King è parola, che significa filo che serve all’orditura d’una tela; e poi, ordire, tessere; poi anche modello, legge, regola, canone. Shu vuol dire scrivere; e se si dovesse guardare alle parti che compongono il carattere cinese, parlar col pennello: le sei diverse specie di calligrafia usate in Cina si chiamarono col nome comune di shu; un foglio scritto, una lettera, un documento, un libro stampato sono anch’essi shu; e i King si possono perciò indicare con l’appellativo generico di Shu,1 come i nove libri canonici e i quattro classici furono, al tempo della dinastia di Thang, chiamati «I Tredici King». Il numero delle scritture indicate con quest’ultimo nome fu diverso, come dicemmo, secondo i tempi; e oggi, tornando all’antica divisione, se ne contano cinque. Cominciamo dallo Shu-king, o Libro delle istorie, Memorie storiche, o Libro del governo degli Stati, secondo che ne fu tradotto il titolo; il quale, tenendosi alla lettera, sarebbe piuttosto il Libro de’ documenti o il Libro dei Libri. Esso si compone di cinque scritti, i quali pure si chiamano shu: chi ama i confronti lo chiamerebbe il Pentateuco dei Cinesi. Queste cinque parti contengono la storia di Yao, quella di Shun, e quella delle tre dinastie Hsia, Shang e Ceu:2 quest’ultima è la più estesa, e comprende almeno tanta materia, quanta ne è nell’altre quattro. Il periodo di tempo abbracciato dallo Shu-king va dalla metà del secolo xxiv av. C. fino al re Ping-wang, 770 av. C.3 Non ci tratterremo su quest’opera, perchè non è la storia del popolo cinese che dobbiamo fare; ma passeremo invece addirittura al secondo dei King.
§ 2. — Lo Shih-king è una preziosissima raccolta di poesie, alcune delle quali, quando viveva Confucio, a cui viene attribuita quest’antologia, eran già vecchie di sei, sette ed otto secoli.4 L’antica prefazione di Puh-shang al Libro dei versi5 ci vuol fare intendere il fine, pel quale esso fu compilato. «I moti del cuore e dell’anima, dice egli, finchè son chiusi in noi, fanno il sentimento; espressi, son poesia. Alle passioni che ci agitano vorremmo noi dare quasi forma visibile; ma le parole non bastano, e le moduliamo; neppur ciò è sufficiente, e allora queste voci modulate si prolungano in canto». La poesia era sempre accompagnata alla musica; la quale anche là, nella Cina, fu riguardata come una delle più nobili e sincere espressioni dell’animo umano. Perciò la tradizione vuole, che gli antichi sapienti cinesi non stimassero miglior mezzo per venire a conoscenza dell’indole, de’ pensieri e de’ bisogni del popolo, che quello di conoscere le poesie che nacquero da esso. Il Li-ki assicura in fatti, che ogni cinque anni l’imperatore faceva un giro pe’ suoi Stati; e allora un magistrato aveva l’incarico di precederlo, per raccogliere tutte le canzoni, che si usavano cantare in quel tempo, e presentarle poi al sovrano, affinchè egli potesse ben conoscere il suo popolo.6 Non per questo solo fine erano tenute in pregio e ricercate le composizioni poetiche volgari; ma anche perchè si tenevano assai acconce alla educazione morale e intellettuale della nazione. Si voleva, per esempio, che certi canti, che elogiavano le virtù domestiche o civili di qualche suddito, o di qualche principe d’alcuno dei varii Stati cinesi, fossero conosciuti da tutti i sudditi e da tutti i principi dell’impero, affinchè essi s’ispirassero a quelle stesse virtù, che la voce del popolo celebrava a quel modo. «Con la poesia, dice la citata prefazione, gli antichi sovrani7 rendevano indissolubili i vincoli coniugali, squisito il sentimento dell’amor filiale; con essa fortificavano le virtù cittadine, davano efficacia alla potenza trasformatrice dell’istruzione: incivilivano insomma i costumi del popolo. A commuovere il cielo e la terra, a scuotere gli Dei e i Demoni nulla è più potente della poesia».
Sei generi, o sei diversi stili, si distinguono nella poesia. Il primo genere o stile si chiama Fung, che vuol dir «vento»; e significa in tal caso l’efficacia dell’esempio su i costumi, la potenza dell’educazione; perchè, come il vento, dicono gli autori dell’Impero di Mezzo, smuove col soffio tutte le cose, siffatte poesie smuovono e trasformano gli uomini. Per mezzo di quelle, continua Puh-shang, i grandi educano i piccoli, e li mettono sulla buona strada; e i piccoli riprendono e mordono i vizi dei grandi. Vien poi il genere descrittivo (Fu), il metaforico (Pi), l’allusivo (Hsing), e i due ultimi detti Sung e Ya. Questi sono così definiti dall’autore più volte menzionato: «Quando il soggetto si riferisce alle cose di un dato paese, e non prende di mira che gl’individui, il genere si chiama, come dicemmo, Fung; ma se il soggetto concerne alle cose del governo di tutto l’Impero, e si propone d’educare gli uomini in generale, allora si dice Ya: con parola che significa rettificare, governare. Questo vocabolo vuole eziandio significare le cagioni del crescere e del deperire dei regni; e siccome le vicende de’ governi nascono or da grandi or da piccole cagioni; così le poesie che trattano siffatti soggetti, si dividono in Ta-Ya e Siao-Ya, ossia in massime e in minime. Con le poesie dette Sung si loda poi la personificazione della virtù; e s’innalza un canto ai Genii immortali, per far loro conoscere le egregie imprese compiute da quella».8 Altri invece chiamano Sung questa specie di canzoni, perchè destinate al culto degli antenati, inquanto che con esse si lodavano gli atti degl’illustri trapassati; o, in generale, chiamavano così gl’inni sacri cantati con la musica in occasione di sacrifici solenni.9 I quattro primi generi di poesia, Fung, Fu, Pi, e Hsing, sono spesso indicati col solo nome di Kuo-fung, che vorrebbe dire: poesie riguardanti i costumi de’ paesi, oppure ballate, come alcuni traducono la parola fung. Questa classe, cioè le composizioni poetiche distinte col nome comune di Kuo-fung, insieme con le altre tre classi Ta-ya, Siao-ya e Sung, formano quel che i Cinesi chiamano le «Quattro origini», Sse-shi; perchè in questa specie di letteratura si trovano, secondo loro, le ragioni della prosperità e della decadenza d’un popolo e d’un governo.10
§ 3. — I libri che trattano del rituale e del cerimoniale ebbero una grande importanza: e un tal soggetto fu, come si sa, tra le prime occupazioni di Confucio; giacchè la tradizione dice, che egli salì dapprima in fama per cotal conoscenza: e per questo fu ricercato a corte dal sovrano di uno dei principali Stati della Cina. Il Ceu-li, l’I-li e il Li-ki, che una volta formavano tutti parte dei libri canonici, sono i codici dell’antiche costumanze dell’Impero di Mezzo. Il primo di questi libri si crede compilato al tempo dei primi sovrani del reame di Ceu, e contiene la esposizione particolareggiata di tutti gli uffici che vigevano allora in quello Stato, e dei doveri che incombevano a ciascuno di essi. Questo rituale diventò il modello, al quale s’attennero poi tutti gli altri regni della Cina; e fu anche uno dei libri, contro a’ quali più fieramente inveì l’imperatore dei Thin, il distruttore delle antiche tradizioni. Per un centinaio d’anni, dopo Shi-huang-ti, non se ne seppe più nulla, e solamente ne ricomparvero alcune copie, appena abrogato il famoso editto. Molto più tardi, quarant’anni avanti l’era nostra, due letterati, Lieu-Hsiang e il suo figliuolo Lieu-Hsing, ebbero incarico dalla corte di collazionare i codici del Ceu-li, che s’erano allora ritrovati: correggerli, riempirne le lacune, e rimettere così l’antico testo nella forma primitiva.11
Il libro che porta il titolo di I-li, che sarebbe come se si dicesse: «guida del buon vivere, codice dell’etichetta, scuola de’ costumi», è il fondamento del Li-Ki o «Memoriale dei Riti». Scritture di tal genere sembrano avere avuta una origine molto antica; e la tradizione vuole, che l’I-li sia opera di Ceu-kung, fratello minore di Wên-wang primo sovrano della dinastia dei Ceu, che visse trenta secoli fa. Il libro ebbe la sorte comune: e la solita tradizione vuole, che in appresso ne fosse ritrovata una copia, nei muri della casa di Confucio; copia nascostavi insieme con lo Shu-king e con le altre opere, di cui s’è già parlato. Cento anni av. C., un uomo di lettere per nome Tai-teh riunì tutti i frammenti che rimanevano intorno alla dottrina del cerimoniale, la più parte provenienti da persone della famiglia di Confucio, o delle famiglie dei discepoli di lui. Mise insieme così dugento quattordici frammenti, che riguardavano argomenti diversi: ne fece una scelta, li corresse, e compose un libro in ottantacinque capitoli; i quali, da un altro letterato della stessa famiglia, chiamato Tai-shing, furono ridotti a quarantasei: e più tardi, nel ii secolo d. C., furono aggiunti altri tre capitoli, fra i quali il Ta-hsio, che poi fu messo tra i Classici. Questo è il libro che oggi porta il titolo di Li-ki: codice che dà le regole di condursi in tutte le faccende concernenti il tempio, la corte, la famiglia.12 Le altre sezioni o capitoli, che restarono fuori dopo la riduzione fatta da Tai-sheng, formano un’opera a parte, intitolata Ta-tai-li; la quale contiene tra gli altri un importantissimo capitolo, che è il «Calendario della dinastia degli Hsia», che, se è genuino, come sembra molto probabile, ci conserva un documento astronomico che risale all’anno 2000 av. C.13
§ 4. — Dell’Yi-King non diremo che poche parole, perchè in appresso dovremo discorrerne per disteso, quando esporremo le speculazioni filosofiche, alle quali dette origine. Accenneremo soltanto, che questo libro si attribuisce a Fu-hsi. Il quale, secondo che si afferma, disegnò certe figure, combinando tre linee, alcune continue, altre spezzate, in otto modi diversi: queste otto figure furono dette i Pa-kua, gli otto Kua o Diagrammi; moltiplicando per sè stesse le otto figure, se ne ebbe sessantaquattro, formate di sei di dette linee: e son quelle che costituiscono la base del libro. Siccome i Kua venivan trasformati col mutar posizione alle linee e ai gruppi di esse, e per siffatto modo s’andava cambiando senso e valore a quei simboli, da ciò venne il «Libro de’ mutamenti». Intorno a questo primo abbozzo del testo, Wên-wang, nel xii secolo av. C., mentre era prigione del re Ceu-sin, ultimo della dinastia de’ Shang e di celebrità infame, scrisse alcune dichiarazioni, che chiamò Thuan, o Thuan-tse «decisioni», perchè si veniva a fissare il significato dei singoli Kua o diagrammi; e in seguito Ceu-kung, figliuolo di Wên-wang, prese anch’egli ad occuparsi della materia, e stese «Un discorso su le forme», Hsiang-tse che continuava e ampliava le dichiarazioni del padre. Gli scritti di questi due sovrani intorno agli otto Kua di Fu-hsi, formano propriamente il testo, a cui fu dato il nome di Ceu-yi; il quale si divide in due sezioni (phien) intitolate Thuan e Hsiang. Confucio vi fece sopra un commento diviso in dieci capitoli (phien), che chiamò Shih-yi, «Le dieci ali»: quasi per fare intendere, che dovevano aiutare il lettore ad elevarsi a quell’altezza, a cui lo avrebbero spinto le elucubrazioni di Wên-wang e di Ceu-kung. I due capitoli attribuiti a’ detti sovrani, e i dieci del commento attribuiti a Confucio, compongono l’intero Yi-king.14
§ 5. — Ultimo degli Wu-King viene il Chun-thsiu. Questo libro, il cui titolo letteralmente significa «Primavera e Autunno», è una cronica del reame di Lu, che abbraccia un periodo di circa due secoli e mezzo; e il nome di Chun-thsiu in tal caso non vuol dire propriamente che «Annali». Alle corti dei diversi Stati della Cina c’era fin ab antico un magistrato apposta, incaricato di registrare giorno per giorno tutti gli avvenimenti: il registro portava il titolo di Sui-so-shu, ossia «Quel che è stato scritto durante l’anno». Ma siccome nel notare le date, oltre l’anno, il mese e il giorno, s’indicavano anche le stagioni; — per esempio così: il giorno cinque, secondo mese, anno terzo (del regno del tal sovrano di Lu), essendo di primavera, — questi annali presero del pari il titolo di Chun-Tung-Thsiu-Hsia, «Primavera-Inverno-Autunno-Estate», che era quanto dire: fatti accaduti nelle quattro stagioni dell’anno. Poi, per abbreviare, s’indicò nel titolo soltanto le stagioni di mezzo, e il registro si chiamò Chun-thsiu.15 Questo modo di chiamare i ricordi storici era, del resto, comune ai tempi dì Confucio e anche innanzi; cosicchè i registri che tenevano gl’istoriografi di molte corti cinesi, avevano tutti questo titolo. Il quale continuò ad usarsi anche dopo pei libri storici in generale; fino a che sotto degli Han si cangiò in Ki, «memorie o ricordi»; e sotto i Sung, in Thung-kien, «speculum». Ho detto di molte corti, ma non di tutte; imperocchè ne’ paesi di Thsu e di Tsin le croniche avevano nomi speciali: nel primo, il registro di Stato era chiamato Thao-wuh «Ceppo»,16 nel secondo, Shêng «Carro»;17 mentre i registri di Stato dei paesi di Ceu, di Yen, di Sung, di Thsi e di Lu, si chiamavano tutti, come s’è detto, «Primavera-Autunno».18
Il Chun-thsiu del reame di Lu comprende un periodo di dugento quarantadue anni; e vi si trovano notati i fatti accaduti dal primo anno di regno del principe Yin (722 av. C.) fino al quattordicesimo anno del principe Ai (581 av. C.): ossia durante la sovranità di dodici principi, duchi (kung), come altri li chiamano, dello Stato di Lu, e di quattordici re (wang) del reame di Ceu. Questo libro, oltre agli avvenimenti storici, registra anche i fenomeni naturali, e singolarmente le eclissi in numero di trentasei, la prima delle quali accaduta il 14 febbraio 719 av. C.; per la qual cosa esso è un documento di somma importanza per la cronologia cinese.19
A quest’ultimo degli Wu-King, il Chun-thsiu, furono fatti tre commenti, da tre celebri letterati; i quali commenti furono tenuti in tanto pregio, che, come dicemmo già, contaronsi fra i testi canonici. Il primo, che è anche il solo che ci sia rimasto, fu opera di Tso Khiu-ming: il secondo, di Kung Yang-kao del paese di Thsi; l’ultimo, di Ku Liang-chih del paese di Lu. Tso Khiu-ming fu contemporaneo e discepolo di Confucio;20 ed ebbe ufficio di «Grande istoriografo dello Stato di Lu.» Aveva dunque modo di frugar per gli archivi, e consultar documenti, e correggere o ampliare le notizie del Chun-thsiu, dove si registravano con brevi parole gli avvenimenti notevoli. Laonde il suo commento, conosciuto col titolo di Tso-cuan, racconta per minuto alcuni fatti, che la Cronica accenna appena; ne rettifica alcuni altri, e dappertutto esercita una critica giudiziosa.21
Il Chun-thsiu fu creduto dal Legge, quando questo dotto sinologo pubblicò il primo volume della sua traduzione dei Classici cinesi (1861), il solo tra i libri attribuiti a Confucio, che si potesse tenere a più giusto titolo come scrittura di lui.22 Ma più tardi, quando lo stesso Legge prese a voltare in inglese «La Cronica di Lu», (1874) ebbe a ricredersi; non potendo più averla per opera del Filosofo. E in vero, anche senza studiar molto quel libro, la semplice lettura di qualche pagina mi pare che basterebbe a provare, che nessuno uomo di lettere, in particolare, vi abbia specialmente posto cura. Questa scrittura non è una storia, dove i fatti siano messi insieme con arte, e dove si veggano l’opera del letterato e il criterio del filosofo; è una congerie di brevissime notizie riguardanti più o meno direttamente la corte e lo Stato di Lu: semplici note giornaliere, raccolte senza altro scopo che di ricordarle, dai varii magistrati deputati a tale ufficio. I fatti sono registrati nudi e crudi: un atto eroico, un assassinio; la nascita, la morte o il matrimonio d’un sovrano; un terremoto, un eclissi, sono laconicamente notati per ordine cronologico in quello scheletro di storia, senza nemmeno una sillaba di più del bisogno per la memoria del fatto. Esso pare un libro, in cui il tempo abbia registrato come spese sè stesso, nella Cina, per 242 anni; a simiglianza d’una buona massaia che abbia appuntato le spese di casa nello scartafaccio di famiglia. E ci voleva davvero tutta l’entusiastica ammirazione dei primi missionari gesuiti, per chiamarlo «un livre ecrit de génie; ou notre Socrate (Confucio) y manie l’Histoire en homme d’Etat, en citoyen, en philosophe, en savant, et en moraliste».23 Del resto ne giudichi il lettore da sè; ecco il principio del primo capitolo, e faccia conto, come è in fatti, che il rimanente corra tutto sullo stesso tono.
I. 1. Primo mese, primavera, del primo anno [di Yin-kung].
2. Nel terzo mese il principe e I-fu di Cu conclusero un’alleanza in Mieh.
3. Nel quinto mese, di estate, il Signore di C’ing sottomette il paese di Tuan.
4. Nell’ultimo mese, d’autunno, il re spedì il ministro Hsiun con regali di condoglianza per Hui-kung e la moglie Cung-tse.
5. Nel nono mese, il sovrano e un inviato di Sung fecero un’alleanza in Suh.
6. Nel dodicesimo mese, d’inverno, giunse il signore di Cai.
7. Kung-tse Yih-shi muore.
II. 1. Nel secondo anno, di primavera, il sovrano ebbe un convegno col capo de’ Jung in Tshien.
2. Nel quinto mese, di primavera, le truppe di Kiu entrarono in Hsiang.
3. Wu-hsiai entra con le sue forze in Keih.
4. L’ottavo mese, d’autunno, il sovrano fa un’alleanza coi Jung, a Thang.
5. Il nono mese, Li-siu di Ki andò a prendere la fidanzata del principe.
6. Il decimo mese, d’inverno, la sorella maggiore del sovrano ritorna in Ki.
7. Tse-pih di Ki e il principe di Kiu fecero un accordo in Meih.
8. Il dodicesimo mese morì la signora Tse, moglie del sovrano.
9. L’esercito di Ching invade Wei.
Ora io domando: se è vero, come pare indubitatamente, che ogni corte avesse il suo istoriografo; che cosa di meno poteva egli fare per guadagnarsi onestamente lo stipendio che gli elargiva il suo sovrano? Ammettiamo pure che questa lista di avvenimenti, mi sia permessa l’espressione, sia più che sufficiente a conservar memoria dei fatti; ma le tavolette istoriche conservate nell’archivio di Lu dovevano essere almeno in questa forma. E Confucio che dunque avrebbe egli fatto, poichè non era l’istoriografo del tempo? Sarebbesi egli contentato di una semplice scelta dei fatti, che a lui parvero più meritevoli di nota? Questo non sembra ammissibile; imperocchè il fine preciso che si prefisse Confucio nello scrivere il Chun-thsiu, è chiaramente espresso nei Classici. Egli lo volle scrivere con l’intento di esporre i doveri del principe, e veder di rimediare al mal governo del tempo suo;24 lo volle scrivere, perchè erano periti i versi che celebravano le virtù degli antichi;25 e appena lo ebbe terminato, «i ribelli e i cattivi tremarono di paura».26 Egli voleva esser giudicato da questo suo libro; la sua fama doveva esser pari all’efficacia di quello.27 Tutte queste cose non si rilevano, a parer mio, dall’odierno Chun-thsiu; e mi è forza credere, non esser questo il libro, a cui allude il Filosofo, o essere stato talmente malmenato dal tempo, da non conservare che pochi brani di sè, poca parte dell’orditura: da potersi paragonare a un corpo spolpato, di cui non sian rimaste che ossa. Oppure bisogna supporre, che le parole sopra riferite, le quali son del più recente de’ Classici, Mencio, non provengano veramente da Confucio, ma gli siano state a torto attribuite per opera d’interpolatori.
Intorno all’autenticità del Chun-thsiu, anche alcuni dotti cinesi hanno manifestato i loro dubbi; e il Legge ha pubblicata la traduzione d’una epistola d’uno di questi eruditi dell’Impero di Mezzo (un membro dell’Accademia imperiale di scienze e lettere di Pekino, detta degli Han-lin), il quale aveva nome Yuen-mei, tolta da un epistolario stampato per la prima volta nel 1859. In questa lettera Yuen-mei ringrazia altro dotto cinese pel dono di un libro di studii sulla cronica di Lu, in cui si caldeggia l’autenticità del testo antico. «Ho ricevuto il vostro libro, scrive Yuen-mei, e ho davvero ammirato la vostra erudizione. Mentre si vede che avete messo a profitto gli scritti che Tan-tsu e Cao-khuang avevano già fatti sul medesimo argomento, bisogna anche convenire che voi gli avete di gran lunga superati: in quanto poi all’opera di Hu An-ting, essa è divenuta affatto inutile, dopo la vostra. Nondimeno, scusatemi tanto, io conservo i miei dubbi sul Chun-thsiu: e continuo a credere che non sia di Confucio. Confucio non parla mai di sè come autore di qualche libro, ma sempre come trasmettitore, conservatore dell’antica dottrina. Scrivere il Chun-thsiu era affare degl’istoriografi. Confucio non era istoriografo; ed ha anche detto, che colui che non ha un certo particolare ufficio, non deve immischiarsi negli affari del medesimo. Ora perchè avrebbe egli usurpate le attribuzioni d’istoriografo, e fatto in vece loro l’opera che a essi soli spettava di fare? E quando Mencio gli fa dire: I fatti registrati in questa storia saranno quelli che mi faranno conoscere: da essi i posteri mi giudicheranno, gli fa far la figura d’un principe senza principato; perchè nella Cronica si discorre dei fatti dei principi di Lu. Ora Confucio non ha mostrato mai il desiderio di passar per tale; e in ogni modo i ministri e i magistrati non avrebbero sopportato una tal cosa. Inoltre, di tutti i libri classici che ci conservano memoria di Confucio e della sua dottrina, nessuno è maggiormente verace del Lun-yü: e questa scrittura c’insegna, che argomento di studio del filosofo erano il libro delle liriche (Shih-king), quello delle istorie (Shu-king) e il codice del cerimoniale (Li-ki); e aggiunge, che avrebbe anche desiderato di spender alquanti anni intorno all’Yi-king, s’egli fosse stato più giovane: del Chun-thsiu, nemmeno una mezza parola!».
Questo è il sunto della lunga lettera dell’erudito cinese: ed io convengo pienamente con lui. Ma sia o no di Confucio, la Cronica di Lu è un documento storico, sulla cui antichità non può cader dubbio: potrà esser guasto dal tempo, ma è certo contemporaneo agli avvenimenti che registra. Quel che però dà un valore grandissimo al Chun-thsiu, è il Commento di Tso Khiu-ming; il quale è chiamato dal Legge il più prezioso tesoro letterario, che sia pervenuto alla posterità dalla dinastia dei Ceu. Questo commento, toltone alcune interpolazioni che vi vennero fatte in diversi tempi, può tenersi per genuino. L’autore lo compilò su i documenti dell’archivio di Stato, dando ai fatti che esponeva una veste abbastanza elegante; sicchè il libro appare lavoro di letterato e d’erudito perfetto, pe’ suoi tempi.
§ 6. — Il Chun-thsiu è l’ultimo degli Wu-king; e siccome dicendo di esso siamo oramai entrati nell’argomento: — qual sia stata l’opera di Confucio nella compilazione di questa parte de’ Libri sacri della Cina, — sarà d’uopo continuare. La prima domanda che si fa innanzi è questa: i King sono essi scritture del nostro filosofo; o vi erano già prima di lui? Che nella Cina fossevi da gran tempo una letteratura assai importante, è cosa che si può tener per certa; e la esistenza dei King stessi, che si credono comunemente opera dì Confucio, stanno a provarlo. I materiali che compongono quei libri, dovevano esistere da varii secoli; inquantochè gli odierni testi, a chi ben li consideri, non appaiono che avanzi di qualcosa di molto più antico. La tradizione e la storia poi insegnano, che ogni Stato cinese aveva un istoriografo, il cui ufficio era tra’ principali delle corti; e inoltre s’è veduto, ch’era usanza d’incaricare, per fine politico, un magistrato di far raccolta di canzoni popolari; le quali venivano lette e studiate da’ sovrani e da’ ministri, perchè la cosa pubblica procedesse secondo l’indole e i bisogni della nazione. Gli archivi di Stato dovevano dunque essere ricchi di documenti storici, lasciati di mano in mano dai vari istoriografi di corte; e abbondar pure di collezioni poetiche, fatte in varie occasioni, e diverse secondo i paesi dove furon raccolte. Sse Ma-tsien pretende infatti che il numero di tali composizioni poetiche, a’ tempi di Confucio, fosse di tremila.28
Per la qual cosa Confucio, amantissimo, come egli si confessa, delle memorie dell’antichità, aveva modo di soddisfare ampiamente a quell’ardente desiderio di conoscerla e d’investigarla in molte parti. E che egli abbia quindi preso a studiare le storie del suo paese nativo, e gli avvenimenti successi al cominciar della civiltà cinese; che egli abbia ricercato, scelto e imparato a memoria gran numero di quelle canzoni, che rammentavano le virtù dei savii antichi, le quali facevano quasi rivivere i tempi passati, oggetto de’ suoi più cari pensieri, è cosa tanto naturale, che non è mestieri spendervi parole; ma non credo che sia egualmente naturale il supporre, ch’egli sia proprio l’autore o il compilatore di tutte quelle scritture. Egli molto si adoperò a conservarle e a tramandarle a’ posteri: la Cina è obbligata a lui se oggi le possiede. E Confucio infatti, come altre volte s’è detto, e come fa giudiziosamente notare il critico cinese menzionato di sopra, Confucio non si è mai dato per autore, ma per trasmettitore e conservatore della dottrina che si rileva dai King. In questi documenti, che esistevano fino allora in virtù d’un’antica consuetudine, Confucio vide il codice delle future generazioni. Ed egli si adoprò con ogni possa a inculcare in tutti lo studio di quei testi; i quali registravano gli atti dei principi sapienti, davano le regole di ben governare, insegnavano le virtù domestiche e civili, ricordavano le usanze primitive e i primitivi costumi del tempo aureo: que’ libri, che erano tesoro in gran parte degli archivi sovrani e a uso del principe, voleva che diventassero tesoro di tutti. In ciò consiste principalmente l’opera di Confucio: «Io non creo, egli dice, trasmetto quel che l’antichità ha conservato».
Nei Sse-shu o Libri Classici, che sono come il Vangelo del Confucianesimo, vengon citati di continuo i King; e vi sono citati come le autorità su cui s’appoggia il Filosofo, come i fonti della dottrina di lui, non come libri ch’egli abbia scritti. Nei Classici dunque vien detto, che i soggetti che trattava giornalmente il Filosofo, erano tolti dai libri poetici, dagli storici e dal canone de’ riti; in que’ testi cercava gli argomenti per discutere co’ discepoli.29 Lo Shih-king specialmente era il suo volume prediletto. In quelle trecento odi, che tutte secondo lui tendono a illustrare la massima: «non abbiate cattivi pensieri»,30 in quelle trecento odi c’era tutto quel che si poteva desiderare per formare un popolo e un governo eccellenti; c’eran tutti i germi d’una civiltà imperitura.31 E forse fu egli, il Filosofo, che scelse quel numero determinato di poesie, le quali formano l’odierno Shih-king, in mezzo alle moltissime del suo tempo. Infatti la più parte degli autori sostiene, che Confucio ne prendesse un trecento delle tremila canzoni che c’erano allora, e ne componesse il detto libro; e che facesse ciò pigliando tutte le poesie provenienti dallo Stato di Ceu, o dal Reame di Mezzo, e facendo poi una scelta di quelle che risalivano al tempo della dinastia de’ Shang, e di quelle che si avevano nel regno di Lu sua patria.32 Pertanto non bisogna dimenticare, che un’antologia di trecento poesie par che ci fosse eziandio prima del nostro filosofo; ed egli stesso allude a quella, in due luoghi almeno del Lun-yü:33 anzi l’ordine, nel quale erano disposte le canzoni in siffatta raccolta, sembra che fosse presso a poco quello dell’odierno Shih-king; imperocchè un passo del Ceu-li, o «Codice della dinastia di Ceu», ci fa sapere, che eravi un magistrato, il quale aveva incarico d’insegnare quei sei generi di poesia, dei quali abbiam parlato poco sopra. Del resto, tutto quel che Confucio fece intorno allo Shih-king, lo dice egli stesso. «Tornato in Lu dal reame di Wei, mi detti, così si esprime nel Lun-yü,34 a mettere al loro posto le poesie chiamate Ya e quelle chiamate Sung;» poesie che sono, come vedemmo, le due ultime delle sei specie di liriche.35
In quanto poi a ciò che gli autori affermano esplicitamente, che cioè Confucio scrivesse il comento al Ceu-yi, o alle dichiarazioni composte da Wên-wang e Ceu-kung ai diagrammi dell’imperatore Fu-hsi, s’avrebbe a credere che questa almeno fosse al tutto opera del gran savio di Lu. Ma se egli avesse in verità scritto siffatto comento, come avrebbe espresso il rammarico di non aver vita sufficente per darsi allo studio profondo di quel testo misterioso?36 A mio credere, il libro in cui si scorge l’opera di Confucio, o d’alcun altro prima di lui, ma più probabilmente di lui stesso, è lo Shu-king. Questo libro ha tale unità, tal ordinamento nelle materie, tal modo di esposizione, che non si può supporre, come per la Cronica di Lu, che siano le tabelle degli istoriografi riprodotte precisamente come furono scritte da loro, e come si serbavano negli archivi del governo. Qualcuno deve aver dato a questi ricordi storici quell’ordinamento, in quella forma letteraria che si legge oggi; e costui se ne può riguardare a buon diritto come autore; perchè l’opera che vi spese non fu certo quella d’uno che non facesse che raccogliere, senza un concetto prestabilito, documenti quali gli venivano a mano, per renderli pubblici.
La quistione in cui siamo entrati è di natura da richiedere troppe più serie e più lunghe ricerche, di quelle che noi siam capaci di fare, e il libro nostro di contenere; laonde lascerò a questo punto l’argomento, trattato ora brevemente, per venire a parlare di quell’altra serie di scritture che abbiam chiamate classiche. Questo sarà soggetto del Capitolo seguente.
Note
- ↑ Khang-hsi-tse-tien, clas. lxxiii, fol. 32v.
- ↑ Questi cinque libri sono: i. Than-shu, che contiene il canone di Yao; ii. Yu-shu, che contiene il canone di Shun; iii. Hsia-shu, ricordi storici della dinastia de’ Hsia; iv. Shang-shu, ricordi storici della dinastia de’ Shang; v. Ceu-shu, ricordi storici della dinastia dei Ceu. Secondo altre edizioni, anzi secondo la maggior parte delle edizioni, il Than-shu e lo Yu-shu sono riuniti in un sol libro, che porta il titolo di quest’ultimo. Lo Shu-King comprende in tutto cinquantotto capitoli o phien, così distribuiti: Yu-shu (Than-shu e Yu-shu), cinque; Hsia-shu, quattro; Shang-shu, diciassette; Ceu-shu, trentadue.
- ↑ Le traduzioni europee dello Shu-King, sono:
Le Chou-King, un des Livres Sacrés des Chinois, qui renferme les Fondements de leur ancienne Histoire, les Principes des leur Gouvernement et de leur Morale, traduit et enrichi de notes, par Feu le P. Gaubil, Missionaire à la Chine. Revu et corrigé, etc. par M. de Guignes. Paris 1770. — Questa traduzione fu riprodotta, con qualche correzione, dal Pauthier nella sua opera: Les Livres sacrés de l’Orient. Paris 1840.
The Shoo-King, or The Historical Classic, being the most ancient authentic record of Record of the Annals of the Chinese Empire: illustrated by later commentators. Translated by W. H. Medhurst, Shangae, 1846.
The Chinese Classics, by James Legge, D. D. vol. iii, part. i e ii, Hongkong, 1865. - ↑ La più antica risale al 1719, av. C.
- ↑ Tse-hsia, soprannominato Puh-shang, era discepolo di Confucio e fiorì nel v secolo av. C. La sua prefazione, nel catalogo bibliografico della dinastia dei Thang, appare come pubblicazione separata dallo Shih-King, col titolo Puh-tse-shang-shih-sü erh-kiuan. I brani tradotti di sopra sono tolti dalla prefazione di Puh-shang, riportata nella eccellente crestomazia cinese intitolata Cao-ming-wên-siun-cu.
- ↑ Li-ki, v, ii, 13 e 14. — Anche Ma Tuan-lin, nella sua Enciclopedia dice: «Gli antichi avevano un magistrato deputato a raccogliere e scegliere le canzoni; per tal modo i re conoscevano i costumi del popolo, li studiavano, e si rendevan capaci di sapere quel che riuscirebbe utile a farsi dal lor governo». Wên-hsien-thung-kao, lib. clxxviii, fol. 1.
- ↑ «Per sovrani dell’antichità qui s’intendono, dice il comento, Wên-wang, Wu-wang, Ceu-kung e Cêng-wang».
- ↑ Il vocabolo sung di per sè stesso significa la lode tributata a opere egregie compiute con frutto.
- ↑ Il commentatore alla Prefazione di Puh-shang dice, che tali composizioni poetiche erano consacrate alle cerimonie del Kiao-miao, o del tempio, dove si faceva il sacrificio detto Kiao: vedi p. 282.
- ↑ Le odi che compongono l’odierno Shih-king sono in numero di 311, così distribuite: il Kuo-fung contiene 159 odi concernenti quindici piccoli Stati: il Ta-ya, trentuna ode; il Siao-ya, ottanta; il Sung, quarantuna poesia in onore dei principi dei tre Stati Ceu, Lu e Shang. — Cinque poesie dello Shih-king risalgono dal 1719 al 1154 av. C.; circa una quarantina dal 1121 al 1076 av. C.; sessanta, dal 933 al 909 av. C.; dieci, dall’893 al 841; il rimanente, dall’840 al 585 av. C.
Le traduzioni europee di questo libro sono: Confucii Shi-king, sive Liber Carminum; ex Latina P. Lacharme interpretatione edidit Julius Mohl; Stuttgartiae et Tubingae, 1830. T. Legge. Chinese Classics, vol. iv parte i e ii. Hongkong, 1871. G. Pauthier, Anciens Chants de la Chine du Chi-King, nella Bibliothèque internationale universelle. - ↑ Le Tcheou-li, ou Rites des Tcheu, traduit pour la première fois du Chinois, par Edouard Biot, in 2 vol. Paris, 1851.
- ↑ Li-Ki, ou Mémorial des Rites traduit pour la première fois du Chinois, et accompagné de notes, de commentaires et du texte originai par J. M. Callery. Turin, 1853.
- ↑ Wylie, Notes on Chinese Literature, Shanghae, 1867, p. 5.
- ↑ Ecco i dodici capitoli o sezioni, phien, dell’Yi-king:
1. Thuan-tse di Wên-wang, un phien. 2. Hsiang-tse di Ceu-kung, un phien. 3. e 4. Thuan-cuan o Comento sul Thuan-tse, due phien. 5. e 6. Hsiang-cuan o Comento sul Hsian-tse, due phien. 7. e 8. Hsi-tse-cuan, due phien. 9. Wên-yen, un phien. 10. Shuo-kua-cuan, un phien. 11. Hsü-kua-cuan, un phien. 12. Tsa-kua-cuan, un phien. - ↑ Questa è l’opinione accettata da tutti gli eruditi cinesi; gli altri invece veggono nel titolo un modo figurato per indicare le vicende degli Stati: e questa interpretazione ha indotto in errore alcuni europei sulla ragione del detto titolo di Chun-thsiu. Così il Du Halde scrive: «Ce livre est intitulé le Printems et l’Automne, pour donner à entendre qu’un Empire se renouvelle et devient florissant lorsqu’il est gouverné par un Prince sage...... au lieu que, sous un Prince vicieux et cruel, l’Empire languit», (Description de l’Empire de la Chine in 4º a la Haye, vol. ii, p. 381). E l’Wells Williams: «so called because their commendations are life-giving like spring, and the censures life-withering like autumn». (The Middle Kingdom, iv ed. vol. i, p. 512).
- ↑ Questo è uno dei significati della parola thao-wuh; ma vuol dire eziandio: animale feroce; cosicchè è anche un epiteto che davasi in generale agli uomini malvagi. Alcuni credono che quei libri storici fossero chiamati a quel modo, perchè, ricordandovi appunto le avvenute malvagità, mettevansi in guardia gli uomini contro le stesse.
- ↑ Mêng-tse iv, ii, xxi, 2, citato anche nella prefazione di Tu-yü al Commento del Chun-thsiu.
- ↑ Jih-cih-lu, lib. i, fol. 1.
- ↑ Il Chalmers, in fine a una sua Memoria: The Astronomy of the ancient Chinese, ha dato la tavola di queste trentasei eclissi avvenute durante i 242 anni del periodo del Chun-thsiu: tavola che è stata riportata anche dal Legge a p. 86 dei Prolegomeni del vol. iii dei suoi Chinese Classics. — Devesi però notare, che due di queste eclissi, la 21a e la 24a sono state trovate false dai dotti cinesi del tempo dei Thang; e due altre, erronee, e queste sono la 10a e la 15a, come dimostrarono gli astronomi cinesi del tempo dei Tsin orientali.
- ↑ Lun-yü, v, xxiv.
- ↑ Il primo libro del Chun-thsiu fu tradotto dal Bayer in latino nei Commentaria Academiae Petropolitanae. vol. vii, p. 398-399 (col testo Cinese). Si parla anche d’una traduzione in Russo inedita del Padre Daniele della missione ecclesiastica russa di Pechino. Il Legge lo ha tradotto unitamente al Tso-cuan nel iv vol., parte i e ii dei suoi Chinese Classics.
- ↑ The Chinese Classics, t. i, p. 1.
- ↑ Mémoires concernant les Chinois; t. i, p. 47.
- ↑ Mêng-tse, iii, i, ix, 7.
- ↑ Mêng-tse, iv, ii, xxi.
- ↑ Mêng-tse, iii, i, ix, 11.
- ↑ Mêng-tse, ibidem.
- ↑ Sse-ki, lib. 46, cit. in Legge, Chinese Classics, t. iv, parte i, proleg. p. 1.
- ↑ Lun-yü, vii, 17.
- ↑ Lun-yü, ii, 2.
- ↑ Conf. Lun-yü, xvii, 10; xiii, 5.
- ↑ Wên-hsien-thung-kao, lib. clxxviii, fol. 1.
- ↑ Lun-yü, ii, 2; xiii, 5.
- ↑ Lun-yü, ix, xiv.
- ↑ La conclusione, a cui giunge anche il Legge, è questa: «The Book of Poetry, arranged very much as we now have it, was current in China long before the sage; and its pieces were in the mouths of statesmen and scholars, constantly quoted by them on festive and other occasions». E inoltre è d’opinione che l’odierno Shih-king si componga dei frammenti che rimangono delle diverse collezioni poetiche fatte durante i primi regni dei re di Ceu. Chinese Classics, vol. iv, parte i, proleg. p. 5, 25.
- ↑ «Se mi fosse possibile, dice Confucio nel Lun-yü (vii, xvii), aggiungere alquanti anni alla mia vita, ne vorrei passar cinquanta a studiare l’Yi-king». E poco più sotto (vii, xviii): «Il Libro dei Versi, quello delle Istorie e quello dei Riti, erano gli abituali argomenti al suo ragionare».