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318 parte seconda

di quella stessa dinastia (288 av. C.), in età di ottantaquattro anni.1

Il padre di Mencio morì mentre il figliuolo era in tenerissima età; e tutta l’educazione di lui è dovuta alla madre, la quale vi pose ogni sollecitudine. Narrasi fra le altre cose, che essa s’indusse a mutare più volte d’abitazione, per evitare i mali esempi del vicinato. Dapprima abitava presso un macellaro; e se ne allontanò per non assuefare il figliuolo alla vista de’ poveri animali, che si uccidevano e squartavano. Andò a stare presso un cimitero; ma il giovanetto s’avvezzò così bene a contraffare coloro che andavano a piangere su le tombe dei loro estinti; che la madre dovette andar via anche di là, per timore che prendesse il mal vezzo di burlarsi delle cose sacre. Non trovò di meglio che cercar casa in vicinanza d’una scuola; e non ebbe a pentirsene; perchè il giovane, preso dalla voglia d’andarvi anche lui come gli altri, si dette con amore allo studio. Cresciuto in età e in senno, si fece discepolo di Tse-sse, nipote di Confucio; e quando sotto la sua disciplina fu diventato anch’egli maestro, seguendo un’usanza già antica, incominciò i suoi viaggi per le corti de’ piccoli Stati: dove offriva in servigio la propria dottrina, e discuteva di morale, di politica e di filosofia. Ma i tempi non volgevano propizii a tali occupazioni. La Cina era in quel tempo divisa in sei reami, (quegli di Thsu, di Yen, di Thsi, di Han, di Cao e di Wei), rivali e nemici l’un dell’altro: e l’arte della guerra era perciò stimata al di sopra d’ogn’altra. Mencio non fu dunque più fortunato di Confucio, coi suoi contemporanei; e le sue dottrine fiorirono anch’esse più tardi, con quelle del filosofo di Lu, quando


  1. Conf. Wa-kan-san-sai-tu-ye, lib. lxii, parte i, fol. 35.