Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano/37

CAPITOLO XXXVII

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CAPITOLO XXXVII.

Origine, progresso ed effetti della vita monastica. Conversione de’ Barbari al Cristianesimo, ed all’Arrianismo. Persecuzione de’ Vandali nell’Affrica. Estinzione dell’Arrianismo fra’ Barbari

L’inseparabile connessione degli affari civili ed ecclesiastici mi ha dato motivo ed aiuto a riferire il progresso, le persecuzioni, lo stabilimento, le divisioni, il pieno trionfo e la successiva corruzione del Cristianesimo. Ma ho differito o bella posta l’esame di due religiosi avvenimenti, di conseguenza nello studio della natura umana, ed importanti nella decadenza e rovina del Romano Impero, cioè I. l’istituzione della vita monastica1; e II. la conversione de’ Barbari Settentrionali. [p. 6 modifica]

I. La prosperità e la pace introdusse la distinzione fra’ Cristiani volgari, e gli Ascetici2. La coscienza della moltitudine si contentava d’una larga ed imperfetta pratica di Religione. Il Principe o il Magistrato, il Soldato o il Mercante conciliarono il fervido loro zelo, e l’implicita fede loro coll’esercizio della propria professione, con la cura de’ loro interessi, e colla condiscendenza delle passioni: ma gli Ascetici, che volevan osservare i rigorosi precetti dell’Evangelo, e talvolta ne abusavano, furono eccitati da quel selvaggio entusiasmo, che rappresenta l’uomo come un delinquente, e Dio come un tiranno. Essi rinunziarono seriamente agli affari, ed a’ piaceri del secolo; rigettarono l’uso del vino, della carne e del matrimonio; gastigarono il proprio corpo, mortificarono le loro passioni, ed abbracciarono una vita di miseria come un prezzo dell’eterna felicità. Nel tempo di Costantino gli Ascetici fuggivano da un Mondo profano e degenerato, ad una perpetua solitudine o società religiosa. Come i primi Cristiani di Gerusalemme3 [p. 7 modifica]rinunziarono l’uso o la proprietà de’ loro beni temporali; fondarono delle comunità regolari di persone del medesimo sesso, e d’uniforme disposizione; e presero i nomi d’Eremiti, di Monaci e di Anacoreti, esprimenti la solitaria lor vita in un deserto naturale, o artificiale. Essi acquistaron ben presto il rispetto del Mondo, che disprezzavano; e si fece il più alto applauso a questa Divina Filosofia4, che sorpassava, senza l’aiuto della scienza o della ragione, le laboriose virtù delle scuole Greche. In vero i Monaci potevan contendere con gli Stoici nel disprezzo della fortuna, del dolore, e della morte; si rinnovò nella servile lor disciplina il silenzio, e la sommissione de’ Pittagorici; e sdegnarono con una fermezza uguale a quella de’ Cinici stessi ogni formalità, e decenza della civil società. Ma i seguaci di tal divina filosofia aspiravano ad imitare un modello più puro, o più perfetto. Seguitavano le vestigia de’ Profeti, che si erano ritirati nel deserto5; e [p. 8 modifica]fecero risorgere la vita devota, e contemplativa, che si era introdotta dagli Esseni, nella Palestina e nell’Egitto. L’occhio filosofico di Plinio aveva osservato con sorpresa un Popolo solitario, che abitava fra le palme vicino al Mar Morto, che sussisteva senza danaro, si propagava senza donne, e traeva dal disgusto e dal pentimento dell’uman genere, un perpetuo rinforzo di volontari associati6.

[A. 305] L’Egitto, fecondo padre di superstizione, somministrò il primo esempio della vita monastica. Antonio7, inculto8 giovane delle parti più basse della Tebaide, [p. 9 modifica]distribuì il suo patrimonio9, abbandonò la propria famiglia, e la casa nativa, e compì la sua monastica penitenza con originale ed intrepido fanatismo. Dopo un lungo e penoso noviziato fra’ sepolcri, e in una torre rovinata, s’avanzò arditamente nel deserto per tre giornate di cammino all’oriente del Nilo; scoprì un luogo solitario, che aveva i vantaggi dell’ombra e dell’acqua, e fermò l’ultima sua dimora sul monte Colzim, vicino al Mar Rosso, dove un antico monastero tuttavia conserva il nome, e la memoria del Santo10. La curiosa devozione de’ Cristiani lo seguitò fino al deserto; e quando fu costretto a comparire in Alessandria in faccia al Mondo, sostenne la sua fama con dignità, e discretezza. Ei godè l’amicizia d’Atanasio, di cui approvò la dottrina; e l’Egizio abitator delle selve rispettosamente evitò un rispettoso invito dell’Imperator Costantino. [A. 350-456] Il venerabile Patriarca {{Pt|(poi-|} [p. 10 modifica](poichè Antonio giunse all’età di centocinque anni) vide la numerosa progenie, che si era formata, seguitando l’esempio e lo lezioni di esso. Le prolifiche colonie de’ Monaci si moltiplicarono con rapido progresso nelle arene della Libia, su’ massi della Tebaide, e nelle città del Nilo. Al mezzodì d’Alessandria, la montagna ed il vicino deserto di Nitria eran popolati da cinquemila Anacoreti; ed il viaggiatore può tuttavia investigar le rovine di cinquanta monasteri, che furono fondati su quello sterile suolo da’ discepoli d’Antonio11. Nella Tebaide Superiore fu occupata la vacante Isola di Tabenna12 da Pacomio, e da millequattrocento dei suoi confratelli. Questo Santo Abbate fondò successivamente nove Monasteri di uomini, ed uno di donne; e la festa di Pasqua riuniva tal volta cinquantamila religiose persone, che seguivano l’Angelica sua regola di disciplina13. La grande e popolata città d’Ossirinco, la sede dell’Ortodossia cristiana, avea destinato [p. 11 modifica]i tempj, i pubblici edifizi, e fino le mura a pii e caritatevoli usi; ed il Vescovo, che poteva predicare in dodici chiese, contò diecimila maschi, e ventimila femmine della professione monastica14. Gli Egizi, che si gloriavano di tal maravigliosa rivoluzione, eran disposti a sperare ed a credere, che il numero de’ Monaci fosse uguale al resto del Popolo15; e la posterità potrebbe ripetere quel detto, che fu anticamente applicato agli animali sacri del medesimo paese, cioè, che in Egitto era meno difficile di trovare un Dio, che un uomo.

[A. 341-328] Atanasio introdusse in Roma la cognizione, e la pratica della vita monacale; ed i discepoli d’Antonio, che accompagnarono il loro Primate alla sacra soglia del Vaticano, aprirono una scuola di questa nuova filosofia. Lo strano e selvaggio aspetto di quegli Egizi a principio eccitò dell’orrore o del disprezzo, ma in seguito dell’applauso, ed un’ardente imitazione. I Senatori, e specialmente le matrone, trasformarono i palazzi e le ville loro in case religiose, ed il ristretto istituto di sei Vestali restò ecclissato da frequenti monasteri, che si edificarono sulle rovine degli antichi Tempj, ed in mezzo al Foro Romano16. Un giovane [p. 12 modifica]Siro, chiamato Ilarione17, infiammato dall’esempio d’Antonio, fissò l’orrida sua dimora in un arenoso lido, fra il mare ed una palude, circa sette miglia distante da Gaza. L’austera penitenza, nella quale persistè per quarantotto anni, sparse un simil entusiasmo negli altri; ed allorchè il sant’uomo visitava gl’innumerabili Monasteri della Palestina, aveva un seguito di due o tremila Anacoreti. [A. 360] La fama di Basilio18 è immortale nell’istoria monastica dell’Oriente. Con uno spirito, che avea gustato la dottrina e l’eloquenza di Atene, e con un’ambizione da potersi appena contentare dell’Arcivescovato di Cesarea, Basilio si ritirò in una deserta solitudine del Ponto: e si degnò, per un tempo, di prescriver le leggi alle spirituali colonie ch’egli abbondantemente sparse lungo la costa del Mar Nero. Nell’Occidente, Martino di Tours19, sol- [p. 13 modifica]dato, eremita, Vescovo e Santo, fondò i Monasteri della Gallia; duemila de’ suoi discepoli l’accompagnarono al sepolcro; ed il suo eloquente Istorico sfida i deserti della Tebaide a produrre, in un clima più favorevole, un campione d’ugual virtù. Il progresso dei Monaci non fu meno rapido, od universale, di quello del Cristianesimo stesso. Ogni provincia, ed in fine ogni città dell’Impero era piena de’ loro ceti che andavan sempre crescendo: e le aspre e nude isole, che sorgono fuori del Mar Toscano, da Lerino a Lipari, si scelsero dagli Anacoreti, per luogo del loro volontario esilio. Un facile e continuo commercio per mare e per terra univa fra loro le Province del Mondo Romano; e la vita d’Ilarione mostra la facilità, con cui un indigente Eremita della Palestina potè attraversare l’Egitto, imbarcarsi per la Sicilia, fuggire nell’Epiro, e finalmente approdare all’Isola di Cipro20. I Cristiani Latini abbracciarono gl’istituti religiosi di Roma. I pellegrini, che visitavan Gerusalemme, difficilmente copiarono, ne’ climi della terra più distanti fra loro, il genuino modello della vita monastica. I discepoli d’Antonio si sparsero di là dal Tropico, sotto [p. 14 modifica]l’Impero Cristiano dell’Etiopia21. Il monastero di Banchor22 in Flintshire, che conteneva più di duemila Monaci, diffuse una numerosa colonia fra’ Barbari dell’Irlanda23; e Jona, una dell’Ebridi, che fu coltivata da’ Monaci Irlandesi, sparse nelle regioni settentrionali un dubbioso raggio di scienza e di superstizione24.

Quest’infelici esuli dalla vita sociale, venivano mossi dall’oscuro ed implacabile genio della superstizione. L’esempio di milioni di persone d’ambedue i sessi, d’ogni età, e d’ogni grado serviva di mutuo sostegno ad altri per farli risolvere ad abbracciar quella vita, ed ogni proselito, ch’entrava in un Monastero, era persuaso ch’ei camminava per l’aspro e spinoso sentiero dell’eterna felicità25. Ma questi religiosi motivi [p. 15 modifica]operavano in varie maniere, secondo il carattere, e la situazione delle persone. La ragione potea vincere, o la passione sospendere la loro forza; ma essi agivano più vigorosamente su’ deboli spiriti de’ fanciulli, e delle donne; si avvaloravano da segreti rimorsi, o da accidentali disgrazie; e potevano trarre qualche vantaggio da temporali riflessi di vanità, o d’interesse. Naturalmente si supponeva che gli umili e pii Monaci, che avevano abbandonato il Mondo per attendere alla lor salvazione, fossero i più adattati al governo spirituale de’ Cristiani. Si tirava l’eremita ripugnante dalla sua cella, e collocavasi, fra le acclamazioni del popolo, sulla sede Episcopale, i Monasteri dell’Egitto, della Gallia, e dell’Oriente somministrarono una regolar successione di Santi e di Vescovi; e l’ambizione tosto scoprì la segreta strada che conduceva al possesso delle ricchezze, e degli onori26. I Monaci popolari, la riputazione de’ quali era connessa con la fama e la prosperità dell’Ordine, continuamente cercavano di moltiplicare il numero degli schiavi loro compagni. Si [p. 16 modifica]insinuavano nelle nobili ed opulente famiglie, ed impiegavano le speciose arti dell’adulazione, e della seduzione per assicurarsi que’ proseliti, che potevano apportar dignità, o ricchezze alla professione monastica. Lo sdegnato padre piangeva la perdita d’un figlio forse unico27 la credula fanciulla era indotta dalla vanità a violare le leggi della natura; e la Matrona aspirava ad un’immaginaria perfezione, rinunziando alle virtù della vita domestica. Paola cedè alla persuasiva eloquenza di Girolamo28; ed il titolo profano di Suocera di Dio29 tentò quell’illustre vedova a consacrar la verginità d’Eustochia, sua figlia. Per consiglio ed in compagnia della spirituale sua guida, Paola abbandonò Roma, ed il suo piccolo figlio; si ritirò al santo villaggio di Betlemme: fondò un ospedale, e quattro Monasteri; ed acquistò, mediante la sua penitenza ed elemosine, un eminente e cospicuo posto nella Chiesa Cattolica. Tali rari ed illustri penitenti venivano celebrati come la gloria, e l’esempio del loro [p. 17 modifica]secolo: ma i Monasteri s’empivano d’una folla di oscuri ed abietti plebei30, che nel chiostro guadagnavano molto più di quel che avessero sacrificato nel Mondo. I contadini, i servi e gli artefici potevan passare dalla povertà e dal disprezzo ad una sicura ed onorevole professione, gli apparenti travagli della quale venivano mitigati dall’uso, dall’applauso popolare, e dal segreto rilassamento della disciplina31. I sudditi di Roma, le persone e sostanze de’ quali eran sottoposte a diseguali ed esorbitanti tributi, si ritiravano dall’oppressione del Governo Imperiale; ed il giovane pusillanime preferiva la penitenza d’una vita Monastica a’ pericoli della milizia. Gli atterriti Provinciali d’ogni ceto, che fuggivano da’ Barbari, vi trovavan rifugio e sussistenza; e delle intere legioni si seppellivano in que’ religiosi santuari, e la medesima causa, che sollevava l’angustia degl’individui, diminuiva la forza, ed il vigor dell’Impero32. [p. 18 modifica]

La professione monastica degli antichi33 era un atto di volontaria devozione. L’incostante fanatico era minacciato bensì dell’eterna vendetta di quel Dio, che abbandonava; ma le porte del Monastero eran sempre aperte al suo pentimento. Que’ Monaci, la coscienza de’ quali era invigorita dalla ragione, o dalla passione, erano liberi di ripigliare il carattere di uomini e di cittadini, ed anche le spose di Cristo potevano ricevere i legittimi abbracciamenti d’un amatore terreno34. Gli esempi di scandalo, ed il progresso della superstizione suggerirono la convenienza di più forti legami. Dopo una sufficiente prova, si assicurava la fedeltà del novizio mediante un solenne e perpetuo voto, e veniva ratificato l’irrevocabil suo vincolo dalle Leggi della Chiesa, e dello Stato. Un reo fuggitivo [p. 19 modifica]era inseguito, arrestato o ricondotto alla perpetua sua prigione; e l’interposizione de’ Magistrati opprimeva la libertà ed il merito, che aveva, in qualche modo, alleviato l’abietta schiavitù della disciplina monastica35. Eran dirette le azioni, le parole e fino i pensieri d’un Monaco da un’inflessibile regola36, o da un Superiore cappriccioso: lo mancanze più tenui si correggevano con la vergogna, con la prigionia, con digiuni straordinari, o con sanguinose flagellazioni, e la disubbidienza, il lamento, o l’indugio si risguardavano come i più odiosi delitti37. Una cieca sommissione agli ordini dell’Abbate, per quanto potessero sembrare [p. 20 modifica]assurdi, o tendenti al delitto, era il principio fondamentale e la prima virtù de’ Monaci Egiziani; e spesso esercitavasi la loro pazienza co’ più stravaganti sperimenti. Veniva ordinato loro di muovere un masso enorme, d’annaffiare continuamente un bastone secco piantato nel suolo, finattantochè al termine di tre anni vegetasse e germogliasse come un albero, d’entrare in una fornace ardente, o di gettare i loro figliuolini in un profondo stagno: e molti santi, o pazzi, hanno acquistato nella storia monastica una fama immortale per la loro inconsiderata e pronta ubbidienza38. La libertà dello spirito, ch’è la sorgente d’ogni generoso e ragionevole sentimento, era distrutta dall’abitudine della credulità e della sommissione; ed il Monaco, assuefacendosi a’ vizi dello schiavo, devotamente seguiva la fede e le passioni dell’ecclesiastico suo tiranno. La pace della Chiesa orientale fu attaccata da uno sciame di fanatici, incapaci di timore, di ragione, o d’umanità e le truppe Imperiali confessavano senza vergogna, che temevano meno l’incontro de’ più fieri Barbari39.

Spesso la superstizione ha formato, e consacrato i [p. 21 modifica]capricciosi abiti de’ Monaci40: ma talvolta l’apparente loro singolarità nasce anche dall’uniforme attaccamento, che hanno ad una semplice o primitiva maniera di vestire, che le rivoluzioni della moda hanno poi resa ridicola agli occhi degli uomini. Il Padre de’ Benedettini espressamente disapprova qualunque idea di particolarità, o distinzione, e sobriamente esorta i suoi discepoli ad abbracciare l’abito comune e proprio de’ luoghi dove si trovano41. Le vesti monastiche degli antichi variavano col clima, e con la loro maniera di vivere; e prendevano coll’istessa indifferenza la pelle di pecora de’ contadini Egizi, o il pallio de’ Filosofi greci. Facevan uso del lino in Egitto, dove si lavorava comunemente, ed a poco prezzo: ma in Occidente rigettavano questo capo dispendioso di lusso forestiero42. I Monaci avevano il costume di tagliarsi, o di radersi i capelli, nascondevano il capo in un cappuccio, per evitare la vista degli oggetti profani; andavano con le gambe e co’ piedi nudi, eccettuato il tempo dell’estremo freddo dell’inverno; ed i loro lenti e deboli passi erano sostenuti da un lungo bastone. L’aspetto d’un vero anacoreta era orrido e disgustoso: ogni sensazione dispiacevole all’uomo, si credeva gradita a Dio; e l’angelica re[p. 22 modifica]gola di Tabenna condannava il salutevol costume di bagnarsi le membra nell’acqua, o d’ungerle con olio43. Gli austeri Monaci dormivano sulla terra sopra una dura stoia, o su rozzi panni; e l’istesso fascio di foglie di palma serviva loro per sedere il giorno, e di capezzale la notte. Le prime lor celle erano basse ed anguste capanne formate de’ più tenui materiali che, mediante una regolar distribuzione di strade, facevano un grosso e popolato villaggio, il quale nel comune recinto conteneva una Chiesa, uno spedale, talvolta una libreria, alcune manifatture necessarie, un giardino ed una fontana, o conserva d’acqua fresca. Trenta, o quaranta fratelli componevano una famiglia, nel vitto e nella disciplina separata dalle altre, ed i grandi Monasteri dell’Egitto eran composti di trenta, o quaranta famiglie.

Nel linguaggio de’ Monaci, piacere e delitto eran termini sinonimi, ed essi avevan conosciuto per esperienza, che i rigorosi digiuni, e l’astinenza nel cibo sono i più efficaci preservativi contro i desiderj impuri della carne44. Le regole d’astinenza, ch’essi [p. 23 modifica]stabilirono o praticarono, non erano uniformi, o perpetue; la lieta solennità della Pentecoste veniva bilanciata dalla straordinaria mortificazione della Quaresima; il fervore de’ nuovi monasteri appoco appoco s’andò rilassando, ed il vorace appetito de’ Galli non poteva imitare la paziente e temperata virtù degli Egizi45. I discepoli d’Antonio, e di Pacomio eran contenti della lor giornaliera porzione46 di dodici once di pane, o piuttosto di biscotto47, ch’essi dividevano ne’ due frugali pasti del mezzogiorno, e della sera. Stimavasi un merito, e quasi un dovere, l’astenersi da’ vegetabili cotti, che si davano al refettorio, ma la straordinaria bontà dell’Abbate alle volte accordava loro il lusso del formaggio, delle frutte, della [p. 24 modifica]insalata, e di piccoli pesci secchi del Nilo48. A grado a grado s’accordò, o si prese una maggior porzione di pesce di mare e di fiume: ma l’uso della carne fu per lungo tempo ristretto agli ammalati, ed a’ viaggiatori; e quando questo appoco appoco prevalse nei Monasteri meno rigorosi d’Europa, vi s’introdusse una singolar distinzione, come se gli uccelli, o salvatici o domestici, fossero stati meno profani de’ grossi animali de’ campi. L’acqua era la pura ed innocente bevanda de’ primitivi Monaci; ed il fondatore de’ Benedettini disapprova la quotidiana porzione di mezza pinta di vino, che l’intemperanza del secolo49 l’aveva costretto a permettere. Le vigne d’Italia potevano facilmente somministrare tal misura; ed i suoi vittoriosi discepoli, che passarono le Alpi, il Reno, ed il Baltico, richiesero, in luogo del vino, un’adequata compensazione di birra, o di sidro.

Il candidato, che aspirava alla virtù della povertà Evangelica, si spogliava, nel primo suo ingresso in una comunità regolare, dell’idea e fino del nome di ogni esclusivo o separato possesso50. I fratelli si so[p. 25 modifica]stentavano per mezzo del lavoro delle proprie mani, ed il dovere di lavorare veniva caldamente raccomandato come una penitenza, come un esercizio, e come il mezzo più lodevole di procurarsi la quotidiana lor sussistenza51. Venivano diligentemente coltivati dalle lor mani i giardini ed i campi, che l’industria loro spesse volte avea tratto dalle foreste e dalle paludi. Essi facevano, senza ripugnanza, i più bassi ufizi di schiavi e di domestici; e si esercitavano dentro i recinti de’ grandi Monasteri le varie arti ch’erano necessarie a provvederli di abiti, di utensili e di abitazioni. Gli studi monastici, per la maggior parte, son serviti ad accrescere, piuttosto che a dissipar la caligine della superstizione. Pure la curiosità, o lo zelo di alcuni eruditi solitari ha coltivato le scienze ecclesiastiche ed anche le profane: e la posterità dee riconoscer con gratitudine, che le loro instancabili penne, ci hanno conservato e moltiplicato i monumenti della Greca e Romana Letteratura52. Ma la più umile industria de’ Monaci, specialmente [p. 26 modifica]d’Egitto, si contentava della tacita e sedentaria occupazione di fare de’ sandali di legno, o d’intrecciare foglie di palme per farne stoie e panieri. Il lavoro superfluo, che non s’impiegava nell’uso domestico, serviva, mediante il commercio, a supplire a’ bisogni della Comunità: i barchetti di Tabenna e degli altri monasteri della Tebaide, discendevano pel Nilo fino ad Alessandria; ed in un mercato cristiano, la santità degli artefici poteva dare un pregio maggiore all’intrinseco valore dell’opere.

Ma passò appoco appoco la necessità del lavoro manuale. Il novizio inducevasi a trasferire le sue sostanze ne’ santi, in compagnia de’ quali avea risoluto di consumare il rimanente della sua vita; e la perniciosa indulgenza delle leggi permetteva a lui di ricevere, per loro uso in futuro, qualunque accrescimento di legati, o d’eredità53. Melania donò loro la sua argenteria del peso di trecento libbre: e Paola contrasse un immenso debito, per sollievo de’ favoriti suoi Monaci, che benignamente compartivano i meriti delle orazioni e penitenze loro ad una ricca e liberal peccatrice54. Il tempo accresceva di continuo, e gli [p. 27 modifica]accidenti rare volte facevan diminuire i beni de’ Monasteri popolari, che si sparsero sulle addiacenti campagne e città: e, nel primo secolo della loro istituzione, il pagano Zosimo ha maliziosamente osservato, che, per vantaggio de’ poveri, i Monaci cristiani avevan ridotto una gran copia di persone alla mendicità55. Finattantochè però mantennero il primitivo loro fervore, si fecero un dovere di esser fedeli ed amorevoli amministratori della carità, che veniva affidata alla loro cura. Ma la disciplina loro fu corrotta dalla prosperità: essi appoco appoco assunsero l’orgoglio de’ ricchi, ed alla fine ammisero il lusso nel lor trattamento. Si sarebbe potuto scusare il pubblico loro lusso con la magnificenza del Culto religioso, e col decente motivo d’erigere durevoli abitazioni per una società immortale. Ma ogni secolo della Chiesa ha accusato la rilassatezza de’ Monaci degenerati, che non si ricordavan più dell’oggetto del loro istituto, abbracciavano i vani e sensuali piaceri del Mondo, che avevano abbandonato56, e scandalosamente abusavano [p. 28 modifica]delle ricchezze, che si erano acquistate dalle austere virtù de’ lor fondatori57. Il loro natural passaggio, da tal penosa e pericolosa virtù, a’ vizi comuni dell’umanità, non ecciterà forse grande avversione o sdegno nella mente d’un Filosofo.

I primitivi Monaci consumavan la loro vita in penitenza e solitudine, senza esser disturbati dalle varie occupazioni, che impiegano il tempo, ed esercitan le facoltà degli enti ragionevoli, attivi e sociali. Quando veniva loro permesso di andare fuori del Monastero, due gelosi compagni erano sempre vicendevoli guardie, e spie delle azioni l’uno dell’altro; ed al loro ritorno erano condannati a dimenticare, o almeno a sopprimere tutto ciò, che avevan veduto, o udito nel Mondo. Si ricevevan ospitabilmente in un quartiere separato i forestieri, che professavan la fede ortodossa; ma non si permetteva la pericolosa loro conversazione, che ad alcuni scelti vecchi di approvata discretezza e fedeltà. Il Monastico schiavo non potea ricever le visite de’ suoi amici, o congiunti, che in loro presenza; e si stimava sommamente meritorio, se [p. 29 modifica]affliggevauna tenera sorella, o un vecchio padre coll’ostinato rifiuto d’una parola, o d’uno sguardo58. I Monaci stessi passavan la loro vita, senz’alcun attacco personale, in mezzo ad una folla, che si era unita insieme per accidente, e si riteneva nella stessa prigione dalla forza e dal pregiudizio. De’ solitari fanatici hanno poche idee, o sentimenti da comunicarsi: una special licenza dell’Abbate regolava il tempo, e la durata delle famigliari lor visite, ed alle loro tacite mense stavano nascosti ne’ propri cappucci, inaccessibili, e quasi invisibili l’uno all’altro59. Lo studio è il conforto della solitudine: ma non aveva l’educazione preparati, e resi capaci d’alcuno studio liberale gli artigiani ed i contadini, che riempivano le comunità monastiche. Potevano lavorare: ma la vanità della perfezione spirituale era tentata a sdegnar l’esercizio del lavoro manuale; e dev’esser languida e debole quell’industria, che non è eccitata dal sentimento d’un personale interesse.

Secondo lo zelo e la fede loro, potevano impiegare il giorno, che passavano nelle proprie celle, in orazione vocale o mentale: s’adunavano la sera, ed erano svegliati la notte pel comune ufizio del Monastero. Se ne determinava il preciso momento dalle stelle, che rare volte son coperte dalle nuvole nel sereno cielo dell’Egitto; ed una trombetta, o corno pa[p. 30 modifica]storale, segnale della devozione, interrompeva due volte il vasto silenzio del deserto60. Anche il sonno, che è l’ultimo refugio degl’infelici, era misurato rigorosamente; le ore vacanti del Monaco scorrevano gravemente senz’occupazione, e senza piacere; e prima di giungere al fine del giorno, egli accusava più volte il noioso e tardo cammino del Sole61. In tal misero stato la superstizione perseguitava sempre e tormentava i suoi meschini devoti62. La quiete, ch’essi avevan cercato nel chiostro, veniva disturbata da un tardo pentimento, da profani dubbi, e da colpevoli desiderj e risguardando essi ogni naturale impulso come un imperdonabil peccato, tremavano continuamente sull’orlo d’un ardente ed infinito abisso. La pazzia, o la morte liberava talvolta quelle misere vittime da’ penosi travagli dell’inquietudine e della disperazione; e nel sesto secolo fu eretto in Gerusalemme uno spedale per un piccolo numero di austeri [p. 31 modifica]penitenti, che avevan perduto l’uso della ragione63.Prima che giungessero a quest’ultimo, e indubitato termine di frenesia, le loro visioni hanno somministrato ampi materiali d’istoria soprannaturale. Erano pienamente persuasi, che l’aria da essi respirata, fosse popolata da nemici invisibili, da innumerabili demonj, che spiavano qualunque occasione, e prendevano qualunque forma per atterrire, e sopra tutto tentare, la loro virtù non guardata. L’immaginazione, ed anche i sensi erano ingannati dalle illusioni dello sregolato fanatismo; e l’eremita, la cui notturna orazione veniva interrotta da un involontario assopimento, poteva facilmente confondere i fantasmi d’orrore o di diletto, che avevano occupato i suoi pensieri nell’atto di dormire, con quelli della vigilia64.

I Monaci furon divisi in due classi, in Cenobiti, che vivevano sotto una comune e regolar disciplina, ed in Anacoreti, che seguitavano l’insociabile, e indipendente lor fanatismo65. I più devoti, o i più am[p. 32 modifica]biziosi, fra gli spirituali fratelli, rinunziavano al convento in quella guisa, che avevano rinunziato al Mondo. I ferventi Monasteri dell’Egitto, della Palestina, e della Siria erano circondati da una Laura66, o largo cerchio di celle solitarie; e la stravagante penitenza degli Eremiti veniva stimolata dall’applauso e dall’emulazione67. Soccombevano sotto il penoso carico di croci e di catene; e l’emaciate lor membra erano strette da collari, da anelli, da guanti, e da calze di pesante e rigido ferro. Gettavano via con disprezzo qualunque superfluità di abiti; e furono ammirati alcuni Santi selvaggi di ambedue i sessi, i nudi corpi de’ quali non eran coperti, che da’ lunghi loro capelli. Aspiravano a ridursi a quello stato rozzo e meschino, in cui il bruto umano appena si distingue dagli animali suoi congiunti: ed una numerosa setta di Anacoreti traeva il nome dall’umile loro uso di pascere ne’ campi della Mesopotamia con il gregge ordinario68. Spesse volte [p. 33 modifica]usurpavan la tana di qualche bestia selvaggia, a cui cercavano di assomigliarsi; si seppellivano in qualche oscura caverna, che l’arte o la natura avea scavato nel masso, e le cave di marmo della Tebaide portano tuttavia scritti i monumenti della lor penitenza69. Si suppone, che gli Eremiti più perfetti passassero molti giorni senza cibo, molte notti senza dormire, e molti anni senza parlare; e glorioso era l’uomo (io abuso di tal nome) che inventava una cella, o un luogo di tale particolar costruzione, che l’esponesse nella più incomoda positura all’intemperie delle stagioni.

Fra questi eroi della vita monastica si è reso immortale il nome ed il genio di Simeone Stilita7071 per la singolare invenzione d’una penitenza aerea. All’età di tredici anni il giovine Siro abbandonò la professione di pastore, e si gettò in un rigido monastero. Dopo un lungo e penoso noviziato, in cui Simeone fu più volte salvato da un pio suicidio, stabilì la sua dimora sopra una montagna circa trenta o quaranta miglia all’Oriente d’Antiochia. Chiuso dentro lo spazio d’una Mandra, o cerchio di pietre, a cui si era attaccato con una pesante catena, salì sopra una colonna, che fu successivamente alzata dall’altezza di nove piedi [p. 34 modifica]fino a quella di sessanta da terra71. In quest’ultima ed alta sede l’anacoreta Siriaco resistè al caldo di trenta estati, ed al freddo di altrettanti inverni; l’abito e l’esercizio l’ammaestrarono a mantenersi in quella pericolosa situazione senza timore, o vertigini, ed a prendere appoco appoco le diverse positure di devozione. Alle volte pregava ritto con le braccia stese in forma di croce; ma ciò che faceva più comunemente era di piegare il suo magro scheletro dalla fronte fino a’ piedi: ed un curioso spettatore, dopo d’aver contato 1244 repetizioni di tal atto, desistè finalmente da tal numerazione, che non avea termine. Una piaga, venutagli nella coscia72, potè abbreviare, ma non interrompere questa vita celeste, ed il paziente eremita spirò, senza scendere dalla sua colonna. Un Principe che capricciosamente condannasse a tali tormenti, sarebbe stimato un tiranno; ma oltrepasserebbe il poter d’un tiranno l’imporre una lunga e miserabil esistenza alle ripugnanti vittime della sua crudeltà. Questo volontario martirio doveva distruggere appoco appoco la sensibilità sì dello spirito, che del corpo; nè si può supporre, che i fanatici, che tormentano se medesimi [p. 35 modifica]suscettibili d’alcuna viva affezione per gli altri uomini. Una crudele insensibile indole ha distinto i Monaci d’ogni tempo, e d’ogni luogo; la dura loro indifferenza, che rare volte viene ammollita dall’amicizia personale, è accesa dall’odio religioso, ed il loro zelo senza pietà ha esercitato vigorosamente il sant’ufizio dell’Inquisizione.

I Santi monastici, ch’eccitano solo il disprezzo e la compassione d’un filosofo, erano rispettati, e quasi adorati dal Principe, e dal Popolo. Delle truppe di pellegrini vennero successivamente dalla Gallia, e dall’India per salutare la divina colonna di Simeone: le tribù de’ Saraceni disputarono colle armi l’onore della sua benedizione; le Regine dell’Arabia, e della Persia confessavano con gratitudine la soprannatural sua virtù; e l’angelico Eremita fu consultato da Teodosio il Giovine negli affari più importanti della Chiesa, e dello Stato. Furono traslatate le sue reliquie dalla montagna di Telenissa, con una solenne processione del Patriarca, del Generale dell’Oriente, di sei Vescovi, di ventuno Conti, o Tribuni, e di seimila soldati; ed Antiochia venerò le ossa di lui, come il suo più glorioso ornamento e la sua invincibil difesa. La fama degli Apostoli e de’ Martiri, appoco appoco restò ecclissata da questi recenti e popolari Anacoreti; il Mondo cristiano cadeva prostrato a’ loro sepolcri: ed i miracoli, attribuiti alle loro reliquie, sorpassavano, almeno in numero e durata, le spirituali imprese delle loro vite. Ma l’aurea leggenda di queste73 veniva abbellita dal[p. 36 modifica]l’artificiosa credulità de’ loro interessati fratelli; ed una credula età era facilmente persuasa, che il minimo capriccio d’un Monaco Egizio o Siriaco fosse stato sufficiente ad interrompere l’eterne leggi dell’Universo. I favoriti del Cielo erano soliti di curare le inveterate malattie col toccare le persone, con una parola, o per mezzo d’un messaggio in distanza, e di scacciare i demonj più ostinati dalle anime, o da’ corpi che possedevano. Essi famigliarmente accostavansi, o comandavano imperiosamente a’ leoni ed a’ serpenti del deserto; infondevano la vegetazione in un tronco secco; facevano stare a galla il ferro sulla superficie dell’acqua: passavano il Nilo sul dorso d’un coccodrillo, e si rinfrescavano in un’ardente fornace. Queste stravaganti novelle, che spargono la finzione senza il genio della poesia, hanno seriamente influito sopra la ragione, la fede e la morale de’ Cristiani. La loro credulità avvilì e viziò le facoltà della mente; corruppero essi l’autorità dell’istoria; e la superstizione appoco appoco estinse l’inimica luce della filosofia e della scienza. Ogni maniera di Culto religioso che si fosse praticata da’ Santi, ogni dottrina misteriosa, che essi credessero, veniva invigorita dalla sanzione della rivelazion divina, e tutte le virili virtù giacevano oppresse dal servile e pusillanime regno de’ Monaci. Se è possibile misurare la distanza fra gli scritti filosofici di Cicerone, e la sacra leggenda di Teodoreto, fra il carattere di Catone e quello di Simeone, si potrà [p. 37 modifica]determinare la memorabile rivoluzione che si fece nel Romano Impero nel periodo di cinquecento anni.

È notabile il progresso del Cristianesimo per due decisive e gloriose vittorie, sopra i culti e lussuriosi cittadini dell’Impero Romano, o sopra i guerrieri Barbari della Scizia e della Germania, che rovesciaron l’Impero, ed abbracciaron la religione di Roma. I Goti furono i primi fra questi selvaggi proseliti; e la nazione fu debitrice della sua conversione ad un nazionale, o almeno ad un suddito degno d’esser posto fra gl’inventori delle due arti utili, che hanno meritato la memoria, e la gratitudine della posterità. Molti Romani provinciali erano stati condotti in ischiavitù dalle truppe gotiche, le quali saccheggiavano l’Asia al tempo di Gallieno; e fra questi molti erano Cristiani, ed alcuni appartenevano all’ordine Ecclesiastico. Questi Missionari involontari, sparsi come schiavi nei villaggi della Dacia, si applicarono con buon esito a procurar la salvezza de’ loro padroni. I semi, ch’essi gettarono della dottrina evangelica, appoco appoco si propagarono; ed avanti la fine d’un secolo si compì quell’opera pia, mediante i travagli d’Ulfila, i Maggiori del quale da una piccola città della Cappadocia erano stati trasportati di là dal Danubio.

[A. 360] Ulfila, Vescovo ed Apostolo de’ Goti74, acquistò l’affetto, e la riverenza loro, mediante l’irreprensibil sua vita, e l’instancabile zelo che aveva; ed essi ricevettero con piena fiducia le regole della verità e [p. 38 modifica]della virtù, ch’ei predicava, ed eseguiva. Compì la difficile impresa di tradurre la Scrittura nella nativa lor lingua, ch’era un dialetto dell’idioma Germanico, o Teutonico; ma prudentemente soppresse i quattro libri de’ Re, che avrebbero potuto irritare il fiero e sanguinario spirito de’ Barbari. Il rozzo ed imperfetto linguaggio di soldati e di pastori, così male atto ad esprimere le idee spirituali, fu migliorato e modificato dal suo ingegno; ed Ulfila, prima di poter fare la sua traduzione, fu costretto a comporre un nuovo alfabeto di ventiquattro lettere, quattro delle quali furono da esso inventate per rappresentare de’ suoni speciali, ch’erano ignoti alla pronunzia greca e latina75. Ma presto fu disturbato il prospero Stato della Chiesa Gotica dalla guerra e dall’interna discordia, ed i capitani restaron divisi fra loro per la religione, ugualmente che per l’interesse. Fritigerno, amico de’ Romani, divenne proselito d’Ulfila; mentre il superbo animo di Atanarico sdegnò il giogo dell’Impero e dell’Evangelio. La persecuzione, ch’egli suscitò, servì per provare la fede de’ nuovi convertiti. Si traeva con solenne processione per le strade del campo un carro, che portava in alto l’informe immagine, di Thor forse, o di Woden; ed i ribelli, che [p. 39 modifica]ricusavano di adorare il Dio de’ loro padri, erano immediatamente abbruciati con le tende e famiglie loro. Il carattere d’Ulfila lo fece rispettare alla Corte Orientale, dove comparve due volte come ministro di pace; perorò esso in favore degli angustiati Goti, che imploravano la protezion di Valente, e si applicò il nome di Mosè a questa guida spirituale, che condusse il suo Popolo per le profonde acque del Danubio alla Terra di Promissione76. I devoti pastori, ch’erano attaccati alla sua persona, ed ubbidienti alla sua voce, si contentarono di stabilirsi al piè delle montagne Mesie in un paese abbondante di boschi e di pasture, che alimentava i loro greggi ed armenti, e gli poneva in istato di comprare il grano, ed il vino delle Province più fertili. Quest’innocenti Barbari si moltiplicarono nell’oscurità della pace, e nella professione del Cristianesimo77.

[A. 400] I loro più feroci fratelli, i formidabili Visigoti, generalmente adottarono la religione de’ Romani, co’ quali avevano continuamente occasion di trattare, per motivo di guerra, di amicizia o di conquista. Nella lunga e vittoriosa lor marcia dal Danubio all’Oceano Atlantico, essi convertirono i loro alleati; educarono la nascente generazione; e la devozione, che regnava nel [p. 40 modifica]nel campo d’Alarico, o alla Corte di Tolosa, poteva edificare, o svergognare i palazzi di Roma e di Costantinopoli78. Verso il medesimo tempo fu abbracciato il Cristianesimo da quasi tutti i Barbari, che fondarono i regni loro sulle rovine dell’Impero Occidentale: ciò fecero i Borgognoni nella Gallia, gli Svevi nella Spagna, i Vandali nell’Affrica, gli Ostrogoti nella Pannonia, e le varie truppe di mercenari, che innalzarono Odoacre al trono d’Italia. I Franchi ed i Sassoni perseveravano tuttavia negli errori del Paganesimo; ma i Franchi ottennero la monarchia della Gallia per la loro sommissione all’esempio di Clodoveo; ed i conquistatori Sassoni della Britannia furono liberati dalla selvaggia loro superstizione per mezzo de’ Missionari di Roma. Questi barbari proseliti avevano un ardente ed utile zelo per la propagazione della fede. I Re Merovingici, ed i loro successori, quella grande emigrazione. Carlo Magno e gli Ottoni, estesero con le loro leggi, e vittorie l’impero della Croce. L’Inghilterra produsse l’Apostolo della Germania, ed appoco appoco si diffuse la luce evangelica dalle vicinanze del Reno, alle nazioni dell’Elba, della Vistola e del Baltico79.

Non possono facilmente determinarsi i differenti motivi che influirono sulla ragione o sulle passioni dei Barbari convertiti. Questi furono spesse volte capricciosi o accidentali; come un sogno, un augurio, il rac[p. 41 modifica]conto d’un miracolo, l’esempio di qualche sacerdote o eroe, le grazie d’una donna fedele, e sopra tutto il buon successo d’una preghiera, o d’un voto, che in un momento di pericolo avessero indirizzato al Dio de’ Cristiani80. Gli antichi pregiudizi dell’educazione venivano insensibilmente cancellati dall’abitudine d’una frequente e famigliar società; i precetti morali dell’Evangelio erano invigoriti dallo stravaganti virtù dei Monaci; ed una spiritual teologia era sostenuta dalla forza visibile delle reliquie, e dalla pompa del Culto religioso. Ma potè alle volte impiegarsi da’ Missionari, che s’occupavano in convertir gl’infedeli, la maniera di persuadere ingegnosa e ragionevole, che un Vescovo Sassone81 suggerì ad un Santo popolare. „Ammetti, dice il sagace Istruttore, tuttociò, che loro piace d’asserire intorno alla favolosa e carnale genealogia de’ loro Dei o Dee, che si sono propagati l’uno dall’altro. Da questo principio deduci l’imperfetta loro natura, le umane infermità, la certezza ch’essi son nati, e la probabilità, che son per morire. In qual tempo, con quali mezzi, da qual principio furon prodotti i più antichi fra gli Dei, o fra le Dee? Continuano essi a propagarsi, o hanno cessato? Se hanno cessato domanda a tuoi avversari la [p. 42 modifica]causa di tale strana mutazione. Se tuttavia continuano, il numero degli Dei dovrà crescere all’infinito: e non porremo noi a rischio, mediante l’indiscreto culto di qualche impotente divinità, d’eccitare lo sdegno dei geloso di lei superiore? I cieli e la terra, che ci son visibili, tutto il sistema dell’Universo, che si può concepire coll’animo, è egli creato, o eterno? Se creato, come, o dove potevano gli Dei medesimi esistere prima della creazione? Se eterno, come potevano essi prender l’impero d’un Mondo indipendente, e preesistente? Insisti su questi argomenti con sobrietà e moderazione; insinua loro in opportune occasioni la verità e la bellezza della rivelazione Cristiana, e procura di far vergognare gl’Infedeli senza irritarli„. Questo metafisico ragionamento, forse troppo sottile per i Barbari della Germania veniva fortificato dal peso più grossolano dell’autorità e del consenso popolare. Il vantaggio della prosperità temporale avea abbandonato il partito pagano, ed era passato a favorire il Cristianesimo. I Romani stessi, la più potente ed illuminata nazione del globo, avevano rinunziato all’antica loro superstizione; e se la rovina del loro Impero sembrava, che accusasse l’efficacia della nuova fede, se n’era già riparato l’onore dalla conversione de’ vittoriosi Goti. I valorosi e fortunati Barbari, che soggiogarono le Province dell’Occidente, riceverono, e diedero successivamente l’istesso edificante esempio. Prima del secolo di Carlo Magno, le nazioni Cristiane d’Europa si potevano applaudire per l’esclusivo possesso di climi temperati, di terreni fertili, che producevano grano, vino ed olio; mentre gl’idolatri selvaggi, ed i loro miserabili idoli erano con[p. 43 modifica]finati all’estremità della terra, nelle oscure e gelate regioni del Norte82.

Il Cristianesimo, che apri a’ Barbari le porte del Cielo, introdusse un gran cangiamento nella morale e politica lor condizione. Riceverono essi nell’istesso tempo l’uso delle lettere, così essenziale per una religione, le cui dottrine si contengono in un libro sacro; e mentre studiavano la divina verità, i loro spiriti appoco appoco si estesero nella distante veduta dell’istoria, della natura, delle arti e della società. La traduzione della Scrittura nella nativa lor lingua, che aveva facilitato la lor conversione, doveva eccitare nel loro Clero la curiosità di leggere il testo originale, d’intendere la sacra liturgìa della Chiesa, e di esaminare negli scritti de’ Padri la catena della tradizione ecclesiastica. Questi vantaggi spirituali si trovavano nelle lingue greca e latina, che contenevano gl’inestimabili Monumenti dell’antico sapere. Le immortali produzioni di Virgilio, di Cicerone e di Livio, che potevan gustarsi da’ Barbari cristiani mantennero un tacito commercio fra il regno d’Augusto, ed i tempi di Clodoveo e di Carlo Magno. L’emulazione degli uomini fu incorraggita dalla rimembranza d’uno stato più perfetto; e si tenne segretamente viva la fiamma della scienza per riscaldare ed illuminare l’età matura del Mondo occidentale. Nel più corrotto stato del Cristianesimo, i Barbari potevano apprender la giustizia dalla Legge, e la misericordia dall’ [p. 44 modifica]Evangelio: e se la cognizione del loro dovere non era sufficiente a guidare le azioni o a regolar le passioni di essi, erano alle volte ritenuti dalla coscienza, e spesso puniti dal rimorso. Ma l’autorità diretta dalla religione era meno efficace della santa comunione, che gli univa co’ Cristiani lor confratelli in amicizia spirituale. La forza di tali sentimenti contribuì ad assicurare la lor fedeltà nel servizio, o nell’alleanza dei Romani, ad alleggerire gli orrori della guerra, a moderar l’insolenza della conquista, ed a conservare nella caduta dell’Impero un costante rispetto pel nome, e per gl’istituti di Roma. Nel tempo del Paganesimo, i Sacerdoti della Gallia e della Germania regnavano sul Popolo, e sindacavano la giurisdizione de’ Magistrati; e gli zelanti proseliti trasferirono un’uguale, o maggior dose di devota obbedienza ne’ Pontefici della Fede cristiana. Si sostenne il sacro carattere de’ Vescovi dalle temporali loro sostanze; essi ottennero un riguardevole posto nelle adunanze legislative, composte di soldati e di uomini liberi; ed era loro interesse, non meno che dovere, l’ammolire con pacifici consigli lo spirito fiero de’ Barbari. La corrispondenza continua del Clero latino; i frequenti pellegrinaggi a Roma e in Gerusalemme, e l’autorità crescente dei Papi assodaron l’unione della Repubblica cristiana; ed a grado a grado produssero quegli uniformi costumi, e quella comune Giurisprudenza, che hanno distinto le indipendenti, ed anche ostili nazioni dell’Europa moderna dal resto dell’uman genere.

Ma fu impedito e ritardato l’effetto di tali cause dal disgraziato accidente, che versò un mortal veleno dalla coppa della salute. Di qualunque sorta si fossero gli antichi sentimenti d’Ulfila, si formarono le [p. 45 modifica]sue relazioni coll’Impero e con la Chiesa nel tempo che regnava l’Arrianismo. L’Apostolo de’ Goti sottoscrisse il simbolo di Rimini, professò liberamente, e forse con sincerità, che il Figlio non era uguale, o consustanziale al Padre83; comunicò questi errori al Clero ed al Popolo; ed infettò i Barbari con un’eresia84 che il Gran Teodosio condannò ed estinse fra’ Romani. L’indole, e l’intelligenza de’ nuovi proseliti non era capace di metafisiche sottigliezze; ma essi vigorosamente conservarono ciò, che piamente avevano ricevuto, come pure e genuine regole del Cristianesimo. Il vantaggio di predicare, e di spiegar la Scrittura in lingua teutonica, promosse le apostoliche fatiche d’Ulfila e de’ suoi successori; ed essi ordinarono un competente numero di Vescovi e di Preti, per istruire le cognate tribù. Gli Ostrogoti, i Borgognoni, gli Svevi ed i Vandali, che avevano ascoltata l’eloquenza del Clero latino85, preferirono le lezioni più intelligibili [p. 46 modifica]de’ domestici loro predicatori; e fu adottato l’Arrianismo come la fede nazionale de’ convertiti guerrieri, che si stabilirono sulle rovine dell’Impero occidentale. Questa irreconciliabile differenza di religione fu una perpetua sorgente di gelosia e d’odio; e la taccia di Barbaro fu sempre più amareggiata dal più odioso epiteto d’eretico. Gli Eroi del Norte, che si erano sottoposti con qualche ripugnanza a credere, che tutti i loro maggiori fossero all’inferno86, restaron sorpresi, ed inaspriti al sentire, ch’essi medesimi non avevan fatto, che mutare la maniera dell’eterna lor dannazione. Invece del dolce applauso, che i Principi Cristiani sono avvezzi ad attendere da’ loro fedeli Prelati, i Vescovi ortodossi, ed il loro Clero erano in opposizione con le Corti Arriane; e l’indiscreta lor opposizione spesso diveniva rea, e poteva talvolta esser pericolosa87. Il pulpito, quel sicuro e sacro istrumento di sedizione, risuonava de’ nomi di Faraone, e d’Oloferne88; la mal contentezza pubblica era infiammata dalla speranza, o dalla promessa d’una gloriosa liberazione; ed i sediziosi Santi eran tentati a promuovere [p. 47 modifica]il compimento delle proprie lor predizioni. Nonostanti queste provocazioni, i Cattolici della Gallia, della Spagna, e dell’Italia goderono sotto il regno degli Arriani, l’esercizio libero e pacifico della lor religione. I superbi loro Signori rispettaron lo zelo d’un numeroso Popolo, risoluto di morire a piè de’ propri altari, e fu ammirato ed imitato de’ Barbari stessi l’esempio della devota loro costanza. I conquistatori, per altro, evitarono la vergognosa taccia o confessione di timore con attribuire la lor tolleranza a’ generosi motivi di ragionevolezza e d’umanità; e mentre affettavano il linguaggio del Cristianesimo, ne acquistarono senza avvedersene il vero spirito.

[A. 429 477] La pace della Chiesa fu talvolta interrotta. I Cattolici erano indiscreti, ed i Barbari impazienti; e gli atti parziali di severità, o d’ingiustizia, che venivano raccomandati dal Clero Arriano, furono esagerati dagli scrittori ortodossi. Può darsi l’accusa di persecutore ad Enrico, Re de’ Visigoti, che sospese l’esercizio delle funzioni ecclesiastiche, o almeno Episcopali, e punì i Vescovi popolari dell’Aquitania con la carcere, coll’esilio, e con la confiscazione89. Ma da’ soli Vandali s’intraprese la crudele ed assurda opera di sottometter le menti d’un intero Popolo. Genserico medesimo nella sua prima gioventù avea abbandonato la comunione ortodossa; e l’apostata non poteva nè concedere, nè sperare un sincero perdono. Era egli esacerbato nel vedere, che gli Affricani, i quali eran fuggiti dalle [p. 48 modifica]sue armi nel campo, tuttavia pretendevano d’opporsi alla sua volontà ne’ Sinodi, e nelle Chiese; ed il feroce suo animo era incapace di timore, o di compassione.

[A. 430] I Cattolici suoi sudditi furon oppressi da intolleranti leggi, e da pene arbitrarie. Il linguaggio di Genserico era furioso e formidabile; la cognizione de’ suoi disegni poteva giustificare la più svantaggiosa interpretazione delle sue azioni; e furono rimproverate agli Arriani le frequenti esecuzioni, che macchiarono il palazzo, e gli Stati del tiranno. Le armi e l’ambizione però erano le passioni dominanti del Monarca del mare. Ma Unnerico, ignobil suo figlio, che parve ereditasse solo i suoi vizi, tormentò i Cattolici coll’istesso instancabil furore, che fu fatale al suo fratello, a’ suoi nipoti, agli amici e favoriti di suo padre, e fino al Patriarca Arriano, che fu crudelmente bruciato vivo nel mezzo di Cartagine. La guerra religiosa fu preceduta, e preparata da una insidiosa tregua; la persecuzione divenne il più serio ed importante affare nella Corte Vandala, e la disgustosa malattia, che accelerò la morte di Unnerico, vendicò le ingiurie, senza contribuire alla liberazione della Chiesa. [A. 484] Il trono dell’Affrica fu successivamente occupato da’ due nipoti d’Unnerico, da Gundamondo, che regnò circa dodici anni, e da Trasimondo, che governò la nazione più di ventisette anni. La loro amministrazione fu ostile, ed oppressiva pel partito ortodosso. [A. 496] Sembra che Gundamondo emulasse, o anche oltrapassasse la crudeltà del suo zio; e se finalmente l’addolcì, se richiamò i Vescovi, e restituì la libertà del Culto Atanasiano, un’immatura morte impedì i vantaggi della sua tarda clemenza. Trasimondo, suo fratello, fu il più grande, ed il più culto de’ Re Vandali, quali ei sorpassò in [p. 49 modifica]beltà, prudenza e grandezza d’animo. Ma l’intollerante suo zelo, e la sua ingannevol clemenza degradò questo magnanimo carattere. In vece di minacce e di torture, adoperò il gentile, ma efficace potere della seduzione. Le ricchezze, le dignità, ed il real favore erano i grandiosi premj dell’apostasia; i Cattolici, che avevan trasgredito le leggi, potevan procacciarsi il perdono con rinunziare alla loro fede; e quando Trasimondo meditava qualche rigoroso disegno, pazientemente aspettava, che l’indiscretezza de’ suoi avversari gli somministrasse una speciosa opportunità. [A. 523] Il bigottismo fu l’ultimo suo sentimento nell’ora della morte: e costrinse il suo successore a giurare solennemente, che non avrebbe mai tollerato i settari d’Atanasio. Ma il suo successore Ilderico, gentil figlio del selvaggio Unnerico, preferì i doveri dell’umanità, e della giustizia alla vana obbligazione d’un empio giuramento; ed il suo innalzamento al trono fu gloriosamente segnalato dalla restaurazion della pace, e della libertà universale. Il trono di quel virtuoso, quantunque debol Monarca, fu usurpato dal suo cugino Gelimero, zelante Arriano: ma il regno Vandalo, prima ch’ei potesse godere, o abusare della sua potenza, fu rovesciato dalle armi di Belisario; ed il partito ortodosso vendicò le ingiurie, che aveva sofferte90. [p. 50 modifica]

[A. 530] Le appassionate declamazioni de’ Cattolici, che sono i soli istorici che abbiamo di questa persecuzione, non possono somministrare alcuna serie distinta di cause e di eventi, nè alcuna imparzial cognizione di caratteri o di consigli; ma le più notabili circostanze, che meritan fede o notizia, possono riferirsi a’ seguenti capi: I.° Nella legge originale, che tuttavia sussiste91, Unnerico espressamente dichiara, e tal dichiarazione sembra corretta, ch’egli avea fedelmente trascritto i regolamenti e le pene degli editti Imperiali contro le congregazioni eretiche, e contro il Clero, ed il Popolo, che si scostava dalla religion dominante. Se si fossero intesi i diritti della coscienza, i Cattolici o dovevan condannare la passata loro condotta, o acquietarsi agli attuali loro patimenti. Ma essi continuavano sempre a ricusare quell’indulgenza, che richiedevano in lor favore. Nel tempo ch’essi tremavano sotto la sferza della persecuzione, commendarono la lodevole severità di Unnerico medesimo, che fece bruciare, o bandì un gran numero di Manichei92; e rigettarono con orrore, l’ignominiosa proposizione, che i discepoli d’Arrio e d’Atanasio godessero una reciproca ed ugual [p. 51 modifica]tolleranza ne’ territori de’ Romani, e de’ Vandali93. II. L’uso d’una conferenza, che i Cattolici avevano tante volte praticato per insultare e punire gli ostinati loro antagonisti, si ritorse contro di loro stessi94. Per ordine d’Unnerico s’adunarono in Cartagine quattrocentosessantasei Vescovi ortodossi; ma quando furono ammessi nella sala dell’udienza, ebbero la mortificazione di vedere l’Arriano Cirila innalzato alla sede Patriarcale. I disputanti si separarono dopo i vicendevoli e soliti rimproveri di strepito e di silenzio, di dilazione e di precipitazione, di militar forza e di clamor popolare. Un Martire ed un Confessore furono scelti fra i Vescovi cattolici; ventotto si salvarono con la fuga, ed ottantotto coll’uniformarsi; quarantasei furono mandati in Corsica a tagliare il legname pei vascelli reali; e trecentodue furono rilegati in diverse parti dell’Affrica, esposti agl’insulti de’ loro nemici, e rigorosamente spogliati d’ogni temporale e spiritual sollievo della vita95. I travagli di dieci anni d’esilio dovettero diminuire il loro numero; e se avessero osservata la legge di Trasimondo, che proibiva loro qualunque consacra[p. 52 modifica]zione Episcopale, la Chiesa ortodossa d’Affrica avrebbe dovuto finire con la vita degli attuali suoi membri. Essi però non obbedirono; e la loro disubbidienza fu punita con un secondo esilio di dugentoventi Vescovi nella Sardegna, dove languirono quindici anni fino all’avvenimento al trono del grazioso Ilderico96. Furono giudiziosamente scelte quelle due isole dalla malizia degli Arriani loro tiranni. Seneca, per propria esperienza, ha deplorato ed esagerato il miserabile stato della Corsica97, e l’abbondanza della Sardegna veniva contrabbilanciata dalla cattiva qualità dell’aria98. III. Lo zelo di Genserico, e de’ suoi successori per la conversione de’ Cattolici, gli dovè rendere sempre più gelosi a mantenere la purità della fede Vandalica. Prima che le Chiese fossero totalmente chiuse, era un delitto il comparire in abito di Barbaro; e quelli, [p. 53 modifica]che ardivano di trasgredire il reale comando, venivano duramente strascinati pe’ lunghi loro capelli99. Gli Uffiziali del Palazzo, che ricusavano di professare la religione del loro Principe, erano ignominiosamente spogliati de’ loro impieghi ed onori, banditi nella Sardegna e nella Sicilia, o condannati a’ lavori servili degli schiavi e de’ contadini nelle campagne d’Utica. Ne’ distretti particolarmente assegnati a’ Vandali, era più rigorosamente proibito l’esercizio del Culto Cattolico, ed erano stabilite severe pene contro la colpa sì del Missionario, che del proselito. Con tali mezzi si conservò la fede de’ Barbari, e se ne accese lo zelo; essi eseguivano con devoto furore l’uffizio di spie, di accusatori, o di esecutori: e quando la loro cavalleria trovavasi in campagna, il divertimento favorito della marcia era quello di profanare le Chiese, e di insultare il Clero del partito contrario100. IV. I cittadini, ch’erano stati educati nel lusso d’una Provincia Romana, venivano abbandonati con isquisita crudeltà a’ Mori del deserto. Una venerabile serie di Vescovi, di Preti, e di Diaconi, con una fedele truppa di quattromila e novantasei persone, delle quali non si sa bene la colpa, furono tratte per ordine d’Unnerico dalle native lor case. Nella notte venivan chiusi, come una mandra di pecore, fra le proprie loro immondizie: di giorno dovevan proseguire il loro cam[p. 54 modifica]mino sull’ardente sabbia, e se mancavano per il caldo e la fatica, venivano stimolati o strascinati a forza, finattantochè non fossero spirati nelle mani de’ loro tormentatori101. Quest’infelici esuli, giunti alle capanne de’ Mori, potevano eccitare la compassione d’un Popolo, la naturale umanità del quale non era nè migliorata dalla ragione, nè corrotta dal fanatismo: ma se riusciva loro di scampare i pericoli, erano condannati a partecipare delle angustie d’una vita selvaggia. V. Conviene, che gli autori della persecuzione preventivamente riflettano, se son determinati a sostenerla fino all’ultimo estremo. Essi eccitano la fiamma, che vorrebbero estinguere; e ben presto diventa una necessità il punire la contumacia, ugualmente che il delitto del trasgressore. La multa, ch’egli non può, o non vuol pagare, l’espone alla severità della Legge; ed il suo disprezzo delle pene minori suggerisce l’uso e la convenienza delle capitali. Attraverso il velo della finzione e della declamazione, possiamo chiaramente ravvisare, che i Cattolici, specialmente sotto il regno d’Unnerico, soffrirono il più ignominioso e crudel trattamento102. De’ rispettabili Cittadini, delle nobili Matrone, e delle sacre Vergini erano spogliate nude, ed alzate in aria con un peso attaccato a’ loro piedi. In tal penosa situazione venivano lacerati i lor corpi con verghe, o bruciati nelle più tenere parti con ferri [p. 55 modifica]infuocati. Gli Arriani amputavano loro gli orecchi, il naso, la lingua e la mano destra; e quantunque non possa precisamente determinarsene il numero, è certo, che molte persone, fra le quali si posson contare un Vescovo103 ed un proconsole104, ricevettero la corona del martirio. Si è attribuito l’istesso onore alla memoria del Conte Sebastiano, che professava la Fede Nicena con intrepida costanza; e Genserico poteva detestar com’eretico quel bravo ed ambizioso profugo, ch’esso temeva come rivale105 VI. I ministri Arriani adopravano una nuova maniera di convertire, che poteva soggiogare i deboli, e porre in agitazione i timidi. Usavano per violenza, o per frode, i riti del Battesimo sopra i Cattolici, e ne punivano l’apostasia, qualora questi rigettavano quell’odiosa e profana cerimonia, che scandalosamente violava la libertà della volontà, e l’unità del sacramento106. Le contrarie Sette avevano già convenuto della validità del Battesimo l’una dell’altra; e l’innovazione, con tanto ardore sostenuta da’ Vandali, non può attribuirsi, che all’esempio, ed al consiglio de’ Donatisti. VII. Il Clero Arriano sorpassava nella religiosa crudeltà il Re ed i [p. 56 modifica]suoi Vandali; ma era incapace di coltivar la vigna spirituale, che bramava di possedere. Poteva un patriarca107 collocarsi sulla sede di Cartagine; potevano de’ Vescovi usurpare nelle Città principali i posti dei loro avversari; ma la scarsità del loro numero, e l’ignoranza, in cui erano della lingua Latina108, rendeva i Barbari inabili per l’Ecclesiastico ministero d’una gran Chiesa: e gli Affricani, dopo aver perduto i loro pastori ortodossi, restaron privi del pubblico esercizio del Cristianesimo. VIII. Gl’Imperatori erano i naturali protettori della dottrina Omousiana: ed il Popolo fedele dell’Affrica, e come Romano e come Cattolico, preferiva la legittima loro sovranità all’usurpazione degli eretici Barbari. In un intervallo di pace e di amicizia, Unnerico restituì la Cattedrale di Cartagine ad intercessione di Zenone, che regnava in Oriente, di Placidia, figlia e vedova d’Imperatori, e sorella della Regina de’ Vandali109. Ma questo decente riguardo fu di breve durata; ed il superbo Tiranno mostrò il disprezzo, che aveva per la religione dell’Impero, facendo a bella posta disporre le sanguinose immagini della persecuzione in tutte le strade principali, per le [p. 57 modifica]quali doveva passare il Romano Ambasciatore nel portarsi al palazzo110. Si richiese da’ Vescovi, ch’erano adunati in Cartagine, un giuramento, ch’essi avrebbero sostenuto la successione d’Ilderico suo figlio, e che avrebbero rinunziato a qualunque straniera o trasmarina corrispondenza. I più sagaci membri111 dell’Assemblea ricusarono d’obbligarsi a questo vincolo, che sembrava compatibile co’ loro morali e religiosi doveri. La loro negativa, debolmente colorita dal pretesto, che ad un Cristiano non era permesso il giurare, dovea provocare i sospetti d’un geloso tiranno.

I Cattolici, oppressi dalla forza reale e militare, eran molto superiori a’ loro avversari in numero, ed in sapere. Con le stesse armi, che i Padri greci112 e latini avevan già preparate per la controversia Arriana, essi più volte ridussero al silenzio, e vinsero i feroci ed ignoranti successori d’Ulfila. La coscienza della propria loro superiorità avrebbe dovuto porli al di sopra degli artifizi, e delle passioni del guerreggia[p. 58 modifica]mento religioso. Pure invece d’assumere tal onorevole orgoglio, i teologi ortodossi furon tentati, dalla sicurezza dell’impunità a comporre finzioni, che convien notare con gli epiteti di frodi e di falsità. Essi attribuirono le loro opere polemiche a’ nomi più venerabili dell’antichità Cristiana; furono temerariamente mascherati da Vigilio e da’ suoi discepoli113 i caratteri d’Atanasio e d’Agostino; ed il famoso Credo, ch’espone sì chiaramente i misteri della Trinità e dell’Incarnazione, si deduce con molta probabilità da questa scuola Affricana114. Fino le stesse Scritture furono profanate dalle temerarie e sacrileghe loro mani. Il memorabile Testo, che asserisce l’unità de’ Tre, che fanno testimonianza in Cielo115, è condannato [p. 59 modifica]dall’universal silenzio de’ Padri ortodossi, delle antiche versioni, e de’ Manuscritti autentici116. Fu esso allegato per la prima volta da’ Vescovi cattolici, che Unnerico invitò alla conferenza di Cartagine117. Una allegorica interpretazione in forma probabilmente di nota marginale, invase il testo delle Bibbie Latine, che si rinnuovarono, e corressero nell’oscuro periodo di dieci secoli118. Dopo l’invenzione della stampa119, [p. 60 modifica]gli editori del Testamento Greco cederono a’ propri lor pregiudizi, o a quelli de’ loro tempi120; e la pia frode, che fu con prudenza d’Erasmo, per l’onesto bigottismo degli Editori Complutensiani, per l’inganno, o errore tipografico di Roberto Stefano in porvi un segno, e per la uguale zelo abbracciata a Roma ed a Ginevra, si è moltiplicata all’infinito in ogni paese ed in ogni lingua della moderna Europa.

L’esempio della frode eccita facilmente il sospetto; e gli speciosi miracoli, co’ quali i Cattolici Affricani hanno difeso la verità e la giustizia della lor causa, possono attribuirsi con più ragione alla lor propria industria, che alla visibil protezione del Cielo. Pure l’Istorico, che osserva questo religioso contrasto con occhio imparziale, può condiscendere a far menzione d’un fatto preternaturale, ch’edificherà il devoto, e sorprenderà l’incredulo. Tipasa121, colonia marittima della Mauritania distante sedici miglia all’Oriente da Cesarea, si era distinta in ogni tempo per l’ortodosso zelo de’ suoi abitanti. Essi avean superato il furore [p. 61 modifica]de’ Donatisti122, e sofferta, o elusa la tirannia degli Arriani. All’avvicinarsi ad essa d’un Vescovo eretico, la città fu abbandonata: i più degli abitanti, che poterono aver delle navi, passarono sulla costa di Spagna; e quegl’infelici, che restarono, ricusando ogni comunione coll’usurpatore, ardirono di tener tuttavia le pie loro, ma illegittime adunanze. La loro disubbidienza inasprì la crudeltà d’Unnerico. Fu spedito da Cartagine un Conte militare a Tipasa; ei convocò i Cattolici nel Foro, ed alla presenza di tutta la Provincia fece tagliar loro la destra mano e la lingua. Ma i Santi confessori continuarono a parlare senza lingua; e si attesta questo miracolo da Vittore, Vescovo Affricano, che pubblicò un’istoria della persecuzione dentro lo spazio di due anni dopo quel fatto123. „Se alcuno (dice Vittore) dubitasse della verità di questo, vada a Costantinopoli, ed ascolti la chiara e perfetta favella di Restituto suddiacono, uno di que’ gloriosi martiri, che adesso sta nel palazzo dell’Imperator Zenone, ed è rispettato dalla devota Imperatrice„. Ci fa maraviglia il trovare in Costantinopoli un freddo e dotto testimone superiore ad ogni eccezione, senza interesse, e senza passione. Enea di Gaza, Filosofo Platonico ha descritto accuratamente le proprie sue osservazioni su questi pazienti Affricani. „Gli vidi io medesimo (dice), gli udii parlare: diligentemente cercai per quali mezzi poteva formarsi una voce così articolata senza verun organo del discorso: adoprai gli occhi per esaminare ciò, che m’indicavan gli orecchi: aprii [p. 62 modifica]loro la bocca, e vidi, ch’era stata loro interamente strappata la lingua dalle radici, operazione, che i Medici generalmente risguardano come mortale124„. Potrebbe confermarsi la testimonianza d’Enea di Gaza con la superflua autorità dell’Imperator Giustiniano in un Editto perpetuo; del Conte Marcellino nella sua Cronica de’ tempi; e del Pontefice Gregorio I, che aveva riseduto in Costantinopoli come ministro del Pontefice Romano125. Tutti questi vissero dentro il corso d’un secolo; o tutti adducono la lor personal cognizione del fatto, o la pubblica notorietà della verità d’un miracolo, che si ripetè in varie occasioni, si espose nel più gran teatro del Mondo, e fu sottoposto per una serie di anni al tranquillo esame dei sensi. Questo dono soprannaturale de’ Confessori Affricani, che parlavano senza lingua, otterrà l’assenso di quelli soltanto, che già credono, che il loro linguaggio fosse puro ed ortodosso. Ma l’ostinata mente d’un infedele si munisce d’un segreto incurabil so[p. 63 modifica]spetto; e l’Arriano o il Sociniano, che ha seriamente rigettato la dottrina della Trinità, non sarà scosso dalla più plausibile prova d’un miracolo Atanasiano.

[A. 500-700] I Vandali e gli Ostrogoti perseverarono nella professione dell’Arrianismo fino alla total rovina de’ Regni, ch’essi avevan fondato nell’Affrica ed in Italia; i Barbari della Gallia si sottomisero all’ortodosso impero de’ Franchi; e la Spagna si restituì alla Chiesa Cattolica per la volontaria conversione de’ Visigoti.

[A. 577-584] Questa salutare rivoluzione126 fu accelerata dall’esempio d’un Regio martire, a cui la nostra più fredda ragione può dare il nome d’ingrato ribelle. Leovigildo, Gotico Monarca di Spagna, meritava il rispetto de’ suoi nemici, e l’amor de’ suoi sudditi: i Cattolici godevano una libera tolleranza, e gli Arriani ne’ suoi sinodi tentavano, senza gran successo, di conciliare i loro scrupoli con abolire l’odioso rito d’un secondo Battesimo. Ermenegildo, suo figlio maggiore, ch’era stato investito dal Padre del diadema reale, e del bel Principato della Betica, contrasse un onorevole ed ortodosso matrimonio con una Principessa Merovingica, figlia di Sigeberto Re d’Austrasia, e della famosa Brunechilde. La bella Ingunde, che non aveva più di tredici anni, fu ricevuta, amata, e perseguitata nella corte Arriana di Toledo; e la sua religiosa costanza fu alternativamente assalita dagli allettamenti, e dalla [p. 64 modifica]violenza di Goisvinta, Regina de’ Goti, che abusò del doppio diritto d’autorità materna, che aveva127. Goisvinta, irritata dalla sua resistenza, prese la Principessa cattolica pei capelli, la gettò crudelmente per terra, le diede tanti calci, che fu ricoperta di sangue, e finalmente ordinò che fosse spogliata, e gettata in una vasca, o conserva di pesci128. Poterono l’amore e l’onore muover Ermenegildo a risentirsi di questo ingiurioso trattamento fatto alla sua sposa; ed appoco appoco si persuase, che Ingunde soffrisse per causa della divina verità. Le tenere di lei querele, ed i forti argomenti di Leandro, Arcivescovo di Siviglia, compirono la conversione di esso, e fu iniziato l’erede della Monarchia Gotica nella Fede Nicena per mezzo de’ solenni riti della Confermazione129. Il temerario giovine, infiammato dallo zelo, e forse dall’ambizione, fu tentato a violare i doveri di figlio, e di suddito; ed i Cattolici di Spagna, quantunque, non potessero dolersi della persecuzione, applaudirono alla sua pia [p. 65 modifica]ribellione contro un padre eretico. Si prolungò la guerra civile pei lunghi ed ostinati assedj di Merida, di Cordova e di Siviglia, che avevano fortemente abbracciato il partito d’Ermenegildo. Esso invitò i Barbari ortodossi, gli Svevi ed i Franchi, alla distruzione del suo nativo paese; implorò il pericoloso aiuto de’ Romani, che possedevano l’Affrica, ed una parte della costa di Spagna; e l’Arcivescovo Leandro, suo santo Ambasciatore, trattò in persona efficacemente con la Corte Bizantina. Ma svanirono le speranze dei Cattolici per l’attiva diligenza d’un Re, che comandava le truppe, e maneggiava i tesori della Spagna; ed il colpevole Ermenegildo dopo i vani suoi tentativi di resistere o di fuggire, fu costretto ad arrendersi nelle mani d’un irritato padre. Leovigildo ebbe tuttavia presente quel sacro carattere; ed al ribelle, spogliato degli ornamenti reali, si lasciò professare in un decente esilio la religione cattolica. I replicati suoi ed infelici tradimenti al fine provocarono lo sdegno del Re Goto; e la sentenza di morte, che questo pronunziò con apparente ripugnanza fu segretamente eseguita nella torre di Siviglia. L’inflessibil costanza, con cui esso ricusò d’accettare la comunione Arriana per prezzo della sua salvezza, può scusare gli onori, che si son fatti alla memoria di S. Ermenegildo. La sua moglie, ed il suo piccolo figlio si ritennero in una ignominiosa schiavitù da’ Romani: e questa domestica disgrazia macchiò le glorie di Leovigildo, ed amareggiò gli ultimi momenti della sua vita.

[A. 586-589] Recaredo, suo figlio e successore, che fu il primo Re cattolico di Spagna, era stato imbevuto della fede del suo infelice fratello, ch’ei però sostenne con maggior prudenza e successo. In vece di ribellarsi contro [p. 66 modifica]il padre, aspettò pazientemente l’ora della sua morte. In vece di condannarne la memoria, piamente suppose, che il Monarca morendo avesse abiurato gli errori dell’Arrianismo, e raccomandato al figlio la conversione della nazione Gotica. Per ottenere questo fine salutare, convocò Recaredo un’assemblea del Clero o de’ nobili Arriani, si dichiarò Cattolico, e gli esortò ad imitar l’esempio del loro Principe. Una laboriosa interpretazione di testi dubbiosi, o una curiosa serie di argomenti metafisici avrebb’eccitata una controversia senza fine; ed il Monarca prudentemente propose all’ignorante sua udienza due sostanziali e visibili prove, cioè la testimonianza della terra, e del cielo. La Terra s’era sottomessa al Sinodo Niceno: i Romani, i Barbari e gli abitanti della Spagna concordemente professavano la stessa fede ortodossa; ed i Visigoti erano quasi soli a resistere al consenso del Mondo cristiano. Un secolo superstizioso era disposto a venerare come testimonianza del Cielo le cure soprannaturali, che si facevano per l’abilità o virtù del clero cattolico: i fonti Battesimali d’Osset nella Betica130, che spontaneamente ogni anno si riempivano d’acqua la vigilia di Pasqua131; e le mira[p. 67 modifica]colose reliquie di S. Martino di Tours, che avevano già convertito il Principe Svevo, ed i Popoli della Gallicia132. Il Re cattolico incontrò alcune difficoltà su quest’importante cangiamento della religion nazionale. Si formò contro di lui una cospirazione, segretamente fomentata dalla Regina vedova; e due Conti suscitarono una pericolosa ribellione nella Gallia Narbonese. Ma Recaredo disarmò i congiurati, disfece i ribelli, ed esercitò contro di essi una severa giustizia, che gli Arriani poterono a vicenda infamare con la taccia di persecuzione. Otto Vescovi, i nomi dei quali dimostrano la lor origine Barbara, abiurarono i loro errori, e si ridussero in cenere tutti i libri della Teologia Arriana, insieme con la casa nella quale a tal fine si erano raccolti. Tutto il Corpo de’ Visigoti, e degli Svevi fu allettato o tratto nel seno della comunione cattolica; la fede almeno della nuova generazione fu sincera e fervente; e la devota liberalità de’ Barbari arricchì le Chiese ed i Monasteri della Spagna. Settanta Vescovi, adunati nel Concilio di Toledo, ricevettero la sommissione de’ loro conquistatori; e lo zelo degli Spagnuoli migliorò il simbolo Niceno, dichiarando la processione dello Spirito Santo dal Figlio ugualmente che dal Padre; importante articolo di dottrina, che produsse, lungo tempo dopo, lo scisma delle Chiese Greca e Latina133. Il Regio pro[p. 68 modifica]selito immediatamente salutò e consultò il Pontefice Gregario, detto il Grande, dotto e santo Prelato, il governo del quale si distinse per la conversione degli Eretici ed Infedeli. Gli ambasciatori di Recaredo rispettosamente offerirono sulla soglia del Vaticano i ricchi di lui presenti d’oro e di gemme; ed accettarono, come un lucroso cambio, i capelli di S. Giovanni Battista, una croce, in cui era chiuso un piccolo pezzo del vero legno, ed una chiave che conteneva alcune particelle di ferro, ch’erano state raschiate dalle catene di S. Pietro134.

[A. 600] L’istesso Gregorio, spirituale conquistatore della Gran Brettagna, incoraggiò la pia Teodolinda, Regina de’ Lombardi, a propagare la fede Nicena fra’ vittoriosi selvaggi, il fresco Cristianesimo de’ quali era macchiato dall’eresia Arriana. I devoti di lei travagli, lasciarono tuttavia luogo all’industria, ed al successo di altri Missionari; e molte città d’Italia sempre si disputavano da’ Vescovi contrari. Ma la causa dell’Arrianismo restò appoco appoco oppressa dal peso della verità, dell’interesse e dell’esempio, e la controversia, che l’Egitto avea tratto dalla scuola Platonica, si terminò dopo una guerra di trecent’anni dalla total conversione de’ Lombardi d’Italia135. [p. 69 modifica]

[A. 612-712] I primi Missionari, che predicarono il Vangelo ai Barbari, si rimessero all’evidenza della ragione, ed implorarono il benefizio della tolleranza136. Ma appena ebbero stabilito il loro spiritual dominio, esortarono i Re Cristiani ad estirpare senza misericordia i residui della Romana o Barbarica superstizione. I successori di Clodoveo condannarono a cento colpi di verghe la gente di campagna, che ricusava di distruggere i propri idoli; il delitto di sacrificare a’ demoni era punito dalle Leggi Anglo-sassone con le più gravi pene della carcere e della confiscazione; e fino il saggio Alfredo adottò, come un indispensabil dovere, l’estremo rigore degli istituti Mosaici137. Ma la pena si abolì appoco appoco, insieme col delitto, nel Popolo cristiano: le dispute teologiche delle scuole si sospesero dalla favorevole ignoranza; e lo spirito intollerante, che non poteva più trovare nè idolatri nè eretici, si ridusse a perseguitare gli Ebrei. Quest’esule nazione aveva fondato alcune Sinagoghe nelle città della Gallia; ma la Spagna, fin dal tempo d’Adriano, era piena di numerose colonie138. Le [p. 70 modifica]ricchezze, che avevano accumulato per mezzo del commercio o del maneggio delle finanze, invitarono la pietosa avarizia de’ loro Signori; ed essi potevan’ opprimersi senza pericolo, giacchè avevan perduto l’uso, e fino le memoria delle armi. Sisebuto, Re Goto, che regnò al principio del settimo secolo, divenne in un tratto agli ultimi estremi della persecuzione139. Furon costretti a ricevere il sacramento del battesimo novantamila Ebrei; si confiscarono i beni degli ostinati infedeli, e ne furon tormentati i corpi; e sembra dubbioso, se fosse loro permesso d’abbandonare il nativo loro paese. L’eccessivo zelo del Re cattolico fu moderato fino dal Clero di Spagna, che solennemente pronunziò una sentenza contraddittoria, cioè che non dovessero darsi i sacramenti per forza; ma che gli Ebrei, ch’erano stati battezzati, fossero costretti, per onor della Chiesa, a perseverare nell’esterna pratica d’una religione, ch’essi non credevano, e detestavano. Le frequenti loro ricadute provocarono uno de’ successori di Sisebuto a bandire tutta la nazione da’ suoi Stati; ed un concilio di Toledo pubblicò un decreto, che ogni Re Goto dovesse giurare di mantenere questo salutevol editto. Ma i tiranni non volevano [p. 71 modifica]abbandonar le vittime, che si dilettavano di tormentare, o privarsi d’industriosi schiavi, su’ quali potevano esercitare una lucrosa oppressione. Gli Ebrei tuttavia continuarono nella Spagna, sotto il peso delle Leggi civili ed ecclesiastiche, le quali nel medesimo regno si sono fedelmente trascritte nel Codice dell’Inquisizione. I Re Goti, ed i Vescovi finalmente conobbero, che le ingiurie producono dell’odio, e che l’odio trova col tempo l’occasione della vendetta. Una nazione, segreta o palese nemica del Cristianesimo, andò sempre moltiplicandosi nella servitù e nell’angustia; e gl’intrighi degli Ebrei promossero il rapido successo degli Arabi conquistatori140.

Tostochè i Barbari negarono il potente lor patrocinio all’eresia d’Arrio aborrita dal Popolo, essa cadde nel disprezzo e nell’oblivione. Ma i Greci ritennero sempre la lor disposizione sottile e loquace: lo stabilimento d’una oscura dottrina suggeriva nuove questioni, e nuove dispute; ed era sempre in facoltà di un ambizioso Prelato, o d’un fanatico Monaco l’alterare la pace della Chiesa, e forse dell’Impero. L’Istorico dell’Impero può trascurare quelle dispute che restarono nell’oscurità delle scuole, e de’ Sinodi. I Manichei, che cercavano di conciliare le religioni di Cristo e di Zoroastro, si erano segretamente introdotti nelle Province. Ma questi estranei settari furon involti nella comune disgrazia degli Gnostici, e l’odio pub[p. 72 modifica]blico fece eseguir contro di essi le leggi Imperiali. Le opinioni ragionevoli de’ Pelagiani si propagarono dalla Gran Brettagna a Roma, in Affrica, e nella Palestina e tacitamente svanirono in un secolo superstizioso. Ma fu diviso l’Oriente dalle controversie Nestoriana ed Eutichiana, che tentavano di spiegare il mistero dell’Incarnazione, ed affrettarono la rovina del Cristianesimo nella nativa sua terra. Queste controversie si principiarono ad agitare sotto il regno di Teodosio il Giovane: ma le importanti loro conseguenze si estendono molto al di là de’ confini del presente volume. La metafisica serie degli argomenti, le contese dell’ambizione ecclesiastica, e la politica loro influenza sulla caduta dell’Impero Bizantino, possono somministrare un interessante ed istruttivo corso d’istoria, dai Concilj generali d’Efeso e di Calcedonia, sino alla conquista dell’Oriente fatta da’ successori di Maometto.

Note

  1. Si è diligentemente discussa l’origine dell’Istituto monastico dal Tommasino (Discipl. de l’Eglis. Tom. I. p. 1419, 1426) o dall’Helyot (Hist. des Ordres monastig. 94, Tom. I. p. 1-66). Questi autori son molto eruditi, e passabilmente onesti; e la diversità d’opinione fra loro scuopre il soggetto in tutta la sua estensione. Pure il cauto Protestante, che diffida di qualunque guida Papale, può consultare il settimo libro delle antichità Cristiane del Bingamo.
  2. Vedi Euseb. Demonstr. Evang. (l. 1. p. 20. Edit Graec. Rob. Stephani Paris 1545). Nella sua Storia Ecclesiastica pubblicata dodici anni dopo la dimostrazione (l. 2. c. 17) Eusebio asserisce, che i Terapeuti fossero Cristiani; ma sembra, che non sapesse, che un Istituto simile fosse attualmente risorto in Egitto.
  3. Cassiano (Collat. XVIII. 5) trae l’istituzione de’ Cenobiti da quest’origine, sostenendo, che appoco appoco decadesse, finattantochè non fu restaurata da Antonio e da’ suoi Discepoli.
  4. Оφελιμωτατον γαρ τι χρημα εις ανθρωπος εχθουσα παρα Фεου η’ τοιαδτη φιλοσοφια. Queste sono l’espressive parole di Sozomeno, che diffusamente e con piacevol maniera descrive (l. I. c. 12, 13, 14) l’origine, ed il progresso di tal monastica filosofia (Vedi Suicer. Thesaur. Eccl. Tom. II. p. 1441). Alcuni moderni Scrittori, come Lipsio (Tom. IV. p. 448, manuduct. ad Philos. Stoic. III. 13) e la Mothe-le-Vayer (Tom. IX. De la vertu des Payens p. 228, 262) hanno paragonato i Carmelitani a’ Pitagorei, ed i Cinici a’ Cappuccini.
  5. I Carmelitani traggono la loro genealogia con regolar successione dal Profeta Elia (Vedi le Tesi di Beziers an. 1682 appresso Bayle, Nouvelles de la republ. des Lettres Oeuvr. Tom. I. p. 82, ec. e la prolissa ironia degli ordini menastici, opera anonima Tom. I. p. 433, stampata in Berlino 1751). Roma, e l’Inquisizione di Spagna imposero silenzio alla profana critica de’ Gesuiti di Fiandra (Helyot, Hist. des Ordres monast. Tom. I. p. 282, 300), e si eresse nella Chiesa di S. Pietro la statua d’Elia il Carmelitano (Voyag. du P. Labat Tom. III. p. 87).
  6. Plin. Hist. Nat. V. 15 Gens sola; et in toto orbe praeter ceteras mira, sine ulla femina, omni venere abdicata, sine pecunia, socia palmarum. Ita per saeculorum millia (incredibile dictu) gens aeterna est, in qua nemo nascitur. Tam faecunda illis aliorum vitae poenitentia est. Ei li pone appunto al di là del nocivo influsso del lago, e nomina Engaddi, e Masada, come le città più vicine. La Laura, ed il monastero di S. Saba non potevano esser molto distanti da questo luogo (Vedi Reland, Palaestin. Tom. I. p. 295, Tom. II. p. 763, 874, 880, 890).
  7. Vedi Athanas. Op. Tom. 2. p. 450-505 e Vit. Patrum p. 26-74 con le annotazioni di Rosweyde. La prima contiene l’originale Greco; l’altra è una traduzione Latina molto antica, fatta da Evagrio amico di S. Girolamo.
  8. Γραμματα μεν μαθειν ουκ ηνεσχετο Athanas. Tom. 2. in vit. S Anton. p. 452, ed è stata ammessa l’asserzione della sua totale ignoranza da molti degli antichi, e dei moderni. Ma il Tillemont (Mem. Eccl. Tom. VII. p. 666) dimostra con alcuni probabili argomenti, che Antonio sapeva leggere e scrivere nella Copta sua lingua nativa, ed era solo ignorante della letteratura Greca. Il Filosofo Sinesio (p. 51) confessa, che il naturale ingegno d’Antonio non aveva bisogno dell’aiuto della scienza.
  9. Arurae autem erant ei trecentae uberes, et valde optimae (vit. Patr. l. 1. p. 36). Se l’arura è lo spazio di cento cubiti Egizi quadrati (Rosweyde onomastich. ad vit. Patr. p. 1014, 1015), ed il cubito Egiziano di tutti i tempi è uguale a ventidue pollici inglesi (Graves vol. 1. p. 233) l’arura conterrà circa tre quarti d’un acro inglese.
  10. Si fa la descrizione del Monastero da Girolamo (T. 1. pag. 248, 249. in vit. Hilarion.) e dal P. Sicard (Missions du Levant. Tom. I. pag. 122, 200). Tali descrizioni però non sempre si posson conciliare fra loro. Il S. Padre lo dipinse secondo la sua fantasia, ed il Gesuita secondo la sua esperienza.
  11. Girolamo Tom. I. p. 146, ad Eustoch. Hist. Lausiac. c. 7, in vit. Patr. p. 712. Il P. Sicard (Mis. du Levant Tom. 2. p. 29, 79) visitò, e descrisse questo deserto, che adesso contiene quattro monasteri, e venti o trenta Monaci. Vedi D’Anville Descript. de l’Egypt. p. 74.
  12. Tabenna è una picciola isola del Nilo, nella diocesi di Tentira o Dendera, fra la moderna città di Girge, e le rovine dell’antica Tebe (d’Anville p. 194). Il Tillemont dubita, se fosse un’isola; ma si può dedurre da’ fatti, che adduce ci medesimo, che il primitivo suo nome fu di poi trasferito al gran Monastero di Bau, o Pabau (Mem. Eccl. Tom. VII. p. 678, 688).
  13. Vedi nell’opera intitolata Codex Regularum (pubblicata da Luca Holstenio Rom. 1661) una prefazione di San Girolamo alla sua traduzione latina della regola di Pacomio. Tom. I. p. 61.
  14. Rufin. c. 5, in vit. Patrum p. 459. Ei la chiama Civitas ampla valde, et populosa, e vi conta dodici chiese, Strabone (lib. XVII. pag. 1166), ed Ammiano (XXII. 16) hanno fatto onorevol menzione d’Ossirinco, gli abitanti di cui adoravano un piccol pesce in un magnifico Tempio.
  15. Quanti populi habentur in urbibus, tantae pene habentur in desertis multitudines monachorum. Rufin. c. 7, in vit. Patr. p. 461. Esso applaudisce al fortunato cambiamento.
  16. Si fa menzione accidentalmente dell’introduzione della via monastica in Roma, ed in Italia (Tom. I. p. 119, 129, 199)
  17. Vedi la vita d’Ilarione, scritta da S. Girolamo (T. I. p. 241, 252). Le storie di Paolo, d’Ilarione, e di Malco son raccontate mirabilmente dal medesimo autore; e l’unico difetto di questi piacevoli componimenti è la mancanza di verità, e di senso comune.
  18. La prima sua ritirata fu in un piccol villaggio sulle rive dell’Iri, non molto distante da Neocesarea. I dieci o dodici anni della sua vita monastica furono disturbati da lunghe, e frequenti distrazioni. Alcuni critici hanno posto in dubbio l’autenticità delle sue regole ascetiche; ma sono di gran peso le prove estrinseche, che se ne adducono, ed essi non possono dimostrare se non che quella è opera d’un vero o finto entusiasta. Vedi Tillemont Mem Eccl. Tom. IX. p. 636, 644. Helyot His. des Ord. Mon. Tom. I. p. 175, 181.
  19. Vedasi la sua Vita, ed i tre dialoghi di Sulpicio Severo, il quale asserisce (Dial. t. 16) che i librai di Roma furono ben contenti della pronta e facile vendita della sua opera popolare.
  20. Quando Ilarione navigò da Paretonio al Capo Pachino, offrì di pagare il suo trasporto con un libro degli Evangeli; Postumiano, Monaco della Gallia, che avea visitato l’Egitto, trovò una nave mercantile, che partiva d’Alessandria per Marsiglia, e fece il suo viaggio in trenta giorni (Sulp. Sev. Dial. I. 2). Atanasio, che indirizzò la vita di S. Antonio a’ Monaci stranieri, fu costretto ad affrettare la sua opera, affinchè fosse pronta per la partenza delle flotte Tom. 2. p. 451.
  21. Vedi Girolamo Tom. I. p. 126, Assemanni Bibl. Or. Tom. IV. p. 92, 857, 919, e Geddes Istor. Eccles. d’Etiopia 29, 30, 3l. 1 Monaci Abissini stanno molto rigorosamente attaccati al primitivo Istituto.
  22. Britannia di Cambden Vol. I. p. 666, 667.
  23. L’Arcivescovo Usserio nelle sue Britannicar. Eccles. antiquitat. (Cap. XVI. p. 425, 503) espone copiosamente tutta quell’erudizione, che può trarsi da’ rimasugli de’ secoli oscuri.
  24. Questo piccolo, quantunque non infecondo, spazio chiamato Jona, Hy, o Monte Colomb, che ha solo due miglia di lunghezza ed uno di larghezza, si è distinto, I. per il Monastero di S. Colomba, fondato l’anno 566, l’Abbate del quale aveva una giurisdizione straordinaria sopra i Vescovi della Caledonia; II. per una libreria classica che diede qualche speranza di contenere un Livio intiero; e III. per i sepolcri di sessanta Re Scoti, Irlandesi, Norvegi, che furono sepolti in quel santo luogo. Vedi Usserio (pag. 311, 560, 370), e Bucanano (Rer. Scot. l. II p. 15. edit. Ruddiman).
  25. Il Grisostomo (nel primo Tomo dell’Edizione Benedettina) ha impiegato tre libri in lode e difesa della vita monastica: egli è indotto dall’esempio dell’arca a presumere, che a riserva degli eletti (cioè de’ Monaci) nessuno forse potrà salvarsi (lib. I. pag. 55, 56). Altrove però si dimostra più umano (lib. 3. pag. 83, 84) ed ammette diversi gradi di gloria simili a quelli del Sole, della Luna, e delle Stelle. Nella sua vivace comparazione d’un Re con un Monaco (lib. III. pag. 116, 121, egli suppone, che il Re sarà più scarsamente premiato, e più rigorosamente punito.
  26. Thomassin (Discipl. de l’Eglis. Tom. I. p. 1426, 1469) e Mabillon (Oeuvr. Posthum. Tom. 2. p. 115, 158). I Monaci furono appoco appoco adottati come una parte della Gerarchia Ecclesiastica.
  27. Il D. Middleton (Vol. I. p. 110) grandemente censura la condotta, e gli scritti del Grisostomo, uno de’ più eloquenti, ed efficaci avvocati della vita monastica.
  28. Le devote femmine di Girolamo occupano una parte assai considerabile de’ suoi scritti: il trattato particolare, che ei chiama Epitaffio di Paola (Tom. 1. p. 169, 192) è uno elaborato, e stravagante panegirico. L’esordio di esso è di una ridicola turgidezza: „se tutte le membra del mio corpo si mutassero in lingue, e se tutte risuonassero di voce umana, io ciò nonostante sarei incapace ec.„
  29. Socrus Dei esse coepisti (Girol. Tom. I. p. 140, ad Eustoch. Ruffino (in Hieronym. Op. Tom. IV. p. 223), che ne fu giustamente scandalizzato, domanda al suo avversario, da qual Pagano poeta avesse preso un’espressione sì empia, ed assurda?
  30. Nunc autem veniunt plerumque ad, hanc professionem servitutis Dei, et ex conditione servili, vel etiam liberati, vel propter hoc a dominis liberati, sive liberandi; et ex vita, rusticana, et ex opificum exercitatione, et plebejo labore. Augustin. de oper. Monach. c. 22, ap. Thomassin. Discipl. de l’Eglis. Tom. III. p. 1094. Quell’Egizio, che biasimò Arsenio, confessò che faceva una vita più comoda da Monaco, che da pastore. Vedi Tillemont Mem. Eccles. Tom. XIV. p. 679.
  31. Un Frate Domenicano (Voyag. du P. Labat Tom. 1, p. 10) che alloggiò a Cadice in un Convento di suoi confratelli, tosto conobbe, che le preghiere notturne non interrompevano mai il loro riposo, quoiqu’ on ne laisse pas de sonner pour l’edification du peuple.
  32. Vedi una Prefazione molto sensata di Luca Holstenio al Codex Regularum. Gl’Imperatori tentarono di sostenere l’obbligazione de’ pubblici e privati doveri: ma dal torrente della superstizione furono portati via i deboli ripari: e Giustiniano sorpassò i più ardenti desiderj de’ Monaci (Thomassin. Tom. I. p. 1782, 1799, e Bingham. L. VIII. c. 3. p. 253).
  33. Furon descritti, verso l’anno 400, gl’Istituti Monastici, particolarmente quelli d’Egitto, da quattro curiosi e devoti viaggiatori; cioè da Ruffino (Vit. Part. l. 1I. III. p. 424, 536), da Postumiano (Sulp. Sever. Dialog. I), da Palladio (Hist. Lausiac. in vit. Patrum p. 709, 863) e da Cassiano (Vedi nel tom. VII. Biblioth. maxim. Patr. i primi suoi quattro libri degl’Istituti, ed i ventiquattro delle Collazioni o Conferenze).
  34. L’esempio di Malco (Girolamo Tom. I. p. 256), ed il disegno di Cassiano, e del suo amico (Collat. 24, 1) sono incontrastabili prove della lor libertà, che è descritta elegantemente da Erasmo nella vita che ha fatto di S. Girolamo. (Vedi Chardon Hist. des Sacremens Tom. VI. p. 379, 300).
  35. Vedi le leggi di Giustiniano (Novell. 123. n. 42), e di Lodovico Pio (negli Storici di Francia T. VI. p. 427), e l’attuale giurisprudenza Francese, presso Denisart (Devis, Tom. IV. p. 855).
  36. L’antico Codex Regularum, compilato da Benedetto Aniano, riformatore de’ Monaci, nel principio del nono secolo, e pubblicato nel decimosettimo da Luca Holstenio, contiene trenta regole diverse per gli uomini, e per le donne. Sette di queste furon composte in Egitto, una nell’Oriente, una in Cappadocia, una in Italia, una in Affrica, quattro in Spagna, otto nella Gallia o Francia, ed una nell’Inghilterra.
  37. La regola di Colombano, che tanto prevalse in Occidente, assegna cento sferzate per mancanze molto leggiere (Cod. Reg. part. 2. pag. 174). Prima del tempo di Carlo Magno, gli Abbati si divertivano a mutilare i loro Monaci, o a levar loro gli occhi, pena molto meno crudele del tremendo vade in pace (prigione sotterranea, o sepolcro), che fu inventato in seguito. Vedasi un ammirabil discorso dell’erudito Mabillon (Oeuvr. Posthum. Tom. II. p. 321,336) che in quest’occasione sembra inspirato dal genio dell’umanità. Per tale sforzo gli si può perdonare la sua difesa della santa lacrima di Vandomo p. 561-399.
  38. Sulp. Severo Dial, I. 12, 13. p. 532. Cassiano Inst. lib. IV. c. 26, 27. Praecipua ibi virtus et prima est obedientia. Tra le parole Seniorum (in vit. Patrum lib. V, p. 617) il decimo quarto libello, o discorso s’aggira sopra l’ubbidienza: ed il Gesuita Rosweyde, che pubblicò quel grosso volume per uso de’ Conventi, ha raccolto ne’ due suoi copiosi indici tutti i passi, che vi sono sparsi.
  39. Il Dottor Jortin (Osservazioni sull’istoria Eccles. vol. IV. p. 161) ha notato lo scandaloso valore de’ Monaci Cappadoci, di cui si vide l’esempio nell’esilio del Grisostomo.
  40. Cassiano ha descritto semplicemente, quantunque con diffusione, l’abito monastico dell’Egitto (Istit. l. I) a cui Sozomeno (l. III, c. 14) attribuisce qualche allegorico senso, e virtù.
  41. Regul. Bened. n. 55, in Cod. Regularum Part. 2. p. 51.
  42. Vedi la regola di Ferreolo Vescovo d’Uzés (m. 31. in Cod. Regul. p. 2. p. 136), e d’Isidoro, Vescovo di Siviglia (n. 33. in Cod. Regul. p. 2. p. 214).
  43. Si dava qualche particolar permissione per le mani e per i piedi: Totum autem corpus nemo unguet, nisi causa infirmitatis, nec lavabitur aqua nudo corpore nisi languor perspicuus sit. (Regul. Pachom. 92. Part. 1. p. 78).
  44. S. Girolamo esprime con forti ma indiscrete frasi l’uso più importante del digiuno, e dell’astinenza: Non quod Deus universitatis creator et Dominus, intestinorum nostrorum rugitu, et inanitate ventris, pulmonisque ardore delectetur, sed quod aliter pudicitia tuta esse non possit. (Oper. Tom. I. pag. 137. ad Eustoch.). Vedi le collezioni 12, e 22. di Cassiano de castitate, e de illusionibus nocturnis.
  45. Edacitas in Graecis gula est, in Gallis natura. (Dialog. I. c. 4. pag 521). Cassiano chiaramente confessa, che non si può imitare nella Gallia la perfetta norma dell’astinenza, per causa dell’aerum temperies, e qualitas nostrae fragilitatis (Inst. 4. 11). Fra le regole occidentali, quella di Colombano è la più austera; egli era stato educato in mezzo alla povertà dell’Irlanda, forse tanto rigida ed inflessibile, quanto l’astinente virtù dell’Egitto. La regola d’Isidoro di Siviglia è la più dolce: nelle feste concede l’uso della carne.
  46. „Quelli, che bevono solamente acqua, e non hanno liquore nutritivo, dovrebbero avere almeno una libbra e mezza (24 once) di pane il giorno„ Stat. delle Carceri p. 40. di Howard.
  47. Vedi Cassiano Collat. l. II. 19, 20, 21. Ai piccoli pani, o biscotti di sei once l’uno, si diede il nome di Paximacia (Roswayde Onomastic. pag. 1045), Pacomio però concesse a’ suoi Monaci qualche estensione nella quantità del loro cibo; ma gli faceva lavorare in proporzione di quello che mangiavano (Pallad. in hist. Lausiac. c. 38, 39. in vit. Patr. l. VIII. p. 736. etc.).
  48. Vedasi il banchetto, a cui fu invitato Cassiano (Collat. VIII. 1) da Sereno, Abbate Egiziano.
  49. Vedi la regola di S. Benedetto n. 39, 40. (in Cod. Regul. P. II. pag. 41, 42). Licet legamus vinum omnino Monachorum non esse, sed quia nostris temporibus id Monachis persuaderi non potest; egli concede loro un’hemina romana, misura che si può determinare per mezzo delle Tavole dell’Arbuthnot.
  50. Tali espressioni, come il mio libro, la mia veste, le mie scarpe (Cassiano Instit. l. IV. c. 13) erano proibite fra Monaci occidentali, con severità non minore, che fra gli orientali; (Cod. Regul. P. II. p. 174, 235, 288), e la Regola di Colombano li puniva con sei colpi di disciplina. L’ironico Autore dell’opera intitolata Ordres Monastiques, che pone in ridicolo la folle scrupolosità de’ conventi moderni, sembra, che non sappia, che gli antichi erano ugualmente assurdi.
  51. Due gran Maestri della scienza ecclesiastica, il P. Tommassino (Discipl. de l’Eglis. Tom. III. p. 1090, 1139) ed il P. Mabillon (Etudes Monastiq. Tom. I. p. 116, 155) hanno seriamente esaminato il lavoro manuale dei Monaci, che il primo risguarda come un merito, ed il secondo come un dovere.
  52. Il Mabillon (Etud. Monast. Tom. I. pag. 47, 55) ha raccolto molti curiosi fatti per provare i lavori letterari de’ suoi predecessori, sì in Oriente, che in Occidente. Si copiavano libri negli antichi Monasteri d’Egitto (Cassiano Instit. l. IV c. 12), e da’ Discepoli di S. Martino (Sulp. Sever. in vit. Martin. c. 7. p. 473). Cassiodoro ha dato gran materia per gli studi de’ Monaci: e noi non ci scandalizzeremo, se la loro penna talvolta da Grisostomo ed Agostino, passò ad Omero e Virgilio.
  53. Il Tommassino (Discipl. de l’Eglis. Tom. III. p. 118, 145, 146, 171, 179) ha esaminato le vicende delle leggi civili, canoniche e comuni. La moderna Francia conferma la morte, che i Monaci si son dati da loro stessi, e giustamente li priva d’ogni diritto d’eredità.
  54. Vedi Girolamo Tom. 1. p. 576, 183. Il Monaco Pambo diede questa sublime risposta a Melania, che desiderava di specificare il valore del suo dono: „L’offri tu a me, o a Dio? Se a Dio, quello, che sospende le montagne in una bilancia, non ha bisogno d’essere informato del peso del tuo dono„. (Pallad. Hist. Lausiac. c. 10. in vit. Patr. l. VIII. p. 715).
  55. Το πολυ μερος της ῶκειωσαντο, προφασει των μεταδιδοναι παντα πτωχοις, παντας (ωσοιπειν) πταχους καταστησαντες Zosimo L. V p. 325. Pure la ricchezza de’ Monaci orientali fu di gran lunga oltrepassata dalla principesca grandezza de’ Benedettini.
  56. Il sesto Concilio generale (il Quinisesto in Trullo Can. 47. ap. Beverid. Tom. 1. p. 213) proibisce alle donne di passar la notte in un Monastero di maschi, e agli uomini in uno di femmine. Il settimo Concilio generale (il Niceno II. Can. 20. ap. Bevereg. Tom. I. p. 325) vieta i Monasteri doppi, o promiscui di ambidue i sessi; ma si rileva da Balsamone, che tal proibizione non fu efficace. Sopra i piaceri, e le spese irregolari del Clero, e de’ Monaci, Vedi Tommassin. Tom. III. p. 1334, 1368.
  57. Io ho udito, o letto in qualche luogo questa sincera confessione d’un Abbate Benedettino: „Il mio voto di povertà mi ha dato centomila scudi l’anno; il mio voto di ubbidienza mi ha inalzato al grado di Principe Sovrano.„ Mi son dimenticato delle conseguenze del suo voto di castità.
  58. Pior, Monaco Egiziano, permise alla sua sorella di vederlo; ma durante la visita tenne sempre gli occhi chiusi. Vedi vit. Patr. l. III, p. 504. Potrebbero addursi molti altri simili esempi.
  59. Gli articoli 7, 8, 29, 30, 31, 34, 57, 60, 86 e 95 della regola di Pacomio impongono le leggi più intollerabili di silenzio e di mortificazione.
  60. Le preghiere diurne e notturne de’ Monaci vengono lungamente discusse da Cassiano ne’ libri terzo e quarto delle sue Instituzioni; ed egli costantemente preferisce la liturgia, che un Angelo avea dettata a’ Monasteri di Tabenna.
  61. Cassiano descrive per propria esperienza l’acedia o torpidezza di spirito e di corpo, a cui trovavasi esposto un Monaco, allorchè sospirava trovandosi solo: Saepiusque egreditur, et ingreditur cellam, et solem velut ad occasum tardius properantem crebrius intuetur (Instit.
  62. Le tentazioni, ed i tormenti di Stagirio furono da quell’infelice giovane comunicati a S. Gio. Grisostomo, suo amico. Vedi Middleton Oper. Vol. I, p. 107, 110. In simile guisa presso a poco principia la vita d’ogni Santo, ed il famoso Inigo, o Ignazio fondatore de’ Gesuiti (Vit. di Inigo di Guiposcoa Tom. I, p. 29, 38) può servire di memorabil esempio.
  63. Fleury Hist. Eccl. Tom. VII. pag. 46. Ho letto in qualche luogo delle Vite de’ Padri, ma non ho potuto ritrovarlo, che vari, e credo molti de’ Monaci, che non manifestavano all’Abbate le loro tentazioni, divenivano rei di suicidio.
  64. Vedi le Collazioni 7 ed 8 di Cassiano, ch’esamina gravemente, perchè i demonj eran divenuti meno attivi e numerosi dopo il tempo di S. Antonio. Il copioso indice di Rosweyde alle Vite de’ Padri somministra una gran varietà di scene infernali. I diavoli erano più formidabili in forma di donne, che in qualunque altra.
  65. Quanto alla distinzione de’ Cenobiti, e degli Eremiti, specialmente in Egitto, vedi Girolamo (Tom. 1. p. 45. ad Rustic.), il primo dialogo di Sulpicio Severo, Ruffino (c. 22. in Vit. Patr. l. 11. p. 478), Palladio (c. 7, 69. in vit. Patr. l. VIII. p. 712, 758), e soprattutto le Collazioni 18 e 19 di Cassiano. Questi Scrittori, che paragonano la vita comune con la solitaria, scuoprono l’abuso ed il pericolo di quest’ultima.
  66. Suicer. Thesaur. Eccles. Tom. I. p. 205, 218. Il Tommassino (Discipl. de l’Eglis. Tom. I. pag. 1501, 1502) da una buona descrizione di queste celle. Quando Gerasimo fondò il suo Monastero, nel deserto del Giordano, questo fu accompagnato da una Laura di settanta celle.
  67. Teodoreto ha raccolto in un grosso Volume (Philotheus in Vit. Patr. L. IX. p. 793, 863) le vite ed i miracoli di trenta Anacoreti. Evagrio (l. 1. c. 12) celebra più brevemente i Monaci ed Eremiti della Palestina.
  68. Sozomeno L. VI. c. 33, Il celebre Sant’Efrem compose un panegirico su questi Βοσγοι, o Monaci pascolanti (Tillemont Mem. Eccl. Tom. 8. p. 292).
  69. Il P. Sicard. (Missions du Levant Tom. II. p. 217, 233) esaminò le caverne della bassa Tebaide con maraviglia e devozione. Le iscrizioni sono in carattere Siriaco antico, quale si usava da’ Cristiani nell’Abissinia.
  70. Vedi Teodoreto (in Vit. Patr. L. IX. p. 848,854), Antonio (in Vit. Patr. L. I. p. 170, 177), Cosma (in Assemann. Biblioth. Or. Tom. I. p. 239,253), Evagrio (L. I. c. 13, 14), e Tillemont (Mem. Eccl. Tom. XV. p. 347, 392).
  71. L’angusta circonferenza di due cubiti, o di tre piedi, ch’Evagrio attribuisce alla sommità della colonna, non combina con la ragione, co’ fatti, nè con le regole d’Architettura. Il popolo, che la vedeva da basso, poteva facilmente ingannarsi.
  72. Non debbo tacer un motivo d’antico scandalo intorno all’origine di questa piaga. Fu detto, che ’l diavolo, prendendo la forma d’Angelo, l’invitò a salire com’Elia sopra un carro di fuoco. Il Santo alzò il piede con troppa fretta, e Satana profittò di quell’istante per gastigare in tal modo la sua vanità.
  73. Io non saprei come scegliere, o specificare i miracoli contenuti nelle Vitae Patrum di Rosweyde, mentre il numero di essi avanza molto le mille pagine di quella voluminosa opera. Se ne può trovare un elegante saggio ne’ dialoghi di Sulpicio Severo, e nella sua vita di S. Martino. Ei venera i Monaci d’Egitto; ma gl’insulta osservando, che essi non risuscitaron mai morti, mentre il Vescovo di Tours aveva restituita la vita a tre persone.
  74. Rispetto ad Ulfila, ed alla conversione de’ Goti, vedasi Sozomeno L. VI. c. 37. Socrate L. IV. c. 33. Teodoreto L. IV. c. 37. Filostorgio L. II. c. 5. Sembra che l’eresia di Filostorgio gli abbia somministrato de’ mezzi più atti ad informarsi.
  75. Si pubblicò l’anno 1665 una copia mutilata de’ quattro Evangeli della Versione Gotica, ed è stimata il monumento più antico della lingua Teutonica, sebbene Wetstein tenti, mediante alcune frivole congetture, di togliere ad Ulfila l’onore di quell’opera. Due delle quattro Lettere aggiunte esprimono il W, e il Th degli Inglesi. (Vedi Simon.Hist. Critiq. du nouv. Testam. Vol. II. p. 219, 223. Mill. Prolegomen. p.157. Edit. Kuster. Wetstein Prolog. Tom I. p. 114).
  76. Filostorgio erroneamente pone questo passaggio sotto il regno di Costantino; ma io sono molto inclinato a credere, che questo fosse anteriore a
  77. Noi dobbiamo a Giornandes (de Reb. Get. cap. 151. p. 688) una breve e vivace pittura di questi Goti minori. „Gothi minores, populus immensus, cum suo Pontifice ipsoque Primate Wulfila„. Le ultime parole, se non sono una pura ripetizione, indicano qualche giurisdizione temporale.
  78. At non ita Gothi, non ita Vandali; malis licet Doctoribus instituti, meliores tamen etiam in hac parte quam nostri. Salvian. (de Gubern. Dei L. VII. p. 243).
  79. Il Mosemio ha leggiermente abbozzato il progresso del Cristianesimo nel Nord dal quarto secolo fino al decimo quarto. Questo soggetto somministrerebbe de’ materiali per un’ecclesiastica, ed anche filosofica storia.
  80. Socrate (L. VII. c. 30) attribuisce a tal causa la conversione de’ Borgognoni, la pietà cristiana de’ quali è celebrata da Orosio (L. VII. c. 19).
  81. Vedasi un originale e curiosa lettera scritta da Daniele, primo Vescovo di Winchester (Bede Hist. Eccl. Angloi., L. V. c. 18. p. 203. edit. Smith) a S. Bonifacio, che predicava il Vangelo fra’ Selvaggi dell’Asia, e della Turingia, Epistol. Bonifacii 67 nella Maxima Bibliotheca Patrum Tom. XIII. p. 93.
  82. La spada di Carlo Magno accrebbe forza all’argomento: ma quando Daniele scrisse questa lettera (an. 725), i Maomettani, che regnavano dall’India fino alla Spagna, potevano ritorcerlo contro i Cristiani.
  83. Le opinioni di Ulfila e de’ Goti tendevano al Semiarrianismo, poichè non volevano essi dire, che il Figlio fosse una creatura: quantunque comunicassero con quelli, che sostenevano tal eresia. Il loro Apostolo rappresentò tutta la disputa come una questione di piccol momento, e che si era eccitata dalle passioni del Clero. Teodoret. L. IV. c. 37.
  84. Si è imputato l’Arrianismo de’ Goti all’Imperator Valente: Itaque justo Dei judicio ipsi eum vivum incenderunt, qui propter eum etiam mortui, vitio erroris arsuri sunt. Orosio L. VII. c. 33. p. 354. Questa crudel sentenza vien confermata dal Tillemont (Mem. Eccl. T. VI. p. 604, 610), che freddamente osserva „un seul homme entraîne dans l’enfer un nombre infini de Septentrionaux etc.„ Salviano (de Gubernat. Dei L. V. p. 150, 151) compatisce, e scusa il loro involontario errore.
  85. Orosio asserisce nell’anno 416 (L. VII. c. 21 p. 580) che le Chiese di Cristo (cioè de’ Cattolici) eran piene di Unni, di Svevi, di Vandali, di Borgognoni.
  86. Ratbodo, Re de’ Frisoni, fu tanto scandalizzato da tal temeraria dichiarazione d’un Missionario, che tornò indietro, dopo esser entrato nel fonte battesimale. (Vedi Fleury Hist. Eccl. Tom. IX. p, 167).
  87. Le lettere di Sidonio Vescovo di Vienna sotto i Visigoti, e d’Avito Vescovo di Vienna sotto i Borgognoni dimostrano alle volte, in oscuri accenti, le disposizioni generali de’ Cattolici. L’istoria di Clodoveo, e di Teodorico somministrerà de’ fatti particolari su questo proposito.
  88. Genserico confessò tal somiglianza, mediante la severità con cui punì quelle indiscrete allusioni. Victor Vitens- l. 7. p. 10.
  89. Tali sono le querele contemporanee di Sidonio Vescovo di Clermont (L. VII. c. 6. p. 182, ec. edit. Sirmond). Gregorio di Tours, che cita questa lettera (L. II. c. 25 in Tom. 2. p. 174), ne trae un’asserzione, che non si può verificare, cioè che di nove sedi Vacanti nell’Aquitania, alcune eran vacate per causa di Martiri episcopali.
  90. I monumenti originali della persecuzione de’ Vandali si son conservati ne’ cinque libri dell’istoria di Vittore Vitense (de persecutione Vandalica), Vescovo che fu esiliato da Unnerico; nella vita di S. Fulgenzio, che si distinse nella persecuzione di Trasimondo (in Biblioth. max. Patr. T. IX. p. 4, 16) e nel primo libro della guerra Vandalica dell’imparzial Procopio (c. 7, 8, p. 196, 197, 198, 199), Il Ruinart, ultimo editore di Vittore, ha illustrato tutto questo soggetto con un copioso e dotto apparato di note, e di supplementi (Parigi 1694).
  91. Victor. IV. 2. p. 65. Unnerico nega il nome di Cattolici agli Omousi. Descrive come, veri Divina Majestatis cultores, quegli del suo partito, che professavan la fede confermata da più di mille Vescovi ne’ Concilj di Rimini e di Seleucia.
  92. Victor. II. 1. p. 21, 22. Laudabilior.... videbatur. Ne’ Manoscritti, ne’ quali si omette questa parola, il passo non è intelligibile. Vedi Ruinart not. p. 264.
  93. Victor. II. 2, p. 22, 23. Il Clero di Cartagine chiamava queste condizioni periculosae; ed infatti sembra, che fossero poste come una rete per prendere i Vescovi Cattolici.
  94. Vedi la narrazione di questa conferenza, ed il trattamento de’ Vescovi presso Vittore II, 13, 18, p. 35, 42, e tutto il quarto libro p. 63, 17l. 1l terzo libro (p. 42, 62) contiene la loro apologia, o confessione di fede.
  95. Vedasi la lista de’ Vescovi affricani presso Vittore p. 117, 120 con le note del Ruinart p. 215, 397. Spesso vi si trova il nome scismatico di Donato, e sembra, che avessero adottato (come i nostri fanatici dell’ultimo secolo) le pie denominazioni di Deodatus, Deogratias, Quidvult Deus, Habet Deum etc.
  96. Fulgent. Vit. c. 16, 29. Trasimondo affettava la lode di moderazione e di dottrina; e Fulgenzio indirizzò tre libri di controversia all’Arriano Tiranno, ch’ei chiama piissime Rex. (Bibliot. max. Patr. Tom. IX. p. 21). Nella vita di Fulgenzio si fa menzione di soli sessanta Vescovi esuli; si accrescono fino a centoventi da Vittore Tunnunense, e da Isidoro; ma si specifica il numero di dugentoventi nell’Historia Miscella, ed in una breve Cronica autentica di quei tempi. Vedi Ruinart p. 570, 571.
  97. Vedansi gl’insipidi e bassi epigrammi dello Stoico, il quale non seppe soffrir l’esilio con maggior fortezza, che Ovidio. La Corsica poteva non produrre del grano, del vino, o dell’olio; ma non poteva mancare di erbaggi, d’acqua, e di fuoco.
  98. Si ob gravitatem coeli interissent, vile damnum. Tacit. Annal. II. 85. Facendone l’applicazione, Trasimondo avrebbe adottato la lettura di alcuni critici, utile damnum.
  99. Vedansi questi preludj d’una general persecuzione appresso Vittore II. 3, 4, 7, ed i due editti d’Unnerico L. II. p. 35. L. IV. p. 64.
  100. Vedi Procopio de Bell. Vandal. L. I. c. 7, p. 197, 198. Un Principe Moro cercava di rendersi propizio il Dio de’ Cristiani, mediante la sua diligenza a cancellare i segni del sacrilegio Vandalico.
  101. Vedi questa storia presso Vittore II. 8, 12. p. 30, 34. Vittore descrive le angustie di que’ Confessori come testimone di veduta.
  102. Vedasi il quinto libro di Vittore. Le sue appassionate querele son confermate dalla sobria testimonianza di Procopio, e dalla pubblica dichiarazione dell’Imperator Giustiniano (Cod. Lib. I. tit. 27).
  103. Victor. II, 18. p. 71.
  104. Victor. V. 4. p. 74, 75. Ei chiamavasi Vittoriano, ed era un ricco Cittadino d’Adrumeto, che godeva la confidenza del Re, per il favore del quale aveva ottenuto il posto, o almeno il titolo, di Proconsole dell’Affrica.
  105. Victor. I. 6. pag. 8, 9. Dopo aver narrato la ferma resistenza, e la destra risposta del Conte Sebastiano, soggiunge: Quare alio generis argumento postea bellicosum Virum occidit.
  106. Victor. V. 12, 13. Tillemont, Mem. Eccl. Tom. IV. p. 609.
  107. Il titolo proprio del Vescovo di Cartagine era quello di Primate: ma dalle Sette, e dalle nazioni si dava il nome di Patriarca al loro principal Ministro Ecclesiastico. Vedi Tommassin., Discipl. de l’Eglis. Tom I. p. 155, 158.
  108. Il Patriarca Civila stesso dichiarò, ch’ei non intendeva il Latino (Victor. II. p. 42.) nescio latine; e poteva tollerabilmente conversare, senza esser però capace, di predicare o disputare in quella lingua. Il Vandalo suo Clero era vie più ignorante; e poco potea contarsi sugli Affricani, che si erano uniformati al medesimo.
  109. Victor. II, 1, 3. p. 22.
  110. Victor. V. 7. p. 72. Ei chiama in testimone l’Ambasciatore medesimo, che aveva per nome Uranio.
  111. Astutiores, Vict. IV. 4. p. 70. Egli chiaramente afferma, che la lor citazione del Vangelo non jurabitis in toto non tendeva, che ad eludere l’obbligazione d’un giuramento inconveniente. I quarantasei Vescovi, che ricusarono, furono esiliati in Corsica; ed i trecentodue, che giurarono, furono distribuiti per le Province dell’Affrica.
  112. Fulgenzio, Vescovo di Ruspa nella Provincia Bizacena, era d’una famiglia Senatoria, ed aveva avuto una nobile educazione. Egli sapeva tutto Omero o Menandro prima che incominciasse a studiare il Latino, sua lingua nativa. (Vit. Fulgent. c. 1). Molti Vescovi Affricani intendevano il Greco, ed erano stati tradotti in Latino molti Greci Teologi.
  113. Si confrontino le due prefazioni a’ dialoghi di Vigilio di Tapso (pag. 118, 129. edit. Chifl.). Ei poteva divertire i suoi eruditi lettori con un’innocente finzione; ma il soggetto era troppo grave, e gli Affricani troppo ignoranti.
  114. Il P. Quesnel mosse quest’opinione, che si è ricevuta favorevolmente. Ma le seguenti tre verità, per quanto possano parer sorprendenti, sono presentemente accordate da tutti (Gearardo Voss. Tom. VI. p. 516, 522. Tillemont, Mem. Eccl. Tom VIII. p. 667, 671): 1. S. Atanasio non è l’autore del Credo, che sì frequentemente si legge nelle nostre Chiese; 2. non sembra, che questo esistesse per lo spazio d’un secolo dopo la sua morte; 3. fu composto originalmente in lingua Latina, e per conseguenza nelle Province occidentali. Gennadio, Patriarca di Costantinopoli, fu tanto sorpreso da tale straordinaria composizione, che disse francamente, che quella era opera d’un ubbriaco. (Petav., Dogm. Theolog. Tom. II. L. VII. c. 8. p. 587).
  115. I. Joan. V. 7. Vedi Simone, Hist. Crit. du nouv. Testam. Part. I. c. 18. p. 203, 218., e Part. II. c. 9. p. 99, 121 e gli elaborati Prolegomeni ed Annotazioni, del Dot. Mill e di Wetstein, alle loro edizioni del Testamento Greco. Nel 1689 il Papista Simon cercava d’esser libero; nel 1707 il Protestante Mill desiderava d’essere schiavo; nel 1751 l’Arminiano Wetstein si servì della libertà de’ suoi tempi, e della sua setta.
  116. Fra tutti i Manoscritti che esistono nel numero di ottanta ve ne sono alcuni che hanno almeno 1200 anni. (Wetstein lot. cit.). Le copie ortodosse del Vaticano, degli Editori Complutensiani, e di Roberto Stefano son divenute invisibili; ed i due Manoscritti di Dublino e di Berlino non meritano di fare un’eccezione. Vedi Emlyn Oper. Vol. II. pag. 227, 255, 269, 299 e le quattro ingegnose lettere del Sig. de Missy nel Tom. 8 e 9 del Giornale Britannico.
  117. O piuttosto da’ quattro Vescovi, che composero, e pubblicarono la professione di fede in nome de’ loro confratelli. Essi dicono questo testo luce clarius (Victor. Vitens. De persecut. Vandal. L. III. c. II. p. 54). Poco dopo è citato da’ Polemici Affricani, Vigilio e Fulgenzio.
  118. Nell’XI, e XII secolo le Bibbie furon corrette da Lanfranco, Arcivescovo di Canterbury, e da Nicola, cardinale e bibliotecario della Chiesa Romana, secundum ortodoxam fidem (Wetstein Prolegom. p. 84, 85). Nonostanti queste correzioni, quel passo tuttavia manca in venticinque Manoscritti Latini (Wetstein loc. cit.), che sono i più antichi, ed i più belli: due qualità, che rare volte s’uniscono, eccetto ne’ Manoscritti.
  119. Quest’arte, che avevano inventato i Germani, fu applicata in Italia agli scrittori profani di Roma, e della Grecia. Si pubblicò verso il medesimo tempo l’originale Greco del Nuovo Testamento (an. 1514, 1516, 1520) per opera di Erasmo, e per la munificenza del Cardinal Ximenes. La Poliglotta Complutensiana costò al Cardinale 50000 ducati. (Vedi Mattaire Annal. Typog. Tom II. p. 2, 8, 125, 133 e Wetstein Prolegom. p. 126, 127).
  120. Si sono stabiliti i tre testimoni nel nostro Testamento Greco per la prudenza d'Erasmo, per l'onesto bigottismo degli Editori Complutensiani, per l'inganno, o errore tipo- grafico di Roberto Stefano in porvi un segno, e per la de- liberata falsità,, o strano timore di Teodoro Beza.
  121. Plin. Hist. Nat. V. I. Itinerar. Wesseling, p. 15. Cellar. Geogr. antiq. Tom. II. Part. II. p. 127. Questa Tipasa (che non si dee confondere con un’altra nella Numidia) era una città di qualche considerazione, poichè Vespasiano la distinse col diritto del Lazio.
  122. Ottato Milevitano, de schism. Donatist. L. II. p. 38.
  123. Vittor. Vitens. V. 6. p. 76. Ruinart p. 483, 487.
  124. Enea Gaz. in Theophrasto, in Biblioth. Patr. T. VIII. p. 664, 665. Egli era Cristiano, e compose questo dialogo, intitolato il Teofrasto, sull’Immortalità dell’anima, e la Risurrezione del corpo, oltre venticinque lettere, che tuttavia esistono. (Vedi Cave, Hist. Letter. p. 297, e Fabric., Bibl. Graec. Tom. I. p. 422).
  125. Giustiniano, Cod. Lib. I. Tit. XXVII. Marcellin., in Chron. p. 45. in Thesaur. Tempor. Scaliger. Procopio, de Bell. Vandal. L. 1. c. 7. p. 196. Gregorio M., Dial. 3, 32. Nessuno di questi ha specificato il numero de’ Confessori, che si determina a sessanta in un Menologio antico (ap. Ruinart p. 486). Due di loro perdettero la favella per causa di fornicazione, ma il miracolo si accresce per la singolare circostanza d’un fanciullo, che non aveva mai parlato prima che gli fosse tagliata la lingua.
  126. Vedi i due Storici generali di Spagna, Mariana (Hist. de Reb. Hispan. Tom. I. L. V. c. 12, 15. p. 183, 194), e Ferreras (Traduzione Francese Tom. II. p. 206, 247). Mariana quasi si scorda d’essere un Gesuita par prender lo stile, e lo spirito d’un classico Romano. Ferreras, industrioso Compilatore, n’esamina i fatti, e ne rettifica la cronologia.
  127. Goisvinta sposò successivamente due Re de’ Visigoti, Atanagildo, a cui partorì Brunechilde madre d’Ingunde: e Leovigildo, i due figli del quale Ermenegildo e Recaredo, eran nati da un matrimonio precedente.
  128. Iracundiae furore succensa adprehensam per comam capitis puellam in terram conlidit, et diu calcibus verberatam ac sanguine cruentatam jussit exspoliari, et piscinae immergi. Greg. Turon. L. V. c. 39. in Tom. II. pag. 255. Gregorio è uno de’ migliori originali, che abbiamo, per questa porzione d’Istoria.
  129. I Cattolici, che ammettevano il battesimo degli Eretici, ripetevano il rito, o come fu chiamato dopo, il sacramento della Confermazione, al quale attribuivano molte mistiche e maravigliose prerogative, sì visibili, che invisibili. Vedi Chardon, Hist. des Sacramens Tom. I. p. 405, 552.
  130. Osset, o Giulia Costanza, era in faccia a Siviglia nella parte settentrionale della Betica (Plin. Hist. nat. III) ed il ragguaglio autentico di Gregorio di Tours (Hist. francor. L. VI 43. p. 288) merita più fede, che il nome di Lusitania (de Glor. Martyr. c. 24), che ardentemente fu abbracciato dal vano e superstizioso Portoghese (Ferreras, Hist. d’Espagne Tom. II. p. 166).
  131. Si fece questo miracolo con molta abilità: un Re Arriano sigillò le porte, e scavò una profonda fossa intorno alla Chiesa, senza potere impedire la copia dell’acqua Battesimale nella Pasqua.
  132. Ferreras (Tom. II. pag. 168, 175 an. 550) ha illustrato le difficoltà, che si fanno intorno al tempo, ed alle circostanze della conversione degli Svevi. Essi erano stati recentemente uniti da Leovigildo alla Gotica Monarchia di Spagna.
  133. Quest’aggiunta al simbolo Niceno, o piuttosto Costantinopolitano, fu fatta per la prima volta nell’ottavo concilio di Toledo l’anno 633. Ma non fece che esprimere la dottrina popolare (Gerard. Vossio Tom. VI. p. 527 de tribus Symbolis).
  134. Vedi Gregor. Magn. L. VII. ep. 126. ap. Baron. Annal. Eccl. an. 599. n. 25, 26.
  135. Paolo Varnefrido (de Gest. Longobard. L. IV. c. 44 pag. 853 Edit. Grot.) confessa, che l’Arrianismo era tuttavia in vigore sotto il regno di Rotari (an. 636, 652). Il pio Diacono non cerca di fissare l’epoca precisa della nazional conversione, che per altro fu ultimata prima che finisse il settimo secolo.
  136. Quorum fidei et conversioni ita gratulatus esse rex perhibetur, ut nullum tamem cogeret ad Christianisimum.... Didicerat enim a doctoribus, auctoribusque suae salutis, servitium Christi voluntarium, non coactitium esse debere. Beda, Hist. Eccl. l. 1. c. 26. p. 62. Edit. Smith.
  137. Vedi gl’Istorici di Francia (Tom. IV. p. 114) e Wilkins (Leg. Anglo-Saxonic. p. 11, 31). Si quis sacrificium immolaverit praeter Deo soli, morte moriatur.
  138. Gli Ebrei pretendono, ch’essi fossero introdotti nella Spagna dalle flotte di Salomone, e dalle armi di Nabuccodonosor, che Adriano vi trasferisse quarantamila famiglie della Tribù di Giuda, e diecimila della Tribù di Beniamino ec. Basnag., Hist. des Juifs. Tom. VII. c. 9. pag. 240, 256.
  139. Isidoro, ch’era in quel tempo Vescovo di Siviglia, fa menzione dello zelo di Sisebuto, lo disapprova, e se ne congratula (Chron. Goth. pag. 728). Il Baronio (an. 614. n. 41) assegna il numero de’ perseguitati sulla testimonianza d’Aimoino L. IV, c. 22; ma tal prova è debole, ed io non ho potuto verificar la citazione Istor. di Franc. T. III p. 127.
  140. Basnage (Tom. VIII. c. 13. p 388, 400) rappresenta fedelmente lo stato degli Ebrei; ma egli avrebbe potuto aggiungervi, da’ Canoni de’ Concilj di Spagna e dalle Leggi de’ Visigoti, molte curiose circostanze essenziali per il suo soggetto, quantunque siano estranee al mio.