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dell'impero romano cap. xxxvii. |
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che ardivano di trasgredire il reale comando, venivano duramente strascinati pe’ lunghi loro capelli1. Gli Uffiziali del Palazzo, che ricusavano di professare la religione del loro Principe, erano ignominiosamente spogliati de’ loro impieghi ed onori, banditi nella Sardegna e nella Sicilia, o condannati a’ lavori servili degli schiavi e de’ contadini nelle campagne d’Utica. Ne’ distretti particolarmente assegnati a’ Vandali, era più rigorosamente proibito l’esercizio del Culto Cattolico, ed erano stabilite severe pene contro la colpa sì del Missionario, che del proselito. Con tali mezzi si conservò la fede de’ Barbari, e se ne accese lo zelo; essi eseguivano con devoto furore l’uffizio di spie, di accusatori, o di esecutori: e quando la loro cavalleria trovavasi in campagna, il divertimento favorito della marcia era quello di profanare le Chiese, e di insultare il Clero del partito contrario2. IV. I cittadini, ch’erano stati educati nel lusso d’una Provincia Romana, venivano abbandonati con isquisita crudeltà a’ Mori del deserto. Una venerabile serie di Vescovi, di Preti, e di Diaconi, con una fedele truppa di quattromila e novantasei persone, delle quali non si sa bene la colpa, furono tratte per ordine d’Unnerico dalle native lor case. Nella notte venivan chiusi, come una mandra di pecore, fra le proprie loro immondizie: di giorno dovevan proseguire il loro cam-
- ↑ Vedansi questi preludj d’una general persecuzione appresso Vittore II. 3, 4, 7, ed i due editti d’Unnerico L. II. p. 35. L. IV. p. 64.
- ↑ Vedi Procopio de Bell. Vandal. L. I. c. 7, p. 197, 198. Un Principe Moro cercava di rendersi propizio il Dio de’ Cristiani, mediante la sua diligenza a cancellare i segni del sacrilegio Vandalico.