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dell'impero romano cap. xxxvii. 57

quali doveva passare il Romano Ambasciatore nel portarsi al palazzo1. Si richiese da’ Vescovi, ch’erano adunati in Cartagine, un giuramento, ch’essi avrebbero sostenuto la successione d’Ilderico suo figlio, e che avrebbero rinunziato a qualunque straniera o trasmarina corrispondenza. I più sagaci membri2 dell’Assemblea ricusarono d’obbligarsi a questo vincolo, che sembrava compatibile co’ loro morali e religiosi doveri. La loro negativa, debolmente colorita dal pretesto, che ad un Cristiano non era permesso il giurare, dovea provocare i sospetti d’un geloso tiranno.

I Cattolici, oppressi dalla forza reale e militare, eran molto superiori a’ loro avversari in numero, ed in sapere. Con le stesse armi, che i Padri greci3 e latini avevan già preparate per la controversia Arriana, essi più volte ridussero al silenzio, e vinsero i feroci ed ignoranti successori d’Ulfila. La coscienza della propria loro superiorità avrebbe dovuto porli al di sopra degli artifizi, e delle passioni del guerreggia-

  1. Victor. V. 7. p. 72. Ei chiama in testimone l’Ambasciatore medesimo, che aveva per nome Uranio.
  2. Astutiores, Vict. IV. 4. p. 70. Egli chiaramente afferma, che la lor citazione del Vangelo non jurabitis in toto non tendeva, che ad eludere l’obbligazione d’un giuramento inconveniente. I quarantasei Vescovi, che ricusarono, furono esiliati in Corsica; ed i trecentodue, che giurarono, furono distribuiti per le Province dell’Affrica.
  3. Fulgenzio, Vescovo di Ruspa nella Provincia Bizacena, era d’una famiglia Senatoria, ed aveva avuto una nobile educazione. Egli sapeva tutto Omero o Menandro prima che incominciasse a studiare il Latino, sua lingua nativa. (Vit. Fulgent. c. 1). Molti Vescovi Affricani intendevano il Greco, ed erano stati tradotti in Latino molti Greci Teologi.