La Donna e i suoi rapporti sociali/La donna e la famiglia

La donna e la famiglia

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LA DONNA E LA FAMIGLIA



Sendo questa mia fatica diretta all’utile insegnamento della femminil gioventù, non sarà affetto inutile, cred’io, uno sguardo retrospettivo onde disquisire, donde ci venga la famiglia, che cosa sia, in qual modo s’è formata, qual parte vi tocchi alla donna di diritti e di doveri, poiché la famiglia, siccome tutte l’altre istituzioni, si modificò, seguendo le fasi descritte dalla civiltà e dall’intelligenza umana. Laonde sarete già convinte, lettrici mie gentili, ch’io non intendo farvi una poetica apologia della famiglia, ma una semplice argomentazione sui rapporti ch’ella crea, seguendo l’ordine naturale delle cose, nel quale il sentimento scaturisce dal vedere e dal comprendere. E un tal sistema sembrami tanto più utile in quanto che tutti coloro, che della donna scrissero, tutti ripeterono in coro e fino alla nausea, che la donna sente più che non pensi, asserzione che, per vero dire, mi è sempre sembrata un terribile assurdo, non potendosi in buona logica nè amare, nè temere, nè riverire, nè odiare cosa, della quale non si apprezzino i pregi, o non si vedano i pericoli, non si [p. 84 modifica]riconosca la superiorità, o non si stimino i difetti; per cui il sentire è per lo appunto l’effetto necessario del vedere e del comprendere.

Oltre allo avere influito sulla famiglia il carattere dei tempi e delle nazioni, si occuparono di lei, e ne moderarono le sorti, la leggi e la teologia, la timidezza ed i pregiudizii nella donna, il troppo facile abuso della forza e l’arbitrio nell’uomo, la barbarie, gl’interessi e le passioni. Grazie alla filosofia, la mente, nella sua piena emancipazione, può oggi collocarsi ad un alto punto di veduta e portar libero ed imparziale giudizio sul lavoro di tanti secoli.

È passato il tempo nel quale non la ragione, ma un’autorità qualunque diceva all’uomo, maschio o femmina, giovine o vecchio, principe o plebeo, è così perchè te lo dico io; e, dacchè io te lo dico, non è; e non può essere altrimenti. La Verità predicata oggidì, sotto forma d’oracolo fa poca breccia; ed anzichè muoverne querela cogli uomini, coi tempi e coi costumi, come avviene a certi spiriti, non puri per avventura da segrete movenze d’interessi (i quali vorrebbero fosse l’umano spirito di più facile accontentatura) panni meglio d’assai congratularsene coll’umanità negli interessi della Verità, che non mai tanto fulgida emerge quanto dalla libera discussione, non altrimenti che allo atrito si sviluppa fosforica la scintilla.

Divise sono le opinioni, se la famiglia dalla natura ci venga e sia originaria creazione di Dio, o se siasi svolta dalle umane istituzioni. I primi uomini doveano propagarsi per tutta la faccia della terra, epperò doveano scindersi continuamente le famiglie; laonde non altre donne s’aveano che le prime che incontravano, costume, che oggidì conservasi ancora presso diverse selvaggio tribù; e questo fatto appoggia la seconda di quelle opinioni. [p. 85 modifica]

Comunque sia la origine di questo fatto, che ha ora innegabilmente ricevuto la sanzione dei secoli, certo è ch’egli presenta alla filosofia ed alla legislazione un quesito di grave importanza, sendo essa la culla delle umane generazioni, il teatro delle prime impressioni, la scuola ove ogni uomo s’inizia ai misteri della vita. La famiglia è la umana società, ridotta ai minimi termini, è la formola che la rappresenta completamente in tutti i suoi elementi. Non è che sotto questa formola che voi potete definire la famiglia di tutti i luoghi e di tutti i tempi.

La questione più importante, il problema morale e sociale, è che cosa debba essere la famiglia, ed allora scaturiranno, come da ricca sorgente, diritti e doveri, affetti ed aspirazioni, gioie e sacrificii, ed apparirà colla sua serena e simpatica aureola quel quadro, innanzi al quale niun cuore indifferente, niun ciglio imperterrito, niuna mente arida d’idee, niuna memoria orba di soavissime reminiscenze.

Ma sgraziatamente ovunque si porti lo sguardo, o sulla famiglia dei tempi andati o su quella dei presenti, ci è d’uopo confessare, che quelle gioie, quegli affetti non sono che accidentali, e ben sovente la famiglia in luogo d’essere il santuario degli affetti, è una cerchia di ferro nella quale si combatte la lotta dell’oppresso e dell’opressore; ove si svolge il tristissimo dramma della debolezza e dell’arbitrio, dello slancio e della compressione, del sentimento e della indifferenza. Ridotta a tale, la famiglia non è più che un’ironica ipocrisia.

L’umanità non ha per anco generalmente ben compreso l’immenso vantaggio che le deriverebbe dal ricostituire la famiglia, che neppur oggi si può veramente dire tale, non essendo per anco affermate tutte le personalità che la compongono, [p. 86 modifica]e non potendo queste svilupparsi colla autonomia che natura loro concedeva, dovendo esse tutte pendere dall’arbitrio di un solo.

Famiglia vera non può essere quella, nella quale havvi servo e padrone, tirannia e schiavitù. Non sono questi i rapporti di famiglia! Essi non sono finora riconosciuti ed applicati in niuna parte del mondo, ed anche nelle più colte e gentili regioni della civilissima Europa, certo non potrà dirsi abbia dessa raggiunto il suo ideale. Fino a quando i diritti ed i doveri saranno dai codici distribuiti con più o meno esorbitanti sproporzioni, fino a quando durerà nella famiglia la forma monarchica, essa altro non sarà che una pura e semplice frazione della società, nella quale il sentimento non è che accidentale, ed assai compromesso da un dispotismo senza controllo, e da una dipendenza scoraggiata dal non sentirsi tutelata.

Il matrimonio, chiamato a legalizzare l’opera dell’amore ed a porre le basi della famiglia, dovea proteggere e propugnare gl’interessi dell’umanità bambina contro la mobilità degli affetti, la foga delle passioni, le seduzioni degli interessi; e tale sembra dovesse essere in tutti i tempi. In quella vece, è forza dirlo, non fu questo che uno sforzo di ragione e di civiltà. L’amor paterno non bastò sempre fra gli uomini a garantire neppur l’esistenza ad un neonato.

Romolo dovette con leggi obbligare i Romani ad allevare i figli maschi e le primogenite fra le figlie fino ai tre anni, confidando nello sviluppo dell’affetto paterno, che sorgesse per quell’epoca a tutelare quelle vite innocenti. Questa legge, tuttochè ben poco protettrice, non si estendeva fino ai figli mostruosi e mal conformati, che il padre, preso l’avviso di cinque suoi vicini, poteva sacrificare. [p. 87 modifica]

Le leggi Romane permettevano altresì al padre di vendere pubblicamente i figli già adulti, tuttochè quel fiero popolo stimasse la schiavitù peggior della morte.

In Grecia fino ai tempi della massima sua civiltà, il neonato si poneva ai piedi del padre, e se questi noi rialzava o torceva la testa, la debole creatura era condannata a perire. Le leggi di Licurgo condannavano a morte tutti i neonati deformi.

I Cartaginesi sacrificavano i loro bambini gittandoli in ardenti fornaci agli dei infernali, e riguardavasi questo atto snaturato, siccome atto sommamente pio.

Per giudicare dei costumi ebraici riguardo alla prole, basta il leggere nel libro dei Giudici. In esso troviamo che Jefte, partendo pel campo, offrì in voto a Dio la persona che prima avrebbe incontrato ritornando dalla pugna. La figlia sua, ad grido della vittoria d’Israele, uscì incontro al padre per festeggiarlo, Jefte sciolse il voto e la immolò.

Nella China sono i missionarii, e delle donne pietose, che percorrono le campagne e le rive dei fiumi a salvare e raccogliere i bambini, che genitori snaturati abbandonano per sbarazzarsene.

I Musulmani, tutti non avendo che concubine, non generano che servi e come si trattino ognun lo sa. Al giorno d’oggi ancora, presso quasi tutte le nazioni barbare, la vita del neonato non è appoggiata che ai naturali sentimenti, che per lo più mancano affatto.

Negli Stati Unionisti d’America, al sud, mentre la legislazione, che riguarda i bianchi, rivela l’opera di sublimi intelligenze informate ad umanitarie dottrine, e sollecita si mostra di svolgere e maturare i fecondi portati della libertà, quella, che riguarda la razza nera, non riconosce di punto [p. 88 modifica]in bianco neppur la famiglia. Fra la lunga serie dei patimenti inflitti, con qual giustizia lo sa Dio, a quella razza, che per la rivoltante oppressione in cui geme è la macchia incancellabile di quegli Stati e di quei legislatori, la quotidiana separazione delle famiglie è certo uno di quelli che più sollevano ogni cuor sensibile, ogni spirito non isprovisto della naturale equità. I figli non appartengono ai genitori oltre l’esclusivo arbitrio del padrone della madre, di cui sono l’assoluta proprietà in forza del noto assioma legale partus sequiture ventrm.

Se l’inerme bambino fu così trattato, e lo è tuttavia, nè giungono a fargli schermo le innocenti grazie dell’infanzia, che ammorbidir dovrebbero i petti più feroci; l’enorme abuso della forza non appare meno odioso e rivoltante nel modo con cui si trattò la donna che per la fragilità della sua fibra e la timidezza dell’animo doveva naturalmente esservi esposta. Abbastanza debole per potersi opprimere, abbastanza forte per imporle le più improbe fatiche e la più penosa servitù, vivendo con un essere rotto alle più brutali passioni, quale l’uomo della natura, egli non poteva trovare una creatura più facilmente tiranneggiabile, nè le passioni sue soddisfare se non togliendole ogni autonomia, ogni luce d’intelligenza, ogni nozione del naturale diritto; e sposando alla forza del muscolo l'orgoglio della mente, agglomerò sul capo della sua compagna ogni vitupero, intrecciando sul suo gli allori; caricò sulle spalle della donna la fatica e si tuffò negli ozii, impose a lei tutti i doveri serbando a sè tutti i diritti.

Il matrimonio, anche ridotto ad istituzione religiosa, consacrò nelle sue formole la violenza e lo invilimento della donna.

Quando la sposa non era rapita a forza come una preda od un bottino, il cui legittimo possesso [p. 89 modifica]non era più contestabile, era mercanteggiata e pagata come un oggetto qualunque. L’ultima cerimonia componente il complicato rito nuziale presso i Romani era una fìnta violenza; pressoi, Canciti (nell’Africa) il rapimento convenuto, ed il pagamento stipulato, è una formola sacramentale. La formola del rapimento trovasi miche presso gli Americani. Nell’Araucania il padre, che ha accordata sua figlia in isposa, la spedisce con un incarico qualunque, indicandole un cammino, il marito, posto in agguato co’suoi amici, la rapisce e la porta nella sua capanna.

Nelle vecchie Indie la donna non mangia mai col marito. Nella giovine Oceania, a Nonkahiva alle Isole Washington, ecc, non solo non mangiano le spose mai coi mariti, ma sono loro vietate per sovrappiù molte vivande all’uomo solo permesse. Nella Nubia è crudelmente punita se osa toccare la tazza o la pipa del marito. In tutto il regno di Coango, durante il pranzo del marito, la donna si tiene in piedi in disparte e non gli dirige la parola che genuflessa. In tutta la Nigrizia le cure dell’allattamento, l’apparecchio degli alimenti e dei liquori, le cure del focolare, la conservazione delle vesti, non sono tenuti per nulla. Ella deve ancora coltivare il tabacco, estrarre l’olio dalle palme, macinare il miglio, fornir la casa d’acqua e di legna, eppoi, come null'altro avesse a fare, mentre il marito dorme deve guardarlo dalle mosche. Durante le lunghe marcie, ogni peso, ogni imbarazzo le tocca di pien diritto. I Gallas lasciano le loro donne fendere penosamente la terra, lavorare, seminare, mietere, battere e raccogliere il grano.

Lo stesso lavoro è rigorosamente imposto alla donna nel Congo, nella Guinea, nella Senegambia, nel Benin. nel Bournou, nel Mataman, nella Caffreria. Quel motto. Ce n'est rienc’est une [p. 90 modifica]femme qui se noie, è praticato dagli indiani con una bonomia men fina, ma più vera di quella di Giovanni Lafontaine. Nelle improvvise innondazioni del Nilo, essi si occupano dapprima dei loro armenti, poi dei bambini, quindi dei vecchi, e finalmente, e dopo tutto, si ricordano delle donne.

Agli Stati Uniti, all’epoca in cui gli inviati dei popoli che comprono ogni anno coi presentì la lor libertà, fanno ritorno ai nomadi penati, una folla di piroscafi risalgono il fiume maestoso. Gli uomini fumano pacificamente nel fondo delli schifi la loro pipa, e le donne, oppresse dalla fatica, tirano le barche colle corde; e nelle ore di sosta, stendono le reti e gli altri utensili da pesca, tagliano legna, prendono cura dei bambini, e preparano il pranzo agli oziosi mariti e li servono in tutto (1).

Attraverso le vergini foreste gemono dolori secolari. I dolori della donna vi si moltiplicano più che le sue gravidanze, più che i peli delle sue palpebre sì sovente bagnati di lagrime. — Presso i Mohawkse, e generalmente nelle tribù dei cacciatori, la donna deve cercare e portare come un cane la caccia fatta dal marito, che crederebbe offendere la sua dignità caricandola sulle proprie spalle. Sia questa un capriolo, un orso, un cinghiale, la donna, coll’aiuto delle sue vicine soccombenti sotto il peso, lo trascina dalla foresta alla casa, dove riposa pacifico il padrone. Il disprezzo per la donna è tale che l’atto di emancipazione del figlio si constata sul volto o sul dorso della madre. Il giorno in cui conta [p. 91 modifica]il suo quindicesimo anno, deve insultarla e batterla. Presso altre nazioni la donna può essere cambiata, venduta, permutata a piacere del marito, anche uccisa e mangiata s’egli crede farne un buon piatto (2)

Eccettuata qualche tribù, in cui i Sechems aprono i loro consìgli alle matrone, l’oppressione della donna è consacrata da vecchi costumi. Presso altre tribù, alla nascita d’un bambino, il marito si corica come colpito da grande sventura. Il neonato e l’intiera casa sono sottomessi ad una gran purificazione. Altrove, ai primi sintomi di fecondità, la donna è condotta con lugubre cerimoniale al mare, e durante il tragitto piovono sopra di lei l’arena ed il fango, immondizie ed imprecazioni, E cotali costumi con poche varianti sono comuni alle due Americhe (3). La licenza dei costumi, e la libidine di dominio, consacrano e mantengono attraverso ai secoli l’oppressione della donna; ed il nostro secolo istesso è testimonio degli sforzi ripetuti e talora infruttuosi, coi quali la invadente civilizione tenta assottigliare quello scettro di cui l’uomo abusò tanto.

E che l’uomo più vicino alla natura sia il più dissoluto ed il più tiranno, e che la schiavitù della donna sia voluta dalle sue brutte passioni, tutta la storia dell’umanità lo prova, dal selvaggio, che insegue la donna fuggitiva nei boschi e poi l’abbandona feconda, fino all’orientale [p. 92 modifica]poligamia; dalla giovine donna dei Pampas (alla quale chiedete chi sia il padre del bel bambino al quale dà il materno alimento, e tutta ingenua vi risponde: Chi può saperlo?) fino alle migliaia di eunuchi che garantiscono le inserragliate dame d’Oriente alla gelosia del Musulmano.

La Tracia, la Babilonia, la Fenicia, l’Armenia ritennero la donna come cosa fiscale, epperò fu soggetta al servizio della prostituzione pubblica prima d’esser venduta all’incanto ad un padrone che dovea tenerle luogo di marito, a cui competeasi altresì il diritto iniquissimo di rivenderla o di disfarsene colla morte. E questo sprezzo rendea le Babilonesi refrattarie al nodo coniugale, fino a credere insopportabile la fedeltà in amore, ed a dichiararla contraria alle leggi della natura.

Gli Ebrei, quando erano sazii della moglie, le facevano bere l’acqua della gelosia, consistente in una specie di ranno benedetto dal sacerdote, da cui l’infelice rimanea gonfia e morta in un attimo. Era poi per quei mariti motivo a ripudiarla l’aver cotta un po’ soverchio la carne. In Lidia, la donna non avea chè pretendere dal genitore, ed era dannata a fornirsi la dote nel postribolo.

Nell’Asia, e specialmente nell’Indous, considerata al disotto d’un mobile dacchè nasce, anche oggidì si adusa alle catene, costringendone i teneri piedi in calzari di ferro, onde inabilitarla alla comune assuetudine di fuggir la tirannide maritale.

A tal uopo la notte la tengono incatenata siccome belva feroce presso la casa. Quando invecchiasse durante il matrimonio, il marito la strangola. Quando il marito muore prima di lei, dev'essere immolata sul suo sepolcro, anche dalla mano del proprio genitore, ed in taluni luoghi sepolta viva.

Presso i Parti era diritto dell’uomo vendere [p. 93 modifica]o disfarsi con la morte della moglie; e questo diritto, era comune al figlio contro le proprie sorelle.

In Egitto; i maschi non assumevano nessun incarno per l’alimento dei genitori, di cui erano gli eredi, e questo peso dovea gravare le diseredate donne, il cui adempimento avveniva col mercimonio dissolutore del loro infelice personale.

Gli Arabi potevano uccidere le donne soverchie che nascevano in famiglia.

I Germanesi e gli antichi Galli, le dichiaravano schiave dell’uomo; laonde alla morte di lui le uccidevano sul suo sepolcro per andarlo a’ servire all’altro mondo, come lo aveano servito vivente con improbe fatiche.

Questo è vivo uso degli Arabi i quali, nell'inerzia delle loro tende, confidano tutto il lavoro alla schiena della povera donna. Con cinque colonnati, il padre nel deserto vende la sua figlia a colui che la compera, non per avere uno spirito degno della sua affezione, ma per tenersi una macchina confacente a suoi materiali interessi.

La Grecia e Roma, trasportando nella famiglia la dissolutezza filosofica, credevano onorar Venere e le altre lascive deità pagane colla prostituzione della donna, la quale, comperata come schiava, dopo aver concepito figliuoli, poteva essere cacciata ed uccisa impunemente.

In Inghilterra la donna, con una corda al collo, poteva dal marito esser condotta al mercato per vendersi.

Presso talune nazioni del Nord, le mogli sono schiave del marito; appena, colà, la donna mette il piè nei 40 anni, cessa di essere la madre di famiglia ed è sostituita dà una moglie giovine.

In ogni paese del mondo infine, dominato da qualunque legge, comunque la donna sembri apparentemente rispettata, pure quel rispetto non è [p. 94 modifica]che nominale; la ignoranza le fa spesso subire le crudeli pressioni dei deboli e la impotenza al vero bene cui è missionata.

Difatto presso i popoli che si reputano più civili, perchè influenzati dal cristianesimo, benchè veggasi appaiata all’uomo e non si torturi colle neronerie antiche, come appo i pagani; pure, se si mira la incapacità legale che si attribuisce alla donna, la nissuna comunione al pensiero civile per cui non ha attinenze coi pubblici affari del proprio paese, la privazione del sapere giudicato necessaria dai preti corrotti per mantenerla cieca in un’ipocrita castità; se si mira l’imperio maritale che, senza porvi nulla, le toglie anche il conforto di perpetuare il proprio nome nei figliuoli, esclusivo frutto delle sue viscere, e le usurpa il privilegio che la donna madre ha sulla propria fattura, conservato anche dai Romani alla femmina delle bestie coll’assioma sopracitato partus sequitur ventrem! e con la forza brutale le impedisce la libera esplicazione del pensiero dicendo proverbialmente, che le parole della donna sono il simbolo della innettezza e non meritano ascolto (4); se si mira dico a questo incapacità fittizia, a queste opinioni vituperevoli, che pesano sulla donna; ai mille riguardi, vuoti di senso, ma pur penosissimi ai quali è sottoposto da costumi ancor semi-barbari; all’arbitrio del marito, dal quale deve sempre pendere, mentre questi non crede dover darsi alcuna briga di modificare sè od i suoi atti per gradirle menomamente; alla reclusione lunga, ed alla perpetua tutela alla quale è soggetto, così nella vita civile come nella famigliare, se si mira, ripeto, a tuttociò, siamo [p. 95 modifica]costretti a confessare che pur troppo l’orgoglio virile, e la forza muscolare, sono ancora in onore presso gli uomini, e la sacra dottrina del diritto non è da essi apprezzata se non in quanto favorisce agli esclusivi loro interessi.

Eppure dovrebbe la Società persuadersi che la donna (questa Creatura così intelligente, questo essere così sensibile, questo ultimo fiat della potenza creatrice, questa opera divina, che riassumendo in sè stessa inesauribili tesori di sentimento e d’affetto, ci si appalesa nel sacro carattere materno la più vera immagine di Dio) non potrà disvelare all’uomo tutti i reconditi pregi di che provvidenza l’ebbe fornita, fino a che, abbrutite dalla materiale oppressione, scoraggiate dal morale disprezzo, ignota a sè stessa, priva d’ogni autonomia, giacerà siccome prezioso arnese di cui l’inesperto fanciullo ignori l’uso, e si balocchi fra le mani, e pesti, e trascini, e frantumi siccome cencio da strapazzo.

La donna abbandonate per diffetto di estimazione, per assenza complete d’educazione, per incuria di costume ai suoi soli istinti, dà già per vero alla famiglia tutta sè stessa, nulla da lei ricevendo, fuorché cure, legami ed umiliazioni; ed in questo stato di cose quale spirito equo e generoso oserebbe alzare inumanamente la voce sui difetti inseparabili dalla umana creatura non solo, ma altresì voluti necessariamente dall’assenza di luce educatrice?

Oh datele dunque la coscienza di sè, si illumini sul principio da cui parte, sul fine a cui cammina si affermi la sua personalità, si sviluppi la sua morale autonomia, le si ridoni la stima a cui Dio adornandola di tanti pregi le diede diritto; ed allora come l’umanità l’avrà valida alleate nella via del progresso, lo individuo la troverà soavissima compagna nella burrascosa [p. 96 modifica]mortale peregrinazione; e la vivace e colta fantasia, e ho spirito gentile ed educato, e l’anima ove s’annida innato ogni soave e pietoso affetto, lo faranno lieto di; quell’aiuto convenevole che Dio intese dargli quando la plasmava.

Non ha ella già sofferto abbastanza in sessanta secoli d’oppressione questa protomartire dell’umanità? E non è egli tempo che i legislatori si vergognino di avere adunato sulle fronti delle loro madri tanto vitupero, quanto ne agglomerarono colle loro brutali legislazioni? Non è egli tempo che gli uomini ricambiino, con un po’ di riverenza e d’affetto, la tenerezza e le cure delle madri loro? La donna, stringendo al petto l’uomo bambino, e nutrendolo dello stillato del suo cervello, dovrà sempre allevarsi con tanto amore un nemico, un tiranno?

L’uomo sarà egli sempre il supremo arbitrato della famiglia, chiudendo così a forza intorno a lui gli affetti della donna che nulla di meglio cercano, che di espandersi a tutto circondarlo della tepida atmosfera della benevolenza, e della spontaneo e lieto sacrificio?

«V'è un angelo nella famiglia, scrive Giuseppe Mazzini, che rende con una misteriosa influenza di grazie, di dolcezza e d’amore il compimento dei doveri meno amari. Le sole gioie pure e non miste, che sia dato all’uomo di goder sulla terra sono mercè quell’angiolo, le gioie della famiglia. Chi non ha potuto, per fatalità di circostanze, vivere sotto l’ali dell’angiolo la vita serena della famiglia, ha un’ombra di mestizia stesa sull’anima, un vuoto che nulla riempie nel cuore; ed io, che scrivo per voi queste pagine, io lo so. Benedite Iddio, che creava quell’angiolo, o voi, che avete le gioie e le consolazioni della famiglia! Non lo tenete in poco conto perchè vi sembri di poter trovare altrove gioie più fervide, e consolazioni più rapide [p. 97 modifica]ai vostri dolori. La famiglia ha in sè un elemento di bene raro a trovarsi altrove, la durata. Gli affetti in essa si estendono intorno lenti, innavvertiti, ma tenaci e durevoli siccome l’ellera intorno alla pianta; vi seguono d’ora in ora, si immedesimano taciti colla vostra vita. Voi spesso non li discernete, perchè fanno parte di voi, ma quando li perdete, sentite come un non so che di intimo, di necessario al vivere vi mancasse. Voi errate irrequieti e a disagio: potete ancora procacciarvi brevi gioie e conforti, non il conforto supremo, la calma, la calma dell’onda del lago, la calma del sonno della fiducia, che il bambino dorme sul seno materno.

«L’angiolo della famiglia è la donna madre, sposa, sorella! La donna è la carezza della vita, la soavità dell’affetto diffusa sulle sue fatiche, un riflesso sull’individuo della provvidenza amorevole che veglia sull’umanità. Sono in essa tesori di dolcezza consolatrice, che bastano ad ammorzare qualunque dolore. Ed essa è per ciascun di noi la iniziatrice dell’avvenire».

In questi concetti scaturiti da una gran mente e da un gran cuore, voi leggete che cosa esser debba la donna nella famiglia secondo il divino concetto; ma tale non potrà essere veramente che quando ella sarà estimata e coltivata: se non quando l'educazione e la stima le avranno data la coscienza di ciò che da lei esige la natura, che l’ha con tanto studio elaborate. Ella non sarà l’angelo della famiglia e dell’umanità se non quando e l’umanità e l’individuo la vorranno aver tale, sacrificando all’interesse di tutte le generazioni la vanità del dispotismo brutale, dello antifilosofico esclusivismo.

In quel giorno l’uomo sarà completamente civilizzato in cui, riconoscendo l’autonomia della donna, porrà generoso un volontario confine alle [p. 98 modifica]facili esorbitanze della forza; in quel giorno la donna sarà tesoro alla famiglia, quando in soccorso delli istinti pietosi, accorrerà la forza dei principii, scaturiti da una illuminata educazione.

In quel giorno l’uomo sarà completamente civilizzato in cui, sancendo l’ultima libertà della donna, porrà volontario freno alle sue passioni: in quel giorno egli meriterà l’amore della donna quando avrà finito di esigerlo come una gabella; in quel giorno egli coprirà d’infamia la donna infedele quando a sè stesso imporrà, per la stessa colpa, le conseguenze istesse. Fino a quel giorno il marito, la cui moglie é infedele, sarà ridicolo.

Tutto il fin qui detto che potrebbe per avventura sembrare alle mie giovani lettrici una inutile digressione, a me non sembrò tale, volendo io, se mi è possibile, levare dallo spirito vostro il pregiudizio, così facile ad un giovine criterio, che tutte le vigenti istituzioni siano buone; la qual persuasione, meschini noi se tutta l’umanità dividesse, chè la vedressimo in allora arrestare la precipitosa sua corsa in uno dei punti i più intricati del suo morale cammino. Giova non solo, ma è necessario che tutti sappiamo ciò, che si fece, che si fa e che resta a farsi, onde dal passato prender norma nel preparare il futuro, nell’altrui interesse non solo, ma nel vostro altresì.

La donna è, nella società e nella famiglia, tanto più utile quanto più è affermata la sua morale autonomia, quanto più le è concesso d’individualismo, quanto più è colta di spirito; e tanto più inchinevole agli affetti, quanto meno l’atmosfera che respira è agghiacciata dalle fredde esalazioni dei diritti e dei doveri legali.

Ora, in tutta la serie da noi citata dei costumi più o meno selvaggi, certo noi non abbiamo riscontrata la famiglia, co’ suoi affetti, co’ suoi legami più dal sentimento voluti, che non esatti [p. 99 modifica]dalla forza delle leggi. Tutti i costumi da noi fin qui percorsi, non ci parlano che della patria e della maritai potestà, d’una monarchia insomma, nella quale i doveri dei sudditi si riducono a sforzarsi di piacere al despota, e i diritti di questo a volgere al miglior utile proprio le persone, che da lui dipendono, e l’opera loro.

Certo i costumi dei popoli d’occidente sono ben lungi da quelle esorbitanze, che troviamo presso le selvagge nazioni ed in tutta l’antichità, ma sono egualmente ben lungi dallo effettuare fra l’uomo e la donna quella eguaglianza di diritti, che sola può dare ai loro rapporti quella soavità di relazione, che stabilisce la mutua confidenza e la reciproca fiducia.

Nè si dica che la perfetta eguaglianza di diritti e di doveri, fra l’uomo e la donna, introdurrebbe il disordine, l'incoerenza e l'anarchia fra le domestiche pareti. Viete scuse son queste che poca riflessione sulla natura delle cose non permette di porre seriamente innanzi. Se al governo della famiglia preponeste due elementi perfettamente simili, la rivalità e la discordia ne sarebbero l’effetto immediato, ma la natura ha già provvisto innanzi che noi la temessimo a cotale sconvenienza.

Non tenuto conto di più o meno numerose eccezioni, le quali in ogni modo si fanno strada, ad onta d’ogni forza compressiva, l’uomo e la donna sono fra loro costantemente dissimili benché attraentisi. Sebbene l’uno e l’altra constino di eguali facoltà e delle stesse passioni, è però un fatto che le diverse proporzioni, colle quali e queste e quelle si trovano nell’uno e nell’altro, costituiscono di ciascun d’essi un tutto complessivo da non poter confondersi o tôrsi in abbaglio.

Abbiano pure le leggi emancipata la donna, la sua voce delicata non sembrerà mai fatta per [p. 100 modifica]garrire; le sue lunghe palpebre la difenderanno sempre dallo sguardo procace; lo improvviso rossor della guancia rivelerà sempre la verecondia dell’animo; le sue membra delicate le predicheranno sempre l’odio alla lotta, ed il suo cuore scialaquatore d’affetti, sarà pur sempre quella stoffa, della quale natura ebbe tessuto lo eroismo dell’amore e la tenerezza materna.

Allora sarà la famiglia, quando ogni individuo di essa svolgerà nel suo interno, siccome pianta nel proprio clima la propria vita morale, il proprio individualismo trovandosi di fronte a modificarne gli svolgimenti, non il diritto, non l’interesse, non la volontà d’un monarca, ma la ragione sola e l’affetto.

Allora sarà la famiglia, quando l’uomo e la donna amendue forti della coscienza di sè, dei destini dell’umanità e dei doveri dell’individuo, ambi concorreranno colla più lata applicazione delle loro facoltà all’educazione dei loro nati, rispettando in essi la vegnente generazione, ed ogni via procurando ad ottenerne il più pronto morale sviluppo.

Allora sarà la famiglia, quando, sparite dall’un canto le intolleranti insubbordinazioni, dall’altro le sistemate compressioni, non sia il giovine elemento in perpetua lotta col vecchio insofferente di consiglio e di freno, e quello a sua volta tenacemente despota e tiranno, immemore del tempo in cui lo tormentavano la stessa foga e le passioni istesse; talchè veggonsi non di rado famiglie, che altro non sono, siccome dicevano dapprincipio, che semplici frazioni del corpo sociale, presentare nelle loro viscere le crisi che sotto le monarchie presentano le nazioni, che, dopo secoli d’intestino travaglio, si distruggono e si esauriscono finalmente in una funesta anarchia.

Ma dicevamo fin dal principio di questo lavoro, [p. 101 modifica]e lo prova tutta la storia, che essendo le leggi. le necessarie scaturigini di prepotenti bisogni, e camminando desse sull’orme segnate dallo sviluppo dei popoli, è d’uopo questo si pronunci arditamente ed efficacemente. Ora a voi tocca, giovani lettrici mie; a persuadervi di cotal vostro interesse non solo, ma dovere. Quand’anche voi che mi leggete, per circostanze che non son troppo comuni, vi trovaste avviluppate in un’atmosfera d’affetti e di gioie che la vita vi tesse di rose e di perle; avete pur sempre dei doveri a compiere, dei doveri sociali, dei doveri da cui non può dispensarvi la condizione nella quale vi trovate, qualunque ella sia. Giovani, vi corre dovere di educarvi; spose, dovete amare; madri, vi dovete alla prole; cittadine, vi dovete alla patria; individuo, vi dovete alla società; creature, vi dovete alla religione; intelligenti, vi dovete al sapere; sensibili, vi dovete al bene, sotto qualunque forma vi si presenti. A voi tocca provare che si è in voi ridesta la coscienza del diritto, mostrando la piena coscienza del dovere, e che l’affermazione di quello meritate coll’adempimento di questo.

Ogni bene, giova qui ripeterlo, ogni bene quaggiù dev’essere conquistato. La ricchezza è il prodotto del lavoro, la vittoria è il premio del valore, la virtù scaturisce dallo sforzo, la gloria è la corona del sacrificio, la libertà è figlia del sangue, il sapere è generato dallo studio, ed il diritto si conquista compiendo il dovere. Ora adempite al dovere di sviluppare, educare ed applicare nel più lato campo le vostre facoltà, e voi affermerete in un colla vostra potenza morale il diritto di esercitarla, e l’utile sarà non vostro soltanto, ma di tutta altresì l’umanità, della quale siete importante ed indispensabile elemento.

Mostrandovi la famiglia siccome portato della [p. 102 modifica]civiltà, intesi provarvi la necessità ed il dovere che ci incombe di perfezionarla e la potenza che sta in noi di farlo, forti, come siamo, di ragione e di affetto.

Il materno ministero sublimato dal dovere e santificato dall’affetto, è una potenza sul quale la donna fece quasi sempre ben poco assegnamento.

La natura doveva dare al cuor della donna madre questa meravigliosa potenza d’affetto, del quale non riscontrasi nell’ordine di creazione altro esempio, avendo ad essa affidato la conservazione della specie bambina ed avendola incaricata del penoso e lungo ministero dell’allevamento. E veramente il dono della natura corrispose all’uopo. Il cuor della madre è il solo sul quale far si possa in ogni punto della vita, assegnamento. È il solo che più dà, e meno esige; che più è gaudente quanto più si sagrifica; che più ama, quanto più soffre; che non si esaurisce per tempo, che non si raffredda per indifferenza, che non si ributta per ingratitudine. Ogni altro affetto, per quanto puro e sublime, ha un punto interessato ed egoista, il solo amor materno non ha ritorno sopra sè stesso.

Rimanga pur sola ed abbandonata la madre; ella segue il suo nato con l’occhio intento e l’ansio affetto nei vortici turbinosi dell’esistenza, pronta ad accorrere in suo soccorso, a dirigerlo col consiglio, a consolarlo nelle delusioni, e ravvivarlo nelle speranze, a vegliarlo sofferente, a medicarlo malato, ad incuorarlo nelle difficili prove della vita; come testé avviava i suoi primi passi, gl’insegnava ad articolare le prime voci, calmava i suoi primi vagiti, asciugava le sue prime lagrime.

Questa durata della materna tenerezza ci prova, che il ministero suo non è compito collo sviluppo fisico dell’uomo, ma non fa che passare dalle prime materiali cure, alle morali e più serie [p. 103 modifica]sollecitudini volute dall’età più adulta. Son ben poche, la Dio mercè, le madri che vengono meno ai primi ufficii che richieggonsi dalla prole bambina la maggior parte trascendono anzi nel tormentarsi enormemente d’ogni maluccio la incoglie esagerandosene sotto ogni aspetto la gravità e le conseguenze. Per tutto il mondo non vorrebbero vedere i loro bambini buttare una lagrima, e ad ogni pena ed incomodo si sottopongono anziché contrariarli in checchessia. Cieche affatto davanti ai sintomi forieri di nascenti passioni propendono cordialmente nel battezzare col nome di sensibilità, di spirito, di fermezza, d’ingegno, l’impeto, il capriccio, la cocciutaggine, l’impertinenza.

Ma se queste viziature della tenerezza materna sono per avventura scusabili nella tenerissima età della prole, nella quale l’affetto che le si porta conserva un talchè di così vivace e quasi direi sensuale, e la piccolezza e la delicatezza del bambino ci ammorbidisce il cuore così da renderci penosissimo il difendercene; non è egualmente perdonabile che duri, quando uscito dalla puerizia l’uomo si avvia alla vita morale, per la quale può rendersi funesto nello ingigantire, il menomo diffetto.

Perlochè di mano in mano che la prole va uscendo dall’infanzia il cieco e sensuale istinto materno deve dar luogo ad un intenso morale sentimento, e dappoichè il suo corpo è rinfrancato e la esistenza sua garantita dal vigor delle membra, deve volgersi ad informarne la mente ed il cuore con ogni sua potenza, e sollecitamente. Sì, la madre dell’uomo deve far molto di più di ciò che fanno le madri nelle altre specie animali onde soddisfare alla missione impostale. Dotata di intelligenza vivace e di squisito sentire, fornita di un prontissimo intuito ad afferrare i [p. 104 modifica]rapporti delle cose; conoscendo sola il tronco linguaggio dell’infanzia e potendo sola farsene comprendere, in forza di una misteriosa corrente vitale che continuamente circola fra lei ed il frutto delle sue viscere; che tanto tempo vive della sua vita, s’apprende de’ suoi timori, delle sue gioie esulta, e succhia dal suo stillato il modificato della sua vita; conoscendo sola le mille circostanze che possono avere in lui determinato un dato temperamento donde date tendenze; avendo essa più ch’altri mai vivissimo interesse che la fattura sua volga al bene ed al meglio; avendo ella prima ch’ogni altro diritto d’«inorgoglire de’ suoi successi e di desolarsi d’ogni suo errore, come mai potrebbe dessa e da chi, farsi con frutto surrogare?

Laonde importa ch’ella vigili attentamente i forieri sintomi delle passioni onde volgerle al bene, siccome i primi bagliori dell’intelligenza ad avviarlo ai primi criterii.

Le membra del bambino, le diverse parti del suo corpo, oggetti ch’egli pei primi avverte e dei quali si occupa sendogli i più vicini, siano le prime nozioni che dalla madre riceva, coi vocaboli che li determinano, e le rispettive loro funzioni.

Da questi, seguendo l’uso naturale delle cose, si volga agli oggetti tutti che gli vengono di mano in mano a portata coll’ordine stesso della senza nulla forzare, nulla violentare. L’uomo è così fatto che fin da quando coi primi vagiti chiede l’alimento del seno, soddisfatto appena questo imperativo bisogno immediatamente si volge a studiare il mondo che lo circonda; e cominciando dallo spiegarsi dinnanzi le sue dita, sorride ai loro movimenti e si addestra a muoverli e ad usarle. Indi si volge agli oggetti che si ha a portata, li palpa, li agita, ma non avendo le [p. 105 modifica]sue manine ancora nozioni alcuna delle diverse sensazioni tattili a determinarsi la natura loro, e non avendosi che il palato che pel fatto della nutrizione ha già acquistato nozione della propria funzione, mette ogni cosa a contatto di quello per respingerlo quindi se il palato non lo approva, o tenerselo caro se avvien che lo gusti. La luce è pur essa continua attrattativa al bambino sendo che è fenomeno che colpisce la sua tenera retina tutta nuova a cotal sensazione, talchè veggiamo nei bambini prodursi sovente lo strabismo per la loro insistenza e guardarla in onta alla difficoltà che a ciò fare risentano dalla situazione laterale in cui è posta da madri o nutrici poco accorte.

Famigliarizzato colla vista degli oggetti che lo circondano, il bambino non si chiama soddisfatto; di raro anzi avverrà che si possa due volte cessarlo dal pianto col medesimo oggetto. La sua insaziabile curiosità cerca sempre il nuovo, e co’ suoi movimenti, e co’ suoi ripetuti sguardi, e colla velleità frequenti del pianto, e colla irrequietezza che lo tormentano, accenna continuamente ad un nuovo pascolo di cui i suoi occhi ed il suo spirito hanno bisogno.

Egli vuol provare una. dopo l’altra tutte le sensazioni, e dopo aver esaminato l’oggetto ed accontentata la facoltà visiva, lo batte ripetutamente sul suolo o contro un corpo duro, ed attento gusta del suono e se ne diletta e compiace, indi lo scompiscia fra le mani, lo applica al palato, se lo pone sotto i piedi, e lo studia insomma, lo investiga, lo esperimenta con tutti i mezzi che sono da lui conosciuti, con tutti gli strumenti che nei sensi gli ha natura forniti.

Ed ecco i procedimenti delle natura. Partire dal noto per disquisire l’ignoto, dalla parte per arrivare al tutto, dal visibile per dedurne lo invisibile, dal concreto per derivarne lo astratto, [p. 106 modifica]dalla analisi onde fare con perfetta coscienza la sintesi.

Tutte le astrazioni che vediamo al bambino insegnarsi nei nostri imperfettissimi sistemi d’istruzione non sono che un magazzino di vocaboli orbi per lui di relativa idea, che la sua memoria è forzata d’accatastare, e ritenere, e che ad onta d’ogni sforzo s’affretta di sgombrarne, per lasciare il posto di naturale diritto alle idee che vi entrano pel tramite possente delle sensazioni. Le porte dello spirito sono i sensi, tutto ciò che vi entra d’altra parte arrischia forte di non farvi lunga dimora.

Non è egli deplorevole che un fanciullo italiano conosca tutte le diramazioni del Rio della Plata, e tutte le compagne da lui irrigate, ne conosca tutti i tortuosi giri e dove è confluente, e dove mette foce, eppoi ignori, quali acque bagnino la sua città natale?

Non è egli risibile ch’egli discuta le leggi di Licurgo, e le Dodici Tavole, eppoi non sappia da quali istituzioni è più o meno tutelata la sua persona e la sua proprietà? Non è egli fuor di ragione ch’egli vi parli della guerra dei Titani nella greca genesi e conosca i più minuti particolari dell’assedio di Troja, eppo sia completamente straniero ai sanguinosi rivolgimenti che svolsero la libertà italiana, e le generose aspirazioni non rivolga al compimento dei patrii destini, e l'omaggio riconoscente e giusto, non serbi alle migliaia di martiri che sul campo, come dai patiboli, dalle prigioni e dall’esiglio fecondarono i semi della filosofia e prepararono l’attual civiltà?

Studii adunque la madre l’ordine dalla natura stessa insegnato nel progressivo sviluppo della intelligenza, vigili attenta, sorprenda sollecita, ed assecondi assidua la curiosità del bambino incessantemente provocata dalli esterni oggetti, non [p. 107 modifica]si rifiuti giammai di soddisfare alla lunga serie dei perchè così provvidamente abituali nella infanzia, e scaturendo le idee dalle sensazioni le ponga alla portata del tenero intelletto non ancora maturo alle ontologiche astrazioni.

Certo che dovendo la madre continuare il più tardi possibile l’educazione del figlio, deve ella stessa prepararsi al difficile ministero colla coltura dello spirito, la elevazione della mente, e la morale abnegazione che la diverta compietamente da ogni frivolezza e tutte rivolga le sue facoltà al serio compito di formare l’uomo. — Egli è perciò che fin dal principio di questo lavoro dicevamo che se il solo istinto materno basta al disimpegno delle materiali cure per quanto assidue e penose, che esige lo allevamento dell'uomo animale, non bastano certo per la educazione dell’uomo morale ed intellettuale. Occorre ed urge, e seriamente urge che la donna si convinca di questa verità onde più non avvenga siccome finora accadde che impegnandosi nel grave assunto della madre di famiglia, non creda puramente e semplicemente di porsi nella naturale condizione di tutti gli esseri che natura indistintamente chiama alla generazione, e di farsi una posizione sociale, ed assumere un nome col quale è presentata al mondo e consegnata ai pubblici registri. No, tutte le generazioni passano per le mani della donna, la quale trovasi con esse tutte in rapporto di causa ed effetto. Dalle fiere donne di Sparta nacquero i più grandi eroi della indipendenza, dalle altiere matrone di Roma nacquero i conquistatori del mondo, dalle mollissime ed abrutite donne d’Oriente nascono gli effemminati e retrivi musulmani, e dovunque e sempre, lo stato morale della donna è il termometro che segna esattamente i gradi della civiltà, della coltura, del carattere morale dei popoli e dei tempi. [p. 108 modifica]Gli è in vista di ciò, e ad arte ch’io ho parlato del materno ministero prima che del matrimonio, fatto che deve pur precedere quelle funzioni; e perchè non ignara, non astratta, non indifferente ella deve incontrare quel nodo che di tanto peso la grava, di sì importante missione, e di sì grave responsabilità.

La scelta d’uno sposo è per la donna question capitale, e resa vieppiù capitale dalle nostre imperfette istituzioni che assoggettando assolutamente in tutto e sempre la sposa al capriccioso arbitrio del marito, il quale assume sopra di lei un autorità senza limiti e senza controllo; ne assorbe affatto l’autonomia, come la copre col suo nome, e la nasconde dietro la sua personalità. In questa condizione di cose, se una illuminata educazione, se la coscienza del giusto e del vero, dei diritti e dei doveri non ha creato nella donna un carattere morale, ella si troverà ben presto ridotta ad essere relativo, che continuamente si modifica, ed elasticamente si piega a tutte le morali situazioni create incessantemente intorno a lei da quell’essere che pensa, parla, ed agisce per lei, che l’assorbe nella sua vita, che ne’ suoi rivolgimenti l’alza o l’abbassa, l’arresta o la trascina come il corpo fa dell’ombra sua, che affatto la scancella infine dal numero delle unità.

E tale infallibilmente dev’essere la donna quando non è saldamente informata ai principii, e così vien trattata da qualunque uomo il quale trovi l’innato orgoglio legalizzato ed appoggiato dal valido puntello di istituzioni fatte da lui e per lui, e nelle quali egli, ben lungi dal considerare la donna dietro i principii del naturale diritto, non la guardò tutt’al più che come una creatura dalla debole fibra, alla quale concedeva un protettorato, e s’applaudiva altresì di trovarsi cotanto generoso. [p. 109 modifica]Eppure alla vista di sì miserrime condizioni serbata alla donna sposa, condizioni che non possono modificarsi che davanti a quella fortissima, gigante divoratrice potenza chè è l’amore, la quale ridendosi dell’uomo, de’ suoi codici, del suo orgoglio, del suo geloso esclusivismo, lo soggioga, lo vince, lo abbatte, lo fa vittima dei suoi stessi desiderii, e servo, della sua medesima forza, epperò schiavo della donna, lo riduce a cercare ogni arte a gradirle, a tentare ogni impresa a piacerle, a smettere ogni atteggiamento da padrone per addottare gli atti ed il linguaggio del supplichevole; davanti a questo fatto, dico, reso ancor più significativo dal contrasto delle nostre istituzioni, il quale ammonisce la donna sulla natura de’ suoi veri interessi, e dovrebbe solo determinarla, che cosa fa dessa per lo più, in cose di tanto momento che tutta la riguarda, e sola, e per tutta la vita? Che fa? Mi sia concesso il dirlo usando d’una comunissima frase giornalistica. Ella brilla per la sua assenza. Uditelo voi stesse della mordace, ma pur veridica penna dell’immortale Parini

«Non di costume somiglianza or guida
«Gl’incauti sposi al talamo bramato,
«Ma la prudenza coi canuti padri
«Siede librando il moll’oro e i divini
«Antiquissimi sangui, e allor che l’uno
«Bene all’altro risponde, ecco Imeneo
«Scoter sua face; e unirsi al freddo sposo
«Di lui non già ma delle nozze amante
«La freddissima vergine che in core
«Già volge i riti del bel mondo, e lieta
«L’indifferenza maritale affronta».

Come se le istituzioni che tanto gravano sulla donna non bastassero, concorrono a ciò fare anche i costumi che non saprei donde trassero l’origine, e con quali dottrine giustifichino le loro [p. 110 modifica]modalità, e tutto così cospira a spingere la donna indifferente e sovente lieta a quel legame per lei così penoso che la natura sola colla invincibile prepotenza dell’amore dovrebbe forzarla ad accettare. Infatti non saprei perchè, la femminil gioventù debba essere dannata alla perpetua reclusione del convento o del gineceo; perchè nell’educazione che le si imparte altro non si proprocuri che la sua morale evirazione; perchè sottomessa ai più minuti capricci dei parenti, come più tardi lo è a quelli del consorte, nulla si trascuri per distruggere e nichilare la sua autonomia, per cancellare in lei ogni personalità. E questa nullità morale perdura al di là del termine della minorità legale, ed innoltra costante fino a che pare e piace allo incontrollabile arbitrio dei parenti.

Ottenuta finalmente, come non è a dubitarsene, questa morale nichilità, allora si persuadono i parenti, averla perfettamente educata, ed assumendo allora la direzione assoluta dei movimenti della natura non consultandola in nulla, ma forzandola sempre, si vuol tuttodì intenta ai lavori d’Aracne quando vorrebbe consegnare alle carte i prodotti dello innato ingegno! la si spinge al misticismo, mentre ebbe da natura sortito lucido intelletto che dal gretto, dallo specioso, dal gratuito rifugge; le si pone fra mani uno spartito musicale quando l’occhio suo delira dietro alla sublime armonia della natura e freme in cuor suo di ricopiarla, oppure si sforza e colorire, al che natura non la sortiva, mentre tutta pende affascinata dalla magica arte dei suoni che le vengono vietati; e così mano mano si prepara a sagrificare gli affetti agli interessi, a impor silenzio alla natura per le convenienze sociali, a farsi insomma pieghevole, elastica, non altri principii avendo che le opinioni di chi le [p. 111 modifica]sta sopra con tanta prepotenza, non altra credenza che quella de’ suoi parenti, non altra autorità che la loro, non altra coscienza che l’opinione pubblica, non altra legge che il capriccio del forte, non altri principii, che una perpetua condiscendenza alla necessità, non altra personalità che il nome proprio, non altra vita che la vegetativa. — E così si soffocano a migliaia ed a milioni le anime, e così si educano le schiave dell’uomo, all’accettazione completa della loro schiavitù, al profondo sentimento della propria nullità, ed al culto supremo della forza. — E tali sono le madri che si preparano alle generazioni illuminate, ai popoli liberi e civili!

Nè si dica qui, per avventura, che se la donna avesse veramente prepotenza di genio, ella riuscirebbe a spezzare i vincoli che da tutte parti la annodano, a sollevare la pietra sepolcrale che la segrega della vita morale, a sbarazzarsi di quel sudario ove si tenta travolgere la sua anima incadaverita; e mi sussurrate di Spartaco e Masaniello, di Colombo e di Galilei, e della lunga serie dei martiri d’una idea, che sfidarono soli i numerosi campioni dell’errore e della tirannide da Davide fino a Socrate, dal primo Bruto fino ad Epicaride, fino al Savonarola, fino a Cola da Rienzo, ad Arnaldo da Brescia, agli eroi della greca indipendenza; fino ai fratelli Bandiera, fino al povero Sciesa, ed al piccolo Balilla; e vorreste con ciò dirmi, che la coscienza del diritto, la potenza del genio e l’energia del volere, se non trova preparata una strada la crea, dove trova elevata una barriera la supera, dove un nemico lo vince, dove un ingombro lo schianta, forte di quella leva che indarno cercava Archimede, che terra e cielo scuote e Solleva, e che ogni elemento piega, doma e ricurva.

A cotali osservazioni più diffusamente [p. 112 modifica]risponderò nei susseguenti capitoli, quando procurerò dare alla donna appunto la coscienza della sua capacità, rivelandole la sua potenza in ogni lavoro dello spirito, e non tanto coi raziocinii dei quali pochi dannosi pena di disquisirne il valore, od apprezzarne l’evidenza; quanto colla logica imperativa dei fatti che scioglie vittoriosamente i nodi intrecciati dalla più sottile dialettica e rovescia d’un tratto il gratuito edificio eretto dagli interessi e fondamentato da leggiere ed erronee premesse.

Per ora mi basti aver constatato il fatto, che l’educazione che si dà alla donna è quella che tende ad allevare una schiava, ad annichilarla, ad insegnarle la tolleranza del dispotismo, a soffocarle in petto ogni sentimento che non entri nella cerchia degli interessi di chi la signoreggia, a distruggere in fine in lei l’opera di Dio che la sortiva intelligente e sensibile, per ridurla alla vita semplicemente vegetativa dello animale, alla inconscia ed automatica esistenza della cosa.

Ed è a voi, mie giovani lettrici, ch’io dico tutto questo, ed è per voi che lo scrivo, esponendomi scientemente al biasimo di molti che, radicati nel pregiudizio, ottimisti sistemati, e convinti anche, dal benessere che circonda il loro individuo, che cordialmente adorano e teneramente accarezzano, simili all’animale che o beatamente pascoli la ghianda, o fugato sia dalla sferza, senza giammai sognare di levare lo sguardo a disquisire donde il pasto gli venga, o donde la botta, fa di ora in ora, di minuto in minuto ciò che può, o ciò che vuole, ammazzando a gran fatica uno dopo l’altra le giornate, tenendosi sempre il sentimento, la ragione, ed ogni moral facoltà allo stato latente.

Nè schiverò meglio gli scandali farisaici di quegli spiriti divoti che non dal sublime spirito [p. 113 modifica]del cristianesimo, nè alla libertà del vangelo educati, ma dal trasnaturamento di quelle divine teorie corrotti e traviati, ogni emancipazione della mente battezzano, orgoglio pagano; ogni ribellione contro l’ingiustizia, e l’oppressione, rivolta al divino volere; bestemmiando così la bontà infinita di Dio essere serva, base e puntello del dispotismo, degli interessi, delle passioni o dei pregiudizii degli uomini. S’egli è possibile di più negare il fatto imperativo della indipendenza della ragione, e di maggiormente invilire Iddio ditelo voi?

Ma come io vi esortava a voler trascurare certe opinioni, che generali anche siano, altro pur non segnano che i gradi d’ignoranza e di cecità intellettiva di chi le propugna, così io feci lungo il mio lavoro, e così farò fino alla fine, a compiere le promesse fatte di preparare la donna dell’avvenire, la madre delle future e più illuminate generazioni.

Che s’egli è vero quel popolarissimo assioma: Nemo dat quod non habet, non sarà che sviluppando l’intelletto della donna, che avremo l’uomo sapiente; non sarà che coltivando il suo cuore, che si avranno popoli gentili, non sarà che risorgendola alla vita politica, ch’ella potrà elaborare nelle sue viscere i prodi, che il sacro suolo della patria difenderanno contro prepotenti invasioni, e purgheranno da straniere contaminatrici dominazioni; non sarà che elevando la donna all’altezza delle cristiane vedute, che potrà il mondo purgarsi da quelle pseudo-cristiane dottrine, che tante coscienze comprimono, che tanta intelligenze evirano, che tanti esseri, fanno refrattarii alle leggi della natura ed alla vita sociale, che tanta e pertinace guerra hanno impegnata con ogni filosofia, ogni progresso, ogni umana libertà, che rosseggiar fecero di sangue i nostri fiumi ed i [p. 114 modifica]nostri mari, e che tuttora tengono tirannamente vincolato il bel paese, come l’avvoltoio figgeva e rifiggeva nelle carni dello avvinto Prometeo l’artiglio spietato.

Ricordatevi che, pel fatto della generazione, la donna fa l’uomo, e che però l’effetto tien natura sua dalla causa, il frutto dall’albero, la conseguenza dalla premessa; e come la forte e generosa lionessa non genera lo stupido e vile montone, nè la tortora selvatica e piagnolosa genera l’aquila sublime, così dalla donna stupida, inerte, passiva, non esce la prole che floscia, impotente ed appena moralmente larvata.

Ciò ben comprendeva Casti quando scriveva:

«E inver come potrebbe esservi cosa
«Dall’origine sua diversa tanto,
«Che se l’origine sua fu difettosa
«Abbia di integra e di perfetta il vanto?
«Come da fonte limaccioso e impuro
«Scorrere umor poiria limpido e puro?»

Ricordatevi che, per le supreme leggi della natura, l’umanità bambina è affidata alla donna, che dopo aver creato l’animale, deve formare l’essere morale. Ma se in quel primo processo la natura ha fatto tutto, qui deve tutto farsi, dalla educazione, dalla coltura, dalla forte e longanime potenza del volere, null’altro da natura ricevendo che l’appoggio dell’immenso ed inesauribile devozione materna, che d’ogni abnegazione e martirio si fa gioia e corona. E questi pensieri e queste meditazioni debbono, o giovinette, precedere il nodo coniugale, il quale non è che il mezzo che vi porge la materia del compito vostro.

E nello improvviso nascer gigante dello amore che esplode istantaneo siccome fosforica scintilla; e nella balda e prepotente sua vita che spinge [p. 115 modifica]e trascina, maltratta e divora, tiraneggia, ammala ed uccide talora la più vigorosa esistenza; e nello spegnersi di cotanto incendio che non mai più le morte ceneri intepidisce, chiaro questo vero vi si appalesa, che cioè natura ebbe allo amore affidato la sua forza onnipotente e fatale per conservare la specie, il quale scopo conseguito, muore, non avendo più alcuna ragione di esistenza. Laonde voi lasciandovi all’intutto dalla natura insegnare, apprendete anzi tutto la importanza del fine, quindi la logica del mezzo; e, come alla unione sessuale vi date coll’occhio fisso ed intento alle conseguenze che scaturire ne debbono, in questa quindi consultate il voto della natura dalla ragione illuminato.

E tanto più consultatelo in quanto che, la istituzione del conjugio, perpetuando per anni e per la intera vita, una condizione di cose che non furono volute che dalla prepotente forza d’un giorno e d’un momento, impegna la donna in un martirio prolungato, in una lotta incessante colle successive aspirazioni del cuore e la parola giurata, coi fortissimi reclami della natura e la firma da lei apposta al contratto.

Oh almeno giovani lettrici mie, nei primi tempi del vostro connubbio, nel quale i più tremendi sacrifica si richieggono da voi, accorra almeno la natura con quel fitto velo, che sono i delirii dell’amore, ad attutire le angoscie supreme dell’oltraggiato pudore, ad abbruciare la stilla della offesa verecondia che sorge spontanea sulla ardente pupilla, a velare, colla mutua e libera espansione degli affetti e la divina armonia dei cuori, quelli umilianti rapporti di diritto e di dovere che il contratto sanciva, in onta alla natura, che le due parti accosta colla potenza sola dell’amore in ciascuna delle parti autonomicamente risiedente. [p. 116 modifica]Sarà sempre anche troppo presto che convertito ed assorbito il cuor vostro dalla materna tenerezza, e quello del consorte raffreddato dal pieno soddisfamento delle esigenze sue, e portata incessantemente al di fuori dagli affari e dalli interessi, sole rimarrete in faccia al fine, del quale non era l’accopiamento che mezzo, alla meta della quale il connubio non è che sentiero. Ed allora ambo rinsennati dai fatali ma precarii delirii della passione incendiaria; distrutta quella naturale armonia che senza sforzo faceva i voleri concordi e simultanei i desiderii; ecco la donna, la cui educazione fu passiva e nulla, dividere sè stessa fra il marito ed i figli, serva dall’un canto della forza, dall’altro dello istinto, non riuscendo nè a farsi amare dal marito, nè a farsi rispettare dai figli, nè ad educar questi, nè a smover quello, nè a domare in questi le passioni nascenti, nè a scemare in quello l’orgoglio gigante, risultando ed a quelli ed a questo troppa evidente la sua inferiorità di spirito, l’ignoranza della sua mente, la completa assenza di carattere morale.

Non così quando, spenta la verde stagione dell’amore, che per sè stesso poco esigente, non tenta pur sempre giustificarsi nelle peregrine doti dell’oggetto, ma di sè solo pago e tutta seco recando la materia infiammabile, ama per esaurire la esuberante potenza che lo porta fatalmente ad amare, non così, dico, avviene alla donna la quale, al gratuito dono della natura accoppia o sostituisce le doti imperiture dello spirito e del sentimento.

E pur qui il luogo di ripetere quell’adagio «a cattive leggi uomini migliori» chè sebbene quelle nello affermare la fittizia incapacità della donna non si diedero nessuna pena di fare restrizioni, pure il natural sentimento d’equità dal quale non [p. 117 modifica]può difendersi che l’uomo depravato, la forza del giusto e del buono, la maestà della virtù e del sapere che costringe ad inchinarsi la cervice la più orgogliosamente satanica, il culto sciente o spontaneo che molti uomini, la Dio grazie, porgono al vero merito, tutto, dico, come rende la donna gloriosamente atta al fine cui è missionata, la circonda eziandio d’un aureola luminosa che la difende dalla viril prepotenza, che intimida l’uomo, che attutisce nel suo braccio la petulanza ingenerata dalla forza del muscolo e sostituisce in lui a quella ignobile sensazione, che gliela faceva contemplare siccome semplice oggetto e spettacolo di voluttà (che è la suprema delle umiliazioni alla donna dagli istinti generosi) quella deferenza, quell’attaccamento e quella riverenza, che l’armonico e sublime accordo del bello e del grande, della virtù e del sapere, della nobile verecondia e della generosa abnegazione, debbono ingenerare in ogni essere morale.

Dal fin qui detto potrebbe per avventura qualche mia lettrice ricavare, ch’io creda avere il matrimonio per solo scopo la propagazione e la conservazione della specie, nè potersi egli in mia mente disposare eziandio a più nobile fine.

Diversi fra i moderni scrittori hanno considerato l’uomo e la donna non già come unità, ma quali esseri che aspettano dall’unione loro il complemento della loro personalità. Se in faccia agli interessi della specie ciò è assolutamente vero, non lo posso egualmente ammettere nel campo morale, vedendo ognun dei due autonomicamente, nel pieno possesso delle facoltà dello spirito, attivo e produttore.

Mentre invece nel matrimonio per fatto delle istituzioni nostre la donna, abbandonata affatto all’arbitrio del consorte, ben lungi dal completarsi, si evira, ben lungi dall’acquistare, perde, [p. 118 modifica]se pure per lo suo meglio eleggerà di sagrificar sè stessa alla pace.

In quanto a me, tenera di tutto ciò che tende a spiritualizzare l’umanità, ed a sempre più nobilitare uno stato che dallo apparire amabile, utile e venerando si reca a conseguenza maggior purezza di costume, credo, e fermamente credo, che il connubio debba recarsi a fine morale lo perfezionamento dell’un sesso e dell’altro; ed in vista di ciò ammiro la legge della indissolubilità che sembra emergere da siffatta credenza e proporsi un cotale intendimento.

Ma io tengo per fermo che nè l’uomo nè la donna possono perfezionarsi in una unione qual’è voluta dalle nostre leggi e dai nostri costumi. Ed invero, che volete mai impari l’uomo da una creatura priva di senso morale, educata nè più nè meno che per piacergli, per obbedirgli, per ammirarlo, per adorarlo, per credere nella sua portentosa sapienza, per piegarsi in tutto e sempre alla sua volontà onnipotente, per toglierlo a norma e legge d’ogni suo operare? Se quest’uomo si tiene un po’ di ragione e di moral dignità, deve sentirsi a stringere il cuore di vedersi a fianco una creatura così nichilita, o meglio questa larva di essere umano.

Voi mi direte; egli la può educare, e risollevare l’anima sua; vi domando scusa, gli bisogna rifarla. Quando tutta una educazione non ha avuto per iscopo che di cancellare fino all’ultima traccia ogni sintomo di vita morale, in ragion d’ordine col quale si manifestava; quando una educazione non ha avuto per iscopo che di degradare l’essere umano al vile stato di cosa, quasi adirandosi con Dio e colla natura, che abbiano voluto intelligenza e volontà locare là dove l’uomo non crede averne d’uopo, credetemi, è utopia supporre, che possa quell’anima [p. 119 modifica]riabilitarsi non meno che risorgere un cadavere fradicio.

E che volete mai, a volta sua, impari la donna, da un uomo beatamente convinto della propria eccellenza; la qual convinzione gli fu in cuore piantata e ribadita dai costumi che creano per lui una morale dagli ampli margini; dalle leggi che lo estimano sempre capace anche quando è ignorante, sempre moderato ed onesto anche quando gli abbandona la donna senza controllarlo, sempre virtuoso anche quando le sostanze sciupa o disperde per conto di vizii e passioni? Credente fermamente nella legittimità della sua potestà, egli sa dare fino all’amore l’impronta ed il suggello del dispotismo, ed è ben lungi dal credere che la sposa sua possa direttamente o indirettamente pretendere a modificarlo.

Nè crediate ch’io v’abbia posto sott’occhio due casi più o meno rari; mai no! Quella donna è la donna che ogni madre, ogni istituto vorrebbe aver educata ed ogni uomo proclama una buona moglie; quest’uomo, è l’uomo dei nostri costumi, è l’allievo dei nostri codici, e troverete a questo tipo generale poche eccezioni fattibili.

Certamente che, se avviene che s’accoppii una di queste eccezioni virili, con una eccezione del sesso femminile, allora sono in grado di presagirvi un felice connubio; e come due belle tinte nel loro accostarsi si danno reciprocamente maggior risalto ed una ammirevole armonia ne risulta, così dall’uomo e dalla donna che reciprocamente si apprezzano e ragione voi mante e santamente si amano, è ben d’uopo n’esca il morale perfezionamento dacché non può l’amore essere eterno se non in quanto lo cementi la virtù.

I successivi delirii del cuore sono domabili quand’egli si rechi in fondo un’immagine venerata, e gli farà costante ribrezzo l’idea di sopra [p. 120 modifica]edificarvi l’altare ad una divinità meno nobile, e meno pura.

Come il tempo purifica e legittima l’amore, così l’indissolubilità di quel nodo è l’aureola di cui si cinge un’unione, di cui più santa e feconda non saprebbe escogitarsi.

Direste voi che qui non v’abbia che conservazione e propagazione di specie? No. Qui vi ha tutta una scuola di perfezionamento. È l’orgoglio domato alla vista del merito; è la debolezza rinfrancata dalla forza; è la durezza che si ingentilisce; è il sentimento che si sposa alla ragione; è un re che si toglie volontario le insegne usurpate della signoria; è una nazione che lo ricambia colmandolo di gloria e d’onore; è la fermezza che non degenera nell’inflessibilità perchè la pietà e la clemenza le sussurrano istancabili all’orecchio i loro soavi consigli; è la pusillanimità che il cuor si dilata sentendosi vicino la ferma colonna della forza; è lo spirito dettagliato ed analitico disposato allo spirito complesso e sintetico d’onde risulta completa la scienza; è l’amor del concreto che doma gl’indiscreti voli dell’astrazione; è questa che quello spinge e solleva verso la filosofica speculazione donde nasce il vero; è una corrente insomma, luminosa e vitale, che due esseri identifica così da farli ciascuno a sua volta agente e paziente, modificato e modificatore, illuminatore ed illuminato.

Davanti a sì sublime armonia di due esseri umani, è impossibile non riconoscere, che il matrimonio non debba al solo interesse della specie ridursi, ma costituire una società vera nella quale si dà e si riceve, e dove l’utile deve essere proporzionato alla somma del valore impiegatovi.

Fuori di queste proporzioni sta l’ingiustizia, sta l’ineguaglianza, sta lo arbitrio, colle quali cose tutte è incompatibile il morale utile e l’avvanzamento degli associati.

  1. Ciò accade tatti gli anni alla presenza d’una folla d’Europei, i quali non hanno mai tentato una parola a favore di quelle infelici.
  2. Presso gli Schiavati, secondo rapporto d’un missionario, od marito malcontento della scienza cucinaria di sua moglie, la uccise e la serri a’ suoi amici in un banchetto per compensarsi, diceva, con quella vivanda recatagli dalla sua inabilità per la cucina.
  3. ROSELLY DE LORGUE. — La Mort avant l’homme, pag. 123, 124, 125, 126, 127, 128.
  4. Salvatore Morelli. — La Donna e la Scienza, pag. 8, 9, 10 e 11.