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che nominale; la ignoranza le fa spesso subire le crudeli pressioni dei deboli e la impotenza al vero bene cui è missionata.

Difatto presso i popoli che si reputano più civili, perchè influenzati dal cristianesimo, benchè veggasi appaiata all’uomo e non si torturi colle neronerie antiche, come appo i pagani; pure, se si mira la incapacità legale che si attribuisce alla donna, la nissuna comunione al pensiero civile per cui non ha attinenze coi pubblici affari del proprio paese, la privazione del sapere giudicato necessaria dai preti corrotti per mantenerla cieca in un’ipocrita castità; se si mira l’imperio maritale che, senza porvi nulla, le toglie anche il conforto di perpetuare il proprio nome nei figliuoli, esclusivo frutto delle sue viscere, e le usurpa il privilegio che la donna madre ha sulla propria fattura, conservato anche dai Romani alla femmina delle bestie coll’assioma sopracitato partus sequitur ventrem! e con la forza brutale le impedisce la libera esplicazione del pensiero dicendo proverbialmente, che le parole della donna sono il simbolo della innettezza e non meritano ascolto (1); se si mira dico a questo incapacità fittizia, a queste opinioni vituperevoli, che pesano sulla donna; ai mille riguardi, vuoti di senso, ma pur penosissimi ai quali è sottoposto da costumi ancor semi-barbari; all’arbitrio del marito, dal quale deve sempre pendere, mentre questi non crede dover darsi alcuna briga di modificare sè od i suoi atti per gradirle menomamente; alla reclusione lunga, ed alla perpetua tutela alla quale è soggetto, così nella vita civile come nella famigliare, se si mira, ripeto, a tuttociò, siamo

  1. Salvatore Morelli. — La Donna e la Scienza, pag. 8, 9, 10 e 11.