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derò nei susseguenti capitoli, quando procurerò dare alla donna appunto la coscienza della sua capacità, rivelandole la sua potenza in ogni lavoro dello spirito, e non tanto coi raziocinii dei quali pochi dannosi pena di disquisirne il valore, od apprezzarne l’evidenza; quanto colla logica imperativa dei fatti che scioglie vittoriosamente i nodi intrecciati dalla più sottile dialettica e rovescia d’un tratto il gratuito edificio eretto dagli interessi e fondamentato da leggiere ed erronee premesse.

Per ora mi basti aver constatato il fatto, che l’educazione che si dà alla donna è quella che tende ad allevare una schiava, ad annichilarla, ad insegnarle la tolleranza del dispotismo, a soffocarle in petto ogni sentimento che non entri nella cerchia degli interessi di chi la signoreggia, a distruggere in fine in lei l’opera di Dio che la sortiva intelligente e sensibile, per ridurla alla vita semplicemente vegetativa dello animale, alla inconscia ed automatica esistenza della cosa.

Ed è a voi, mie giovani lettrici, ch’io dico tutto questo, ed è per voi che lo scrivo, esponendomi scientemente al biasimo di molti che, radicati nel pregiudizio, ottimisti sistemati, e convinti anche, dal benessere che circonda il loro individuo, che cordialmente adorano e teneramente accarezzano, simili all’animale che o beatamente pascoli la ghianda, o fugato sia dalla sferza, senza giammai sognare di levare lo sguardo a disquisire donde il pasto gli venga, o donde la botta, fa di ora in ora, di minuto in minuto ciò che può, o ciò che vuole, ammazzando a gran fatica uno dopo l’altra le giornate, tenendosi sempre il sentimento, la ragione, ed ogni moral facoltà allo stato latente.

Nè schiverò meglio gli scandali farisaici di quegli spiriti divoti che non dal sublime spirito