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e non potendo queste svilupparsi colla autonomia che natura loro concedeva, dovendo esse tutte pendere dall’arbitrio di un solo.
Famiglia vera non può essere quella, nella quale havvi servo e padrone, tirannia e schiavitù. Non sono questi i rapporti di famiglia! Essi non sono finora riconosciuti ed applicati in niuna parte del mondo, ed anche nelle più colte e gentili regioni della civilissima Europa, certo non potrà dirsi abbia dessa raggiunto il suo ideale. Fino a quando i diritti ed i doveri saranno dai codici distribuiti con più o meno esorbitanti sproporzioni, fino a quando durerà nella famiglia la forma monarchica, essa altro non sarà che una pura e semplice frazione della società, nella quale il sentimento non è che accidentale, ed assai compromesso da un dispotismo senza controllo, e da una dipendenza scoraggiata dal non sentirsi tutelata.
Il matrimonio, chiamato a legalizzare l’opera dell’amore ed a porre le basi della famiglia, dovea proteggere e propugnare gl’interessi dell’umanità bambina contro la mobilità degli affetti, la foga delle passioni, le seduzioni degli interessi; e tale sembra dovesse essere in tutti i tempi. In quella vece, è forza dirlo, non fu questo che uno sforzo di ragione e di civiltà. L’amor paterno non bastò sempre fra gli uomini a garantire neppur l’esistenza ad un neonato.
Romolo dovette con leggi obbligare i Romani ad allevare i figli maschi e le primogenite fra le figlie fino ai tre anni, confidando nello sviluppo dell’affetto paterno, che sorgesse per quell’epoca a tutelare quelle vite innocenti. Questa legge, tuttochè ben poco protettrice, non si estendeva fino ai figli mostruosi e mal conformati, che il padre, preso l’avviso di cinque suoi vicini, poteva sacrificare.