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civiltà, intesi provarvi la necessità ed il dovere che ci incombe di perfezionarla e la potenza che sta in noi di farlo, forti, come siamo, di ragione e di affetto.

Il materno ministero sublimato dal dovere e santificato dall’affetto, è una potenza sul quale la donna fece quasi sempre ben poco assegnamento.

La natura doveva dare al cuor della donna madre questa meravigliosa potenza d’affetto, del quale non riscontrasi nell’ordine di creazione altro esempio, avendo ad essa affidato la conservazione della specie bambina ed avendola incaricata del penoso e lungo ministero dell’allevamento. E veramente il dono della natura corrispose all’uopo. Il cuor della madre è il solo sul quale far si possa in ogni punto della vita, assegnamento. È il solo che più dà, e meno esige; che più è gaudente quanto più si sagrifica; che più ama, quanto più soffre; che non si esaurisce per tempo, che non si raffredda per indifferenza, che non si ributta per ingratitudine. Ogni altro affetto, per quanto puro e sublime, ha un punto interessato ed egoista, il solo amor materno non ha ritorno sopra sè stesso.

Rimanga pur sola ed abbandonata la madre; ella segue il suo nato con l’occhio intento e l’ansio affetto nei vortici turbinosi dell’esistenza, pronta ad accorrere in suo soccorso, a dirigerlo col consiglio, a consolarlo nelle delusioni, e ravvivarlo nelle speranze, a vegliarlo sofferente, a medicarlo malato, ad incuorarlo nelle difficili prove della vita; come testé avviava i suoi primi passi, gl’insegnava ad articolare le prime voci, calmava i suoi primi vagiti, asciugava le sue prime lagrime.

Questa durata della materna tenerezza ci prova, che il ministero suo non è compito collo sviluppo fisico dell’uomo, ma non fa che passare dalle prime materiali cure, alle morali e più serie sol-