Il medaglione romano
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IL MEDAGLIONE ROMANO1
Da uno studio del Dr. Federico Kenner
Fra i conii dei tempi dell’Impero romano, quelli che pel diametro, pel peso e per l’esecuzione artistica superano di gran lunga le usuali monete correnti, non sogliono venir trattati fuorchè incidentalmente. Gli archeologi, i critici d’arte, gli storici, si sono occupati più volte di alcune particolarità che presentano, ma nel loro complesso non hanno ancora formato oggetto di studio2. Perciò anche, la questione se siano monete o soltanto medaglie si suol decidere in base agli eventuali distintivi che offrono.
Eckhel ha troncato per lungo tempo ogni discussione intorno a questo punto, col manifestare il suo avviso che i medaglioni corrispondano press’a poco alle nostre medaglie, opinione accettata più recentemente da Francesco Lenormant e da lui difesa calorosamente, quantunque, già prima della comparsa del suo libro (La monnaie dans l’antiquité) essa avesse subito varie modificazioni: i medaglioni d’oro erano stati riconosciuti per vere monete, e Mommsen aveva supposto altrettanto pei medaglioni d’argento del III secolo colle Dee Monete. Ciononostante, oggi ancora si sogliono considerare come medaglie gli altri medaglioni d’argento e tutti quelli di bronzo.
La pubblicazione dei medaglioni che si conservano nel Gabinetto Num. Imperiale di Vienna3 mi diede opportunità di occuparmi di proposito intorno a quella questione. I risultati ai quali giunsi mi persuasero da una parte che l’antichità classica non conosceva medaglie nell’accettazione odierna della parola (sia perchè tutti i prodotti del conio venivano allora considerati come più rigidamente riservati all’autorità dello Stato, sia perchè non era punto sentito il bisogno di medaglie, essendochè nella monetazione antica si variava continuamente il tipo, ciò che non accade per la nostra), mi persuasero pure d’altra parte, che vari fra i motivi addotti da Eckhel sono veramente degni di considerazione; per dire d’uno solo, non vi è dubbio che il peso, e più tardi la grandezza dei medaglioni, dovevano essere d’ostacolo al loro uso come moneta nelle contrattazioni abituali.
Pesando i motivi pro e contro, dovevo giungere a chiedermi se non convenisse di considerare tale questione in modo diverso e più stretto di quello che si facesse nel secolo scorso. A mio giudicio, oggi non si tratta più di sapere se i medaglioni abbiano veramente circolato come moneta, oppure se fossero medaglie che possono aver servito agli usi più svariati; si tratta invece di sapere se siano stati emessi per la circolazione o meno, se i loro caratteri lascino riconoscere l’intenzione di distinguerli dalla moneta corrente, se formando parte della monetazione siano stati rivestiti dei caratteri particolari alla vera moneta. In confronto di tale questione, diventa secondario il sapere se essi abbiano veramente circolato, oppure ne sia stato fatto un uso diverso.
È in questo senso che ho condotto le mie ricerche. Se in base alle conseguenze cui sono giunto, devo rispondere affermativamente alla questione principale, cioè se i medaglioni fossero destinati alla circolazione, non ho difficoltà a convenire per ciò che tocca le questioni secondarie, che in pratica talvolta varie circostanze ne limitarono la circolazione; ciononostante, pei loro caratteri intrinseci, rimangono vere monete, siano essi coniati in oro, argento o bronzo, e non vale a toglier loro questo carattere la circostanza che non sempre furono usati come moneta.
I.
Il medaglione ed il diritto di sovranità.
Incominciamo da uno dei caratteri principali del medaglione antico: esso dipende dal diritto di sovranità dell’imperatore romano.
La medaglia moderna, all’opposto, gode di una certa indipendenza a questo riguardo. Oggidì è concesso ad ogni Società e ad ogni privato di far coniare medaglie con qualsiasi ritratto, senz’altra restrizione fuorchè le convenienze morali e politiche.
Nell’antichità, la cosa è diversa. Fra i diritti sovrani dell’imperatore vi è quello dell’effigie e della leggenda sulla moneta; l’imperatore medesimo soltanto o quelle persone alle quali egli concede questa distinzione, possono essere rappresentate in effigie sulle monete, e ricordate con nome e titoli. Qualunque altra persona è esclusa. Dopo la consolidazione della monarchia, questo diritto viene concesso soltanto all’Augusta od imperatrice, — sia poi la consorte o la figlia, la madre o l’ava, la zia o la cugina dell’imperatore regnante, — ed al Cesare come erede designato del trono o come insignito semplicemente di quel titolo; vale a dire insomma a quei membri della casa imperiale che anche per altri riguardi partecipano al diritto sovrano dell’imperatore.
Ed anche pel medaglione, precisamente come per la moneta, il diritto di effigie e di leggenda è riservato all’Angusto, all’Augusta ed al Cesare. Non v’è alcun medaglione che rechi un’altra effigie qualunque, fuori di queste. Quindi, non soltanto non era lecito al privato di far coniare medaglioni in onore di una persona vivente od estinta, ma ciò non era permesso neppure alle comunità quand’anche insignite del diritto di coniar moneta; l’unica eccezione è costituita da quegli scarsi pezzi, assai probabilmente coniati soltanto a scopo sacro, che in luogo dell’effigie imperiale recano quella di qualche dio od eroe, o della divinità della città, o la personificazione del Senato, ecc. Questi pezzi appartengono alla Grecia continentale, alle isole greche ed all’Asia Minore, quindi ai territorî amministrati dal Senato. Ma anche questi medaglioni greci, per ciò che riguarda il diritto di sovranità, seguono le stesse regole del medaglione imperiale di Roma. Il diritto sovrano compete al solo imperatore; egli, per una concessione basata su convenienze politiche, può cedere talvolta l’esercizio del diritto di batter moneta (l’esercizio, non il diritto in sè stesso), e soltanto pel bronzo o rame, al Senato. Questo ne usa, estendendo talvolta l’effigie ad altre persone della casa imperiale, specialmente alle donne.
Bisogna anzi concludere che gl’imperatori medesimi fossero tenuti all’osservanza di queste stesse prescrizioni, che emanavano dal loro diritto sovrano; poichè non si conosce nessun caso in cui, su di un medaglione, sia stato rappresentato in effigie, o ricordato nella leggenda, in vita o dopo morte, un capitano, un uomo di stato, un artista od un filosofo, per quanto benemerito dello Stato o della casa imperiale, per quanto amico personale dell’imperatore, e nonostante che gli si fossero erette statue per ordine di questi o per decisione del Senato.
Il diritto d’effigie e di leggenda, pel medaglione, è quindi riservato all’imperatore con quello stesso rigore che vige per la moneta corrente. Da questa circostanza incontestabile si dovrà dedurre, per necessaria conseguenza, che l’emissione dei medaglioni, di qualsiasi metallo, è basata sul diritto sovrano esclusivo dell’imperatore, come è il caso per remissione della moneta corrente.
Il nesso fra la moneta ed il medaglione, che appare già dall’origine comune di entrambi nel diritto sovrano dell’imperatore, si manifesta anche in tutti gli altri caratteri, che esamineremo sotto la triplice partizione di metallo, peso e tipo.
II.
Metallo, peso e fattura delle medaglie moderne
e dei multipli delle monete moderne.
La medaglia moderna, per ciò che riguarda la lega del metallo ed il peso, è affatto indipendente dalle norme che regolano la moneta moderna.
L’oro e l’argento che vi s’impiega differisce per titolo da quello usato per le monete; le cosidette medaglie di bronzo sono invece di rame bronzato con processi chimici. Vi sono poi medaglie di altri metalli, d’ottone, di nickel, d’ogni sorta di leghe e composizioni diverse da quelle usate per le monete. Cosi pure il sistema monetario del paese non ha nessun’influenza sul peso delle medaglie che vi si coniano.
Infine, la medaglia dei tempi nostri presenta una gran differenza nel conio dalle monete, le quali hanno un rilievo molto minore e non variano nei rovesci; le medaglie sono invece ben rilevate e presentano una molto maggior varietà di rovesci: sono contornate generalmente da un orlo rilevato, e trascurano i segni di zecca, ecc., che sono necessari per le monete.
Altrettanto e più si dica per le grosse monete moderne che furono lungo tempo in uso come multipli delle monete correnti4. Tutti questi grossi pezzi, emanando dal diritto sovrano dello Stato, seguivano le norme della moneta ed erano affatto dissimili dalle medaglie contemporanee, e invece affatto simili alle monete di cui erano il multiplo.
III.
Metallo e dimensioni del medaglione antico.
Il medaglione antico sta alla moneta antica corrente, come il multiplo moderno alla moneta corrente moderna, non già come la medaglia moderna sta a questa.
Una prova palmare se ne ha nei medaglioni d’argento del III secolo. Appena che il denaro d’argento incomincia a cedere il posto al denaro di biglione ed al denaro di rame inargentato, cessano anche i medaglioni d’argento fino. Di Probo invece, che sembra aver fatto un tentativo di ritornare alla monetazione d’argento fino, si ha un medaglione appunto d’argento fino; questo pezzo è però rarissimo, e i medaglioni inargentati continuano fin che durano le monete correnti inargentate. Invece nell’êra costantiniana, quando la distretta monetaria era stata superata, i medaglioni di buon argento ritornano relativamente frequenti.
Altrettanto accade pel medaglione di bronzo. La moneta divisionaria dell’impero romano consisteva, com’è noto, di due sorta; quelle di valore superiore venivano coniate in bronzo giallo, le altre in rame. Talvolta accadeva però che anche quelle di valore maggiore venissero coniate in un bronzo rossastro di qualità inferiore, così, per esempio, nel lasso di tempo da Antonino Pio a Severo Alessandro; probabilmente ciò dipendeva dalle strettezze finanziarie, divenute ormai permanenti in conseguenza delle guerre coi Marcomanni. I medaglioni di bronzo seguono anch’essi queste oscillazioni. Quelli del tempo di Adriano, e la maggior parte di quelli d’Antonino Pio, sono sempre, in genere, di metallo giallo; però fra quelli d’Antonino ve ne sono già alcuni di metallo rossastro; sotto M. Aurelio e Commodo il metallo rosso è divenuto la regola, e quello giallo l’eccezione. Con Severo Alessandro e con Gordiano, la mistura gialla ricompare più frequente. Nel IV secolo, infine, il metallo rossastro riprende il sopravvento nei medaglioni e vi domina quasi esclusivamente.
Oltre ai medaglioni di bronzo giallo, ed a quelli di bronzo rossastro, vi sono quelli bimetallici, vale a dire di bronzo rossastro con orlo d’ottone. Questa particolarità si è considerata come caratteristica pei medaglioni, e fu detto che con essa si volle appunto distinguerli dalla moneta corrente. Ma a questo si oppone il fatto che vi sono monete correnti senatoriali che presentano questa stessa particolarità. Un sesterzio di Elio Cesare, colle iniziali S • C (Gabinetto di Vienna) ne è l’esempio più antico. Altri sesterzi e medii bronzi di Settimio Severo, Caracalla, Geta, Severo Alessandro, e Massimino sono pure di due metalli e portano tutti le iniziali S • C. Certamente questi esempi non sono comuni, ma pure stanno a provare che la composizione bimetallica non è propria soltanto dei medaglioni.
Insomma i medaglioni seguono in tutto e per tutto le variazioni di metallo che si osservano nella moneta corrente, ciò che dimostra una stretta parentela fra essi, mentre sarebbero ingiustificate quelle variazioni se i medaglioni fossero stati semplici medaglie secondo l’accettazione odierna, e quindi indipendenti dalle norme prescritte per la monetazione.
Consideriamo ora brevemente la questione della grandezza, ossia del diametro dei medaglioni. Anche se si confrontano i pezzi maggiori di bronzo del peso di quasi 80 grammi coniati da Adriano, per esempio, coi semplici sesterzi dello stesso imperatore, si deve convenire che la differenza consiste assai più nello spessore che nel diametro del disco di metallo. I medaglioni si sarebbero potuti coniare molto più sottili e grandi, come lo si fece in realtà pei medaglioni d’oro sulla fine del secolo IV. Ma ai tempi dell’alto Impero si veggono medaglioni in cui lo spessore ed il diametro non sono in giusta proporzione fra loro. E appunto a quei tempi, in cui l’arte era ancora in fiore, un disco più ampio avrebbe dovuto prestarsi maggiormente alla valentìa dell’artista.
Invece bisogna riconoscere che i medaglioni romani hanno un aspetto pesante, appunto per lo spessore sproporzionato. È giuocoforza quindi concludere che dovessero avere un diametro prescritto. E il motivo di questa prescrizione non può essere stato altro se non quello che i medaglioni fossero monete, nel qual caso non sarebbero riusciti maneggevoli se fossero stati troppo grandi. Per questo se ne limitò il diametro, e invece si ricorse all’aumento dello spessore per accrescere il peso.
IV.
Il medaglione d’oro.
Una circostanza importantissima per riconoscere la relazione che intercedeva fra il medaglione antico e la moneta corrente contemporanea, è quella del peso. Sgraziatamente questa circostanza venne finora trascurata.
Per quanto ci consta, il peso dei medaglioni d’oro (senza comprendervi la montatura) è costantemente un multiplo delle monete semplici d’oro che avevano corso all’epoca corrispondente, cioè dell’aureus o del solidus.
Del I secolo non si conoscono che due pezzi. L’uno è il celebre medaglione d’oro di Augusto, rinvenuto ad Ercolano; esso ha il diametro di mm. 34 e 32, e pesa gr. 33,41, ciò che corrisponde precisamente ad un quaternio, o quadruplo dell’aureo di 8,37 gr. L’altro pezzo, che si trovava una volta a Parigi, e di cui non si conosce il peso, corrispondeva probabilmente anch’esso a quattro aurei, a giudicarne dal suo diametro, ch’era di mm. 31,5.
Del II secolo si hanno i due medaglioni d’oro di Commodo, l’uno e l’altro di peso ignoto; probabilmente sono entrambi della stessa grandezza, ma uno di essi almeno, del quale si conosce il diametro (26 mm.), dovrebb’essere un triplice aureo (ternio).
Soltanto col III secolo incominciano ad essere più frequenti i medaglioni d’oro d’una certa grandezza. Caracalla sembra avere introdotto, oltre il doppio denaro in argento, (antoninianus) anche il doppio aureo, (binio). Entrambi sono caratterizzati dalla corona radiata, pel busto dell’imperatore, e dalla mezzaluna sotto il busto dell’imperatrice.
Nei tempi successivi si continuò a coniare il doppio aureo, come lo dimostra il solo medaglione d’oro che si abbia di Eliogabalo. Se ne conoscono di Severo Alessandro, di Gordiano III, di Filippo e di Traiano Decio.
Sotto Treboniano Gallo e Volusiano viene introdotta una modificazione; la corona radiata non serve più ad indicare il doppio dell’aureo, ma bensì i multipli della sua metà, e più tardi del suo terzo.
Un triplo del mezzo aureo, di Emiliano, si conserva, nel Gabinetto di Vienna.
Di Gallieno si hanno monete d’oro colla corona, radiata, corrispondenti ad un triens d’oro, o terzo di aureo, a due terzi di aureo, a un triplice triente ossia ad un aureo (busto di Gallieno con corona radiata e busto di Severina colla mezzaluna).
Sotto Aureliano e Probo compare il triente quadruplo.
Coll’introduzione del nuovo significato, cioè di indicare il doppio del mezzo aureo, poi il triente e i suoi multipli, la corona radiata doveva naturalmente perdere la sua caratteristica ch’era di segnare il binio ossia il doppio dell’aureo. Perciò, da Gallieno in poi, ricompare sul binio la corona d’alloro.
Il quaternio o quadruplo dell’aureo, compare nella seconda metà del secolo III. Il primo è di Filippo. Se ne hanno poi di Gallieno, di Postumio, di Massimiano Ercole e di Costantino Cloro.
Il quinio o quintuplo dell’aureo, si ha, p. es., nel medaglione di Caro e Carino, di 33 mm. di diametro e gr. 27,480 di peso, ciò che corrisponde per l’appunto al quintuplo dell’aureo dei regni di Caro, Carino e Numeriano. Anche un altro medaglione d’oro di Carino solo, dev’essere un quinio.
Il senio, sestuplo dell’aureo, si ha di Gallieno, di Massimiano Ercole e di Galerio.
I multipli maggiori in oro sono scarsi. Un doppio quaternio, o pezzo di 8 aurei, si ha di Severo Alessandro. Anche due medaglioni d’oro di Diocleziano hanno probabilmente il valore di 8 aurei.
L’unico pezzo conosciuto del III secolo di 20 aurei, è il medaglione di Gallieno pubblicato dal Tanini nel supplemento al Banduri. Questo nummus mole et typo conspicuus pesa circa 100 grammi e corrisponderebbe quindi a 20 aurei da 5 grammi.
Sorvoliamo sui medaglioni d’oro del IV secolo, perchè nessuno ne contrasta il carattere monetario.
I medaglioni che ho ricordati testè, stanno sempre in una stretta relazione colla moneta semplice d’oro corrente; anzi nella loro forma inferiore, il binio, costituiscono una vera moneta, distinta per la corona radiata, la qual moneta venne introdotta da Caracalla e continuata da’ suoi successori Severo Alessandro, Gordiano, Filippo e Traiano Decio. La sola comparsa di questi doppi pezzi decide la questione se fossero medaglie o monete, a favore di quest’ultima ipotesi. Nè meno evidente è il nesso fra la diminuzione del peso effettivo della moneta semplice d’oro durante il corso del secolo III, e la diminuzione dei medaglioni d’oro contemporanei. Mentre il quaternio di Augusto presuppone una moneta semplice d’oro di grammi 8,37, il binio di Severo Alessandro non accenna più che ad un peso effettivo, per la moneta semplice d’oro, di gr. 6,354, quello di Gordiano III a gr. 5,125, quello di Treboniano Gallo a gr. 5,845.
Altrettanto si dica dei multipli superiori. Da Gallieno in poi essi rivelano nel loro peso quella stessa irregolarità che si riscontra nella moneta corrente di quell’epoca; è sempre la coniazione disordinata di quel tempo, in cui l’oro non si contava più ma si pesava. Le gradazioni di peso dei medaglioni sono espresse in modo facilmente riconoscibile, per mezzo dei diametri; da Caracalla a Decio, il binio ha il diametro di 23 a 22 millimetri; dopo Decio, di 22 a 21, quantunque il peso fosse diminuito della metà, anzi di due terzi. Anche i multipli superiori si distinguono pel diametro; i multipli inferiori poi sono caratterizzati dalla corona radiata e quelli superiori dalla corona d’alloro. Tutte queste circostanze rivelano chiaramente l’intenzione di distinguere i multipli secondo il loro valore, ciò che non avrebbe nessun motivo d’essere, se non fossero stati monete correnti.
I medaglioni d’oro recano poi all’esergo il nome della zecca, precisamente come la moneta corrente, incominciando dall’epoca in cui viene introdotto tale uso per questa.
La conclusione che i medaglioni d’oro formano parte della moneta corrente, viene infine confermata pienamente dal noto passo della Historia Augusta, nella Vita Severi Alexandri. Vi si racconta che questo imperatore aveva coniato mezzi aurei e terzi di aureo, ma aveva posto fuori di corso le monete da 2, 3, 4 e dieci aurei, come pure quelle d’una libbra (da 60 aurei), e di due libbre (da 100 aurei)5, che il suo predecessore Eliogabalo aveva inventate, e che da allora in poi furono considerate come metallo in verga6.
In questo passo si parla di conii ai quali noi diamo il nome di medaglioni; essi vengono chiamati formae, cioè monete coniate, da 2, 3, 4 e più monete d’oro. Di tali gradazioni ve ne sono ancora moltissime altre, da ciò l’espressione: atque amplius ecc., precisamente come fra i medaglioni abbiamo visto che vi sono biniones, quaterniones, seniones, ecc., fino a un multiplo di 20 volte l’unità monetaria. Si accenna poi, che le formae d’una libbra e di due libbre erano state inventate da Eliogabalo, mentre i multipli inferiori, quelle binariae, ternariae, ecc., erano state emesse anche prima; il testo concede questa interpretazione, e ci restano infatti dei biniones d’oro di Caracalla e dei quaterniones di Augusto e di Domiziano. Inoltre è indicato chiaramente che erano monete in corso e veramente in usu, poichè in caso diverso non avrebbero potuto essere proibite e ritirate dalla circolazione, demonetizzate, e ridotte ad essere considerate come oro in verghe.
La questione adunque, se il medaglione d’oro fosse moneta o medaglia, non può avere una soluzione dubbia; il medaglione forma parte della moneta corrente ed è coniato a questo scopo.
La formazione dei multipli invece non è in rapporto col sistema monetario e collo sviluppo di questo, ma bensì, come c’insegna l’esempio di Eliogabalo, dipende dall’arbitrio dell’imperatore, ed in altri casi dal bisogno e dalla opportunità dell’epoca in cui tali multipli furono coniati.
Lo sviluppo maggiore di questi multipli coincide coi regni di quegli imperatori che, o erano originari dell’Oriente e introdussero e fomentarono in Roma la cultura ed il lusso orientale, come Eliogabalo, e forse anche Caracalla e Severo Alessandro, oppure fecero ciò per motivi politici, come Gallieno, Diocleziano e Costantino il Grande. Se ne ha una conferma nei segni di zecca che si trovano sui medaglioni del IV secolo. Dei 69 pezzi, che sono descritti nella prima edizione del Cohen, cominciando col principio del regno di Diocleziano per giungere sino alla morte di Costanzo II, 51 sono usciti da zecche dell’Oriente, e soltanto 18 da zecche dell’Occidente. Se ne conchiude, e questa conclusione non è priva d’importanza pel presente studio, che il medaglione d’oro può essere considerato come un prodotto della cultura orientale.
Le rappresentazioni figurate che si veggono sui medaglioni d’oro, concernono quasi esclusivamente la persona dell’imperatore. Esse si riferiscono ai suoi Dei protettori, o contengono allusioni allegoriche a vittorie e conquiste, al valore dell’imperatore, alla concordia ed alla fedeltà dei soldati. Talora vi sono ricordate anche la Pace e la Libertà. Lo stesso si dica di alcune raffigurazioni quasi tipiche nella monetazione romana in certe occasioni, come per le nomine dei Cesari, gli approvvigionamenti di Roma, le elargizioni dell’imperatore al popolo. Talvolta, ma raramente, si trova anche l’allusione alla città di Roma ed alla venuta dell’imperatore in Roma. Sono frequentissimi invece i casi in cui si ricorda il nuovo consolato, e le feste votive che lo accompagnavano, la celebrazione delle ricorrenze quinquennali o decennali di regno, colle relative allusioni alla Fortuna ed alla Felicità; anzi, è da notarsi che in questi casi si hanno i multipli maggiori.
Le feste imperiali erano quindi le precipue occasioni in cui si coniavano medaglioni d’oro.
V.
Il medaglione d’argento.
Pei multipli in argento, i dati sul peso sono ancora più scarsi che pei medaglioni d’oro. Ciò si dica specialmente per quelli in pseudo-argento, del III secolo.
I medaglioni d’argento si presentano come multipli diversi del denarius. Di Augusto e Claudio abbiamo doppi denari, mentre i pezzi più grandi d’argento di Domiziano (Museo Britannico) sono da considerarsi, pel loro peso, come da 5 e da 8 denari (quiniones e doppi quaterniones). Altrettanto si dica, a giudicarne dalla grandezza, anche del medaglione di Giulia colla figura di Vesta (Cohen, 2.ª ed., I, 467, 15).
AI II secolo appartiene un multiplo d’argento di Traiano, ch’è un senio. Di Adriano si conoscono un ternio, due pezzi da sette denari, ed uno da 8 (doppio quaternio). Si hanno poi alcuni pezzi in rame che per il genere di lavoro e per altri motivi sembrano animae di medaglioni d’argento suberati, uno di essi è pure di Adriano, e per il peso (comprendendovi la rivestitura) dovrebb’essere equivalente a 6 denari. Altri pezzi simili sono di Faustina juniore. Della stessa, come anche di Faustina seniore, e di M. Aurelio, si hanno animae di quiniones d’argento. Non si conosce il peso del medaglione d’argento di Lucio Vero colla Salute, coniato nell’anno 165, ma per la sua grandezza dovrebbe essere un quaternio (Cohen, 2.ª ed., III, 186, 166).
Nel III secolo si devono distinguere due serie di medaglioni d’argento (e di pseudo-argento). I primi, meno numerosi, sono caratterizzati dalla varietà dei rovesci, mentre gli altri hanno sempre un solo rovescio rappresentante le tre Dee Monete. Per brevità chiameremo quelli: “medaglioni storici” e questi: “medaglioni colle Dee Monete”, principiando ad esaminare questi ultimi.
Essi incominciano sotto Caracalla, e, fino a Filippo inclusive, recano al rovescio la leggenda: Aequitas Augusti (sui medaglioni delle imperatrici: Aequitas publica); da Treboniano Gallo sino a Galerio inclusive, la leggenda di solito è: Moneta Augusti (per le imperatrici, sempre: Aequitas publica). La rappresentazione del rovescio è costantemente quella ben conosciuta delle tre Dee Monete, ciascuna con cornucopia e bilancia, ed un mucchio di monete ai piedi.
Siccome questi medaglioni cominciano a comparire soltanto verso la fine dell’epoca in cui si coniava ancora il “denaro”, cioè tra Caracalla e Massimino Trace, ve ne sono pochi che siano basati sul peso del “denaro”. Tuttavia anche fra questi si trovano svariate gradazioni, da sei, sette, otto, nove, dieci ed undici denari (e verosimilmente ve ne saranno stati anche da dodici).
Assai più frequenti, fra i medaglioni colle Dee Monete, sono quelli basati sull’“antoniniano”. Essi pure presentano svariate gradazioni.
Da Gordiano7 in poi, ne troviamo uno del peso di tre antoniniani, dodici da 4, tredici da 5, quattordici da 6, cinque da 7, e finalmente tre da 8. Più in là, cioè del doppio quaternio, non vanno.
Dall’analogia nelle gradazioni di peso, si deduce una circostanza importante, cioè che evidentemente vi è una relazione fra i medaglioni colle Dee Monete coniati sulla base dell’antoniniano e quelli coniati sulla base del denaro.
I pezzi più antichi da sei denari ed i più recenti da quattro antoniniani hanno un peso eguale di 20,4 grammi. Così pure i più antichi medaglioni delle Monete da nove e quelli più recenti da sei hanno l’egual peso di 30,6 grammi. Quelli più antichi da dodici, del peso normale di 40,8 grammi, corrispondono a quelli da otto più recenti. Non vi è dubbio, insomma, che colla formazione di questi multipli si vollero conservare nella nuova specie i pesi dei medaglioni anteriori, coniati sulla base del denaro. Invece dei multipli da 6, da 9, da 12 denari, se ne coniarono da 4 antoniniani, da 6, da 8.
Questa relazione fra le due specie del medaglione d’argento colle Dee Monete, forma uno dei suoi caratteri più importanti.
Non meno importante è poi la sua stretta relazione colla moneta corrente d’argento del III secolo.
Il medaglione colle Dee Monete, sotto la tetrarchia di Diocleziano non si distingue menomamente dai medaglioni della stessa sorta che lo avevano preceduto. Le sue gradazioni di peso corrispondono a quelle analoghe dell’epoca dell’antoniniano.
Ora, fra il 296 ed il 300, Diocleziano aveva riordinato la moneta di rame sbiancato, creando per essa una nuova unità monetaria, il follis da 10 grammi: e le gradazioni di peso dei medaglioni colle Dee Monete non si accordano in nessun modo con questa nuova unità; come pure, su tali medaglioni, non si veggono segni di zecca, mentre si veggono sul follis; infine, dopo l’introduzione di questo, ricompare sulle monete correnti di bronzo la raffigurazione, da lungo tempo disusata, della Moneta, colla nuova leggenda: sacra moneta avgg . et caess . nn. Se ne può conchiudere con tutta sicurezza, che la coniazione dei medaglioni colle Dee Monete era cessata prima dell’introduzione del follis. E infatti, dopo l’anno 300, non se ne trova che qualcuno, e, senza eccezione, di rame.
Se consideriamo quindi tutte queste circostanze, vediamo che il medaglione colle Dee Monete è intimamente collegato alla monetazione corrente; non vi è dubbio alcuno che tale medaglione sia stato emesso con tutti i requisiti necessarî per la circolazione. E Mommsen infatti lo ha riconosciuto.
Gli altri medaglioni d’argento del III secolo, che per brevità abbiamo chiamati “storici”, compaiono dapprima numerosi sotto Settimio Severo, poi vanno diminuendo e cedono il campo al medaglione colle Dee Monete, battuto per la prima volta sotto Caracalla.
Quanto ai loro pesi (per riferirmi agli esemplari del Gabinetto di Vienna), trovo tra i medaglioni storici di Settimio Severo un quadruplo quaternio; di Giulia Mammea trovo un doppio quaternio, Cohen (2ª ed., IV, 602) cita un doppio denaro di Severo Alessandro con Orbiana e Mammea. Ricorderò anche il raro medaglione d’argento fino, dell’imperatoro Probo, che pel suo peso di 19,9 grammi rappresenta il sestuplo di un denaro da gr. 3,3. I multipli di epoca posteriore, che per il tempo in cui furono emessi devono essere coniati sulla base dell’antoniniano, sono doppi, quintupli, sestupli, da 7, da 8, da 10 e da 12 antoniniani. Vi riscontriamo quindi varii pesi e varii multipli analoghi a quelli dei medaglioni colle Dee Monete, soltanto colla differenza, che il medaglione storico oltrepassa il multiplo da 8 unità.
Ho detto che il medaglione storico va cedendo il campo a quello colle Dee Monete. Questo fatto si può riscontrare sin dai tempi di Caracalla e di Severo Alessandro; nell’intervallo fra Gordiano e Floriano si può già calcolare che due terzi di tutti i multipli in argento siano medaglioni colle Dee Monete. Un’eccezione si ha forse soltanto sotto Gallieno, che prediligeva i multipli in tutti i metalli: durante il suo regno, i medaglioni storici sono altrettanto numerosi di quelli colle Dee Monete. Invece sotto Probo e Caro, il medaglione storico va scomparendo, e ai tempi della tetrarchia è veramente scomparso, ed ha ceduto il posto al medaglione colle Dee Monete. Se ne deduce che entrambe le specie non sono altro fuorchè la manifestazione diversa di una cosa medesima, e corrispondono allo stato florido e alla decadenza dell’antica cultura.
Ciò si spiega benissimo anche sotto il riguardo della storia dell’arte. Dalla metà del III secolo in poi, le facoltà artistiche vanno indebolendosi. Lo rappresentazioni nuove divengono sempre più rare sui medaglioni, ove si veggono ripetuti invece quasi sempre i vecchi tipi della Felicitas, Pax, Salus, Victoria, Virtus. Inoltre, per la brevità e fugacità stessa dei regni, doveva mancare il tempo necessario per preparare un numero sufficiente di conii; e, date queste circostanze, era un espediente comodissimo quello di porre nei rovesci la Moneta Augusti. Esso era un tipo che si adattava a tutte le occasioni in cui si usava di distribuire medaglioni; se ne potevano preparare in antecedenza quanti conii si desiderava, colla possibilità di farne uso anche se intanto fosse accaduto più d’un cambiamento nella persona dell’imperatore; di nuovo non vi era da fare, in tal caso, che il solo diritto.
E appunto in quel tempo in cui il medaglione colle Dee Monete prende il sopravvento e finisce col dominare esclusivamente, si verifica una modificazione notevolissima nel diritto dei medaglioni. Essa consiste nell’aggiungere all’effigie dell’imperatore alcuni accessorii che costituiscono altrettanti segni distintivi, destinati a surrogare l’antecedente varietà dei rovesci. Questi accessorii compaiono già sotto Severo Alessandro e Gordiano III, poi sotto Treboniano Gallo e Gallieno, e specialmente sotto Probo. L’imperatore vien rappresentato in costume militare, con elmo, scudo, asta e spada, tenendo per la briglia il destriero; oppure in veste ricamata, collo scettro sormontato dall’aquila e tenendo un globo con una vittoria. È da notarsi specialmente lo scudo; su di questo noi vediamo spesso, in proporzioni ridotte, quelle medesime rappresentazioni che prima occupavano il rovescio dei medaglioni, e portavano le leggende: virtvs avgvsti, adventvs oppure profectio avgvsti e victoria avgvsti. Questa circostanza, allusiva certamente alle occasioni in cui venivano coniati quei medaglioni, ci mostra a chiare note il passaggio dall’una all’altra sorta di medaglioni d’argento, o meglio la commistione di entrambe in una specie sola. Già questo sintomo basterebbe a rivelarci la loro eguaglianza antecedente, poichè non si possono unificare fra loro fuorchè due specie eguali di monete. Infatti abbiamo visto che le stesse gradazioni di peso si trovano tra i medaglioni storici come fra quelli colle Dee Monete. Non vi è quindi alcun motivo di dire che i medaglioni storici d’argento e di biglione del III secolo erano soltanto medaglie, mentre quelli colle Dee Monete erano multipli della moneta corrente. Piuttosto, ciò che si dice di questi si deve dire anche di quelli; entrambi non sono altro che una forma diversa della stessa moneta d’occasione, ed entrambi avevano tutti i requisiti necessari per la circolazione.
Quanto, infine, ai medaglioni d’argento del IV secolo, che furono coniati incominciando dai tempi di Licinio, e specialmente durante i regni di Costantino il Grande e de’ suoi figli, possiamo astenerci dal parlarne, perchè è noto che essi erano i multipli della moneta corrente contemporanea, e lo stesso Cohen lo ha riconosciuto.
Il medaglione d’argento ed il medaglione d’oro hanno più d’un carattere comune fra loro. Prescindendo dai pezzi piuttosto numerosi, coniati nell’Asia Minore, che escono dal campo di questo nostro studio, osserviamo che nel I e II secolo i medaglioni d’argento sono bensì alquanto più comuni di quelli d’oro, ma rimangono pur sempre scarsi; Domiziano ed Adriano soltanto coniarono contemporaneamente diversi multipli del denaro.
Invece nel III secolo la coniazione dei medaglioni diventa più abbondante e svariata. Cominciano a comparire frequenti sotto Settimio Severo, poi prendono un deciso sviluppo sotto Caracalla, essendochè questo imperatore introduce stabilmente, tanto per l’oro quanto per l’argento, il pezzo doppio, e, durante il regno di lui e de’ suoi successori, i multipli superiori si coniano in Roma stessa. Severo Alessandro e Gallieno ci offrono una ricca serie di medaglioni d’argento, come di medaglioni d’oro, e non solo ne coniarono una gran quantità, ma anche i multipli maggiori; al regno del primo appartiene un pezzo da 16 denari, a quello del secondo un antoniniano decuplo; oltre a questi si ha un pezzo da 12 unità di Numeriano.
Si può dir quindi, anche pel medaglione d’argento, ciò che si è detto per quello d’oro, poichè entrambi ci mostrano un notevole sviluppo sotto gli stessi regni del III secolo. Anche il medaglione d’argento si rivela di origine orientale; infatti fra le monete multiple di argento del IV secolo ne troviamo un maggior numero di zecca orientale che di zecca occidentale, se anche il rapporto reciproco non è così sproporzionato come pel medaglione d’oro8.
Anche nella gradazione dei pesi, il medaglione d’argento presenta analogia con quello d’oro. Come, per questo, il multiplo da sei è il limite ordinario, così il multiplo da otto è il limite ordinario pel medaglione d’argento.
Vi è tuttavia una particolarità che si riscontra nel medaglione d’argento (e più ancora in quello di bronzo), e invece soltanto raramente e tardi in quello d’oro, vale a dire la formazione di multipli dispari. Domiziano ne aveva già coniato da 5 denari, sotto Adriano ne compaiono da 3 e da 7, sotto Severo Alessandro da 9 denari. Anzi, quando l’antoniniano diventa l’unità, i multipli da 5 e da 7 sono assai più numerosi di quelli da 4 e da 6. Probabilmente questa particolarità ripete la sua origine dall’intenzione di equiparare questi multipli a quelli anteriori che avevano per base il denaro; lo si è visto già pei medaglioni colle Dee Monete, ed è probabile che accadesse altrettanto anche per gli altri medaglioni; pel I e pel II secolo questo motivo non regge, ed è piuttosto da supporsi che la formazione di multipli dispari sia dovuta all’influenza esercitata sul medaglione d’argento dal medaglione di bronzo e dalla moneta pesante senatoriale, di cui parleremo fra poco.
Le rappresentazioni di quei medaglioni d’argento che abbiamo chiamati storici, sono affatto analoghe a quelle che si veggono sui medaglioni d’oro, talchè non occorre insistervi. Più importante è, nel III secolo, il numero crescente dei medaglioni coll’Aequitas e colla Moneta. In altra sede9 ho cercato di dimostrare che essi sono l’espressione figurata delle elargizioni che l’imperatore faceva al popolo in natura ed in danaro. La prevalenza di questa rappresentazione nel medaglione d’argento del III secolo, dovrebb’essere un accenno al vero scopo dei medaglioni. L’Aequitas e la Moneta, che rappresentano la giustizia e l’abbondanza nelle liberalità, erano egregiamente adatte a figurare su quelle monete che l’imperatore distribuiva in occasioni solenni; beninteso non si deve intendere con ciò che le grandi elargizioni al popolo od ai poveri venissero fatte in medaglioni; questi erano riservati ai doni particolari. Ed anche questa è un’altra analogia fra i medaglioni d’argento e quelli d’oro, perchè nella Historia Augusta si parla espressamente delle monete multiple d’oro di Eliogabalo, le quali servivano ai doni particolari dell’imperatore.
VI.
La moneta pesante senatoriale.
L’indagine intorno al medaglione di bronzo costituisce la parte più difficile del nostro compito, perchè i numismatici sostengono unanimemente che era una semplice medaglia.
Si ammetterà facilmente che il medaglione d’oro, e, se si vuole, anche quello d’argento, fossero destinati alla circolazione; ma occorreranno ragioni convincenti per dimostrare che tale era il caso anche per il medaglione di bronzo. È vero che, per analogia, se i medaglioni d’oro e d’argento non erano altro che monete pesanti, multiple, lo dovevano essere anche quelli di bronzo, ma si comprenderà che quest’ipotesi non verrà accolta se non quando sarà confortata da motivi dedotti dai caratteri stessi del medaglione.
Per raggiungere il mio scopo, incomincierò dall’esaminare la moneta corrente senatoriale colle iniziali S • C, di cui nessuno vorrà negare che fosse, una vera moneta. E procurerò di dimostrare l’esistenza di monete pesanti senatoriali (medaglioni) che erano multipli dell’unità su cui si basava la moneta spicciola, poi di indagare la formazione di questi multipli con S • C, infine di chiarire le analogie che esse hanno col medaglione imperiale di bronzo, e il loro stretto rapporto con questo.
Mi servirò, a tale scopo, di un numero rilevante di dati da me raccolti intorno al peso di una gran quantità di monete, per la massima parte sesterzii, da Galba a Gallieno, che si conservano nel Gabinetto Imperiale10; credo con ciò di aver costituito una base sicura per le conseguenze che ne voglio trarre.
Da questi pesi risultano anzitutto due circostanze che attraggono la nostra attenzione.
La prima si è, che i pesi effettivi della stessa sorta di moneta variano durante lo stesso regno. Il sesterzio, del peso normale di grammi 27,2 (da Severo Alessandro in poi, di 22,6), oscilla sotto:
Galba e Vitellio | fra | 30 | e | 22 | grammi, | cioè | di grammi | 8 |
Vespasiano e Tito | » | 30 | » | 22 | » | » | » | 8 |
Domiziano | » | 31 | » | 21 | » | » | » | 10 |
Nerva | » | 31 | » | 21 | » | » | » | 10 |
Traiano | » | 30 | » | 21 | » | » | » | 9 |
Adriano | » | 36,8 | » | 21 | » | » | » | 15,8 |
Antonino Pio | » | 36,1 | » | 19 | » | » | » | 17 |
Marc’Aurelio | » | 33 | » | 18 | » | » | » | 15 |
Commodo | » | 36,2 | » | 17 | » | » | » | 19 |
Pertinace, Didio Giuliano e Albino |
» | 31,7 | » | 17 | » | » | » | 14,7 |
Settimio Severo | » | 31,7 | » | 17 | » | » | » | 14,7 |
Caracalla | » | 43,1 | » | 19 | » | » | » | 24 |
Macrino | » | 31,3 | » | 17 | » | » | » | 14,3 |
Severo Alessandro | » | 35,5 | » | 14 | » | » | » | 11 |
Massimino Trace | » | 80,8 | » | 16 | » | » | » | 14,8 |
Gordiano III | » | 31,9 | » | 14 | » | » | » | 17,9 |
Filippo | » | 33,1 | » | 12 | » | » | » | 21 |
Decio | » | 27,9 | » | 13 | » | » | » | 14,9 |
Treboniano Gallo | » | 24,9 | » | 12 | » | » | » | 12,9 |
Emiliano | » | 22,7 | » | 13 | » | » | » | 9,7 |
Valeriano | » | 30,5 | » | 13 | » | » | » | 17,5 |
Gallieno | » | 31 | » | 13 | » | » | » | 18 |
Bisogna osservare che queste differenze sono da ascriversi assai più ad un’eccedenza di peso che ad un ammanco nella coniazione. Noi trascureremo anzi quest’ultimo caso, e quanto al primo ce ne occuperemo soltanto quando l’eccedenza corrisponde ad un quarto o più del peso effettivo del sesterzio a quella data epoca. Nel seguito di questo studio chiameremo “sesterzii pesanti” queste monete che presentano una notevole eccedenza di peso, per contrapposto a quelli “leggieri” che sono da considerarsi come calanti in confronto al peso ordinario.
Come si rileva dalla tabella qui sopra, la diversità dei pesi è già notevole nel primo secolo, essa aumenta nel secondo, persino durante il tanto vantato regno di Adriano e degli Antonini, e si mantiene anche nel terzo secolo, quando pure il valore del bronzo in confronto dell’argento cominciò a salire; anzi al tempo della decadenza fra Gordiano e Gallieno, è relativamente maggiore.
Questa circostanza, per quanto io sappia, non era conosciuta sinora. Per la scarsità dei dati intorno al peso non si poteva seguire l’oscillazione di questo; talchè si riteneva che non si trattasse d’altro fuorché di accidentali differenze, inerenti alla imperfezione della tecnica monetaria antica.
Ciò sarebbe vero se non si trattasse che di ammanchi non troppo considerevoli. Ma questo non è il caso; come si è visto già, e come vedremo ancor più chiaramente in seguito, le differenze provengono specialmente da forti eccedenze di peso; queste, a lungo andare, si sarebbero risolte in un danno pel tesoro. Se il peso dei sesterzii veniva continuamente ridotto, ciò si faceva appunto per non danneggiare l’erario, e non già per dare adito a numerose trasgressioni e perchè si coniasse una quantità di sesterzii di un peso fuor di relazione col rapporto che intercedeva a quel tempo fra l’argento ed il rame.
Si può anche provare che tali considerevoli eccedenze non potevano essere casuali, ma bensì ottenute espressamente.
Lo si deduce dalla stessa tecnica monetaria. Come è noto, le monete d’ogni metallo venivano coniate, ma i tondini venivano fusi prima, e più precisamente in forme concave, talché riuscivano lenticolari, riproducendo in piccolo l’aspetto dell’antichissimo aes grave italico. Le forme per la fusione consistevano di due lastre, nelle quali erano praticati in fila gl’incavi rotondi che corrispondevano per diametro e spessore ai tondini che si volevano ottenere. Le due lastre venivano unite strettamente, poi vi si versava per un apposito pertugio il metallo liquido, che per mezzo di canaletti scorreva da un incavo all’altro e li riempiva. Indi si aprivano le forme, ed i tondini venivano staccati e coniati mentre erano ancor caldi.
Ora poteva benissimo accadere che il metallo, se non era perfettamente liquido o se era alquanto raffreddato, non riempisse completamente gl’incavi più lontani. Allora alcuni tondini riuscivano di peso minore, e se non venivano scartati prima della coniazione, si avevano monete di peso inferiore al normale. Gli ammanchi si spiegano adunque benissimo per il metodo della fusione dei tondini.
Invece questo metodo non poteva dar luogo a notevoli eccedenze di peso, perchè negli incavi non ci poteva entrare più metallo di quello che potessero contenere. Gl’incavi si facevano probabilmente con qualche mezzo meccanico, per ottenere una maggiore uniformità; diversamente non si saprebbe spiegare l’eguaglianza generalmente quasi perfetta delle monete d’oro, e, nei buoni tempi, anche di quelle d’argento, e non v'è alcun motivo perchè non si seguisse lo stesso metodo anche per le monete di bronzo. Ad ogni modo, dagl’incavi non possono derivare oscillazioni notevoli; per quanto mi risulta si può ammettere al più, per ogni singolo pezzo, un limite di due o tre grammi al disopra del suo peso effettivo.
Gl’incavi dovevano corrispondere, come si è notato, per profondità e diametro allo spessore ed alla grandezza del tondino; quanto alla profondità, bisognava anche tener calcolo della variazione di volume, che il tondino fuso doveva subire in conseguenza della compressione del metallo nella coniazione. Mantenendo invariato il diametro, non si potevano ottenere monete più pesanti fuorché facendo più grosso il tondino, cioè approfondendo l’incavo; viceversa, mantenendo invariato lo spessore non si potevano ottenere monete più pesanti fuorché aumentando il diametro; ne segue, che per ottenere monete notevolmente più pesanti bisognava servirsi di altre forme, diverse da quelle per le monete ordinarie; bisognava servirsi di forme in cui gl’incavi avessero un diametro maggiore od una maggiore profondità. Il procedimento tecnico quindi, dimostra già per sé stesso che le eccedenze di peso nelle monete non possono avere un’origine casuale; la forma doveva essere preparata appositamente per fondervi tali monete.
Le osservazioni che possiamo fare sulle monete stesse lo confermano. Le monete pesanti hanno spessissimo un orlo, ch’è largo da due a tre millimetri; ciò accade quando un conio da sesterzii di peso ordinario leggiero fu impresso su di un tondino più grande. In altri casi è lo spessore, non il diametro, che cagiona l’eccedenza del peso.
Un’altra circostanza la quale dimostra che l’esistenza di sesterzii pesanti contemporaneamente agli ordinari sesterzii leggieri non è cosa fortuita ma voluta, è che si ritrovano dupondii ed assi pesanti e dupondii ed assi leggieri, i quali pel loro peso corrispondono rispettivamente alla metà dei sesterzii pesanti e dei sesterzii leggieri.
Anzi, siccome gli stessi rovesci si trovano tanto fra i sesterzii che fra i dupondii e gli assi, pesanti e leggieri, si possono formare delle serie complete di ciascuna sorta; dato che una emissione caratterizzata da un rovescio comprenda tutte le monete di diverso valore, ciò che non pare sia sempre accaduto, e dato che, in caso affermativo, si trovino realmente esemplari di tutte queste monete in una collezione numismatica, per quanto vasta.
Da quella del Gabinetto Imperiale ho trascelto gli esempi che seguono, per dimostrare che veramente ai sesterzii pesanti e leggieri corrispondevano dupondii ed assi pesanti e leggieri col medesimo rovescio; s’intende che per l’infinita varietà e per le oscillazioni dei singoli pesi effettivi, come per le lacune che pur presenta la raccolta, si devono trascurare le piccole differenze.
a) Traiano, Fortuna. Monete pesanti: sesterzii, grammi 30,1; 26 . — Dupondio 15,8. — Asse 14,8. — Monete leggiere: sesterzi, gr. 23,6; 22. — Il dupondio manca. — Asse 10,7.
b) Adriano, Virt. Aug. Monete pesanti: sesterzii da 28,6 a 26. — Dupondii da 16,8 a 14. — Monete leggiere: sesterzii da 25,1 a 23,9. — Dupondio 11,8.
c) Elio Cesare, Concordia. Monete pesanti: sesterzii 36,8; 28,5; 27,3. — Dupondio 15,8. — Monete leggiere: sesterzio 25,3. — Dupondio 11,5.
d) Antonino Pio, Annona. Monete pesanti: sesterzii da 30,8; 27,6; 27,5. — Dupondii da 13,9 a 13,3. — Monete leggiere: sesterzio 21. — Dupondii da 10,5 a 8,9. — Asse 10,8.
e) Faustina seniore, Aeternitas. Monete pesanti: sesterzii 28,5; 27; 26,9. — Dupondii da 16,2; 14,3 a 13,5. — Asse 13,5. — Monete leggiere: sesterzii da 25,5 a 21,7. — Dupondio 10. — Assi da 12,8 a 11,1.
f) La stessa, Ceres. Monete pesanti: sesterzii da 29,8 a 26. — Dupondio 13. — Asse 12,9, — Monete leggiere: sesterzii da 25,3 a 20,1 — Dupondii da 12,4 a 10,6. — Assi da 12,2 a 8,3.
g) La stessa. Vesta. Monete pesanti: sesterzii da 31,6; 29,5; 29,1 a 27,9. — Asse 14,7. — Monete leggiere: sesterzii da 23,6 a 20,3. — Dupondii 12,6 a 8,5. — Assi da 12,2 a 10,7.
h) Marc’Aurelio, Pietas. Monete pesanti: sesterzii 27,3; 27. — Asse 14,3. — Monete leggiere: sesterzii 22,7; 19,2. — Asse 11,3.
i) Lo stesso, Aequitas. Monete pesanti: sesterzio 30,1. — Dupondio 16,7. — Monete leggiere: sesterzii 22,5; 21,3. — Dupondio 8,7.
k) Lo stesso, Roma. Monete pesanti: sesterzii 33; 26. — Dupondio 16,9. — Monete leggiere: sesterzii da 23,9 a 20,3. — Dupondii 11,3; 11.
l) Faustina juniore, Temp. Felic. Monete pesanti: sesterzio 28,9. — Asse 15,6. — Monete leggiere: sesterzii 23,2; 21,6. — Assi 12,1; 11,8.
m) La stessa, Venus. Monete pesanti: sesterzio 29,1. — Dupondii 14,4; 13,9. — Asse 13,8; 13,3. — Monete leggiere: sesterzii 23,4; 23; 21,8. — Dupondii 12,3; 12,1. — Asse da 11,6 a 9,2.
n) Lucio Vero, Concordia Aug. Monete pesanti: sesterzii 29,4; 28; 27, 1. — Asse 14,2. Monete leggiere: sesterzii 25,9; 24,4, – Dupondii 11,5; 9. — Asse 9,8.
o) Lo stesso; l’imperatore fra le insegne. Monete pesanti: sesterzii 28; 27,7. — Dupondio 15,2. — Monete leggiere; sesterzio 24. — Dupondio 11,2.
p) Lucilla; Venere stante. Monete pesanti: sesterzio 27,8. Dupondii od assi, 14,9; 18,6. — Monete leggiere: sesterzii 25,9; 24,4; 21,9. — Dupondii od assi, 12,4; 11.
q) Commodo, Libertas. Monete pesanti: sesterzii 26,3; 26,5. — Dupondio 13,8. — Monete leggiere: sesterzii 24,6; 22. — Dupondii 12; 10.
In questo elenco troviamo alcuni esempi sorprendenti: a) sesterzio e dupondio di grammi 30,1 e 15,8; b) di gr. 28,6 e 14; d) di 27,6 e 13,9; e) di 28,6 e 14,3, di 27 e 13,5; g) di 29,5 e 14,7; k) di 33 e 16,9; n) di 28 e 14,2; prescindendo da quei pezzi che non coincidono così esattamente, ciò che non può stupire nessun numismatico il quale si sia occupato di monete antiche di rame, poichè è noto che sono rarissimi i casi in cui i pesi di tali monete presentino fra loro un’eguaglianza assoluta.
Ora, se i sesterzii pesanti e quelli leggieri di Traiano (Fortuna) differiscono in peso fra loro di 4 a 7 grammi, o quelli di Antonino Pio (Annona) di 6,5 a 9,8 gr., quelli di Faustina seniore (Vesta) di 4,3 a 11,3, o di Marc’Aurelio (Roma) di 9 a 13, ciò non si può attribuire ad un caso, poiché per ottenere i tondini dei sesterzii pesanti occorrevano altre forme, diverse da quelle che potevano servire pei sesterzii leggieri, e poiché esistono realmente nella monetazione le metà di quei sesterzii pesanti.
È superfluo l’aggiungere che lo stesso si può dire pei dupondi ed assi, pesanti e leggieri.
Dalla tecnica monetaria adunque e dall’esistenza delle metà dei sesterzii pesanti, scaturisce la conseguenza che questi sono fabbricati così a bella posta. Anzi essi formano, coi relativi dupondii ed assi, una serie parallela a quella dei rimanenti sesterzii leggieri e loro metà; vale a dire, noi dobbiamo distinguere nella monetazione di rame dell’Impero romano due serie, una di monete pesanti ed una di monete leggiere. Vedremo presto quale importanza abbia questo fatto per il nostro assunto.
La seconda circostanza che risulta dai dati di peso da noi raccolti, è il progressivo diminuire del peso del sesterzio nel II e III secolo. Questa diminuzione non è improvvisa, si verifica a poco a poco, quasi insensibilmente, ma senza interruzione.
Alcuni imperatori stabilirono legalmente queste riduzioni, ma non fecero con ciò che dare una consacrazione legale ad un fenomeno pratico. In fatto, quasi durante ciascun regno si verificarono nuove riduzioni di peso, anche all’infuori delle disposizioni legali; poiché il peso delle monete doveva basarsi necessariamente sul rapporto mutevole di valore fra l’argento ed il rame. Se facciamo ora la media dei pesi effettivi di tutti i sesterzii di ciascun regno, senza tener calcolo delle eccedenze o degli ammanchi di peso, giungiamo a questi risultati:
esemplari | media grammi | |
Galba | 63 | 25,9 |
Vitellio | 15 | 24,9 |
Vespasiano | 130 | 25,8 |
Tito | 59 | 25,2 |
Domiziano | 75 | 25,4 |
Nerva | 33 | 25,8 |
Traiano | 171 | 25,6 |
Adriano | 364 | 25,7 |
Antonino Pio | 472 | 25,9 |
Marc’Aurelio | 518 | 24,8 |
Commodo | 250 | 23,7 |
Pertinace | 42 | 19,1 |
Settimio Severo | 214 | 23,8 |
Caracalla | 59 | 25,2 |
Macrino | 37 | 22,6 |
Eliogabalo | 71 | 22,5 |
Severo Alessandro | 198 | 21,6 |
Massimino Trace | 62 | 22 |
Gordiano I, II, Balbino, Pupieno, Gordiano III Cesare |
64 | 20 |
Gordiano III | 123 | 19,8
|
Filippi | 152 | 19,2 |
Decio | 82 | 21,5 |
Treboniano Gallo | 75 | 17,8 |
Emiliano | 11 | 18,1 |
Valeriano | 57 | 19,4 |
Gallieno | 39 | 17,6 |
Dal confronto di queste medie possiamo dedurre certamente, in generale, una diminuzione, ma questa non è costante come si potrebbe credere, ed è invece accompagnata da strane oscillazioni. Si noti che quegl’imperatori durante il cui regno la media del peso dei sesterzi ci presenta un aumento, sono quegli stessi di cui si hanno monete che offrono le maggiori eccedenze di peso; al contrario, il peso medio dei sesterzii è minore sotto quegl’imperatori di cui si hanno monete che più raramente sorpassano il peso regolare. Ne consegue, che le oscillazioni delle medie da noi date sono da ascriversi ad un motivo semplicemente esterno; siccome in esse sono comprese le monete pesanti, si ottengono medie più alte per quei regni che ne emisero in maggior numero, e medie più basse per gli altri, senza che tali oscillazioni siano l’indice delle favorevoli o sfavorevoli condizioni monetarie. Il quadro adunque che ci vien offerto dalle medie di tutti i sesterzii, non corrisponde alla realtà; per poterci fare una chiara idea delle riduzioni di peso, noi dobbiamo anzitutto, prima di calcolare le medie, dividere i sesterzii pesanti da quelli leggieri.
Per poter fare questa divisione bisogna cominciare dallo stabilire i limiti di peso delle due sorta, poiché non si sarebbe nel vero se si volesse accettare senz’altro il peso normale di 27,2 grammi sino all’epoca di Severo Alessandro e quello di 22,6 grammi sino all’epoca di Decio. Abbiamo già detto che le riduzioni fissate dagli imperatori non rispondevano o non potevano mantenersi a lungo rispondenti alla realtà. D’altra parte, in vista delle irregolarità che erano inseparabili dalla coniazione antica delle monete in rame, dovremo sempre concedere un certo margine in più o in meno.
Per il tempo fra Galba e Nerva possiamo ammettere, in cifra tonda, come peso normale del sesterzio, 27 grammi. — Pel II e III secolo, sino a Severo Alessandro, 26 grammi.
— Da Severo Alessandro a Decio, possiamo stabilire il peso normale in grammi 24; sino a Valeriane, in gr. 19; sotto Gallieno, in gr. 18.
Dividendo in base a questi limiti i sesterzii pesanti da quelli leggieri, e calcolando per ciascuna serie le medie di peso, regno per regno, otteniamo queste cifre :
sesterzii pesanti |
da gr. | sesterzii leggeri |
da gr. | gr. | |
Galba | 14 | 27,9 | 49 | 25,5 | 2,5 |
Vitellio | 2 | 27,3 | 49 | 25,4 | 2,5 |
Vespasiano | 37 | 25,9 | 93 | 25 | 2,9 |
Tito | 17 | 27,7 | 42 | 24,2 | 3,5 |
Domiziano | 19 | 28,4 | 56 | 24,4 | 4 |
Nerva | 10 | 27,9 | 23 | 24,5 | 3,4 |
Traiano | 77 | 27,6 | 94 | 24 | 3,6 |
Adriano | 163 | 27,7 | 201 | 24 | 3,7 |
Antonino Pio | 197 | 28,5 | 275 | 24 | 4,5 |
Marc’Aurelio | 163 | 28,9 | 355 | 23 | 5,9 |
Commodo | 66 | 28,1 | 184 | 22,1 | 6 |
Pertinace | 6 | 28,4 | 36 | 17,6 | 10,8 |
Settimio Severo | 57 | 28 | 157 | 22,2 | 5,8 |
Caracalla | 26 | 28 | 33 | 22,9 | 5,1 |
Macrino | 6 | 28,2 | 31 | 22,6 | 5,6 |
Eliogabalo | 5 | 27,8 | 66 | 22,1 | 5,7 |
Severo Alessandro | 42 | 25,9 | 156 | 20,5 | 5,4 |
Massimino Trace | 22 | 24,9 | 40 | 20,4 | 4,5 |
Gordiano I, II, ecc. | 8 | 23,8 | 56 | 19,5 | 4,3 |
Gordiano III | 29 | 23,6 | 94 | 18,6 | 5 |
Filippi | 36 | 23,5 | 116 | 17,8 | 5,7 |
Decio | 23 | 33,4 | 59 | 16,8 | 16,6 |
Treboniano Gallo | 22 | 21,7 | 53 | 16,2 | 5,5 |
Emiliano | 4 | 21,7 | 7 | 16 | 5,7 |
Valeriano | 27 | 22,4 | 30 | 16,6 | 5,8 |
Gallieno | 16 | 21,9 | 23 | 14,5 | 7,4 |
Cominciamo a considerare la seconda colonna, che comprende i sesterzii leggieri. In primo luogo ci colpisce il loro numero; sotto tutti i regni furono coniati assai più sesterzii leggieri che pesanti. Poi il peso di questi stessi sesterzii leggieri è in continua diminuzione; le oscillazioni che abbiamo osservate nel prospetto in cui le monete pesanti e quelle leggiere non erano divise, qui sono pressoché scomparse. Questa progressiva diminuzione, e il fatto che i sesterzii leggieri sono assai più numerosi di quelli pesanti, ci permette di affermare con piena sicurezza che il sesterzio leggiero è la vera moneta corrente, corrispondente al rapporto reale fra l’argento e il rame all’epoca in cui fu emessa, e che quindi dobbiamo basare i nostri calcoli sulle medie dei pesi effettivi delle monete leggiere.
Le monete pesanti invece, di cui abbiamo dato i pesi nella prima colonna del prospetto, si comportano in modo addirittura opposto. In luogo di scemare continuamente di peso, si mantengono in media, nel periodo di tempo fra Galba e Tito, a gr. 27,3 sino a 27,9, salgono sotto Domiziano a gr. 28,4 e, dopo una breve interruzione, sotto Antonino Pio, a 28,5, sotto Marc’Aurelio perfino a 28,9; poi rimangono sino ad Eliogabalo sui 28 grammi circa. Soltanto con Severo Alessandro scendono a 25,9 e nei quindici anni successivi a 24,9 e 23,5. Non meno improvvisamente, e quel che è più, momentaneamente, salgono sotto Decio a 33,4, per precipitare, immediatamente dopo, sino a 21,7. Sotto Valeriano salgono di nuovo a 22,4 grammi; sotto Gallieno non raggiungono più che 21,9.
In questo singolare andamento saltuario non possiamo più riconoscere la forza lenta ma irresistibile delle condizioni naturali, quale si manifesta nella non interrotta diminuzione del peso dei sesterzii leggieri: vi dobbiamo ravvisare invece un effetto artificiale, che dev’essere la conseguenza di procedimenti, i quali non hanno nulla a che fare collo sviluppo naturale della monetazione.
Allo stesso risultato si giunge se si considera il numero e l’eccedenza di peso delle monete pesanti. Se la loro formazione fosse stata in uno stretto rapporto colla monetazione, avrebbero dovuto scemare di numero e di peso dopo Severo Alessandro; sarebbe stata una conseguenza naturale delle condizioni di quei tempi, in cui diminuì in genere la coniazione del rame.
Invece accadde precisamente l’opposto. La quota delle monete pesanti, nel III secolo, è per lo più del 25 per cento, pari quindi a quella che si aveva tra Galba e Domiziano e sotto Commodo; anzi, sotto Valeriano arriva al 50; sotto Gallo e Gallieno è del 33 per cento. Lo stesso si dica per l’eccedenza di peso. Questa non è, prima di Marco Aurelio, che di 2,5 a 4,5 grammi, in media; si alza a 5 gr. sotto quest’imperatore, sotto Commodo a 6, e nel III secolo rimane stazionaria fra 4,3 e 6, quindi ad un’altezza superiore a quella che aveva raggiunta sino a Marc’Aurelio; anzi, ai tempi della peggior decadenza, la vediamo salire momentaneamente, sotto Decio a 16,6, sotto Gallieno a 7,4.
Una delle questioni principali che ci si paravano dinanzi, circa le monete pesanti del Senato, è con ciò risolta in parte: il loro scopo non ha attinenza alcuna collo sviluppo della monetazione sotto l’Impero, esso è qualcosa di estraneo, e non ha nulla a che fare colla economia monetaria.
Sin qui non abbiamo parlato che dei pesi medii delle monete pesanti, in relazione a quelli delle monete leggiere. Esaminiamo ora i loro singoli pesi in particolare, per indagare in quale relazione si trovino coll’ordinaria moneta corrente senatoriale.
Dal momento che esse sono vere monete (come lo dimostra la circostanza che recano sempre le iniziali S • C), devono necessariamente avere per base del loro peso la stessa unità monetaria ch’è la base dell’ordinaria moneta -corrente senatoriale. Questa è notoriamente di due maniere: l’asse semionciale di rame del peso normale di gr. 13,6 per l’asse e le sue frazioni, che venivano coniati in rame puro, e l’asse quadrantario di bronzo del peso normale di gr. 6,8 per le monete di maggior valore coniati in bronzo giallo, cioè pel sesterzio da 4 assi e pel dupondio da 2 assi. L’ultima unità monetaria, l’asse di bronzo, non fu coniata mar tonalmente che sotto Nerone e per breve tempo; cessatane la coniazione sotto questo stesso imperatore, essa non formò in seguito che l’unità ideale di peso per le monete di vario valore coniate in bronzo.
Le monete pesanti, sin dalla loro prima comparsa, sono coniate nello stesso bronzo del sesterzio e del dupondio; esse devono quindi avere per base l’asse quadrantario da grammi 6,8, e non già quello semionciale da gr. 18,6.
Siccome tuttavia, al tempo in cui cominciano le nostre indagini, cioè sotto Galba, il suo peso normale non veniva più mantenuto esattamente, abbiamo preso per base il peso corrispondente al quarto del peso medio effettivo dei sesterzii leggieri; e, trascurando le minime differenze, abbiamo trovato che vi sono fra le monete pesanti senatoriali le gradazioni seguenti: — Monete da 5 assi. — Da 6 assi e mezzo. — Da 6 assi. — Da 7 assi. — Da 7 assi e mezzo. — Da 8 assi. — Da 9 assi. — Da 10 assi. — Da 11 assi. — Da 12 assi.
Abbiamo detto che le minime differenze, provenienti dall’imperfezione della tecnica monetaria antica, furono da noi trascurate; aggiungeremo che in realtà queste differenze non arrivano quasi mai ad un grammo di eccedenza o di ammanco, ciò ch’ò tanto più mirabile in quanto che il calcolo è basato soltanto sulle medie dei sesterzii leggieri, senza tener conto in nessun modo delle monete pesanti; si tratta quindi di risultati ottenuti all’infuori di qualunque considerazione che riguardi queste ultime.
Dopo ciò non occorreranno altri argomenti, credo, per dimostrare che vi erano vere “monete pesanti senatoriali” “medaglioni di bronzo senatoriali”; e che erano multipli dell’asse quadrantario, anzi che lo erano tanto perfettamente da seguire le oscillazioni del peso effettivo di questo, ciò che prova lo stretto rapporto in cui stavano colla moneta spicciola. Come adunque vi erano assi doppi e quadrupli (dupondii e sesterzii), vi erano anche pezzi da 5, da 6, da 7 assi, ecc.
E si noti che, se nel Gabinetto Imperiale non abbiamo che un solo medaglione senatoriale da 12 assi, come pure uno da 11, due da 9, due da 7 e mezzo, cinque da 10, nove da 8, dieci da 7, ne abbiamo quarantasette da 6, sessantadue da 5 e mezzo, e ben trecentocinquantasei da 5.
Tuttavia le monete pesanti senatoriali, quantunque relativamente abbondanti (in particolare nella loro gradazione inferiore, quella, da 5 assi) non sono da considerarsi come qualità speciali di monete, ma come multipli che venivano coniati in certe occasioni.
Ciò vien confermato da un’altra particolarità delle monete pesanti. Queste infatti non tengono calcolo veruno del sesterzio. In caso diverso la formazione dei multipli avrebbe per base un numero pari di assi, 6, 8, 10, 12; così avrebbero potuto circolare come pezzi da un sesterzio e mezzo, da due, da due e mezzo e da tre sesterzii. Invece i pezzi, che abbiamo visti, da 5 1/2 e da 7 1/2 assi, e i multipli dispari da 5, 7, 9 assi, non si accordano col conteggio a sesterzii, perchè darebbero 1 sesterzio e 1/8, 1 1/4, 1 3/4, 1 7/8, e 2 sesterzii e 1/4.
E ciononostante, è certo che le monete pesanti hanno veramente circolato, come lo dimostra la loro conservazione che è spesso mediocre, il loro impronto che di frequente è logoro, ed il fatto che se ne trovano nei ripostigli, frammiste alle altre monete. È probabile che per le monete pesanti si usasse un termine tecnico, il quale esprimesse il numero di assi che contenevano, e fosse quindi analogo ai termini di dupondius, o di binio, ternio, quaternio, ecc., e non già a quelli di sesterzio, quinario, ecc., che indicavano una data qualità di monete.
Un’altra particolarità è la limitazione delle monete pesanti entro certi limiti di peso. Anche quelle della gradazione infima da 6 assi, non discendono mai di molto sotto ai 18 grammi, neppure ai tempi di Gallieno, e non sorpassano di molto nel I secolo i 31 gr., nel II e nel III i 36 gr. Soltanto sotto Caracalla e Decio abbiamo qualche moneta pesante di 40 a 60 grammi, ma questi casi sono rari, talchè possiamo considerarli come eccezioni. In complesso, le monete pesanti si aggirano fra i 20 e i 40 grammi.
Non meno notevole è l’ordine cronologico in cui appaiono per la prima volta le diverse gradazioni, nonché la loro frequenza. Quantunque il pezzo da 5 assi continui ad essere coniato da Galba in poi sotto tutti i regni, sotto Adriano appare per la prima volta il pezzo da 6 assi, sotto Commodo quello da 7, sotto Caracalla quello da 8, sotto Decio quello da 10 e da 12. Durante il I secolo, il pezzo da 6 assi è raro; sotto Adriano lo vediamo comparire improvvisamente in gran numero. Le epoche in cui furono coniate in maggior quantità le monete pesanti senatoriali sono quelle fra Antonino Pio e Commodo e fra Gordiano e Filippo.
L’origine delle monete pesanti senatoriali non è insomma da cercarsi nelle condizioni economico-monetarie dell’Impero romano, ma all’infuori di esse; non rispondono ad un bisogno della circolazione, ma piuttosto ad un movente politico sociale.
Un accenno a quest’ordine d’idee si ha nelle rappresentazioni figurate che vediamo sulle monete pesanti senatoriali.
Gl’impronti delle monete pesanti si riscontrano per lo più anche sulle monete correnti ordinarie, talvolta su tutte le qualità di monete, con piccole modificazioni richieste dall’opportunità, talvolta soltanto sui sesterzii leggieri oppure soltanto sui medii bronzi. Ma non viceversa: non tutte le raffigurazioni delle monete leggiere si trovano anche su quelle pesanti, ciò che si spiega già per il numero notevolmente minore di queste. Da Commodo in poi la cerchia delle rappresentazioni usate sulle monete pesanti si fa sempre più ristretta, talché riesce evidente che la scelta delle immagini era fatta secondo un criterio che ci permette di arguire quale fosse lo scopo cui erano destinate le monete pesanti stesse.
La maggior parte delle loro raffigurazioni si riferisce alla persona dell’imperatore, alle sue gesta principali in guerra e in pace, alle sue doti più celebrate, infine a fausti avvenimenti oppure a casi di morte nella famiglia imperiale.
Naturalmente le singole vittorie e conquiste, come pure l’allusione in generale alla Victoria e Virtus Augusti, sono frequentissime; qualche volta si vede rappresentata la venuta di un imperatore a Roma, la sua partenza per la guerra, l’allocuzione all’esercito, il trionfo, più spesso le feste votive e la salita al Campidoglio pel capodanno. La Concordia allude ai matrimonii o alla felicità famigliare dell’imperatore, oppure alla nomina dei Cesari od all’assunzione di socii d’impero; nei primi tempi pare che colla Concordia si volesse esprimere l’unione fra l’imperatore ed il Senato. Sotto Antonino Pio si vede celebrata con bellissime raffigurazioni la nascita dei futuri successori al trono. Anche i casi di morto e in ispecie la Consecratio sono ricordati sulle monete pesanti.
Una categoria speciale è formata dalle figure di divinità, che per la loro frequente ripetizione sono diventate tipiche per certe condizioni, come la Spes sulle monete dei Cesari, o Iuno, Pudicitia, Venus e Vesta su quelle delle Auguste, mentre le monete dell’imperatore stesso ci ricordano i protettori olimpici ch’egli s’era scelti, o le divinità specialmente invocate in alcune occasioni, e quindi erano soggette a frequenti variazioni di tipo. Le rappresentazioni sin qui ricordate trovano il loro fondamento nella posizione dominante dell’imperatore romano; esse non offrono nulla di nuovo e le abbiamo nominate soltanto per dimostrare l’analogia che presentano anche sotto questo punto di vista le monete pesanti senatoriali col medaglione d’oro e d’argento e, aggiungeremo, col medaglione di bronzo.
A queste, dobbiamo contrapporre due categorie di rappresentazioni, che sono tanto più caratteristiche per le monete pesanti senatoriali inquantochè compaiono più frequentemente appunto in quel tempo in cui queste sono più numerose.
L’una categoria comprende le tre Dee Felicitas, Fortuna e Salus, che si possono riferire senza dubbio anche alla persona dell’imperatore, ma anche allo Stato.
L’altra categoria abbraccia quelle rappresentazioni che si riferiscono specialmente a Roma ed all’Italia, e possono essere considerate come l’espressione delle idee e dei sentimenti della cittadinanza romana, e più particolarmente del Senato; oppure che hanno tratta a qualche disposizione dell’imperatore, la quale concerna la città di Roma in particolare.
La personificazione di Roma s’incontra più spesso come figura unica o principale; in occasione delle feste secolari si veggono allusioni alla storia antichissima della città. Le relazioni fra l’Imperatore ed il Senato, sono espresse direttamente dalle dediche di quest’ultimo. In questa categoria dovremo comprendere anche le personificazioni della Pace e della Libertà, che si veggono sulle sue monete assai più frequentemente di altre (per es. della Clementia, Indulgentia, Iustitia Augusti), e che in realtà formavano la mèta delle tendenze conservatrici del Senato. Si possono pure aggiunger qui le rappresentazioni surricordate della Concordia fra l’Augusto ed il Senato, inquantochè dapprima in tali rappresentazioni questo veniva riconosciuto come un importante fattore politico, quand’anche poi nel III secolo la sua importanza sia andata grandemente scemando, talché non si rilevò se non momentaneamente pel concorso di circostanze favorevoli. E caratteristico a questo proposito, che nelle monete pesanti senatoriali viene trascurato quasi interamente un altro fattore importante della vita politica, — l’esercito, e ciò specialmente all’epoca in cui l’autorità del Senato era tuttora intatta; soltanto più tardi, quando la potenza degli eserciti nelle provincie e la loro influenza nella successione al trono presero il sopravvento, si trovano allusioni ai corpi d’esercito.
Tanto più numerose sono sulle monete pesanti quelle rappresentazioni che si riferiscono alle disposizioni pel bene della popolazione cittadina. L’approvvigionamento di grano per la città e la distribuzione di danaro e di viveri sono ricordati spessissimo sui sesterzii pesanti nelle raffigurazioni tradizionali dei congiarii e delle liberalità, poi della Annona, Aequitas e Moneta; si badi specialmente a queste due ultime, cioè all’allegoria della giustizia nella distribuzione e dell’abbondanza nelle elargizioni imperiali, perchè la stabile dimora in Roma era appunto una condizione per potervi partecipare, talché quelle raffigurazioni sono da considerarsi come speciali alla città di Roma.
Meno frequenti sono sui sesterzii pesanti le allusioni ai giuochi del Circo; invece vi si trovano rappresentati vari celebri monumenti ed edificii della città, il cui compimento si deve considerare come un avvenimento d’importanza cittadina.
Le rappresentazioni delle monete pesanti hanno rapporto quasi sempre a liete circostanze della vita pubblica, a feste dell’imperatore e a feste cittadine; e non v’è nulla di più naturale che si cercasse di perpetuare la memoria di tali feste col coniare tali monete pesanti, e col distribuirle come oggi si fa per le medaglie ufficiali ed anche per le medaglie private.
E quest’uso era tanto più ovvio in Roma, inquantochè vi era già l’antichissimo costume di distribuire piccoli doni in danaro (strenne, sportule) pel capodanno e per altre feste, e questo costume era diffuso fra tutte le classi della cittadinanza. Anzi, appunto in vista di tale abitudine, non è inverosimile che il Senato, non solo facesse coniare monete pesanti di varie gradazioni per distribuirle ai proprii impiegati, inservienti, ecc., ma che la zecca ne cedesse anche ai privati, con un aggio sul valore; tanto più che le raffigurazioni di tali monete potevano anche servire come allusioni ad avvenimenti privati.
Si osservi poi un altro carattere locale che si manifesta chiaramente nelle rappresentazioni delle monete pesanti. Le feste, non solo cittadine ma anche imperiali (come l’arrivo e la partenza dell’imperatore, il trionfo, le nomine dei Cesari, ecc.), avevano luogo per lo più in Roma stessa; le monete pesanti si riferivano quindi ad avvenimenti che interessavano anzitutto Roma e l’Italia, ed erano perciò egregiamente adatte a servire per la costumanza popolare che abbiamo ricordata più sopra; invece, la restante moneta corrente senatoriale, per ciò che si riferisce alle sue rappresentazioni figurate, ha un carattere universale, come la moneta d’oro e d’argento dell’impero.
A conferma di quanto abbiamo detto, si noti che la gradazione infima, cioè il pezzo da 5 assi, à senza confronto più frequente in quel tempo in cui fiorisce per l’ultima volta la cultura classica ed in cui l’influenza di Roma ha raggiunto l’apice. Dopo Commodo, col principiare del sopravvento che vanno prendendo gli eserciti nelle provincie e col crescere d’influenza della cultura orientale, questo primato diminuisce. I tempi, quasi sempre pacifici, di Adriano e d’Antonino Pio, e quelli stessi di Commodo, vanno celebrati per la cura delle memorie storiche della città, delle sue antichità, delle sue tradizioni e de’ suoi monumenti. In tali condizioni era naturale non solo che si conservassero le antiche costumanze, ma che si cercasse di servirsi per esse di oggetti di maggior valore. A quel modo che pel capodanno ed in altre occasioni non si usavano più i semplici doni di frutti, di dolci e di frondi, ma vi si aggiungevano regali più o meno preziosi, così invece della moneta tradizionale da un asse si vollero avere monete più eleganti, che anche pel loro impronto si riferissero alla storia contemporanea. E poiché la tendenza al progresso è connaturale all’uomo, una volta entrati su questa via si cominciò ad accrescere la quantità ed il peso di tali, monete; ed appunto a quel tempo si incominciano a coniare multipli maggiori, che non hanno la loro ragione di essere nei bisogni del commercio o nello sviluppo della monetazione.
VII.
La moneta spicciola senza S • C.
La mancanza delle iniziali S • C è la circostanza più dibattuta nella questione se il medaglione sia moneta o semplice medaglia; si può dire anzi che tutta la controversia si aggiri intorno a questo sintorno. Se i medaglioni di bronzo avessero le iniziali S • C, si ammetterebbe facilmente che fossero multipli della moneta di rame senatoriale, come lo sono appunto le monete pesanti senatoriali di cui si è discorso più sopra. Nessuno dubiterebbe in tal caso che anche tutti i medaglioni d’oro e d’argento fossero monete. Ora è provato, che l’imperatore Augusto si riservò la coniazione dell’oro e dell’argento, affidando quella del rame al Senato. Perciò furono coniate su ciascun pezzo della moneta corrente di rame dell’Impero le iniziali S • C, per documentare che è una moneta spicciola legittima e che deve esser ricevuta per tale. I medaglioni non hanno quelle iniziali, e parrebbe logico quindi di non considerarli come monete, ma bensì come medaglie.
Non vi sarebbe nulla da obbiettare, se questo fosse il caso soltanto pei medaglioni di bronzo. Ma non è cosi: vi è, oltre ad essi, tutta una serie di monete di bronzo e di rame, sesterzii, dupondii, ecc., che non recano quelle iniziali; oltre a ciò, questa serie è continua, abbraccia quasi tutti i regni dal I al III secolo, e termina poco prima della cessazione della moneta senatoriale. Quantunque queste monete siano conformi in tutto e per tutto alle monete correnti, e quantunque si trovino gli stessi conii anche senza le iniziali S • C, esse rassomigliano talmente ai medaglioni che lo stesso Cohen si trova di frequente in imbarazzo, non sapendo se classificarli come medii bronzi o come medaglioncini. Anzi, nella prima edizione della sua opera, egli separa tutta una serie dai medaglioni d’Adriano, sotto la denominazione di G. B. senza S • C, e colloca viceversa molti sesterzii e medii bronzi senza S • C non già fra le monete ma fra i medaglioni. Ho accennato a questa disparità di trattamento, perchè è caratteristica per la somiglianza delle monete di bronzo senza S • C, tanto colle monete correnti quanto coi medaglioni, dal momento che un numismatico fornito di tanta esperienza come lo era Cohen, non ha saputo stabilire una divisione fra una sorta e l’altra.
Sinora, fra tutte le monete di tal genere senza S • C, non si tenne calcolo che di quelle di Nerone, le quali si ritenevano le più numerose; esse diedero anzi occasione a Mommsen di supporre che Nerone avesse tolto al Senato il privilegio di coniare il rame; ma i non pochi altri casi analoghi, specialmente sotto Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio e Severo Alessandro, i quali erano pur favorevoli al Senato, ci costringono ad escludere quell’ipotesi. In realtà, quasi tutti gl’imperatori fecero come Nerone, quantunque in proporzioni minori; e se ne può dedurre che, fin dal principio, se gl’imperatori avevano lasciato al Senato la coniazione del rame, non avevano con ciò rinunciato completamente al diritto di esercitarla. Essi gli affidavano bensì, per motivi finanziari, l’esercizio del diritto di batter moneta in rame, allo scopo di evitare (mediante il controllo pubblico del primo corpo politico dell’impero) che accadessero abusi nella coniazione della moneta spicciola, la quale veniva fabbricata in grandi quantità; ma quando non c’era questo pericolo, quando cioè per una data occasione si doveva coniare un numero ristretto di monete di rame, l’imperatore rientrava per naturale conseguenza nell’esercizio del proprio diritto. E questo è appunto il caso; anche gl’imperatori coniavano monete di rame, benché in quantità limitatissima e soltanto in date occasioni.
Siccome vi sono monete di rame senza S • C, di tutti i diversi valori, e siccome vi è pure una gran quantità di monete di rame identiche ad esse, ma segnate con quelle iniziali, non vi è dubbio che le prime formano parte della moneta spicciola corrente, al pari appunto delle monete senatoriali. In realtà vi era quindi, oltre la senatoriale, una “moneta imperiale di rame,” che aveva tutte le proprietà di quella, ma non veniva coniata fuorché in quantità assai ristretta.
Le rappresentazioni di questa moneta di rame senza S • C, rivelano uno stretto rapporto colle feste dell’imperatore e della sua famiglia, avvicinandosi in questa particolarità al medaglione di metallo nobile (come a quello di bronzo) ancor più che alla moneta pesante senatoriale.
Fra le monete di rame senza S • C, prevalgono i medii bronzi, e specialmente gli assi. Questa circostanza è importante sotto un duplice aspetto.
In primo luogo, essa dimostra — se fosse necessario — che la coniazione del rame imperiale non aveva lo scopo di ledere il diritto del Senato, perchè in tal caso si sarebbe emessa una molto maggior quantità di rame senza S • C, e specialmente si sarebbero coniati in molto maggior numero i sesterzii, ch’erano la sorta più comune anche fra la moneta corrente senatoriale.
Poi, v’è un’altra osservazione, che per noi è preziosa. Lo stesso fenomeno si verifica per quelle monete senatoriali di rame, che recano le rappresentazioni più antiche, della Aequitas e della Moneta Augusti. Queste cominciano, sempre sui medii bronzi, la prima sotto Galba, la seconda sotto Domiziano, e si mantengono sino nel III secolo. Soltanto da Nerva in poi compaiono inoltre le monete d’oro e d’argento con quelle rappresentazioni, e da Adriano in poi anche i sesterzii dello stesso tipo; per ciò che riguarda adunque la moneta spicciola durante il I secolo quelle raffigurazioni non si veggono che sull’asse. E poiché la più antica di esse, l’Aequitas Augusti, è allusiva alle elargizioni di grano ed alla giustizia nella loro distribuzione, si potrà ricercare a buon diritto il motivo di quel fenomeno nella circostanza che, per una lunga tradizione, il prezzo di un modtus di grano era stabilito ad un asse. La rappresentazione più recente, della Moneta Augusti, è una derivazione dell’Aequitas Augusti, e si conforma ad essa anche nella sua limitazione ad una sola qualità di moneta, quantunque non si riferisca più alle elargizioni di grano ma bensì a quelle di danaro, che coli’ andar dei tempi si sostituirono sempre più alle prime. Vi era insomma una stretta relazione fra il tipo di queste monete ed il valore delle monete stesse; da ciò la costanza di questi due tipi, della Aequitas e della Moneta.
Nel rame imperiale vediamo un fenomeno analogo, con uno sviluppo maggiore e con una costanza ancor più sorprendente. Vi è tutto un gruppo di tipi svariati, ma che si riferiscono sempre alla Domus Augusta, i quali sono proprii al medio bronzo, ed in ispecie all’asse. Evidentemente, tanto per gli assi senatoriali, quanto per quelli imperiali, il motivo di questa costanza di tipi era lo stesso, cioè che le classi popolari erano avvezze a vedere un rapporto fra l’asse e le elargizioni imperiali, a considerarlo come un simbolo di queste.
Da ciò si spiega la coesistenza del rame imperiale e di quello senatoriale. Le monete di rame senza S • C, al pari dei multipli in oro ed argento, ed al pari delle monete pesanti senatoriali in bronzo ed in rame, appartengono alla categoria delle monete di dono, che venivano distribuite nelle occasioni solenni. Esse ne rappresentano la gradazione infima, come i dupondii ed assi di peso eccedente rappresentano l’infima gradazione fra le monete di dono del Senato. A conferma, si osservi che il primo imperatore il quale abbia coniato in numero ragguardevole le monete di rame senza S • C, fu Nerone, e che questi appunto fece elargizioni copiosissime al popolo, e si guadagnò con esse specialmente il favore delle classi inferiori. E le monete di rame senza S • C sono più frequenti sotto quei regni di cui si hanno anche in maggior numero i medaglioni e le monete pesanti senatoriali.
A questo punto, si presenta naturale una questione. Fra la moneta spicciola senza S • C e le rimanenti monete di dono, vi è una lacuna grandissima, prodotta dalla differenza di valore. Bisognerebbe concludere che l’imperatore, nella sua scarsa coniazione di rame, si limitasse alle monete di valore infimo; mentre contemporaneamente egli coniava, in oro ed argento, i pezzi da 2, 4, 6, ed 8 aurei e denari; ed il Senato, alla sua volta, coniava i pezzi in bronzo da 5, 6, ed anche da 8 assi. Ma questa contraddizione è inammissibile. Gli anelli intermedii della catena, vale a dire i multipli superiori del rame imperiale, devono aver esistito; tutto sta nel trovarli.
A tale questione non v’è che una risposta. I multipli superiori del rame imperiale sono appunto i medaglioni di bronzo. Entrambe queste specie di monete sono prive delle iniziali S • C, entrambe furono coniate in ristretto numero, entrambe infine appartengono al sistema dell’asse, come si è già dimostrato e si dimostrerà ancora in seguito. Le loro rappresentazioni figurate sono affatto analoghe; la fattura tecnica del rame imperiale è spesso così somigliante a quella dei medaglioni, che si è inventato per esso il termine di “medaglioncino”; caratteri tutti che pongono fuor di dubbio la stretta relazione fra il medaglione di bronzo e la moneta imperiale di rame.
D’altra parte, quest’ultima abbraccia tutti i valori, sesterzio, dupondio, asse e semisse; il sesterzio è contraddistinto dalla corona d’alloro, il dupondio dalla corona radiata, ed entrambi sono coniati in metallo giallo. Essi quindi sono eguali in tutto alle ordinarie monete correnti dell’impero, e sono appunto anch’esse monete in tutta la espressione del termine, quantunque non abbiano le iniziali S • C. Non v’e adunque motivo alcuno di considerare il medaglione di bronzo come una semplice medaglia, perchè non ha quelle iniziali. Invece, i suoi rapporti colla monetazione dell’impero vengono posti in luce dall’esistenza o dai caratteri del rame imperiale. Quest’ultimo forma l’anello di congiunzione (che da tanto tempo si cercava, o piuttosto rimase si a lungo disconosciuto) fra il medaglione di bronzo e la moneta corrente dell’impero.
VIII.
Il medaglione di bronzo.
In base a queste considerazioni possiamo conchiudere che, nella suddescritta monetazione imperiale di rame, il medaglione di bronzo occupa un posto analogo a quello che è occupato dalla moneta pesante nella monetazione ordinaria senatoriale; vale a dire, esso costituisce la moneta pesante imperiale (senza S. C.), in contrapposto a quella senatoriale (con S. C.).
Vediamo ora quali rapporti vi siano fra queste due specie di monete pesanti.
Se i medaglioni di bronzo erano multipli dell’asse di bronzo, i loro pesi devono corrispondere, come abbiamo visto per le monete pesanti senatoriali, ad un certo numero di assi. E questo è appunto il caso: i pesi dei medaglioni di bronzo del Gabinetto Imperiale, confrontati col peso effettivo dell’asse alle diverse epoche, ci danno le seguenti gradazioni:
Medaglioni da 5 assi e mezzo, da 6, 6 1/2, 7, 7 1/2, 8, 8 1/2, 9, 9 1/2, 10, 10 1/2, 11, 11 1/2, 12, 12 1/2, 13, da 14, da 15, da 16 1/2, da 18 e da 19 assi.
Confrontando queste singole gradazioni di peso con quelle che ci vengono date pei multipli suddetti dal peso effettivo dell’asse alle diverse epoche, non si trova un divario che superi i due grammi, anzi questo divario oscilla per lo più fra il grammo ed il grammo e mezzo al massimo. Siccome pei medaglioni si tratta di pesi piuttosto rilevanti, pei quali si deve ammettere una tolleranza maggiore che per la moneta corrente senatoriale, questa esattezza nelle gradazioni è una caratteristica assai significante della cura con cui venivano coniati. In ogni caso, una coincidenza così esatta non può essere fortuita, ripetendosi in moltissimi esemplari di epoche diverse; essa dimostra piuttosto ad evidenza, che la moneta pesante imperiale, come la senatoriale, era realmente un multiplo dell’unità che serviva di base alla moneta corrente ordinaria, cioè dell’asse.
Vi sono altre analogie; nella moneta senatoriale noi troviamo gradazioni da 5, 5 1/2, 6, 7, 7 1/2, 8, 9, 10, 11 e 12 assi, di cui le inferiori, quelle da 6, 5 1/2 e 6 assi, sono le più comuni. Il medaglione imperiale di bronzo, nelle sue più numerose gradazioni, ci offre lo stesso fenomeno; anche in esso gli esemplari delle gradazioni inferiori sono più comuni.
Non meno notevole è la circostanza, che tanto nel medaglione di bronzo quanto nella moneta pesante senatoriale predominano i multipli dispari; e l’uno e l’altra hanno quindi comune la caratteristica di non basarsi menomamente sul sesterzio, perchè in questo caso dovrebbero corrispondere ad un numero pari di assi ed il loro peso dovrebbe aggirarsi entro limiti fissi e regolari. Invece tanto l’una quanto l’altra specie di monete si presenta come qualcosa di diverso, di indipendente dal sesterzio, formando più che altro una serie di multipli occasionali, e quasi diremmo arbitrarli, dell’asse. Questa particolarità delle monete pesanti, di fondarsi cioè sull’asse, l’abbiamo già riscontrata anche nel rame imperiale (senza S • C); questo anzi preferisce il medio bronzo, e appunto specialmente l’asse, e con ciò si rivela non soltanto come connesso al medaglione imperiale di bronzo ma anche come la gradazione infima di peso di questo.
Inoltre, le monete pesanti di entrambe le sorta sono più numerose sotto quei regni che ci presentano anche una maggior abbondanza di rame senza S • C.
Infine, anche pel medaglione imperiale di bronzo si verifica un accrescimento dei multipli col progresso del tempo.
Se da queste analogie si può arguire una connessione intima fra il medaglione imperiale e quello senatoriale, questa connessione risulta non meno chiaramente dalle loro differenze.
La moneta pesante senatoriale non supera quasi mai i 40 grammi, talché questa cifra vien considerata, in generale, come il suo limite massimo di peso. Ben altro accade invece per la moneta pesante imperiale; fra i cento e più medaglioni imperiali del Gabinetto, 13 soltanto pesano meno di 40 grammi; tutti gli altri pesano da 40 a 80, anzi fin quasi a 90 grammi; il maggior numero di essi oscilla fra i 40 e 70 grammi.
È quindi un fatto innegabile che il limite più basso di peso della moneta grave imperiale coincide col limite più alto di peso di quella senatoriale. Vi è dunque una evidente divisione di competenza fra l’Imperatore ed il Senato, riguardo alla moneta pesante; al primo ne sono riservate le gradazioni superiori, mentre il secondo si deve accontentare di quelle inferiori.
Anche lo sviluppo cronologico delle singole gradazioni di peso è differente per le due sorta di monete. Il Senato incomincia con qualche multiplo da 6 e 6 1/2 assi, e soltanto a poco a poco e a lunghi intervalli perviene a coniare multipli superiori. La moneta pesante imperiale invece ci si presenta sin da principio, come nell’oro e nell’argento, così anche nel bronzo, in varie gradazioni altissime. Anche sotto questo riguardo adunque, il medaglione imperiale è superiore a quello senatoriale; il primo è affatto indipendente, mentre il secondo non giunge che a poco a poco e tardi alle gradazioni superiori di peso. Vi è un’altra circostanza la quale documenta ancor più questa inferiorità, ed è che un dato multiplo scompare dalla monetazione pesante imperiale quando comincia ad essere usato in quella senatoriale. Cosi, p. es., fra i medaglioni di Marc’Aurelio non si trova più il pezzo da 6 assi, mentre contemporaneamente questo prende piede nella moneta grave senatoriale.
Un’eccezione la troviamo soltanto sotto il regno dell’imperatore Decio. Mentre di lui non potremmo citare che un solo medaglione, da 9 assi, vale a dire d’un peso relativamente basso, il Senato emette contemporaneamente monete gravi da 9, 10, 11 e 12 assi. Eckhel spiega questo strano fenomeno col grandissimo favore che Decio accordava notoriamente al Senato. E vi sono buoni motivi per attribuire anche gli altri multipli superiori della moneta pesante senatoriale a concessioni speciali dei relativi imperatori.
Queste concessioni e la divisione di competenza fra l’Imperatore ed il Senato per ciò che riguarda le gradazioni di peso, ci permettono di conchiudere che la moneta pesante senatoriale ed il medaglione imperiale di bronzo non erano altro, in ultima analisi, che categorie diverse di una sola e medesima sorta di moneta, divise soltanto l’una dall’altra dai limiti della competenza. Il medaglione di bronzo, come il medaglione d’oro e d’argento, vien coniato dall’Imperatore; la moneta pesante senatoriale vien coniata dal Senato per autorizzazione dell’Imperatore e sotto alcune restrizioni. Entrambe queste specie di monete, nella loro essenza, erano uguali, e differivano soltanto nelle modalità esteriori.
Se quindi, come nessuno vorrà dubitarne, la moneta pesante senatoriale era una vera e propria moneta, dovremo per logica conseguenza riconoscere questo carattere di moneta anche al medaglione imperiale di bronzo.
IX.
Il nome del medaglione nell’antichità.
La differenza essenziale fra moneta e medaglia non è propria soltanto del linguaggio scientifico, ma si avverte anche nell’uso comune. Col termine di moneta si indica un pezzo di metallo coniato, che era in corso una volta o lo è tuttora; con quello di medaglia invece, un conio che non è e non fu mai usato come moneta.
Pel medaglione, gli antichi Romani non avevano un termine corrispondente. La parola numisma o nomisma che si è voluto pretendere vi corrispondesse, non viene usata nei tempi migliori che dai poeti, sia poi che essi parlino di monete antiche o di monete contemporanee. In un passo del Digesto si indica con questa parola un conio in generale, che fosse antiquato o non accettato, in contrapposto a quello contemporaneo e valido; in un altro passo si parla di vecchi nomismata dei quali si faceva uso in luogo di gemme. Queste parole non autorizzano a supporre che per essi intendansi specificatamente medaglioni, e pare quindi che Eckhel, il quale traduce medaglione in nummus maximi moduli abbia perfettamente ragione di intendere sotto la parola numisma una moneta straniera o antica, cioè una moneta che non avesse corso nello Stato romano.
Non la si trova usata, infatti, in quei casi nei quali indubbiamente si tratta di medaglioni. L’espressione di binio per un doppio aureo di Gallieno nella Cronaca della città, la leggenda quaternio su di un antoniniano quadruplo di Valeriano e Gallieno, e le espressioni usate nella vita di Severo Alessandro: formae binariae, ternariae, et quaternariae etiam (atque amplius usque) librales et centenarias vanno d’accordo fra loro. Esse indicano monete coniate, che hanno il contenuto di 2, 3, 4 denari, ecc., sino a 60 e 100 monete d’oro; è caratteristico come l’autore del passo citato indichi la qualità essenziale della moneta col sostantivo forma e invece il numero delle unità monetarie in essa contenute coll’aggettivo numerale, che esprime una qualità secondaria.
Citeremo altri esempi, non per la loro importanza, ma per semplice conferma. Nella Historia Augusta Vita L. Veri, si racconta che questo imperatore nelle sue gozzoviglie notturne scagliava “le più grandi” monete nelle taverne, per rompere le coppe (jaciebat et nummos in popinas maximos quibus calices frangeret). Certamente qui non si può affermare con sicurezza se si debba intendere che fossero medaglioni, tuttavia il superlativo fa pensare alle monete “più grandi” coniate a’ suoi tempi, e queste erano i medaglioni.
Gregorio di Tours racconta come Chilperico re dei Franchi gli mostrasse delle monete d’oro che aveva ricevute in dono dall’imperatore Tiberio Costantino (578-682) (aureos etiam singularum librarum pondere, quos imperator miserai, ostendit, ecc.); esse pesavano una libbra d’oro ciascuna e recavano nel diritto l’effigie dell’imperatore e nel rovescio il carro trionfale colla leggenda: gloria romanorvm. In entrambi i passi si parla di medaglioni e se ne parla addirittura come se fossero monete. L’editto degl’imperatori Teodosio e Valentiniano, dell’anno 384, si esprime ancora più schiettamente vietando a coloro che davano i giuochi di distribuire agli spettatori monete d’argento che pesassero più di un sessantesimo di libbra. Le monete grosse d’argento, che si usavano prima da coloro che davano i giuochi, noi le chiameremmo medaglioni.
La mancanza di un termine speciale pei medaglioni è di considerevole appoggio al nostro asserto. Se l’essenza del medaglione era compresa nel concetto di moneta, certamente non occorreva un’espressione speciale. Se invece esso fosse stato soltanto una medaglia, si doveva sentire la sua diversità dalla moneta; in tal caso sarebbe stato necessario di distinguerlo con una denominazione propria, e questa non mancherebbe negli scrittori. Invece, che essa manchi, lo sa chiunque debba rendere in buon latino la nostra parola medaglione.
X.
Destinazione ed uso dei medaglioni.
Abbiamo già espresso il nostro avviso che il medaglione fosse una moneta usata dagl’imperatori romani pei doni, o, per esprimerci più esattamente, che fosse la forma più adatta all’alto grado dell’Augusto, di quel danaro di cui questi si serviva a scopi di rappresentanza. Pel medaglione d’oro si è indicato il passo della Historia Augusta in cui si allude alle pesanti monete d’oro che Eliogabalo distribuiva in dono; il medaglione d’argento ha comuni con quello d’oro i caratteri essenziali, specialmente l’analogia delle rappresentazioni figurate; oltre a ciò il suo rapporto col medaglione delle Dee Monete lo appalesa come moneta di dono. Altrettanto si dica del medaglione di bronzo e del rame imperiale (senza S • C); il medaglione di bronzo del quarto secolo è anzi imitato da quello delle Dee Monete; anche per la moneta pesante senatoriale, che sta in così stretti rapporti col medaglione imperiale, si può arguire altrettanto, sia per questa circostanza medesima, sia per le raffigurazioni che vi si riscontrano. Infine, pel quarto e sesto secolo, si osservi che tanto le monete pesanti d’argento di coloro che davano i giuochi, proibite da Teodosio, come anche il pezzo d’oro da una libbra di Tiberio Costantino, compaiono come monete di dono, quantunque le prime non emanassero dall’imperatore.
Per occuparci ora più partitamente dello scopo cui erano destinati i medaglioni, dobbiamo premettere anzitutto che non bisogna immaginarsi che servissero per le copiose elargizioni al popolo e all’esercito; il loro numero pur sempre scarso e la loro rarità indicano che erano distribuiti ad un cerchio assai più limitato di persone. È piuttosto assai verosimile che i medaglioni venissero usati per quei piccoli donativi i quali, fondati su di un’antica costumanza romana, traevano la loro origine sin dai tempi più remoti della Repubblica, ma furono conservati anche sotto l’Impero.
Quest’opinione è basata sull’analogia fra le occasioni per quei piccoli donativi in danaro e le solennità ricordate nelle raffigurazioni dei medaglioni; poi sulla circostanza che gl’imperatori prendevano parte essi stessi a questa costumanza dei donativi.
In primo luogo vanno ricordate le sportule nelle salutazioni. I clienti usavano presentare i loro omaggi ai patroni e in compenso ricevevano da questi un trattamento che più tardi fu sostituito da una somma fissa, sufficiente per pagare la cena ossia il pasto principale della giornata. Tali sportule venivano distribuite specialmente nelle feste di famiglia, per il natalizio del patrono, o quando egli si faceva radere la barba per la prima volta, o in occasione del suo matrimonio, o il giorno in cui entrava in ufficio.
In quest’ultima occasione e in altre feste, anche i Consoli al tempo dell’Impero solevano distribuire danaro ed altri doni; quelli in danaro tuttavia dovevano essere in argento e non in oro. Cosi pure, ciò che per noi costituisce una circostanza importante, vediamo che vengono distribuite sportule da coloro che opus publicum dedicant, come per la consacrazione di edifici, la fondazione di istituti, ecc. Infine, si trova ricordo dell’uso di distribuire piccoli doni in danaro agl’invitati delle feste, fossero pure persone altolocate e matrone distinte; e non è inverosimile che questo uso esistesse anche a corte, quantunque ce ne manchino le prove.
I banchetti pubblici dati dall’imperatore, che sotto Nerone furono sostituiti da danaro (sportule) e più tardi ricomparvero bensì, ma soltanto per poco, si tenevano in occasione del natalizio dell’imperatore, di feste religiose, di giuochi, di trionfi, di solennità funebri. Ora, le rappresentazioni che si veggono sui medaglioni si riferiscono appunto a tali occasioni, soltanto sono più svariate, e poiché hanno rapporto colla vita pubblica e col governo, anche più importanti. L’insediamento del Cesare come Pontifex e Princeps juventutis, il suo matrimonio, la nascita de’ suoi figli, poi la salita dell’Augusto al Campidoglio pel capodanno, i sagrifici votivi per l’assunzione di un nuovo consolato o pei giubilei del regno, più tardi il primo ingresso in città, poi la partenza pel campo, le feste per le vittorie, il trionfo, di quando in quando l’inaugurazione d’un tempio, finalmente la Consecratio, queste sono le raffigurazioni che troviamo più frequentemente sui medaglioni di tutti i regni, sia che tali avvenimenti si veggano rappresentati sotto il velo di divinità od allegorie, oppure invece in modo realistico.
L’analogia fra le occasioni in cui venivano distribuite sportule e quelle che sono ricordate dalle raffigurazioni dei medaglioni è dunque evidente; se ne può quindi dedurre a buon diritto che, per l’imperatore, l’uso di distribuire monete in dono in occasione delle feste governative e della sua famiglia si basava sull’esempio delle sportule del patrono ai clienti, quantunque in seguito quell’uso abbia preso uno sviluppo diverso e sia stato sottoposto a regole fisse.
Infatti, gl’imperatori distribuivano tali piccoli donativi in danaro, ma ne accettavano anche. Augusto ne dava privatamente ai suoi amici, ed anzi coloro che li ricevevano scherzavano sul loro poco valore; ed alle persone più influenti toccavano doni minori che ad altre. Commodo introdusse una specie d’imposta a favore del suo tesoro depauperato dai giuochi, col pretendere che in Roma i senatori, le loro mogli ed i loro figli si presentassero per la salutatio al suo natalizio, e consegnassero due monete d’oro; ed i senatori di tutte le altre città contribuissero 5 denari. A Gallieno si fa rimprovero perchè Senatui sportulam sedens erogavit, mentre alle matrone, ch’egli aveva invitato nel suo consiglio, porgeva, all’atto che gli baciavano la mano, cinque monete d’oro sui nominis.
Un’altra sorta di donativi erano le strenne per diverse feste, specialmente per l’anno nuovo. Fra esse si notavano le lucerne fittili di capodanno, che raffiguravano un asse repubblicano colla testa di Giano, simbolo dell’età d’oro, ed un asse dell’Impero col simbolo della felicità (due mani con un caduceo). Anche su una tessera di cristallo dell’epoca di Commodo, che si riferisce alla stessa occasione, si vede una moneta.
A quest’uso presero parte gl’imperatori, ricevendo e contraccambiando doni di danaro in occasione della Salutatio.
Dapprincipio il Senato dedicava statue all’imperatore Augusto col danaro raccolto fra i senatori; più tardi i senatori gli offersero il danaro stesso, che Augusto (come racconta Dione Cassio) ricambiava ad essi e a “chiunque altro” in misura doppia; col danaro avuto egli faceva fare statue ad ornamento della città, Tiberio sulle prime contraccambiava anzi quattro volte i doni di capodanno; più tardi però, per risparmiare spese a sè ed agli altri, si assentava nel gennaio dalla capitale. Vediamo invece ricomparire questi doni sotto Caligola, che li riceveva egli stesso nel cortile del palazzo e ne riempiva il tesoro. Ancora sotto Arcadio ed Onorio si parla dell’aurum oblaticium del Senato all’imperatore.
Le strenne del Senato vengono ricordate sulle monete pesanti di Adriano e di Antonino Pio; tali monete rappresentano la corona dedicatoria, coll’augurio per leggenda.
Non è con ciò da intendersi tuttavia che il Senato avesse dedicato per capodanno quelle monete all’imperatore, bensì invece che questi aveva fatto coniare sulle proprie monete di dono quella corona dedicatoria di capodanno del Senato (evidentemente una corona d’oro) insieme all’augurio, per usare un’attenzione al donatore.
Se dunque gl’imperatori partecipavano, come fu dimostrato, a quelle costumanze cui andavano annessi piccoli donativi in danaro, e se d’altronde non si può negare che la scelta delle rappresentazioni dei medaglioni si adatta egregiamente alle circostanze in cui si facevano tali doni in danaro, diventa molto probabile che la moneta pesante s’impiegasse a questo scopo.
Senza dubbio vi si associava un movente più recondito, che doveva darle prestissimo il carattere di un’istituzione necessaria alla rappresentanza, e contribuire potentemente così al suo sviluppo. Nella sua qualità di moneta di dono per le occasioni solenni, consegnata forse dalla mano stessa dell’imperatore o almeno da’ suoi intimi, il medaglione era assai adatto a fissare nella memoria del popolo, e a diffondere la gloria del suo regno, il ricordo delle sue imprese vittoriose, delle feste memorabili, ed a destare l’affetto e la devozione verso di lui e verso la sua famiglia.
È vero che anche la moneta corrente comune alludeva a ciò, ma le grandi e belle monete di dono dovevano raggiungere più efficacemente lo scopo.
Se quindi non si deve pretendere che il medaglione fosse la sola ed esclusiva forma di quei piccoli doni in danaro, non si può negare che esso vi fosse eminentemente adatto, come lo dimostra anche l’uso quasi esagerato che ne fecero gl’imperatori Commodo e Gallieno, per porre in una luce favorevole le loro pretese gesta. È notevole specialmente, sotto questo aspetto, il medaglione ornato coll’effigie del rispettivo Cesare e dell’Augusta; l’emissione di tali pezzi non può avere altro motivo fuorché quello di rendere noto a tutti, mediante un segno esterno visibilissimo, il conferimento del diritto sovrano a quei personaggi. Il gran numero dei sesterzii senza S • C e dei medaglioni di questa categoria, la costanza specialmente dei medaglioni col Cesare, come i medaglioni coi Vota e coll’Adventus del rispettivo Augusto, li caratterizzano come documenti del diritto sovrano assunto da questo, e della trasmissione di esso al figlio e alla consorte.
Non è ammissibile che una costumanza mantenutasi così a lungo e per motivi come questi, non abbia avuto alcune norme formatesi a poco a poco, le quali ne stabilissero le occasioni. E come certamente erano determinate le occasioni, così pure erano determinate le categorie di persone alle quali si doveva fare il donativo. E assurdo il supporre che si distribuissero ufficialmente medaglioni d’oro, d’argento o di bronzo, pesanti e leggieri, senza distinzione di persone, a questo e a quello; era piuttosto cosa naturale, invece, di dividere i destinatari in classi prestabilite, e cioè secondo la loro posizione ufficiale ed il grado che occupavano nella vita pubblica, rimanendo ben inteso riservato all’imperatore il potersi scostare da queste regole in casi eccezionali.
Vi è una particolarità importante del medaglione d’ogni metallo, della moneta imperiale di rame e della moneta pesante senatoriale, che presuppone una tale regola e rimarrebbe altrimenti inesplicabile: la grandissima varietà nelle gradazioni dei pesi, dal pezzo d’oro d’una libbra e di due libbre di Eliogabalo sino al dupondio ed all’asse del rame senatoriale ed imperiale.
In ispecie quando si hanno medaglioni dello stesso conio ma con gradazioni di peso evidentemente volute, si deve concluderne che con ciò si è inteso di fare diverse edizioni, per così dire, della stessa moneta di dono, destinate a categorie diverse di persone.
Per quanto grandi e svariate siano però le differenze dei pesi, vi sono tuttavia alcuni limiti dentro i quali oscillano, talché quei pochi che ne escono si possono considerare come eccezioni. Questo limite è, per l’oro e per l’argento, il pezzo da otto unità, pel medaglione imperiale di bronzo, il multiplo da 70 grammi, per la moneta pesante senatoriale, quello da 38 grammi.
I rari pezzi ancora più pesanti, in tutti i metalli, non mostrano di essere stati coniati in occasioni straordinarie; essi ripetono piuttosto la loro origine dall’intenzione di farne dono eccezionalmente a qualche persona, com’è noto positivamente riguardo al medaglione d’oro del peso di una libbra, mandato in dono al re Chilperico.
Tanto l’osservanza di alcuni limiti in generale, quanto l’eccezionale trasgressione di tali limiti in casi particolari, indicano una classificazione dei destinatari secondo il loro grado.
È da supporsi poi che vi fosse un’altra norma relativa alla distribuzione stessa. Eckhel ha osservato con ragione che mal si sarebbe conciliato colla dignità dell’imperatore il distribuire in dono monete di bronzo.
Infatti i passi, pochi del resto, in cui si fa menzione di piccoli doni in danaro distribuiti dall’imperatore stesso, parlano soltanto di monete d’oro, e l’unico passo in cui si parla di monete d’argento non si riferisce all’imperatore, ma a coloro che davano i giuochi. Tanto meno si deve parlare di monete pesanti di bronzo, quando si tratta di doni fatti direttamente dall’imperatore.
Quest’obbiezione non è fondata però se non in quanto si tratta della persona che distribuisce, non già per ciò che concerne la moneta di dono in se stessa. Se nel IV secolo viene stabilito che l’imperatore non debba gettare al popolo che monete d’oro, e gli altri Consoli monete d’argento, ciò si può estendere con pieno diritto anche al medaglione ed ai tempi anteriori, quando il consolidarsi della monarchia ed il sopravvento delle influenze orientali presero a favorire l’incremento dell’etichetta di corte e la ripartizione gerarchica dei pubblici funzionari; pel I e pel II secolo la questione rimane incerta. E ammissibile, da una parte, che l’imperatore abbia distribuito i suoi doni in monete d’oro di gradazioni differenti, mentre i doni in denari o medaglioni d’argento e quelli in medaglioni di bronzo, ed in rame (senza S • C), venivano distribuiti per suo incarico da funzionari di diverso grado; ed è pure altrettanto ammissibile che in quei tempi, in cui appunto il medaglione di bronzo compare per la prima volta, l’imperatore stesso, secondo lo spirito della costumanza popolare a cui prendeva parte, invece della moneta corrente si sia servito, in alcuni casi, della nuova e leggiadra moneta pesante. In nessun caso però la diversità del metallo e del modo di distribuzione può mutare l’essenza della moneta di dono.
Pel destinatario di più umile condizione, l’asse che gli toccava in ricordo di una festa aveva lo stesso significato del pesante medaglione d’oro riservato al destinatario del grado più eccelso. Le medaglie ufficiali dei tempi moderni corrispondono ad un concetto analogo.
Infine, nell’esaminare lo scopo delle monete pesanti, bisogna porre mente anche alla loro fattura materiale. In ciò esse si distinguono favorevolmente dalla moneta comune corrente. Questa differenza si può già osservare nei medii bronzi del Senato e del rame imperiale, lo spessore maggiore del disco li distingue dalle altre monete. Invece del carattere di una fabbricazione affrettata da mestierante che si riscontra nelle monete comuni, la moneta pesante dei buoni tempi fa testimonianza d’un lavoro più amoroso e diligente.
Le effigie sono più parlanti, le figure ben composte e finite nei particolari, e il rilievo maggiore concede di per sé stesso una trattazione più fine. Nel III secolo si manifesta lo sforzo di compensare il diminuito valore artistico per mezzo di esteriorità. Si cerca di ottenere un effetto più pomposo mediante un numero maggiore di figure che spesso ingenerano confusione; la riunione di due metalli vien impiegata per aumentare l’effetto pittoresco, col porre sul disco d’argento, a certi punti che si vogliono far risaltare, sottili lamine d’oro che si sottopongono al conio, oppure col racchiudere un disco di rame in un anello di bronzo giallo. In questo processo non si può disconoscere l’intenzione di ottenere una moneta che si distinguesse già pel suo aspetto dalle monete ordinarie.
Le monete pesanti insomma si addimostrano come una sorta di conii che non erano destinati, come la moneta ordinaria, a servire pel commercio quotidiano, quantunque avessero pel resto tutti i caratteri della moneta; esse in una parola, sono monete distinte da quelle ordinarie per la forma esterna, e destinate senza dubbio ad essere usate in occasioni solenni, come lo dimostra la loro accurata esecuzione.
Lo scopo del presente studio, come si è detto dapprincipio, essendo quello di fornire la prova che i medaglioni erano suscettibili di aver corso, a rigor di termine noi potremmo dispensarci dall’esaminare la questione del modo in cui fossero poi adoperati da coloro che li ricevevano.
Che i medaglioni potessero circolare come monete, insieme alle monete comuni, lo si ammetterà certamente per l’epoca in cui venivano emessi, cioè sino a che l’unità monetaria su cui erano basati, aureo, denaro ed asse, si manteneva invariata in peso e titolo del metallo. Non sono rari gli esemplari di medaglioni non bucati (che quindi non furono portati come ornamento) eppure logori, e talvolta anche tosati.
Tuttavia, all’uso comune dei medaglioni si opponevano talora varie circostanze, le quali d’altra parte non hanno nessun rapporto colle proprietà del medaglione come moneta. Nel maggior numero dei casi potranno essere stati conservati per ricordo ed esser passati per eredità, di generazione in generazione, oppure, dopo di essere passati di mano in mano come doni, potranno essere stati venduti, in tempi di strettezze, con un aggio sul loro valore; infine potranno essere stati deposti nella tomba insieme agli estinti (come se ne ha esempio); e tutto ciò, non già perchè essi non possedessero tutte le proprietà della moneta, ma perché i ricordi che vi si annettevano, e l’esecuzione artistica, conferivano loro un pregio superiore al valore monetale.
Del resto, tale questione non ha importanza pratica, poiché il numero dei medaglioni era ristretto per sé stesso, e certamente fu ancor più ristretto quello dei medaglioni che realmente furono adoperati come moneta.
Anche altri usi, come per oggetti d’ornamento, ecc., non hanno a che fare col nostro scopo. Invece bisogna mentovare due ipotesi, delle quali la prima è tuttora abbastanza diffusa, e l’altra incontra pure un certo favore.
Una di tali ipotesi è quella che i medaglioni di bronzo abbiano servito anche da imagines sulle insegne militari.
Ma ciò non è sostenibile, ove si raffrontino colle riproduzioni dei signa nei bassorilievi romani, specialmente sepolcrali. Le imagines presentano caratteri addirittura opposti a quelli dei medaglioni. Esse ci offrono il busto dell’imperatore di faccia, il che, com’è noto, non si riscontra nei medaglioni romani fuorché eccezionalmente, in alcuni di quelli degli ultimi tempi. Sulle imagines non si vede mai accennata in nessun modo una leggenda; invece il busto vi è circondato, senza lasciare quasi spazio alcuno, da una corona d’alloro che sporge ad alto-rilievo. Oltre a ciò, il rilievo delle imagines nei signa è molto più forte che nei medaglioni, e doveva anche esserlo per ottenere, all’aperto, l’effetto che si desiderava.
Evidentemente, o venivano fuse vuote, oppure lavorate a sbalzo; ciò si può dedurre anche dal loro diametro che è molto maggiore di quello dei medaglioni. Nei bassorilievi questa differenza è visibilissima se si confronta la grandezza delle imagines colla testa del signifer, che si trova per lo più vicinissima ad esse. Una imago lavorata a sbalzo, rinvenuta a Niederbieber, ha circa 19 centimetri di diametro, mentre il più grande fra i medaglioni d’oro, quello di Valente (conservato nel Gabinetto Imperiale di Vienna), non misura che 9,5 centim. di diametro; i grandi bronzi ed i medaglioni di bronzo non raggiungono che 7 centim. di diametro. E infatti l’imago non sarebbe stata visibile a qualche distanza (come pare si sarà voluto senza dubbio) se non avesse avuto una certa grandezza ed un forte rilievo; invece il busto sui medaglioni suol essere di così piccole proporzioni e di così tenue rilievo, da non esser più discernibile a pochi passi di distanza. Ora, siccome sulle aste delle insegne si trovavano infilate varie di tali imagines talvolta sino a cinque, l’una sopra l’altra, se fossero state fuse massiccie avrebbero avuto un peso sproporzionato; tanto meno poi avrebbero potuto essere coniate di tal grandezza e con sì forte rilievo. Inoltre, le imagines, ossia i dischi ornamentali coll'imago, non avevano certamente il rovescio ornato di rilievi come i medaglioni, perchè non era visibile; esse venivano invece rivestite d’una lastra sottile, su cui era assicurata una staffa di bronzo da infilarvi l’asta dell’insegna; ciò almeno si rileva dall’interessante ritrovamento di Niederbieber. Finalmente le imagines, se anche di bronzo, erano dorate; l’esemplare sovraccennato, quantunque d’argento, conserva le vestigia della doratura; invece i medaglioni con doratura antica sono notoriamente rarissimi. Tutti questi motivi escludono l’ipotesi che i medaglioni abbiano servito da imagines sui signa.
Anche l’uso dei medaglioni d’oro come decorazioni da portarsi, fornite d’un appiccagnolo, è contrario al carattere del medaglione antico. È vero che tanto le solite monete d’oro e d’argento quanto anche i medaglioni, furono usati poi come gioielli, e quindi si trovano legati talvolta con più o meno lusso; ma siccome queste incastonature, che spesso sono eseguite senz’alcun riguardo pel conio, oppure anche il solo appiccagnolo, non appaiono fatti contemporaneamente alla moneta ma bensì adattati più tardi ad essa, se ne può concludere che questa non era destinata originariamente ad essere portata appesa.
Un’altra ipotesi è quella che considera i medaglioni come prove di conio degl’incisori, che si sarebbero raccomandati per mezzo di esse alle persone più influenti. Noi però dubitiamo che si sia potuto concedere agli artisti di coniare a questo scopo dei pezzi che presentano tutti i caratteri di monete compiute, e, per tacere d’altro, che essi fossero iniziati in quei segreti di controllo su cui erano certamente basate la variazione e la corrispondenza dei tipi dei medaglioni con quelli delle monete correnti.
Tali prove di conio avrebbero dovuto, senza dubbio, essere fatte in modo da non poter servire come vere monete. Per esempio, si sarebbero dovuti coniare separati il diritto ed il rovescio, oppure si sarebbe dovuto ommettere la leggenda, o scegliere per la prova di conio un metallo che non fosse in uso per le monete correnti contemporanee. Anche questa ipotesi, adunque, dev’essere esclusa.
XI.
Lo sviluppo del medaglione.
Per quanto la moneta grave imperiale, d’oro, d’argento, e di bronzo, si sia sviluppata in modo regolare, pure il decorso di questo sviluppo varia secondo il metallo. Il medaglione di metallo nobile è, in genere, rarissimo nel I e nel II secolo, mentre quello di bronzo manca bensì nel I secolo, ma appena comparso raggiunge l’apice dello sviluppo, e per tutto il II secolo, fino al termine del regno di Commodo, si mantiene ad un’altezza non più raggiunta. Nel secolo III la relazione reciproca si cambia. È soltanto sotto qualche regno isolato, sotto Gordiano e Filippo, che il medaglione di bronzo presenta una certa importanza; in generale viene trascurato, e verso i tempi della Tetrarchia scompare quasi interamente. Anche il medaglione d’oro, a quest’epoca, gode soltanto eccezionalmente di un effimero favore sotto Eliogabalo, Severo Alessandro e Gallieno. Il medaglione d’argento invece, presenta allora il più rigoglioso sviluppo; a quel modo che l’antoniniano di biglione e di rame inargentato è caratteristico per l’ordinaria moneta corrente di quell’epoca, così il medaglione di pseudo-argento, che ne era un derivato e scomparve poi con essa, è speciale a quei poco invidiabili tempi, n IV secolo ci offre un altro spettacolo. Il medaglione di bronzo ricompare bensì, ma si mantiene scarsissimo, quello d’argento si accontenta di un posto subordinato in confronto di prima, ed è invece il medaglione d’oro che prende il sopravvento, comparendo numeroso sia in piccolo modulo come anche di pesi notevolissimi, in maniera da ricordare i tempi d’Eliogabalo. Ciò si dica specialmente pei regni di Costanzo II e di Valente; ma già la Tetrarchia accenna a questa trasformazione, poiché dà la preferenza al medaglione d’oro, abbandona quasi affatto quello in bronzo, e conserva il tradizionale medaglione inargentato colle Dee Monete, ma soltanto finché dura in vigore l’antica monetazione.
Se quindi in tutti i tempi, prescindendo dai medaglioni, gl’imperatori usarono anche, pei regali meno importanti, le solite monete d’oro e d’argento, si può tuttavia conchiudere in generale che nel II secolo erano più usati i medaglioni di bronzo, nel III quelli d’argento, nel IV quelli d’oro.
Per trovare la spiegazione di questa singolarità, bisogna por mente ad un’altra circostanza, alla diversità d’origine che presentano i medaglioni secondo il diverso loro metallo.
Per quelli d’oro e d’argento, si à già dimostrato che sono d’origine orientale. Infatti, il prototipo del quaternio d’oro, coniato da Augusto, non potrà esser cercato nell’Occidente, che non aveva avuto sino allora monete così grandi. Si deve dire piuttosto che i Greci ed i Romani, in armonia coll’ambiente relativamente ristretto in cui si movevano, avevano preferito monete di piccolo modulo e quando avevano introdotto dall’Asia Minore e dalle Isole unità monetarie maggiori per l’oro e per l’argento, le avevano notevolmente ridotte.
Fu soltanto Alessandro il Grande che dopo di aver esteso il proprio dominio sui paesi orientali, cominciò a coniare stateri intieri o dramme quadruple d’oro; e fu pure alla corte mezzo greca e mezzo orientale dei Diadochi d’Alessandria, che si emisero monete da 8 dramme in oro e da 10 in argento, oltre a grossissime monete di bronzo. Soltanto di là può essere venuto a Roma l’esempio dei medaglioni d’oro e d’argento.
Quest’origine ci dà la chiave del motivo per cui la moneta pesante di metallo nobile, a malgrado di varii tentativi, non potò prender piede nel I e II secolo, finchè si mantenne in fiore la cultura classica occidentale; era una forma straniera di moneta, che anche per la sua derivazione dalle corti reali dell’Oriente ricordava ai Greci ed ai Romani un regime ad essi antipatico qual era la monarchia, la tirannia, e perciò non potè attecchire in Roma sinché, fosse pure soltanto in apparenza, durò la Repubblica, e sinché ebbero la prevalenza le idee romane. Soltanto col sopravvento delle influenze orientali, che erano favorite da alcuni imperatori per la loro origine orientale o per le loro relazioni coll’Oriente, come pure anche per l’influenza del potente partito militare che spadroneggiava nei paesi del Basso Danubio, incominciò a prepararsi un ambiente più adatto per l’introduzione di quelle monete.
È quindi assai verosimile che i grandi pezzi d’oro e di argento del I e II secolo, quand’anche coniati in Roma, fossero destinati per l’Oriente. Quivi, almeno, durante il I e II secolo si continuarono a coniare pezzi d’argento d’una certa grandezza, come ad Efeso ed Antiochia; anche gli stessi medaglioni d’oro coniati da Severo Alessandro sembrano essere stati destinati per l’Oriente, col che coincide il luogo di ritrovamento di buon numero di essi (Tarso)11.
Quanto più nel corso del III secolo la cultura classica irradiante da Roma ebbe a perder terreno per la reazione delle Provincie e l’invasione delle religioni e dei costumi orientali, e quanto più, anche in conseguenza di ciò, si consolidò la monarchia, tanto più si fa strada il medaglione di metallo prezioso, sinché dopo uno stadio preparatorio sotto Gallieno, esso raggiunge sotto la Tetrarchia il suo maggiore sviluppo, col suo vero carattere originario di moneta regia, ed in tale qualità esso abbellisce la monarchia mondiale di Costantino il Grande, de’ suoi figli e successori. E ancora in questo periodo del suo massimo sviluppo, esso viene coniato prevalentemente nelle zecche della metà orientale dell’Impero.
Il medaglione di bronzo, invece, è una particolarità di Roma e dell’Italia; esso ha il suo stadio preparatorio nelle monete pesanti imperiali e senatoriali del I secolo, e, come queste, ha la sua origine nei costumi popolari. Per Roma e per l’Italia, che si servivano già antecedentemente di pesanti monete di bronzo, esso non poteva aver nulla di straniero, di cortigianesco; quando l’imperatore Adriano lo introdusse come gradazione superiore di peso nella preesistente moneta imperiale di rame, egli, amico dell’Egitto, nel seguire l’esempio de’ Tolomei non fece che continuare e sviluppare ciò che già esisteva per antica consuetudine.
Per questo anche, il medaglione di bronzo perviene rapidamente ad un grande sviluppo, e lo vediamo dominare questo terreno adatto per esso, finché gli si conserva il favore del sentimento popolare romano. Quando la gagliardia di questo dovette soggiacere ad elementi ostili, anch’esso decadde; nel secolo III lo troviamo assai meno frequente, ad eccezione forse dell’epoca di Gordiano III e Filippo, la politica dei quali si basava su Roma; oltre a ciò, il medaglione di bronzo non è più la forma prevalente, esso è subordinato a quello d’argento12; più tardi anzi, quanto più si accresce la voga del medaglione d’oro, altrettanto cade in disuso e vien trascurato quello d’argento. Questi fenomeni pare che accennino a vicende importanti per la storia, inquantochè segnano le alternative alle quali soggiacque lo Stato romano durante l’Impero.
Note
- ↑ Sotto questo titolo, il chiaro Dr. Kenner, Direttore del Gabinetto Numismatico Imperiale di Vienna, ha pubblicato nella Numismatische Zeitschrift una pregevole monografia, che noi qui riassumiamo, avendoci l’Autore cortesemente concessa la facoltà di traduzione.
S. A.
- ↑ Il bel lavoro del Froehner: Les médaillons de l’Empire Romain (Strasburgo, 1878) è scritto con altri intendimenti. (N. del Trad.)
- ↑ Vedi lo scritto del Dr. Kenner nel Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen. (N. d. T.)
- ↑ Come si praticava in molti stati della Germania, e, da noi, nelle zecche di Genova e di Venezia. (N. d. T.)
- ↑ ..«Formas binarias, ternarias et quaternarias et denarias etiam atque amplius usque libriles quoque et centenarias...»
- ↑ ..«resolvi praecepit neque in usu cujusquam versari atque ex eo his materiae nomen inditum est.»
- ↑ Da Gallieno in poi, anche i medaglioni di bronzo rossiccio, colle Dee Monete, sono da considerarsi come medaglioni d’argento (ossia medaglioni inargentati che abbiano perduto l’argentatara). Prima, sotto Geta, Eliogabalo, Severo Alessandro, Massimino Trace e Filippo, quando la moneta d’argento era migliore, e contemporaneamente la moneta divisionaria di rame era pure abbondante, vi erano medaglioni colle Dee Monete, tanto in argento quanto in bronzo. Ma dacché la monetazione di rame si fece scarsa, questi ultimi cessarono.
- ↑ Nel modo già accennato, mi risultano, pei medaglioni d’argento, 42 di zecche orientali, 33 di zecche occidentali.
F. K.
- ↑ Numismatische Zeitschrift, vol. XVIII (1886).
- ↑ Tali monete sono precisamente 3338 sesterzii, e 1332 dupondii ed assi, questi ultimi da Nerva a Commodo. Gli esemplari malconci o sconservati furono esclusi.
- ↑ Ciò spiegherebbe anche la contraddizione fra l’esistenza di tali multipli da lai coniati ed il divieto ch’egli stesso aveva emanato contro i pesanti medaglioni d’oro del suo predecessore Eliogabalo.
- ↑ Sembra tuttavia che esso abbia avuto un’influenza sui medaglione d’argento, al primo comparire di qnesto sotto Adriano, poi di nuovo ne abbia avuto sotto Settimio Severo, come esso stesso aveva subito l’influenza della moneta pesante senatoriale. La singolare formazione di multipli dispari, che non si osserva nel medaglione contemporaneo d’oro, com’è invece il caso pel medaglione di bronzo, fin dalla sua prima comparsa, si trova anche già nei medaglioni d’argento del II secolo, ed in quelli del III che sono fondati sul denaro; essa può provenire soltanto dalle anteriori monete pesanti di bronzo. Anche i pesi più ragguardevoli di essi, sotto Settimio Severo e Severo Alessandro, quelli da 8, da 10, da 16 denari perfino, che più tardi non compaiono, non possono derivare che dall’influenza della moneta pesante senatoriale e del medaglione di bronzo.