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il medaglione romano 93

dalla corona radiata e quelli superiori dalla corona d’alloro. Tutte queste circostanze rivelano chiaramente l’intenzione di distinguere i multipli secondo il loro valore, ciò che non avrebbe nessun motivo d’essere, se non fossero stati monete correnti.

I medaglioni d’oro recano poi all’esergo il nome della zecca, precisamente come la moneta corrente, incominciando dall’epoca in cui viene introdotto tale uso per questa.

La conclusione che i medaglioni d’oro formano parte della moneta corrente, viene infine confermata pienamente dal noto passo della Historia Augusta, nella Vita Severi Alexandri. Vi si racconta che questo imperatore aveva coniato mezzi aurei e terzi di aureo, ma aveva posto fuori di corso le monete da 2, 3, 4 e dieci aurei, come pure quelle d’una libbra (da 60 aurei), e di due libbre (da 100 aurei)1, che il suo predecessore Eliogabalo aveva inventate, e che da allora in poi furono considerate come metallo in verga2.

In questo passo si parla di conii ai quali noi diamo il nome di medaglioni; essi vengono chiamati formae cioè monete coniate, da 2, 3, 4 e più monete d’oro. Di tali gradazioni ve ne sono ancora moltissime altre, da ciò l’espressione: atque amplius ecc., precisamente come fra i medaglioni abbiamo visto che vi sono biniones, quaterniones, seniones, ecc., fino a un multiplo di 20 volte l’unità monetaria. Si accenna poi, che le formae d’una libbra e di due libbre erano state inventate da Eliogabalo, mentre i multipli inferiori, quelle binariae, ternariae, ecc., erano state emesse anche prima; il testo concede questa interpretazione, e ci restano infatti dei biniones d’oro di Caracalla e dei quaterniones di Augusto e di Domiziano. Inoltre è indicato chiaramente che erano monete in corso e veramente in usu poiché

  1. . . «Formas binarias, ternarias et quaternarias et denarias etiam atque amplius usque libriles quoque et centenarias .»..
  2. . . «resolvi praecepit neque in usu cujusquam versari atque ex eo his materiae nomen inditum est