Diario di Nicola Roncalli/1859
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1859
22 Gennaio. — Ai 13 corrente uno speculatore francese, aereonauta, innalzò un globo nel Mausoleo di Augusto.
Il Governo, non avendogli dato il permesso di eseguire l’ascensione personale, nel posto della barchetta, egli pose una pecora. Il globo cadde poco dopo presso il Colosseo, con la pecora semiviva.
Frattanto Pasquino portò a Martorio la notizia del volo della pecora; ma questo gli rispose: «Sta bene: adesso è volata la pecora, più tardi volerà il pastore».
Da varii giorni è in Roma il maestro Verdi per mettere in scena una sua nuova opera. Certamente non mancheranno le acclamazioni in senso politico, ad imitazione della Lombardia esprimendosi colle iniziali di tale cognome: Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia.
5 Febbraio. — Il padre Passaglia, gesuita, per varii anni insegnò la teologia dogmatica nel collegio romano. Ma, avendo alcune opinioni non conformi a quelle della maggioranza, fu, con pretesti, rimosso dalla cattedra teologica, nel Collegio Romano e gli fu conferita quella di filosofia superiore nella Sapienza. Il P. Passaglia, disgustato forse da qualche attacco sostenuto coi Gesuiti, ai 29 di gennaio uscì dalla Compagnia con intelligenza del Papa e di pieno accordo del generale. Ai 31 comparve alla Sapienza vestito da sacerdote secolare e fu salutato dai discepoli con applausi strepitosissimi.
21. — La Polizia pontificia ebbe sentore che si preparassero bombe pel prossimo carnevale. Non tardò ad ottenere gli elementi più essenziali per divenirne allo scoprimento.
Infatti, nella sera dei 16 corrente, i gendarmi poterono sorprendere ed arrestare un Vincenzo Bonvicini, romano, già precettato politico, impiegato nelle strade ferrate, con franchi 200 al mese, mentre era intento ad una tale fabbricazione e, pel relativo effetto, si era procurata, sotto varii pretesti, la chiave di una oscura casa di un calzolaio in via della Vetrina, N. 9.
Le bombe erano composte di vasi di terra cotta, detti comunemente dindaroli, ovvero salva-denari. Questi, riempiuti di polvere sulfurea e chiodi, avevano, all’apertura, un cannello di legno colla sua miccia, quindi, circondati da legature di fil di ferro, erano ricoperti di gesso da presa.
Si rinvennero, e requisirono, otto di siffatte bombe confezionate e cariche, quattro libre di chiodi, cinque matasse di fll di ferro, varii cannelli di legno, due libre di polvere, alcune miccie, libre di gesso.
Lo scellerato progetto era di lanciare tali proiettili in 14 punti del Corso, in uno dei giorni di carnevale , per tentare una sommossa, a prezzo di sangue innocente.
La Polizia non dispera di aver nelle mani gli altri complici; fece di già preparare 13 segrete a San Michele, dove saranno rinchiusi.
26 Marzo. — Alcuni liberali delle Romagne, ad imitazione della Toscana, vanno partendo alla spicciolata per arruolarsi nell’armata piemontese.
Varii giovani romani si sono presentati all’inviato di Sardegna per aver passaporti onde recarsi nel Piemonte. Ebbero in risposta che ottenessero i loro passaporti dal Governo pontificio, ed egli avrebbe messo il suo visto.
16 Aprile. — Si assicura che 150 studenti della Sapienza si sono sottoscritti per la guerra del Piemonte.
Alcuni di questi dichiararono che i mezzi di viaggio erano stati loro assicurati dalla Legazione Piemontese.
23. — Prosegue la partenza dei volontari per il Piemonte.
25. — Il generale francese, conte De Goyon, nella mattina di Pasqua, si recò al Vaticano col suo Stato Maggiore. Dopo la benedizione, discese da cavallo e montò in carrozza.
Giunto presso la piazza Rusticucci, da una turba di giovinastri (circa 400) fu salutato con grida di «Viva il generale francese, viva la Francia, viva l’Italia, viva Vittorio Emanuele».
Il generale si sollevò dalla carrozza sulla persona, e, con cappello in mano ed inchini, ringraziò cortesemente gli acclamanti.
Si videro cappelli sollevati ed agitati da bastoni, fazzoletti, ecc.
Anche l’ambasciatore di Francia, al suo passaggio, fu acclamato.
Alle inaspettate grida vi fu un momento di agitazione, tra i più lontani, che incominciarono a fuggire.
Allorquando passò la carrozza dell’ambasciatore d’Austria s’intese qualche fischio.
Siffatta dimostrazione, in favore di una nazione e di un generale, che finora non goderono alcuna simpatia popolare, fu di comune sorpresa ed inesplicabile.
Però, la Polizia pontificia conosceva il tutto e tra i promotori essendo alcuni precettati politici, è in grado di calcolarne l’importanza1.
Intanto, si assicura che nella notte seguente sono stati eseguiti varii arresti di già precettati politici.
Fuori di porta Portese è stata trovata una lapide incisa con le parole: «Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia, viva l’indipendenza italiana».
L’iscrizione fu fatta in un’antica lapide esistente del livello dell’acqua per l’escrescenza del Tevere.
Nella sera dei 25, una turba di acclamanti si adunò nel Corso, tra la strada Condotti e quella della Fontanella di Borghese, presso il palazzo Ruspoli, dove è alloggiato il generale De Goyon, ed allorquando ritornava dalla Girandola lo salutò con gli «Evviva la Francia, evviva il Generale».
Si dice che tra la turba vi fosse il Duca di Sora ed il Duca Cesarini2.
Avviso dei 26 di Aprile 1859, riportato nel Giornale di Roma, numero 93.
«Alcune dimostrazioni pacifiche, ma pubbliche, hanno avuto luogo. Qualunque possa essere la nostra simpatia per i sentimenti che sono stati espressi, noi non possiamo permettere che si rinnovino. Ogni dimostrazione pubblica è un attentato diretto a turbare l’ordine, qualunque sia la bandiera o il motivo ch’essa prenda, ne derivano sempre misure dispiacevoli per coloro che ne sono vittima.
» La legge vieta tutti gli attruppamenti ed ingiunge che al bisogno siano dispersi colla forza.
» Posto qui d’ordine dell’Imperatore, per aiutare il Venerabile e Venerato Pontefice, e facilitare al suo Governo il mantenimento dell’ordine, io devo, come Comandante la forza pubblica, fare osservare la legge. Questo dovere, per quanto penoso esso sia, noi sapremo compierlo in ogni circostanza. Ma io conto sopra lo spirito si intelligente e si saggio della popolazione Romana per rendermene l’adempimento più facile.
Il Generale di Divisione |
30. — Nella mattina dei 26, il generale francese inviò dispacci telegrafici a Parigi ed egli stesso, all’ufficio telegrafico, ne attese i riscontri. Quindi, scortato, insolitamente, da quattro dragoni, si recò al Vaticano. Si abboccò col Papa e col cardinale Segretario di Stato. Richiese il rilascio degli arrestati per la dimostrazione. Gli fu risposto che ciò era in opposizione al mandato che egli aveva, di tutelare, cioè, l’ordine nel Governo della S. Sede.
Alla fine, si trovò un mezzo termine conciliativo colla pubblicazione del noto Avviso, sottoscritto dal generale stesso; ma la liberazione dei detenuti, avvenuta soltanto ai 27 del cadente, fu passata per la trafila del ministro di Grazia e Giustizia.
I dragoni pontifici in Roma, per quanto si assicura, meditavano di disertare in Piemonte.
Si pensò di dare ai medesimi il cambio, e questa mattina dovevano partire per Bologna.
Un ordine di ieri ne sospese la partenza.
Questa mattina furono passati in rivista al Monte Pincio dal generale De Gregori. Il medesimo li arringò terminando col grido di Viva Pio IX.
Circa una ventina risposero al grido, gli altri restarono silenziosi.
7 Maggio. — Prosegue la partenza dei volontari per il Piemonte. Ultimamente sono partiti quaranta calzolai.
Nel giorno 1° corrente, si dice che ne sieno partiti circa un centinaio. Fra questi è un nepote del cav. De Cinque. Egli era sul punto di ammogliarsi. Gli mancava un impiego e l’ebbe pochi giorni innanzi nella strada ferrata. Sedotto da compagni, rinunziò all’impiego e ad una giovine promessa sposa che l’amava teneramente.
I volontari ricevono sussidi per il viaggio.
Il cassiere politico è il figlio del dovizioso Silvestrelli3.
Nel 1° giorno del corrente, parti per il Piemonte il duca Cesarini colla sua famiglia.
Poco dopo la partenza, si trovò scritto al suo portone: «Est locanda — appartamento d’affittarsi — le chiavi dal ministro di Sardegna».
Questa mattina sono partiti 180 volontari per il Piemonte. Fra questi sono venti studenti della Sapienza.
Gli studenti ingegneri sono in grande impegno per subire i loro esami. Appena lo avranno dato, ottanta ne partiranno per il Piemonte, superbi di unire all’ardore marziale il diploma del profitto scientifico. Essi subiranno nel Piemonte altro esame e quindi saranno ammessi al Battaglione Universitario che si sta organizzando, del quale ebbero il regolamento a stampa con apposito figurino.
Tutto giorno vi sono episodii alla stazione della strada ferrata di Civitavecchia, di madri derelitte che cercano i loro figli.
I volontari, per la maggior parte, intraprendono il viaggio col solo foglietto della strada ferrata, e, giunti a Civitavecchia a piedi, si recano ad Orbetello, dove sono accolti dai Toscani4.
Sembra che il Governo pontificio voglia inviare a quel confine un numero di gendarmi per tenerli in osservazione.
Nel giorno 4 corrente furono arrestati quattro cannonieri pontifici. Si assicura che istigassero il corpo a defezione.
I dragoni pontifici, da varii giorni, disperdono il loro ordinario e si trattano sontuosamente nelle osterie. Nella sera dei 3 corrente ne mancarono alcuni all’appello.
Negli scorsi giorni sono partiti, da Roma, per il Piemonte, circa 40 calzolai.
Marforio domandò a Pasquino che cosa fossero andati a fare i calzolai in Piemonte.
Questi rispose che erano andati ad accomodare uno stivale rotto, pel quale la Russia somministrava la forma, la Francia la pelle, l’Inghilterra la pece, la Toscana la lesina ed il Governo pontificio lo spago.
Intanto Marforio diede una sfuggita nel Piemonte per assistere ad una gran tombola che si estraeva.
Riferì a Pasquino che cogli ultimi tre numeri fu vinta la tombola.
N. B. I numeri sono allusivi alle epoche rivoluzionarie 31, 48, 59.
Richiesto, quindi, che cosa d’interessante avesse veduto, rispose che per mare vide flotte, fregate e vascelli; per terra soldati, cannoni, baionette; per aria il Governo pontificio.
Ier l’altro disertò dalla Colonna, presso Tivoli, dove era di residenza, il gendarme Luigi Ferri.
Del resto, Roma è tranquilla e lo debbe essere maggiormente poiché la partenza delle truppe francesi non ha più luogo, siccome sembrava dovesse essere, se non in tutto, almeno in parte.
Circa le 3 dopo la mezzanotte, dal 6 al 7 corrente, un centinaio di volontari, tra studenti, pittori, scultori e mosaicisti, dopo di aver passato le prime ore della sera tra gli amici ed i bicchieri, si avviarono per Trastevere verso la Stazione.
Intanto andavano gridando a quando, a quando: «Viva la guerra, viva la Francia».
Ciò, naturalmente, richiamò l’attenzione della Polizia; il perchè furono all’istante inviati colà gendarmi e due compagnie di Francesi.
Giunti alla stazione, trovarono i vagoni tutti occupati da altri passeggieri. Era per derivarne un tumulto, ad evitare il quale, i Francesi invitarono i primi occupanti di gite di diporto, ed anche forestieri, a cedere il posto ai volontari, e così partirono tranquillamente, fra gli abbracci di una turba di amici5.
Si è in grado di assicurare che un impiegato della legazione sarda trovavasi alla stazione e somministrava ai più bisognosi, cui aveva dato convegno, un sussidio di scudi due.
Nella mattina dei 7 corrente, furono trovati affissi varii esemplari a stampa di un proclama bellicoso di Vittorio Emanuele6.
Per la sola via del Corso, dalla forza pubblica ne furono staccati cinque.
Nella stessa mattina sono stati arrestati varii soldati di linea del 1° reggimento pontificio, che erano sul punto di disertare per il Piemonte.
Il notissimo quanto torbido Gennaro Mattaccini, detto Gennaraccio di Trastevere, voleva fare una dimostrazione in favore del Papa.
Fu chiamato dal generale francese e diffidato in termini militari.
Avendo il Gennaraccio una natta sul viso, conchiuse che con quattro palle lo avrebbe guarito.
Nel giorno stesso, 7 corrente, l’abate Zannelli, Direttore del Giornale di Roma, fu chiamato dall’ambasciatore di Francia. Questi gli disse che osservava molte colonne nel giornale occupate dall’Austria, e che d’ora in poi ne avesse riserbate alcune per la Francia.
14. — Ogni giorno pervengono note, dalle Legazioni, di militi pontifici che disertano.
Questa mattina da Forlì e Rimini 10.
I volontari del Piemonte scrivono che sostengono gravi fatiche. Ore otto al giorno di manovre con alternativa di lavori di fortificazione e barricate.
Pasquino possedeva due magnifici piatti di porcellana di Parigi con i ritratti l’uno di Napoleone I, l’altro di Napoleone III. Pensò di venderli, e Marforio ne lo richiese del prezzo. Egli gli disse che del primo ne voleva scudi 50 e del secondo soli 10 soldi.
In amicizia non poteva ingannarlo, poiché il primo aveva la tinta buona e resisteva al fuoco, il secondo l’aveva falsa ed al contatto del fuoco sarebbe sparita.
Allude alla voce sparsa che Napoleone III sia rimasto a Genova e che, sotto il falso pretesto di essersi scoperta una congiura contro la di lui persona, sia per retrocedere7.
Nel giorno 9 corrente, molti volontari di diverse comitive si vedevano girare per la città, avvinazzati e festevoli.
Vi furono varii pranzi di congedo nelle osterie, trattorie e case particolari.
Si assicura che il generale francese dispose che, d’ora in poi, alla stazione i soli di lui gendarmi sorvegliassero alla partenza dei volontari, escludendo i pontifici.
I volontari partiti a tutto il 10 corrente sommano a 2300.
Allorché il generale francese chiamò il Gennaraccio di Trastevere, che si voleva far capo di una dimostrazione in favore del Papa, si vociferò che uniti al medesimo fossero due monsignori.
Ora, si assicura generalmente che in realtà gli si erano associati i monsignori Fieramonti e Borgia. Quindi i medesimi sarebbero stati chiamati dal generale francese e diffidati quali sovvertitori dell’ordine pubblico.
Altri aggiungono che perfino li minacciasse di reclusione a Castel S. Angelo.
Alcune sere scorse entrò da porta Cavalleggieri una carrozza in posta con due ignoti personaggi, i quali si recarono immediatamente dal Papa ed ebbero una conferenza di circa due ore. Quindi ripartirono all’istante.
Nel mattino seguente il S. Padre disse, con un cardinale, che nella sera precedente aveva avuto la consolazione di conferire con un alto personaggio presentatogli dall’ambasciatore francese.
Naturalmente, si sono fatti molti commenti sul misterioso personaggio e sull’oggetto della conferenza. Ad alcuni perfino piacque di supporre che fosse Napoleone III.
Si dice che l’ambasciatore e il generale francese, da varii giorni, non conferiscano più col cardinale Antonelli, che reputano sospetto nell’attuale politica e che, invece, trattino direttamente col sostituto monsignor Berardi.
Si dice, inoltre, che i cardinali Altieri e De Andrea8 siano in forti disgusti col Papa, perchè avrebbero voluto parlare troppo liberamente sulle attuali cose del Governo.
Nella sera dei 14 corrente, fu arrestato, per la via del Corso, un individuo che chiedeva l’elemosina per partire per la guerra.
Nella sera dei 10, nel casino francese, fu festeggiata, privatamente, la notizia telegrafica relativa ai fatti d’arme.
21. — Un impiegato alla Civiltà Cattolica, nella sera dei 15, disse alla madre che lo destasse di buon mattino che doveva eseguire una commissione.
La buona genitrice non mancò di destarlo; ma fu ben rammaricata e sorpresa poscia di apprendere che il suo figlio era partito, come volontario, per la guerra, alla cui partenza essa stessa si era prestata. Prima d’imbarcarsi, scrisse alla madre chiedendole la benedizione.
Nella sera dei 16 corrente, circa un centinaio di giovinastri, aventi alla testa un individuo, giravano per le vicinanze di piazza Navona festevolmente. A quando, a quando il condottiero agitava un fazzoletto bianco, in segno d’intelligenza ed allora la turba gridava Viva.
Si aggiunge che presso la via del Governo Vecchio, passando una carrozza di un cardinale o prelato, la presero a fischiate.
Le diserzioni continuano, sia nelle Legazioni che in Roma.
Si assicura che ultimamente, in Roma, hanno disertato sei dragoni con un maresciallo, Padovani.
Intanto il generale De Gregori pubblicò un ordine del giorno col quale viene minacciata la fucilazione per i disertori, nella cui pena incorreranno eziandio coloro che, conoscendoli, non li denunziassero.
27. — Nel giorno 26 corrente (sacro a S. Filippo) si temeva che avesse luogo una dimostrazione molto più significante di quelle precedenti, solite a farsi al generale francese dopo la messa militare.
Si vociferava che, dai soliti promotori, si fosse stabilito l’accordo che, al passaggio del Papa, tutti dovessero restare fermi con cappello in testa. Al passaggio del generale francese ed ambasciatore gran levata di cappello.
Fortunatamente, gli ultimi due personaggi non intervennero, e così la dimostrazione non ebbe luogo.
Però ripiegarono col recarsi all’abitazione del generale, ed allorquando tornò a casa gli resero il solito saluto.
Ieri, fuori porta Cavaileggieri, vi fu pranzo di 40 coperti tra volontari in partenza ed uffiziali francesi.
Questa mattina pranzo a monte Mario, di 270 volontari. Settanta ne partiranno oggi col treno della ferrovia di Civitavecchia. Gli altri 200 partiranno a piedi, per la via di Viterbo9.
I suddetti erano tutti senza passaporto; ma alla loro testa stava un uffiziale francese.
Circa un centinaio dei suddetti, con i loro bagagli ed alla spicciolata, tragittarono il Tevere presso Ripetta e si condussero al monte Mario.
Furono accompagnati fuori la porta con banda e da varii amici, tra’ quali segnalavansi Tittoni e Silvestrelli.
Circa un’ora di notte passarono per le Quattro Fontane circa altri 400 individui, alla cui testa eranvi 18 uffiziali ed un sergente, e si dice reduci di un altro pranzo.
28. — Negli scorsi giorni, in uno dei vagoni della strada ferrata di Civitavecchia, nell’atto di partire, fu inalberata una bandieretta tricolore al grido di «Viva la repubblica».
Poco dopo fu abbassata. Vi erano i volontari che partivano per la guerra.
Per ordine superiore, il Giornale di Roma, non riporta i bollettini della guerra.
Ai 21 i Francesi fecero affiggere per i caffè il bollettino del 20, glorioso alla loro armata e ne festeggiarono l’avvenimento.
Alla messa militare, a S. Luigi de’ Francesi, domenica, 22 corrente, vi fu straordinario concorso.
Appena uscito il generale francese, ebbe luogo la dimostrazione silenziosa della cavata di cappello, cui corrispose, con molta compiacenza, il generale.
Alcuni caffetteri si trovano compromessi colla Polizia per avventori indiscreti che parlano imprudentemente di politica nei loro crocchi; furono diffidati e minacciati di chiusura, inabilitazione, ecc.
Nella sera dei 22, un tenente dei gendarmi francesi entrò nel caffè delle Convertite ed affisse il bollettino della guerra dei 21 dicendo: «Guai a chi lo tocca».
Intanto che gli avventori del caffè si affollavano per leggerlo, entrò il colonnello Nardoni. Fattosi largo fra la folla, e verificato di che trattavasi, chiamò il caffettiere a rendergli conto dell’autore di tale affissione. Inteso che era stato per parte dei Francesi, fattosi portare l’occorrente per scrivere, copiato il bollettino, se ne partì.
Si vocifera che al pranzo di ieri, fatto da 370 individui sul monte Mario, intervenissero varii uffiziali francesi. Del resto, si bevette alla salute d’Italia e si cantarono cori guerrieri.
Si aggiunge che circa 20 gendarmi pontifici a cavallo ed altrettanti francesi si recarono sul luogo per prevenire sconcerti. Però, il tutto procedette colla massima tranquillità.
Si sta organizzando altra partenza di qualche altro centinaio di volontari, mediante soscrizione promossa dagli studenti della Università romana.
4 Giugno. — Sono stati arrestati due fratelli Lupini, osti alla Bocca della Verità, unitamente al cuoco, come pagatori segreti dei volontari che partono per il Piemonte(?).
Sono stati similmente arrestati tre disertori svizzeri.
Nella sera dei 28 maggio i Francesi affissero, in varii caffè, il bollettino della guerra, glorioso alle armi alleate.
I gendarmi pontifici, con poca prudenza, ne staccarono un esemplare affisso ad un caffè incontro al palazzo Ruspoli. Furono presi a fischiate ed ingiuriati con male parole.
Nella mattina dei 29 maggio, alla messa militare, a S. Luigi de’ Francesi, immenso concorso. Solita dimostrazione al generale de Goyon con levata di cappello. Quindi piccole riunioni di borghesi e Francesi.
La dimostrazione fu ripetuta avanti all’abitazione del generale quando ritornò a casa a pranzo.
Ai 29 di maggio giunsero in Roma gli artiglieri pontifici che erano di guarnigione in Ancona. Quaranta ne disertarono precedentemente.
II generale austriaco s’impadronì dei pezzi di cannoni che avevano; li disarmò, e, colla semplice divisa militare, mandò il rimanente a Roma.
Sono giunti i dragoni di Sinigaglia, che avevano avuto il cambio.
Per istrada, ne disertarono 69 con un basso uffiziale. Da Macerata 30, da Foligno 9, da Narni 30.
Nel colonnato di S. Pietro si trovò scritto: «Giacomo piange, Giovanni ride» (allude alla politica del cardinale Antonelli e del Papa).
Nelle ore pomeridiane dei 28, circa 40 volontari passeggiavano fuori di porta Pia, a passo militare, aventi alla testa un sergente francese, gridando a quando, a quando: «Viva l’Italia, viva la libertà».
Si assicura che, passando il cardinale Barberini si schierarono in parata ripetendo le suddette grida.
Nella sera dei 30 maggio, passeggiata a passo militare per la città di circa 500 volontari con concerto musicale 10.
Nel mattino seguente partirono a piedi alla volta della Toscana.
I Francesi avvisano, preventivamente, i loro amici che all’annunzio di una vera vittoria vi sarà lo sparo di 101 colpi di cannone, quindi generali luminarie per la città.
Si assicura che nella sera dei 28 maggio il Papa riunì una congregazione cardinalizia. Tra i componenti vi erano:
Patrizi, — Ferretti, — Della Genga, — Altieri, Barnabò, — Santucci.
Alcuni Bontonisti italianissimi, ed ora infrancesati, adottarono, alla unanimità, che si debba promuovere la teletta alla napoleonica «baffi e mosca».
Di già si videro molti seguaci.
Nella sera dei 31 maggio i Francesi attaccarono, in varii caffè, i bollettini della guerra, e frattanto, volgendosi a coloro che si affollavano per leggerli, dissero: «Se alcuno si avvicinasse per strapparli, sono pregati di dire che sono stati affissi da noi».
Un presidente regionario (Giraud) fece chiudere un’osteria perchè vi si era trattenuta una brigata di volontari a rinfrescarsi allegramente.
La Polizia era informata che questa mattina sarebbe stato fischiato il Papa nel recarsi a S. Giovanni. Siffatto progetto, tanto disapprovevole, quanto incerto nella sua esistenza, non si verificò.
Nella mattina dei 2 corrente dimostrazione imponentissima al generale francese sulla piazza dei...
Entusiasmo per i bollettini della guerra.
Appena si pubblicano, tutti girano muniti di un esemplare, che custodiscono qual santa reliquia11.
Nelle ore pomeridiane dei 2 giugno, il generale De Goyon, passeggiando al Pincio, ricevette altra ed imponente dimostrazione.
Si parla, senza mistero, di una soscrizione (della tenue somma di baiocchi 20) promossa dal principe Gabrielli, per l’offerta di una spada all’imperatore Napoleone III12.
Nella mattina dei 3 corrente, convegno di volontari sul monte Mario, sotto la protezione dei Francesi, quindi partenza di circa 600 per via di terra.
6. — I volontari, partiti nel giorno 3 corrente, alla volta di Toscana, erano circa 400. Un sergente francese li accompagnò sino alla Storta e colà distribuì loro un beveraggio di bajocchi 10 a testa.
Lungo la strada obbligarono i passeggieri a levarsi il cappello al grido di Viva l’Italia.
Nella sera dei 4 corrente, una turba di volontari, disposta in ordine militare, passeggiava allegramente per la città. Nell’ultima fila vi era un gendarme francese13.
Nella mattina dei 5, alla messa militare a S. Luigi de’ Francesi, solita dimostrazione.
Come spettatore personale di mera curiosità, si è in grado di aggiungere che un doppio cordone di spettatori, con deposito avanti la Chiesa dove aveva principio, proseguiva per la via della Scrofa fino all’imboccatura di S. Antonio dei Portoghesi. Il generale, che era in carrozza, corrispose gentilmente al saluto; ma non con la consueta giovialità.
Ai 4 corrente, al Corea, dalla compagnia comica Pezzana, si recitò una produzione intitolata: «La fossa dei Leoni».
Terminò il Pezzana stesso con un’apologia italianissima, quindi applausi strepitosi e richieste di bis.
Nella notte dello stesso giorno alcuni dragoni pontifici tentarono di disertare. Altri, fedeli al Papa, si opposero energicamente. Ne seguì una colluttazione nel quale vi furono due feriti.
7. — Nel giorno 6 corrente si ebbe la conferma della notizia della vittoria riportata da Napoleone III a Magenta, dove 15 mila Austriaci furono messi fuori di combattimento con 5 mila prigionieri e perdita di 40 cannoni, e quindi l’ingresso dei Francesi a Milano.
Rapida ne circolò per tutta la città la notizia, e, per i caffè e per le contrade, ne venne affisso il bollettino.
La popolazione romana14 prese un contegno gioviale ed incominciò a radunarsi per il Corso, nelle ore pomeridiane.
Circa l’Ave Maria, fece centro a piazza Colonna, avanti al Casino francese.
Guari non andò che gli uffiziali francesi, dal balcone, proruppero in fragorosi applausi con un grido di Viva Napoleone, a cui all’istante corrispose la turba romana, impaziente di rompere il silenzio.
Quindi succedettero acclamazioni all’Italia, a Vittorio Emanuele, a Pio IX, e sempre la moltitudine, che aumentossi a dismisura, e riempì la vasta piazza, con cappelli e fazzoletti sollevati in aria, ripeteva quei gridi.
Mentre per 20 minuti si proseguiva in tanta pienezza di entusiasmo, sorse una voce sonora la quale gridò: «Basta», ed a guisa d’incanto i clamori cessarono e tutto rientrò nel silenzio.
La turba immensa, che si calcolò a 10 mila persone, si disperse principalmente per il Corso chiamando i lumi.
Infatti, si corrispose all’invito, ed in un baleno il Corso fu illuminato. Poscia, quasi tutta così riunita, si recò ad acclamare al generale francese, all’incaricato di Sardegna ed all’ambasciatore di Francia.
Aveva alla testa due gendarmi francesi e si evitò di passare da piazza Venezia, dov’è l’ambasciatore d’Austria, per non dar luogo ad imprudenze e sconcerti.
Frattanto, altre frazioni esultanti si diramarono per altre contrade a comunicare la gioia.
Alcune centinaia di volontari, pronti a partire, si riunirono, ed a passo militare, accompagnati da una turba immensa di popolo, si fecero a percorrere le vie principali cantando un coro che terminava «Noi trionferem dell’infame straniero».
La notte prosegui con straordinario movimento popolare, con canti e prolungate passeggiate per il Corso; ma senza disordine.
Per questa sera si prepara illuminazione, e pubblicamente si lavorano lanternoni a tre colori.
8. — Le note per le soscrizioni di offerta per le due spade a Napoleone III e a Vittorio Emanuele II sono a stampa, coi nomi dei promotori come appresso:
- Principe Gabrielli,
- I. de’ principi Ruspoli,
- Mastricola,
- Santangeli15.
Si assicura che tra le firme se ne leggono molte di notabili, di ecclesiastici, di impiegati.
Sono in pronto alcune altre centinaia di volontari, che partiranno quanto prima con un concerto musicale.
Nello stesso giorno 6 corrente, un gendarme pontificio commise l’imprudenza di staccare un bollettino della guerra, vicino alla sentinella francese, presso il Monastero di Campo Marzo. La sentinella chiamò all’armi, e l’imprudente fu umiliato coll’essere obbligato a riattaccare il bollettino che aveva distaccato.
Altro consimile inconveniente si verificò vicino al palazzo Carpegna, dove i gendarmi fermarono due individui che declamavano il bollettino della guerra.
Requisirono il bollettino e procedettero all’arresto dei due individui. Il popolo li prese a fischiate, e così dovettero rilasciarli in libertà.
10. — Le soscrizioni per l’offerta delle due spade ai due Sovrani belligeranti proseguono, ed alcuni incaricati girano per le case a raccoglierne le firme.
Un sacerdote, al Caffè nuovo, nella sera dei 7, fece una offerta spontanea di dieci scudi.
Si assicura che oggi partiranno altri 400 volontari.
11. — Nelle ore pomeridiane dei 7 corrente, il generale francese pubblicò un avviso col quale, dichiarandosi grato alla popolazione romana, per la parte presa nella gioia della sera innanzi, ricordava l’avvertimento dato precedentemente (ai 26 di aprile) sulla proibizione delle dimostrazioni clamorose.
Quindi esortava alla moderazione.
La via del Corso, intanto, di già riboccava di esultanza, e molti preparativi si disponevano per la illuminazione, promossa dagli stessi Francesi.
Infatti, nella sera ebbe luogo e principalmente per la via del Corso ed in piazza Colonna con i colori francesi16.
Due concerti musicali francesi, avanti al Casino, alternavano le suonate, ed al fine di ognuna si prorompeva in battute di mano dall’immensa popolazione ivi riunita.
Tutto procedette nel massimo buon ordine, e, rispettosi tutti all’arrivo del generale, nessuno eccedette in clamorose dimostrazioni.
Terminati i concerti musicali, la moltitudine attese il generale de Goyon che uscisse dal Casino, e gli fece la solita dimostrazione di levate di cappello e battute di mano.
Presso l’incaricato di Sardegna vi era sfarzosa illuminazione con una bandiera italiana. Alcuni devoti, passandovi, si levavano il cappello.
Passò un abate, in compagnia di tre giovinastri, e, col suo cappello triangolare sollevato in aria, si mise a gridare ad alcuni spettatori che volevano conservare la neutralità: «Signori, sono pregati di levarsi il cappello».
Ai 9 corrente, partirono da Roma altri 600 volontari, e, con essi, il duca Bonelli, già guardia nobile del Papa ed ora capitano dei dragoni, dimissionario17.
Il Rettore dell’ospedale della Consolazione è partito in qualità di cappellano militare.
14. — Nella notte dei 10 corrente fu arrestato il sacerdote D. Giuseppe Livi da Venosa, il quale, il giorno precedente, aveva assistito ad un banchetto di volontari e pronunziato discorsi liberali.
Nella mattina dei 12, alla messa di S. Luigi dei Francesi, si fece la solita dimostrazione al generale.
Il concorso fu maggiore e vi si aggiunse una infiorata, sulla piazza della Chiesa, di rose e mirto.
Nella mattina dei 12, dopo la cappella, il S. Padre tenne una congregazione speciale chiamandovi i seguenti cardinali:
- Mattei,
- Altieri,
- De Pietro,
- Santucci.
Il Papa partecipò che le truppe austriache, che occupavano Ancona, avevano sgombrato, dietro protesta che aveva fatto all’imperatore per il bombardamento da cui era minacciata la fortezza da una flotta francese, a cui si era ricusata di fare alcune provvisioni.
Aveva, intanto, ottenuto da Napoleone garanzia in favore delle truppe evacuanti per non essere molestate, dall’inimico, durante la loro ritirata.
Un dispaccio elettrico, giunto la sera dei 12 giugno, annunziò che Ancona e Bologna erano state sgombrate dagli Austriaci; che a Bologna si era proclamato un Governo provvisorio, di cui sono membri il conte Minghetti, il conte Pepoli, ecc. e che invocò la dittatura del re di Sardegna.
Un tale atto, troppo contrario al buon senso dei Bolognesi, viene scusato colla imprudenza commessa dal cardinale legato Milesi, il quale, non credendosi sicuro senza le truppe austriache, raggranellando pochi gendarmi, abbandonò la città con la retroguardia tedesca.
Per tali notizie, di tanto grave interesse, il S. Padre, nella stessa sera, convocò una congregazione di cardinali nella quale fu stabilito di chiedere all’imperatore Napoleone che inviasse a Bologna truppe per garantire la pubblica tranquillità e tornare all’obbedienza del legittimo Sovrano quella popolazione.
Si dice che nel giorno 10 siano partiti altri 300 volontari.
Negli scorsi giorni sono disertati dal corpo di linea 10 soldati.
Le diserzioni si estendono a Civitavecchia, Prosinone e specialmente a Pesaro e Forli.
Per ordine del Papa, è stato accordato alla gendarmeria pontificia un soprassoldo. Ciò le sarà di stimolo a mantenersi fedele al Governo.
18. — Ai 13, gli avvenimenti di Bologna furono noti a tutti ed il generale francese fece affiggere per i caffè un bollettino relativo ai medesimi, nel quale, in sostanza, si diceva che Roma ed i paesi circonvicini erano in piena tranquillità e l’ordine essere affidato alle truppe francesi, come pure la sicurtà del Papa.
Al moto di Bologna, come è noto, fecero seguito altre città e specialmente Perugia, dove quel delegato, monsignor Giordani, abbandonò il posto.
Frattanto, essendosi smentita la voce che il Papa avesse invocato il soccorso dell’armata francese, per ridurre alla obbedienza i popoli ribelli, e ciò per mantenere la neutralità, questi rimangono in balia di loro stessi e lo spirito di ribellione serpeggia alle porte di Roma.
Infatti, nella piccola Rieti, fu inalberata la bandiera piemontese e francese.
Il Governo, in tale stato di cose, ordinò che il reggimento svizzero, stanziato in Roma, partisse immediatamente alla volta di Perugia per soggiogare quella popolazione. Infatti, partì nel giorno 14 corrente, a un’ora pomeridiana. All’ora della partenza ne mancarono all’appello 70.
Presso Civita Castellana incominciarono a discutere sul loro destino. Alcuni opinavano di disertare, altri di proseguire la marcia. Vennero alle armi, vi furono varii feriti e, tra questi, un maggiore con una baionettata in una coscia.
Ieri ne giunsero in Roma quattro in arresto.
I Perugini si barricarono, si munirono di armi e sono pronti a combattere per la loro indipendenza.
All’occorrenza avanzano armati dalla prossima Toscana.
Il cardinale Milesi, legato di Bologna, fu scortato a Ravenna da 7 dragoni. Allorquando retrocedettero trovarono un Zannardi, ex-uffiziale dei dragoni, espulso dalla censura, il quale, in abiti militari, si pose alla loro testa, e, congedandosi dall’altro uffiziale, si diressero alla volta della Toscana.
Roma è spaventata dall’avvenire; ma è in calma, e, atteso il presidio francese, non teme l’anarchia.
Nel giorno 13 corrente si videro per il Corso delle carrozze provenienti dalla festa del Divino Amore18, con ornamenti e fiori bianco, rosso e verde.
Alcuni volontari, partiti per la Toscana nel giorno 14, in numero di 150, avevano il loro cappellano, e lungo la strada spiegarono la bandiera italiana.
Entrarono dovunque gridando: «Viva l’Italia, viva l’indipendenza, viva Napoleone».
I presidenti regionari, nella mattina dei 18, si recarono, secondo il costume, a complimentare il S. Padre. Ieri, essendo l’anniversario della creazione del Sommo Pontefice, il cardinale sotto Decano pronunziò il solito discorso di felicitazione. Sua Santità rispose con voce commossa, deplorando i gravi mali delle recenti rivoluzioni e dichiarò essere incorsi nelle censure ecclesiastiche gli autori delle medesime.
22. — Il generale francese seppe che nel giorno 19 corrente (domenica) alcuni individui del partito reazionario volevano mischiarsi agli esaltati, per simpatia francese, onde estendere la dimostrazione domenicale a grida sediziose di Morte ai preti, di viva il Governo provvisorio, e a innalzamento di bandiera francese19.
Il generale, immediatamente, fece avvisare i suddetti che, dove avessero osato di condurre a termine il progetto, sarebbero stati dispersi colla forza.
Intanto avvertì i soli ossequianti che si astenessero dall’accedere alla piazza di S. Luigi de’ francesi e dalla dimostrazione, tuttochè pacifica, poichè nelle loro file volevano introdursi alcuni inimici della Francia, prezzolati dalla Polizia pontificia.
Quindi adottò misure di precauzione col formare un deposito di due compagnie sulla piazza di Sant’Agostino, con aumento di altra compagnia sulla piazza di S. Luigi de’ Francesi e gendarmeria francese e colle istruzioni di disperdere assembramenti sospetti facendo, contemporaneamente, porre in movimento numerose pattuglie per la città.
La messa ebbe luogo; il generale, uscito dalla chiesa, convocò intorno di sè tutti gli uffiziali cui dette istruzioni riservate, e quindi se ne partì, salutato lungo la strada da pochi individui che passavano, indifferenti ed in buona fede. Egli corrispose con alquanta sostenutezza e con cenno di astenersi dal saluto.
Le disposizioni preventive proseguono, e molte pattuglie tengono in soggezione specialmente il rione Monti e Trastevere, da cui si crede fossero prescelti gli individui per la reazione.
Gli Svizzeri che erano stati inviati a Perugia presero rinforzi di linea e gendarmi dai luoghi di passaggio e proseguirono la marcia fino colà. Trovate le porte chiuse, barricate, e, dietro rifiuto di arrendersi, incominciarono, nel giorno 20, alle 4 pomeridiane, a far uso delle armi. Perugia dovette cedere poichè i soldati del Papa, fatta la breccia, entrarono caricando gli insorti alla baionetta. Il combattimento fu sanguinoso e durò per lo spazio di circa tre ore, nel quale si ebbero a deplorare varii morti e feriti20.
La illuminazione per l’anniversario della incoronazione del Papa si è mostrata più splendida del solito.
Però è da avvertirsi che gli esaltati, in cuor loro, la dedicarono a Luigi Napoleone, ricorrendo appunto una tale festività.
28. — Il partito reazionario, fin dai 24, sparse la voce che era giunto un bollettino della guerra dal quale si desumeva che le truppe alleate erano state costrette a fare una ritirata quasi di disfatta, con perdita di circa 40 mila soldati21.
Però, nelle ore pomeridiane dei 25, il generale francese pubblicò, col suo visto, i bollettini dei 23 e 24 da cui, invece, risultava la nuova vittoria sopra gli Austriaci e la presa di Peschiera.
Il giorno 26 partirono alla volta di Toscana altri cento volontari.
2 Luglio. — L’allocuzione concistoriale dei 20 giugno e l’enciclica, pubblicate dal giornale dei 2822, naturalmente, produssero molta sensazione.
Del resto, tutti i discorsi della città si riducono agli avvenimenti deplorabili di Perugia.
li Governo spedì colà gli avvocati Gorga e Giarè, uditori militari, per assumere processi.
Si assicura che siano similmente partiti per colà inviati inglesi e francesi per verificare parzialmente alcuni fatti addebitati alla sfrenatezza dei soldati svizzeri.
Il Monitore Toscano dei 27 giugno, contenente il rapporto compilato dal Prefetto di Arezzo sugli avvenimenti perugini, in Roma non fu distribuito.
Alcuni, però, che lo poterono leggere, riferiscono che contiene molta plausibilità (sic) e sono riportati i nomi delle vittime del furore soldatesco, tra cui sarebbero alcune monache e frati.
Il priore dei Benedettini, che sofferse anche il saccheggio, venne a Roma in deputazione; ma si assicura che non fu ricevuto dal Papa.
Ai 24 giugno circolò per Roma una lettera che si disse scritta da Vittorio Emanuele sull’accettazione del protettorato delle Romagne. La medesima fu riconosciuta apocrifa e ritirata dalla Polizia francese.
Ai 26 giugno partirono da Roma altri cento volontari.
Nel giorno 29 furono trovate affisse per la città le presenti istruzioni segrete date dal cavaliere Mazio, sostituto del ministero delle armi, al colonnello Smith, per la presa di Perugia; cioè che, purchè si raggiungesse lo scopo, si mettesse la città ribelle a ferro, fuoco, saccheggio.
Le diserzioni pontificie proseguono da Viterbo, Foligno, Pesaro. Nel giorno 30 di giugno ne furono partecipate altre 50.
I Bolognesi liberarono, dal forte Urbano, tutti i detenuti politici.
Si dice che Napoleone III, in seguito alla enciclica del Papa, abbia cambiata politica riguardo al Governo pontificio.
Si aggiunge che alcuni scellerati abbiano compilato una confutazione alla enciclica stessa e, appoggiandosi maliziosamente ai Ss. Canoni, Concilii, S. Scrittura, Bibbia, ne verrebbero a dedurre la nullità delle censure ecclesiastiche comminate, ed il Papa incorso nell’eresia. Quindi si proporrebbe uno scisma.
Diamo qui l’ordine del giorno del Sostituto del ministero delle armi al colonnello Smith:
«Il sottoscritto, come Sostituto del Ministero, dà incarico a V. S. Ill.ma di ricuperare le Provincie alla Santità di N. S., sedotte da pochi faziosi, ed è perciò che le raccomando rigore perchè servir possa di esempio alle altre, potendosi così tener lontani dalla rivoluzione. Dà, inoltre, facoltà a V. S. Ill.ma di poter fare decapitare quei rivoltosi che si rinvenissero nelle case, non che risparmiare al Governo le spese e far ricadere tanto il vitto che le spese della presente spedizione sulle provincie stesse.
«Il Sostituto del Ministero |
9. — Ai 5 corrente disertarono altri 13 dragoni pontifici. Ai sei ne disertarono altri 3. Il tenente dei gendarmi, Strinati, con 40 uomini, partirono per inseguire i disertori.
A Pesaro si stabilì una linea doganale pontificia.
Nel giorno 2 corrente, sul cantone del caffè Nuovo, fu trovato uno scritto nel quale, in sostanza, si diceva che, intanto che si rappresenta la tragedia dell’indipendenza, nel teatro della guerra, Pio IX aveva pubblicato la farsa intitolata Enciclica.
16. — Marforio, vedendo un milite svizzero avente al shako le iniziali R. E. (cioè Reggimento Estero), chiese a Pasquino che significassero. Questi rispose: «Rifiuto Europeo».
Nella mattina dei 13 si ricevette in Roma il dispaccio elettrico, contenente l’annunzio della pace, sulla base di una confederazione italiana, della quale il Papa sia presidente onorario.
Si crede, generalmente, che al Vaticano si ricuserà di accettare l’onorifica presidenza.
Il S. Collegio si riunisce quasi ogni giorno dal S. Padre.
Intanto, alcuni osservano che l’annunziata Confederazione è simile a quella che, nel 1805, aveva ideato l’abate Scipione Piattoli (Annali d’Italia, 1805, 26).
L’annunzio della pace fece una impressione sfavorevolissima anche nella uffizialità francese.
Si declamò, e si declama pubblicamente, per i caffè, contro Napoleone.
In quello sul cantone di strada Frattina, corrispondente sul Corso, condotto da Angelino Pennacchitti, detto il caffè Italiano, fu coperto, con un velo nero, il ritratto di Napoleone ed un fanatico giunse tant’oltre che, asceso sopra un tavolino, si offerse di partire per Parigi per trucidare il traditore d’Italia.
Intanto si ha notizia che Cavour, col ministero piemontese, si è dimesso.
Pasquino si è meravigliato nel vedere affisso per Roma un Avviso di uno speculatore il quale si propone, mediante certa polvere, di estirpare tutti gli scarafaggi che infestano questa dominante.
Naturalmente, credette che si parlasse dei preti.
20. — Si dice che sia stata trovata una lista di alcuni cittadini designati dai settari al pugnale.
Tra i cardinali vi sarebbero Antonelli, Della Genga, Savelli, tra i prelati lo Schiavo.
Quindi sei presidenti regionari, cioè Dandini di Campitelli, Capranica di Trevi e Pigna, Giraud di Campo Marzo, Antici di S. Eustachio e Lepri dei Monti.
Vi sarebbero, inoltre, l’assessore Dandini, Pasqualoni, aggiunto assessore, Pelagallo, impiegato all’ufficio dei passaporti.
30. — Molti, in Roma, disapprovarono la pace stabilitasi tra i due Sovrani belligeranti.
Anche nel casino francese vi furono dimostrazioni di disapprovazione. Un uffiziale spezzò la spada, un altro strappò le spalline e le gettò in terra.
Si dice, generalmente, che il Governo sia disposto ad acconsentire in parte alle proposizioni fatte.
Circola, su tale proposito, un foglio delle proposte vere o presunte che si credono presentate dal Papa, per la formazione della Confederazione italiana.
Sarebbero come appresso23:
1a Accettazione della presidenza (sotto riserva),
2a Ammissione dei Secolari a tutti gli impieghi civili;
3a Consiglio di ministri secolare e clericale misto;
4a Consiglio di Stato, organizzato sulle medesime basi di Francia. I consigli ordinari sarebbero composti di numero 15 individui, tutti secolari;
5a Camera legislativa, con voce deliberativa;
6a Consigli provinciali eletti per consigli comunali, i quali sarebbero eletti direttamente;
7a Amnistia, di cui le condizioni saranno regolate con il concorso della Francia e dell’Austria;
8a Riforma giudiziaria e promulgazione di un codice civile;
9a Percezione d’imposte organizzate come in Francia;
10a Le provincie amministrate per mezzo di governatori secolari con il concorso dei consigli provinciali, in tutto che riguarda le spese locali e la somma delle imposte.
Rapporto sulla dimostrazione funebre ai defunti nella guerra:
«Alle 8 antimeridiane di questo giorno ebbero luogo, nella Chiesa nazionale di S. Luigi de’ Francesi, solenni funerali per i combattenti defunti nella guerra della indipendenza.
» Il concorso fu immenso e riboccante da ogni parte.
Vi prese azione il solito partito degli esaltati, alcuni dei quali recarono al tumulo ghirlande e mazzi di fiori con nastri neri.
» Quindi, terminata la funzione, varii giovinastri, appressatisi al tumulo, ne baciarono clamorosamente i lembi della coltre funerea, versando lacrime di compianto a quei gloriosi trapassati.
»Però il fanatismo, giungendo tant’oltre da far barcollare il tumulo stesso, per le indiscretezze dei nuovi accorrenti, un sacerdote della Chiesa nazionale avvicinatosi alla tomba, disse loro essere colà inconveniente, nel tempio di Dio, siffatta dimostrazione quasi tumultuosa.
» Allora s’intese una voce, partita dalla massa, di «Via, basta» e tutti, obbedienti, se ne partirono.
» Frattanto un giovine, dell’apparente età di circa 24 anni, di statura piuttosto avvantaggiata, con poca barba in viso, decentemente vestito, si cavò di tasca alcuni foglietti e ne fece la distribuzione ai più devoti24.
» Il sottoscritto si affretta di rassegnare all’E. V. Rev.ma tale discarico, mentre passa all’onore di rassegnarsi pieno di ossequio e rispetto».
13 Agosto. — Si assicura, da alcuni, che nella circostanza che il generale francese si recò, non ha guari, a Civitavecchia, si presentò al medesimo una deputazione composta dei soliti faziosi Del Grande, Silvestrelli, Ferri, ecc., chiedendogli l’assenso per una dimostrazione popolare nel giorno 15, esprimente i bisogni di riforme.
Altri dicono che fosse il solito Gennaraccio di Trastevere, con i suoi seguaci, il quale divisò di acclamare il S. Padre al suo passaggio.
Pasquino diede una scorsa a Zurigo. Tornato, Marforio gli domandò se aveva nulla conosciuto sulle sorti d’Italia.
Rispose che si trovò imbarazzato perchè uno parlava tedesco ed egli non lo capiva; un altro francese e neppure. Soltanto uno che parlava l’italiano, misto a latino, diceva, tra denti, una frase che gli restò impressa, cioè: «sicut erat in principio».
20. — Da un’ultima nota della Polizia, redatta ai 10 del corrente, si hanno altri 167 disertori, tanto nel reggimento di linea indigeno, quanto in quello estero.
Da alcuni giorni si era sparsa la voce che nel giorno 15 corrente si sarebbe eccitato un tumulto.
La Polizia adottò misure di precauzione.
Richiamò, per tale effetto, in Roma qualche centinaio di gendarmi che trovavansi sparsi nella Comarca; li distribuì di rinforzo alle brigate, e, fin dal mattino, fece attivare immense pattuglie a piedi ed a cavallo, alternate da quelle dei Francesi.
Del resto, il Papa andò tranquillamente alla solita cappella a S. Maria Maggiore e la pubblica tranquillità non fu menomamente alterata.
Il cardinale Antonelli, in quel giorno, intervenne al pranzo diplomatico del generale francese. Al di lui arrivo suonarono concerti musicali.
Nella mattina il generale de Goyon passò a rivista, a Villa Borghese, le sue truppe. Nessuna acclamazione a Napoleone, profondo silenzio.
Al Casino francese si espose il solito emblema nazionale con discrete luminarie, e le sale furono vuote; ciò in contrapposto delle grandi feste che si preparano a Parigi.
3 Settembre. — Nel giorno 29 agosto, l’ambasciatore di Francia ebbe un’udienza da Sua Santità, che durò dal mezzogiorno ad un’ora e mezza.
Naturalmente, non si conosce che cosa sia stato detto e discusso.
Si suppose, però, che la sostanza sia stata di consigliare il Governo pontificio ad aderire al voto dei dominanti nelle Legazioni di avere una amministrazione totalmente separata da quella dello Stato t riserbando soltanto al Papa l’alto dominio e la rappresentanza diplomatica.
Niun indizio che il Governo acconsenta a tale richiesta.
10. — Pasquino, intesi i rapporti di Bologna e credutosi bene informato dello spirito pubblico delle altre provincie, andò a Ponte Molle e scrisse «Confine dello Stato pontificio».
8 Ottobre. — Nel giorno 1° corrente il cardinale segretario inviò un dispaccio al ministro interim di Sardegna, nel quale, accennando quanto si era operato nel corso dell’anno dai Piemontesi nelle Legazioni, conchiuse col dire che la dignità del S. Padre non permetteva che risiedesse ulteriormente presso la S. Sede un rappresentante del re di Sardegna.
Quindi si trovava nella spiacevole circostanza d’inviargli i passaporti per lui e per gli individui della Legazione.
Nella mattina del 6, dalle ore 10 antimeridiane alle 2 pomeridiane, una moltitudine di persone (alcuni le calcolarono a 12 mila) passarono all’abitazione dell’Incaricato a lasciare biglietti di visita.
Nel giorno seguente prosegui la dimostrazione, prendendovi parte anche le signore.
L’Incaricato, dicesi, partirà domani, o nel giorno 12 corrente.
15. — Nella sera degli 8 corrente la Polizia chiamò a sè circa 40 dei principali promotori della dimostrazione all’Incaricato di Sardegna, conte della Minerva, e disse loro di ritenerli responsabili di qualsiasi inconveniente si fosse verificato nel giorno susseguente, allorquando aveva luogo la partenza dell’Incaricato suddetto.
Intanto il generale francese aveva fatto, precedentemente, un suo Ordine del Giorno alle truppe, esponendo che l’Incaricato di Sardegna, prima di partire da Roma, voleva una dimostrazione di simpatia. Quindi doversi adottare misure di precauzione perchè l’ordine pubblico non venisse alterato.
Per tale effetto, ad un’ora pomeridiana del 9 corrente, varii corpi di truppe pontificia e francese occuparono la via Borgognona, dov’è la residenza dell’Incaricato e le altre adiacenti, e si formarono depositi nelle vicine piazze. Si chiusero i transiti delle strade conducenti a quella di Borgognona; si fecero chiudere il caffè Nuovo e l’altro sull’angola di via Frattina, e si vietò l’uscita dalle porte del Popolo, Angelica e Salara. Un battaglione francese fu situato sulla piazza del Popolo e due plotoni di gendarmi e dragoni pontifici al Ponte Molle.
L’Incaricato aveva fissato la sua partenza alle 3 pomeridiane, colla idea di staccare dal Corso e proseguire fino al Popolo. Quindi una moltitudine immensa aveva occupato il Corso, come in una delle più brillanti giornate di carnevale: a quella si unirono carrozze.
Però, il generale francese impose all’Incaricato di evitare il Corso ed inaspettatamente, alle 3 e mezza, la carrozza si mosse per la via del Babuino, scortata da altra in cui era un uffiziale francese, il quale andava prendendo concerti con i capi-posti dei diversi picchetti e che si appressavano più di quanto permettesse lo scopo del buon ordine e il diritto delle genti.
Pervenuto alla piazza del Popolo, alcune centinaia d’individui, al passaggio delle carrozze, rompendo le fila del cordone, si appressarono all’Incaricato, lo salutarono con levata di cappello, fazzoletti agitati in aria ed alcuni gli strinsero la mano.
Presso Ponte Molle una turba di popolo, che aveva preso posto dal mattino, all’apparire dell’Incaricato, proruppe in grida di «Viva Vittorio Emanuele, viva l’Italia», e similmente si appressò alla carrozza.
Alcuni baciarono in viso il ministro, altri gli baciarono le mani e, tra l’agitar dei fazzoletti e cappelli, assistettero alla finale partenza25.
L’Incaricato aveva seco Silvagni figliuolo del pittore, professore di S. Luca, ora defunto. Giovane, di qualche talento, si avviava all’avvocatura e frequentava lo studio dell’avvocato Mandolesi26.
Si assicura che fosse offerta all’Incaricato una scorta e che rispondesse che se era per onore egli vi rinunziava, se per individuale sicurezza non aveva di che temere, se, in fine, per scopo a lui ignoto, doveva tacersi.
Però, dopo il Ponte Molle, due gendarmi francesi ed un maresciallo dei dragoni ne scortarono la carrozza.
Si assicura che l’Incaricato, nella sera, giunto a Viterbo, trovò che la via che doveva percorrere era illuminata.
I biglietti di visita mandati all’incaricato, che, secondo alcuni si fanno ascendere a circa cinque mila e, secondo altri, a 13,800, sono stati stampati nella cartoleria Ferrini al Corso, ed il tenore è il seguente:
«All’Incaricato di Sardegna»
(nome dell’osservante)
e sotto:
P. V., interpretabile per visita, o per voto.
3 Dicembre. — Si dice che il Papa, nella sera dei 26 novembre, riunì una congregazione di cardinali per deliberare sulla convenienza di mandare o no un rappresentante pontificio al Congresso europeo. Si stabilì di partecipare all’imperatore, per mezzo del nunzio, che il S. Padre avrebbe mandato il suo rappresentante quante volte prima il Boncompagni avesse rinunziato alla pro-reggenza dell’Italia centrale, e le legazioni fossero tornate sotto il legittimo Governo.
Si assicura che alla imperatrice di Francia sia pervenuto un dono anonimo e simbolico, consistente in un magnifico smaniglio, nella cui parte superiore è il ritratto di Orsini e nella inferiore quello di Luigi XVI, ambedue decapitati.
17. — Ai 3 corrente il cardinale Savelli, presidente della Consulta per le finanze, presentò al S. Padre i Consultori che attualmente sono in Roma. In tale circostanza lesse un rapporto sugli sconcerti delle finanze, censurò principalmente, con molta energia, l’erogazione malintesa che si faceva d’ingenti somme senza scopo, come, ad esempio, di quelle erogate dalla presidenza delle armi per ingaggio.
Il Papa ne interruppe la lettura, e, oltremodo inquieto, licenziò Sua Eminenza dispensandolo di ritornare alle udienze per riferire gli affari, prescrivendogli di mandare il vice-presidente.
Si aggiunge che, nel mattino seguente, S. Santità mandasse al cardinale monsignor Berardi, invitandolo a rinunziare. Il cardinale Savelli rispose che la carica gli era stata offerta dall’eminentissimo cardinale Segretario di Stato, con preghiera di accettarla, ed ora, piuttosto che rinunziarla, preferiva di essere destituito.
Si assicura, generalmente, che abbia avuto luogo un biglietto di ringraziamento.
Intanto vennero assegnati al cardinale Savelli scudi 300, a titolo di pensione sopra la cassa dei Ss. PP. Apostolici.
Si assicura, dalle persone bene informate, che il cardinale Antonelli, ai 28 del corrente, partirà per il congresso europeo sulla corvetta pontificia, conducendo seco monsignor Guidi e il cav. Sabatucci, impiegato nella segreteria di Stato. Altri dicono che porterà Barluzzi e Massani.
Si aggiunge che qualora il Piemonte scegliesse per rappresentante il conte Cavour, in tal caso il Governo pontificio si asterrebbe di mandare qualsiasi rappresentante.
Nella sera degli 11 corrente un Nolè, giocoliere francese, agì nel teatro Metastasio, facendosi bendare gli occhi e leggendo, con vera sorpresa, alcuni scritti che, in dieci lingue, gli presentavano gli spettatori.
In uno fu scritto «Viva Napoleone III, viva Vittorio Emanuele II». Il giocoliere lesse senza difficoltà come nelle altre lingue straniere ed il pubblico, a tale lettura, proruppe in fragorosi applausi.
Si disse da alcuni che il cardinale Antonelli portasse seco al Congresso Monsignor Barili (Nunzio di Madrid). Pasquino lo seppe e disse: «Parte con barili e torna con fiaschi».
21. — Nel giorno 20 del corrente, tornò a Roma il Papa da una villeggiatura di pochi giorni, fatta a Castel Gandolfo.
Pasquino, senza saperne la ragione, vide alcuni arazzi per le strade conducenti al Vaticano e ne domandò schiarimenti a Marforio.
Questi gli rispose: «Vi è una festa». Pasquino cercò nel calendario; ma nulla trovò ed insistette perchè gliela accennasse. Allora gli rispose: «Sì fa la festa degli agonizzanti».
Note
- ↑ Di questa splendida dimostrazione abbiamo già parlato nella parte storica del presente lavoro.
- ↑ Crediamo che tra coloro che applaudirono il generale francese fosse bensì il duca Lorenzo Sforza Cesarini, uomo di sensi liberali, ma non già il duca di Sora, schierato nel campo avverso.
- ↑ Quanto s’adoprasse, in quei giorni, Luigi Silvestrelli per la causa nazionale, di cui sì mostrò sempre tenerissimo, già abbiamo detto nella prima parte del presente lavoro.
- ↑ I volontari ricevevano, dal Comitato nazionale, il denaro che loro occorreva per giungere al confine toscano e che veniva raccolto dal Caporali, dal Saraceni e da altri caldi patrioti.
- ↑ Quanto narra qui il Roncalli non è vero; non furono mal fatti discendere i viaggiatori dai vagoni perchè vi salissero i volontari.
- ↑ È il proclama del 29 di aprile, 1859, con cui Vittorio Emanuele annunziò ai Popoli del Regno, che l’Austria li assaliva.
- ↑ Come ben ai capisce, erano voci che facevano correre i clericali: Napoleone III da Genova andò subito ad Alessandria.
- ↑ Del cardinale De Andrea avremo occasione di dire più avanti.
- ↑ Il signor Annibale Santangeli, che sorvegliava, pel Comitato nazionale, alla partenza dei volontari, ci assicura che questi non parteciparono mai, in quei giorni, a banchetti o ad altre feste, e che non fn mai sentito il grido di «Viva la repubblica», come racconta più avanti il Roncalli.
- ↑ Tutto ciò è falso; i volontari non furono mai accompagnati da sergenti francesi, o dalla banda, nè fecero mai le pubbliche dimostrazioni delle quali parla il Roncalli. Ogni cosa procedeva seriamente e tranquillamente.
- ↑ I bollettini della guerra, per mezzo dell’Agenzia Stefani, arrivavano al Comitato nazionale prima che alla Segreteria di Stato, ed esso li diffondeva tra i cittadini e li faceva affiggere nei luoghi pubblici.
- ↑ S’aggiunga: «e a Vittorio Emanuele». Per maggiori notizie intorno a questa dimostrazione, tanto onorevole ai romani, vedasi la prima parte del nostro lavoro.
- ↑ Per ciò che narra qui il Roncalli rimandiamo il lettore alla nostra nota a pagina 325.
- ↑ Non sono più i settarii, i giovinastri che manifestino le loro opinioni liberali, è la popolazione romana che festeggia il trionfo della libertà. Ma tra i viva di quella sera non se ne intese certo alcuno per Pio IX, come narra qui appresso il Roncalli.
- ↑ Cioè, principe D. Placido Gabrielli, Ippolito de’ principi Ippolito Ruspoli, Luigi Mastricola, Annibale Santangeli, ai quali vanno aggiunti i nomi di Luigi Silvestrelli e del marchese Angelo Gavotti.
- ↑ Si aggiunga: «ed italiani».
- ↑ Fu poi maggiore di cavalleria nell’esercito italiano ed ufficiale di ordinanza di Vittorio Emanuele.
- ↑ È una festa che si fa in Roma, il giorno dopo la Pentecoste, fuori di Porta S. Paolo.
- ↑ Leggesi, scritto in margine dallo stesso Roncalli, «che sembra incerta la notizia»; ma a che, allora, tutti i provvedimenti militari del generale francese, dei quali parla poi il Roncalli stesso? Noi abbiamo già notato altrove come la polizia pontificia cercasse far nascere disordini tra le tranquille dimostrazioni dei romani, e di ciò il Diarista ci offre qui assai chiara prova.
- ↑ Il lettore conosce come fossero barbaramente trattati i perugini dalle milizie mercenarie del pontefice.
- ↑ Questa notizia della sperata sconfitta dell’esercito alleato, che aveva la sua origine nei segreti apparecchi che faceva l’esercito austriaco per sorprenderlo, notizia che per poco non si avverò, era stata sparsa in tutta Italia, onde i nemici della nostra indipendenza mostravansi ovunque gongolanti. E l’imperatore d’Austria era così sicuro di vincere che aveva dato l’ordine che gli si preparasse un treno per recarsi a Milano nella sera del 24.
- ↑ Giornale di Roma. L’allocuzione e l’enciclica si riferiscono alla insurrezione delle Romagne e vi è ricordata la scomunica che colpisce chi si adoperi contro il potere temporale dei papi.
- ↑ Quali fossero le proposte fatte da Napoleone III al pontefice, di poco dissimili da quelle che riferisce il Roncalli, narra Nicomede Bianchi nella sua Storia documentata della diplomazia europea, VIII, 380.
- ↑ Era un’orazione funebre francese, in cui si commemoravano gli alleati caduti nella guerra per la indipendenza italiana.
- ↑ Il Comitato nazionale, dubitando che la indignazione dei romani per la grave offesa recata al governo di Vittorio Emanuele e per le disposizioni severissime date dal conte Goyon, quando ebbe notizia della dimostrazione che si preparava, facessero nascere disordini, pregò, per mezzo di Giuseppe Checchetelli e di Angelo Tittoni, il conte Della Minerva a voler anticipare di due ore la sua partenza. Vi aderì questi; ma ciò dispiacque assai agli abitanti di Trastevere, delle Regole, di Borgo e dei Monti, i quali, non potendo partecipare alla dimostrazione, se ne dolsero forte col Comitato stesso. Tuttavia, gli abitanti degli altri quartieri di Roma cominciarono presto ad affluire, pel Corso verso porta del Popolo. A tal vista, il Goyon, montato in gran furia, mandò per nuovi rinforzi, e, quando giunsero, dal balcone del palazzo Ruspoli, ove abitava, veniva gridando loro: «Repoussee avec la force». Ma l’immensa folla accorsa, prima che i francesi vi si schierassero, occupò lesta la piazza del Popolo e le sue adiacenze, sicchè all’arrivo del ministro sardo, i gradini delle chiese di Montesanto, dei Miracoli, di Santa Maria del Popolo ed i grandi loggiati del Pincio erano stipati di gente, che, sventolando i fazzoletti proruppe da ogni parte, nelle grida di «Viva l’Italia, viva Vittorio Emanuele» e fece voti pel felice viaggio e pel prossimo ritorno del conte Della Minerva.
- ↑ Il Silvagni, che accompagnò il conte della Minerva, era Davide, autore di una pregevole opera intitolata: La Corte e la Società romana nei secoli XVIII e XIX (Roma, fratelli Bocca, 1881-83) e di altri scritti politici e letterari, nipote e non figlio del cav. Silvagni, che fu pittore e preside dell’Accademia di S. Luca.