Storia della vita e del pontificato di Pio VII/Libro I - Sommario I

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Storia della vita e del pontificato di Pio VII Libro I - Sommario II

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LIBRO I.


SOMMARIO.

Origine della famiglia Chiaramonti: nascita di Barnaba. Sua prima educazione: dà il suo nome alla congregazione benedettina casinese: studi fatti, catedre e uffici sostenuti in religione. È inviato in Roma. Eletto per breve abate, torna in Cesena ove è visitato da Pio VI. Reduce nella capitale, trionfa delle opposizioni degli emuli. Consacrato vescovo di Tivoli si fa difensore delle episcopali prerogative: eletto cardinale e vescovo d’Imola va ad occupare quella sede. Sua condotta: insigni opere di pietà da lui eseguite. La sua mansuetudine è eguale al suo coraggio. Invasione dei francesi. Vicende d’Italia: calamità dello stato pontificio e del papa. Chiaramonti salva Imola da suprema sventura. Gli comanda Pio VI di recarsi in Roma. Dolorose condizioni in cui trova la capitale. Trattato di Tolentino. Suo ritorno in diocesi. Parla al popolo parole di pace in una omelia dai malevoli giudicata troppo severamente. Si versa sangue francese in Roma: conseguenza l’invasione e la successiva repubblica. Pio VI ostaggio in mano ai soldati di Francia è condotto in Valenza, ove muore. I cardinali si adunano in Venezia per i comizi solenni. Vi giunge Chiaramonti, giovandosi dei mezzi offertigli da un amico. Consalvi pro-segretario del conclave dopo vari dibattimenti persuade i cardinali ad eleggere Chiaramonti. Esulta il mondo cattolico. Assume il [p. S1 modifica]nome di Pio VII. Intima in Venezia il primo concistoro. Onori a lui resi dalla città e dai sovrani cattolici. Visita Padova e i dintorni della laguna. Accompagnato da vari cardinali s imbarca sulla fregata austriaca la Bellona, e dopo perigliosa navigazione entra in Pesaro. Visita Fano, ove celebra funebri uffici a sua madre. Muove per Roma, seguendo la via di Ancona, di Loreto, di Macerata. Spedisce tre cardinali a prender possesso della capitale. È festeggiato ovunque dai popoli, che vanno ad incontrarlo. Giunge a Roma, ove è ricevuto con sentimenti di amore e di tenerezza, e applaudito da ogni ordine di cittadini.

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I. Pretende la famiglia dei Clermont Tonnerre di Francia derivar da lei quella dei Chiaramonti sino dal secolo XV stabilita in Cesena. Allorchè l’immortale pontefice, di cui prendiamo a descrivere i fasti, fu sollevato alla catedra di s. Pietro molti dotti si fecero ad investigare l’origine di questa nobilissima prosapia. Si frugarono pubblici e privati archivi, si consultarono antichi autori, si tenne conto delle istorie municipali, delle tradizioni per decidere se la famiglia dei Chiaramonti dovea tenersi fra quelle, che diconsi originarie italiane, o fra le molte per vicende di guerra o per altre cause venute a noi e fatte nostre da lungo correre di anni, da maritaggi contratti, da uffici cittadini e da pubbliche cariche sostenute. Varie furono le opinioni: si negò l’affinità dei Clermont1, per farla derivare da un tal Dalmasio guerriero cristiano, che prima del 1000 conquistò nella Catalogna un castello detto di Claramonte, da cui prese il nome2: altri, e con più ragione, la vuole originata [p. 6 modifica]da Enrico de Chiaramonte, che perseguitato da Filippo l’audace riparò in Italia, si pose agli stipendi di Carlo I l’angioino, quindi di Pietro III l’aragonese3: si disse infine discendere da quel conte Manfredo di questo nome e di origine Catalana venuto in Italia nel secolo XIV e fatto ammiraglio di Sicilia4. Comunque sia, basta consultare le memorie storiche di Cesena per convincersi che antica e nobilissima è questa famiglia, dappoichè Ludovico Chiaramonti fu vicario imperiale in Romagna, Scipione senatore e cavaliere di s. Stefano, Cesare, Giacinto e Francesco giureconsulti di alta rinomanza, Scipione filosofo e matematico insigne5. Queste glorie per altro sono ben lievi a fronte di quella, che gli aggiunge l’aver dato alla chiesa un invitto pontefice, che, posto dalla provvidenza sul soglio del Vaticano in tempi difficilissimi, mostravasi impavido sostenitore della fede, dei diritti del sacerdozio, della maestà dell’impero.

II. Sedea sulla catedra apostolica Benedetto XIV quando in Cesena dal conte Scipione e dalla n. d. Giovanna Coronata dei marchesi Ghini il dì 14 Agosto 1742 nacque quel Chiaramonti, che divenne quindi la delizia e la meraviglia del mondo, perchè compendiò in se stesso il coraggio, la magnanimità e la costanza dei pontefici predecessori. Nella parocchia dei ss. Giovan Battista e Severo fu levato al fonte battesimale dal sacerdote Matteo Luchini vicario curato della [p. 7 modifica]chiesa catedrale di quella città: gli s'imposero i nomi di Barnaba, Nicola, Maria, Luigi. Cresciuto negli anni, trovò in seno alla numerosa famiglia sublimi esempi di virtù e di pietà cristiana6. Si addestrò fanciullo a seguir le orme onorate dei suoi maggiori e fece presagire sino dalla sua prima età, che a grandi cose lo serbava la provvidenza. Vegliò la tenerezza materna sul fanciullo e nulla ommise perchè questa tenera pianta produrre dovesse col tempo quei frutti di soavità che sono sempre la conseguenza di una cristiana educazione7.

III. Segnava appena Barnaba il secondo lustro quando i genitori lo inviarono al collegio dei nobili in Ravenna ove, iniziandosi negli studi di belle lettere, mostrò chiaramente che ad un ingegno non molto elevato è alto compenso la fatica e lo studio. Segnalandosi sugli altri, meritò giovanetto la considerazione dei superiori, l'amore dei suoi congiunti. [p. 8 modifica]Giunto all'età di sedici anni, decise di consacrarsi al signore vestendo le lane dell'inclito patriarca dell'occidente, che un nome di più aggiunse per esso ai moltissimi, che rendono venerando ed illustre quest'ordine benemerito della chiesa, delle lettere e delle scienze. Ricevuto novizio nel cenobio di s. Maria del Monte della vicina Cesena, dopo un anno di prova, emise i voti solenni, il nome di Barnaba cambiò in quello di Gregorio e saggio, modesto, affabilissimo tutti gelosamente rispettò e mantenne i doveri imposti ai figli di san Benedetto. Avvenuta la sua professione il di 20 agosto 17588, in quell'anno istesso, onde dar opera agli studi, lasciò il giovane cesenate quella famiglia cenobitica per trasferirsi al monistero di s. Giustina in Padova, città illustre e fiorente per discipline scientifiche e letterarie.

IV. Ma non era a Padova, ove lo attendeva la provvidenza, sempre mirabile, sempre grande nelle sue opere. Roma, che dovea più tardi onorarlo vicario di Cristo, vide entrare il giovane Chiaramonti nel monistero di s. Calisto, nominato a voti concordi alunno del primo elencato. Nella capitale del mondo cattolico, sotto gli occhi dei supremi moderatori della congregazione Casinese, si segnalò per la soavità dei costumi non meno, che per i progressi segnati nello studio delle scienze. Compiuto il corso filosofico e teologico diede prima buon conto di se in pubbliche conclusioni, andò quindi lettore di teologia nel monistero di s. Giovanni evangelista in Parma. Giusto estimatore dei suoi meriti il padre Cavalca abate di reggimento, lo chiamò a Roma per affidargli la educazione dei giovani alunni del convitto benedettino. Mentre disponevasi a lasciar Parma l'abate Sisto Rocci preside delle scuole, nell'accomiatarsi da lui, disse rivolto ai monaci che gli facevano corona: va questo giovane lettore in Roma a gettare le fondamenta del suo [p. 9 modifica]futuro cardinalato: vatidiche voci che la fama ha raccolte, e hanno confermato gli eventi.

V. Compiva l'anno trentesimo terzo dell'età sua il Chiaramonti quando cinse la pontificia tiara Pio VI suo concittadino e congiunto. Nei generali comizi dell'ordine celebrati nel 1775 fu nominato lettor teologo nel collegio di s. Anselmo: ebbe titolo di priore e per sei anni sostenne la cattedra di diritto canonico con l'impegno istesso, con cui avea anteriormente dettata filosofia ai giovani studenti nel convento di s. Paolo extra moenia. Rigido osservatore delle monastiche regole, lodato istitutore della gioventù, stretto con vincoli di affinità al regnante pontefice, pareva che tutto sorrider dovesse al virtuoso claustrale. Eppure ad onta dell'amabilità del suo carattere e delle sue virtù cenobitiche non gli mancarono afflizioni ed angustie, che talvolta lo spirito dell'invidia in quei luoghi penetra e si diffonde, che dovrebbero aprirsi soltanto alle dolci effusioni di carità. Gli s'imputava a colpa l'avere con qualche libertà disapprovato il rigore tenuto dai superiori con i loro subordinati: calunniando l'eccellenza della sua indole sempre proclive a dolcezza, si disse preso dal desiderio di dominare: chiarivano i tempi la sua innocenza: la premiava Pio VI. Per metterlo al sicuro dagli altrui bassi maneggi, impose il papa all'abate di s. Calisto Carocci di dichiarare abate il Chiaramonti ; ma avendo questi rispettosamente esposto, che noi potea, senza derogare alle regole della congregazione benedettina, il pontefice da se stesso con breve segnato il 1787 gli conferì questa dignità. Tornò in Cesena abate del monistero di santa Maria del Monte, ove aveva emessi i primi suoi voti e vi dimorava ancora nel 1782. Vide due volte transitare per quella città il papa quando recavasi e tornava da Vienna d'Austria9. Volle [p. 10 modifica]parlargli: fu ricevuto. Può credersi il Chiaramonti non molto soddisfatto della sua destinazione in Cesena, dappoiché interrogato dal papa se vivea tranquillo in quel monistero, rispose, ardentemente desiderare il ritorno in Roma, meglio consultore di qualche congregazione, che abate in santa Maria del Monte10: altre cose dichiarava sommessamente al papa, che l'udiva in silenzio, ma era evidentemente colpito dalla vivacità dei suoi modi e da quella santa modestia che non accusa, ma si difende. Promise visitare il dì seguente il monistero: stessero i monaci preparati a riceverlo: e quando, accolto dai religiosi, si degnò ammetterli al bacio del piede, anzi che recarsi nell'appartamento dell'abate di governo, scelse a bello studio le stanze tenute dal Chiaramonti: che volea Pio VI da se stesso verificare ciò che il dì innanzi aveagli il suo congiunto con franca ingenuità dichiarato: sovrana degnazione, che fece travedere essere il monaco casinese serbato a più alti destini. In tal modo per arcano decreto di provvidenza si vide sotto un medesimo tetto e in condizioni tanto diverse il sommo pontefice e l'immediato suo successore11.

VI. Restituivasi in Roma Pio VI: lo seguiva poco dopo l'abate Chiaramonti, che andò a stabilirsi in s. Paolo fuori [p. 11 modifica]le mura ove, lasciato in una quasi inazione, ebbe vaghezza di disporre la domestica biblioteca e arricchirla di nuovi libri. Amò quella solitudine a segno di passare l'intera estate in quel luogo, d'onde sì allontanano i monaci al sopravvenire del caldo, infesto sempre per i miasmi, che si sviluppano nell'agro romano. Tutti coloro, che scrissero di Pio VII narrano concordemente, che le persecuzioni durarono ostinate ed intense in modo che a chi domandò al papa, che fosse l'abate Chiaramonti allontanato da Roma, rispose volerlo anch'esso efficacemente: avere anzi date disposizioni allo scopo. La sacra congregazione dei vescovi e regolari chiariva il di appresso il segreto della volontà sovrana, che lo togliea alla vita cenobitica, chiamandolo al vescovato di Tivoli: la promozione avvenne l'anno 1783. Leggo, che pentiti i monaci della lunga guerra mossa all'ottimo religioso, dissero parole di pace e spinsero a tanto la cortesia da voler dichiarare in iscritto ingiusta e calunniosa la persecuzione sofferta: umiliazione dal Chiaramonti ricusata costantemente.

VII. Ed eccolo fatto libero dalle ambagi e dai disgusti che l'amabilità del suo carattere e le sue virtù erano ben lontane dal provocare. Consacrato vescovo nella chiesa di s. Ambrogio dal cardinal De Zelada, diresse il dì 10 gennaro 1783 lettera pastorale al clero e popolo Tiburtino, giudicata bellissima per sublimi e generosi concetti12. Fu accolto in Tivoli il nuovo eletto come dono di [p. 12 modifica]provvidenza, e tale veramente mostravasi quando ordinava con raro accorgimento la sua diocesi, promovea a cariche distinte uomini onorandi, vegliava alla istruzione dei giovani studiosi. Valse una circostanza a mettere in luce quella energia di carattere che avremo occasione di ammirar tante volte. Eragli riferito, che sulle mura dell'episcopio, e sulle pareti della cattedrale Tiburtina un venditore di stampe e di libri devoti avea collocato fra varie incisioni un ritratto di Clemente XIV sotto cui impropriamente leggeasi l'attributo di beato. Si turbò Chiaramonti, ne scrisse al padre Mamachi, maestro dei ss. palazzi apostolici13, mandò nel tempo stesso per un suo domestico l'ordine di toglier la stampa: rifiutavasi il venditore di obbedire al vescovo, dicendosi autorizzato da altri14. Incontrò ingiuste opposizioni: adiva però la curia e i suoi diritti erano sostenuti dalle congregazioni romane. La fermezza spiegata in questo incontro piacque al pontefice; fu dai cardinali lodato il contegno di un uomo, tanto di se non curante quanto energico propugnatore della dignità episcopale.

VIII. Un fratello del Chiaramonti, il conte Gregorio, educato nell'accademia ecclesiastica, ove fu ricevuto a di lui preghiera, avea dichiarato al nepote del papa monsignor Braschi, non sentirsi inclinato alla prelatura: volere abbandonar l'accademia e viver celibe. Fu ventura; che da quel tempo si fissarono in lui gli sguardi di Pio VI, che [p. 13 modifica]stabilì in cuor suo di promuovere il vescovo Tiburtino. Per la morte del cardinal Gian Carlo Bandi , zio materno del pontefice e vescovo d'Imola, fu il Chiaramonti nel concistoro tenuto il dì 14 febraro 1785 promosso a quella sede, della quale prese possesso per procura dopo sei giorni. Questa degnazione sovrana venne giudicata da tutti non favore di nepotismo, ma premio dovuto alle virtù dell'eletto. Nell'istesso concistoro era egli creato cardinale di santa chiesa dell'ordine dei preti col titolo di san Calisto. Corse la lieta novella a Cesena, a Padova, a Parma, che ne festeggiarono l'annuncio: esultò tutto l'ordine benedettino; nella chiesa abaziale di s. Procolo in Bologna si celebrò con superbo apparato la promozione del Chiaramonti; su tutti si distinsero in Imola i frati di s. Domenico. Tivoli però, che l'ebbe vescovo due anni e due mesi e che aveva ammirato in lui sincera umiltà, zelo apostolico e candore di animo, amaramente si afflisse, ne alla sua perdita era per essa bastante compenso vederlo fregiato della porpora romana e destinato a reggere più vasta diocesi che non era la Tiburtina. Dolcissimi pertanto furono i distaccamenti: quelli di un padre, che si allontana dai figli. Da Roma inviò al clero e al popolo d'Imola una lettera pastorale, in cui unito ad una profonda dottrina lasciò travedere quello spirito di modestia, dal quale era profondamente animato.

IX. Il giorno 12 agosto 1785 preceduto da fama onorevole e bella il cardinal vescovo Chiaramonti venne in Imola incontrato e acclamato da ogni ordine di cittadini. Giunto alla cattedrale parlò parole di benevolenza e di carità: disse esser egli tutto per tutti, disposto a dar la vita pei suoi. Lodò Pio; se chiamò immeritevole della dignità, a cui l'aveva innalzato, ma pronto a qual siasi sacrificio per lo adempimento dei suoi doveri: toccò dei tempi tristi, e dei tristissimi che si andavano addensando sul gregge di Cristo: infine chiedendo l'assistenza del clero, pregò la pace, la concordia scambievole, benedì al nuovo gregge. Per conoscer quindi da vicino e provvedere efficacemente ai bisogni di sua diocesi: giusta i doveri imposti ai vescovi [p. 14 modifica]dal concilio di Trento15, con paterna sollecitudine intraprese la sacra visita. Mosse il giorno 19 aprile 1786 dalla cattedrale e quindi ad una ad una visitò le borgate, i castelli soggetti alla sua episcopale giurisdizione, portando ovunque le consolazioni e le provvidenze consigliate dalla carità e dallo zelo. Le fatiche, gl'incomodi, i pericoli disprezzò con coraggio apostolico, né fuvvi in diocesi luogo aspro o paludoso, ove non si diffondessero per la presenza del vescovo spirituali e temporali vantaggi. Provvedeva da un lato ai bisogni delle varie chiese, ai reclami del clero e del popolo, diffondeva dall'altro elemosine ai poveri, rimoveva gli scandali e le cose del culto avvantaggiava mirabilmente. E qui è luogo a ricordare sommariamente varie delle moltissime cose operate in Imola dal Chiaramonti durante il decennio del suo memorabile episcopato: e più certamente avrebbe egli fatto se meno calamitosa volgeva l'età, in quella parte specialmente dei domini pontifici prima delle altre agitata e sconvolta dalla invasione francese16.

X. La chiesa di Castel Bolognese da altri incominciata e da lui condotta a termine, quella dei Badiani edificata dalle fondamenta sarebbero perenne monumento di animo generoso se ad altre e più memorabili opere noi serbava la provvidenza. Intese l'animo suo a migliorare le condizioni di Lugo: rese più vasto l'ospedale civico, dotò di asilo le giovani orfane; a proprie spese perfezionò la chiesa di s. Maria della regola , la consacrò insieme a quella dei padri Carmelitani. La parrocchia di S. Lucia trasferì nella chiesa di s. Bernardo per servire al decoro; e altre non [p. 15 modifica]poche opere condusse a lodevole termine. Deve la diocesi d'Imola al cardinal Chiaramonti un maestoso edificio destinato alla cristiana e letteraria educazione dei nobili alunni: fondò ad uso dell'ospedale e dei poveri una farmacia: di una tipografia dotò il seminario dei chierici e fece cose utili e mirabili in modo da chiamare su lui le benedizioni del paese confidato alle amorevoli e paterne sollecitudini di un vescovo, che intende con assiduità e con coraggio alla felicità del suo gregge. Belle prove di animo conformato agli alti disegni della provvidenza! Quasi appendice alla città, portò a perfezione il grandioso edificio incominciato dal cardinal Bandi che gl'intelligenti dell'arte dissero magnifico ed elegante per vastità e per ben ordinato disegno. È aperto agl'infermi e convalescenti: ivi convengono e sono accolti i pellegrini che visitano il santuario Lauretano e Roma: è ricovero ai proietti, ai dementi, stanza agl'impiegati dell'amministrazione: e a tutto questo, che non è poco, aggiungansi i reclusori per le filatrici, pei lavori delle giovani proiette, per le fanciulle orfane dei genitori: più, granai, magazzini, stenditoi, cantine e infine una chiesa e un cemetero: edificio utile ed imponente, degno d'abbellire una capitale17. E per dar opera a tante lodevoli imprese e per soccorrere i poveri, dei quali fu sempre amorevole padre, il cardinale Chiaramonti non dubitò privarsi delle sue suppellettili preziose. S' ebbe meritato compenso la riconoscenza della sua Imola, l'amor del pontefice, la stima e la riverenza di tutti.

XI. E ciò per quanto riguarda la prosperità materiale di un paese da lui amato di quell'amore , che il tempo e le circostanze rendono più energico e vivo. Umile, [p. 16 modifica]moderato in tutte le azioni della vita, si armò sempre di eroico e santo coraggio quando vide in qualche modo o compromesse o attaccate le prerogative della sua chiesa18. Pretendeva il cardinal Spinelli legato di Ferrara esercitare la sua giurisdizione in certe terre formanti parte della diocesi imolese. Chiaramonti con quello spirito di mansuetudine e di modestia, da cui vedremo informate tutte le sue azioni, volle sulle prime persuadere il collega a desistere da quell'atto arbitrario: e poiché vide inutili le rimostranze, senza rinunciare alla moderazione, parlò da vescovo: sostenne i diritti della sua chiesa: energiche furono le difese: immediato il riparo.

XII. Ed appunto da quest'epoca segnano il loro principio le dure prove e crudeli, che consumarono dolorosamente la vita dell'immortale Pio VI e collocarono nel punto più culminante la gloria del mansueto e magnanimo di lui successore. Discorrerò sommariamente i fatti che si congiungono alla nostra storia. Lo spirito filosofico, che avea preparati in Francia i mali e fomentate le discordie e le stragi che hanno tristamente contrasegnata la fine del secolo XVIII raccoglieva il frutta delle sparse dottrine. La repubblica di Francia bagnata di sangue dopo aver rovesciati gli ordini sociali, violate le leggi umane e divine, uscita in armi, prese a minacciare l'Europa. L'Italia divisa nelle sovranità e negl'interessi, indifesa dalla parte delle alpi, era facile a conquistarsi. Sino dal principio della rivoluzione Mirabeau avea gridato, doversi invadere la ricca penisola per ristorare le finanze di Francia19: il rio [p. 17 modifica]consiglio non andò perduto per uomini fieri ed audaci. Senza seguir le mosse dell'esercito repubblicano, o il successivo irrompere delle armi e peggio delle idee, diremo che le Provincie italiane altre si conservavano neutrali, altre erano in guerra, altre né dall'una né dall'altra parte inclinavano, ma aspettavano trepidanti gli eventi. Perdea il re di Sardegna la Savoia e la contea di Nizza: scendeva Napoli agli accordi, fuggivano dalla Corsica atterriti gl'inglesi, erano due eserciti imperiali poco men che distrutti. Cause che contribuirono a formar la rovina d'Italia e il trionfo delle armi francesi: la battaglia di Montenotte, la presa di Ceva sul Tanaro, l'ingresso in Mondo vi città alle falde delle alpi, il fatale armistizio di Cherasco, la pace segnata dal re sabaudo20 la ritirata degli austriaci al di là del Po. Lacrime e sangue sparse la povera Italia e non giunse a scongiurar la tempesta! Nel 1796 le sorti erano fermate: occupata l'Insubria e le regioni limitrofe : invasa Bologna e Ferrara, il resto dello stato pontificio e Roma istessa versante in gravi pericoli.

XIII. A Saliceti montagnardo e rivoluzionario dei più ardenti, commissario di guerra e a Bonaparte capitano supremo a ventisette anni, già formidabile per riportate vittorie, scrivea il direttorio: minacciasse Roma: ragioni di guerra la uccisione di Ugo Basville21, il rifiuto di [p. 18 modifica]ricevere ministro di Francia Segur, i funerali ordinati a Luigi XIV, la promozione alla porpora del prelato Maury, il passaggio accordato alla cavalleria napolitana per gli stati romani: questi i motivi apparenti: i segreti, odio alla religione, desiderio di porre le mani sulle ricchezze o vere o sperate di Roma. Evidente è l'assurdità di queste accuse, né debito dello storico è il confutarle 22. Leggo, che Bonaparte nei suoi provvedimenti andava segretamente dicendo, doversi abbattere la vecchia volpe 23, (cosi irridevasi al venerando Pio VI) e punire chi facea voti per la prosperità della casa d'Austria. Nella chiesa di s. Petronio, egli volente e promettente di chiamare in vigore le antiche franchigie e privilegi, adunavansi in comizi solenni il giorno quattro dicembre 1796 i rappresentati del popolo: a voti concordi eletto presidente l'avvocato Aldini, s'intuonò l'inno ambrosiano, le campane suonarono a festa, le milizie urbane sorsero in armi, si udirono canti e suoni e grida di pazza gioia: solite intemperanze degli Italiani. L' Aldini disse aver il popolo bolognese conquistata la sua libertà, accettata la costituzione. Ferrara emulando Bologna bandiva [p. 19 modifica]repubblica: spediva Oratori al generale francese per render grazie, a Milano e per far causa comune. Con la rapidità del baleno diffondevasi nell'Emilia il movimento: le idee francesi propagavansi, si concitavano gli animi: scrivea Bonaparte al direttorio: i popoli Cispadani serbati a grandi destini. Ai comizi di Bologna tenne dietro il civico congresso di Modena, più tardi di Reggio. Così nascea la repubblica Cispadana. Intanto crescea afflizioni a Roma, e speranza ai fautori di novità il rinforzo di meglio che ottanta mila uomini giunti sulla travagliata penisola dai confini di Spagna, in conseguenza della pace segnata a Basilea fra il re cattolico e il direttorio di Francia24.

XIV. Tali correvano le sorti d'Italia: sola speranza ai principi e supremo bene ai buoni restava la pace: questa ad ogni patto domandavano al vincitore. Già Napoli, Sardegna e Toscana aveanla, ma o non sicura, o a poco onorevoli condizioni. Tentava Pio VI ottenerla per lo stato romano col mezzo del Manfredini ministro di Ferdinando III, quando Miot agente francese risposegli avrebbe la Toscana fatto molto se provvedeva a se stessa. Tremende parole, che scossero il Manfredini, il quale da mediatore dell'altrui, fattosi difensore della causa propria, recavasi in fretta a Bologna per trattare con Bonaparte25. L'apparente [p. 20 modifica]tranquillità del generale francese ingannò il ministro del gran duca, che si tenne sicuro e la sua fidanza trasfuse in altri. Caduto nella rete, nol vide che quando il duce di Francia si tenne in mano Livorno26. Con estesi poteri precipitavasi, inviato del papa per trattare la tregua, il marchese Antonio Gnudi, sostenuto dai buoni uffici del cavalier Niccola de Àzara ministro di Spagna presso la santa sede. Fu conchiusa a caro prezzo la tregua li ventitré giugno 1796: duri gli articoli, ma indispensabili. Erano in Bologna segnatari Gnudi e Azara per Roma; Bonaparte, Garrau, Salicéti per Francia. Annunciandolo al direttorio il comandante supremo scrivea: poteasi sperare di più, non averlo conseguito per colpa dei negoziatori. Dieci articoli comprendevano la somma dei patti: il possesso delle legazioni di Bologna è Ferrara; la cittadella di Ancona con artiglierie e provvisioni, la cessione di cento capolavori di arti, e di 500 manuscritti a scelta dei commissari; il pagamento di vent'uno milioni di lire francesi; il diritto d'imporre contribuzioni in Bologna, Ferrara e Faenza27. Roma, che non ebbe a [p. 21 modifica]lodarsi della mediazione spagnola28 spediva a Parigi negoziatori di pace che nulla ottennero.

XV. L'ordine degli eventi ci trasporta sull'Emilia d'onde il vescovo d'Imola Chiaramonti di se non temente, sollecito della salute del proprio gregge, non volle allontanarsi per proteggere con la voce e con gli scritti la religione e la fede, e gettar così le fondamenta di sua futura grandezza. Mentre in Roma e nello stato facevansi enormi sacrifici per soddisfare ai duri obblighi contratti per l'armistizio, pesavano su noi nuove sciagure: la pace era un bisogno, impossibili i patti per conseguirla. Il bersagliato Pio VI non dovea, non potea cedere alla esorbitanza delle domande: voleansi dal direttorio chiusi i porti agl'inglesi, negato il passo ai nemici, aperto ai francesi: voleasi la rinunzia a Ferrara, a Bologna, a Benevento, Castro, Ronciglione e Pontecorvo: esigevasi dal pontefice revocati gli atti emanati dall'ottantanove per le cose di Francia e ordinate pubbliche preci per la incolumità della repubblica. Dissentirono i cardinali, si ruppero le trattative. Diriggeva intanto il santo padre un breve ai principi, invitandoli a sostenere gl'interessi della religione: grave per anni soggiungeva, darebbe esempio di costanza ai popoli e ai re. Magnanimo, tenne la sua parola. Il cardinal Chiaramonti, che in tempi tanto calamitosi, e in tanto tumulto di armi avea con l'affabilità dei modi frenato l'impeto dei vincitori, e resi più umani, o meno esigenti verso il paese, che andavano occupando29, vide con profondo dolore i [p. 22 modifica]cittadini di Lugo sorgere in armi contro i francesi gridandoli invasori e peggio 30; seguire Imola il movimento, danni tremendi inevitabili provocando sulla sventurata provincia31. Diresse lettere agl'insorti: disse il papa rispettar l'armistizio, profonder tesori per la osservanza dei patti; esser reo chi cercava disperdere immense cure, sacrifici enormi: mostrò i pericoli cui andavano incontro coll'insorgere contro un nemico forte, agguerrito, pronto a punirli. Vane parole! Nel bollore dell'ira generosa non intesero la voce del pastore, e perchè negava benedire alle armi con tanto disordine concitate e a sicura perdizione raccolte, lo dissero amico ai francesi, fautore di libertà32. Il generale in capo dava ad Augereau incarico di disperderli. La rapidità delle mosse, il numero dai combattenti, le vendette terribili esercitate mostrarono bene, che più del frenarli era nell'animo dei francesi desiderio d'incuter terrore alle popolazioni, onde gli esempi non avessero a rinnovarsi. Cappelletti incaricato d'affari di Spagna andò mediatore a pregare gl'insorti volessero deporre le armi pacificamente e risparmiare danni supremi a loro stessi, alle loro famiglie, alla patria: prevalse lo sdegno, si venne al sangue. Posti in mezzo il sette ottobre dai soldati capitanati [p. 23 modifica]dal generale Augereau e da altri capi venuti da Ferrara fu agevole ai francesi vincere e sbaragliare truppe raccogliticcie, non avvezze a fazioni di guerra ordinata. Snidati dalla campagna i più animosi che ingaggiarono il combattimento, inseguiti ai reni, ripararono alla città munita: dopo breve resistenza, visti gl'incendi prodotti e il vivo incalzare degli assalitori, si sparsero per la campagna ove del pari inseguiti, oltre a trecento perirono sul luogo33. Si avverarono i presagi del cardinal Chiaramonti: entrarono i francesi in Lugo, ponendo a ruba e a sacco la città desolata: Imola non fu risparmiata34: narrasi che il buon vescovo per calmar lo sdegno di Augereau, che minacciava scendere a partiti estremi: al saccheggio e all'incendio, non dubitò inginocchiarsi al vincitore e non sorse da queir umile atteggiamento finché non ottenne la salvezza del popol suo. Se il monte di pietà non venne smantellato, se derubate non si videro le sostanze del povero, ivi depositate, fu beneficio dovuto alle affettuose sue cure.

XVI. Spirava la triegua: tutto faceva credere vicino l'irrompere procelloso delle armi francesi. Sollecito Pio VI della sorte del suo illustre congiunto, comandavagli allontanarsi dalla diocesi per non cadere ostaggio in mano ai francesi. Lasciamo il cardinal Chiaramonti in Cesena nel suo palazzo per portare lo sguardo su Roma colpita dallo spavento per la rotta toccata agl'imperiali con la perdita di oltre a ventimila soldati, sessanta cannoni, ventiquattro [p. 24 modifica]bandiere35. Tristo spettacolo ai popoli traversavano i prigionieri le provincie dell'alta Italia ammirati e compianti. Poche erano ragioni a sperare, moltissime e gravi a temere. Parea da un lato a Pio VI, che Francia grande in armi, fosse internamente agitata da quel principio istesso di religione, che si volea conculcato: deducea quindi necessarie le trattative con Roma36: credea del pari impossibile volere un Bonaparte, italiano di origine, l'avvilimento e la oppressione di Roma. Accoravasi dall'altro nel vedere per tante vittorie caldeggiato il valore francese, propagata l'idea, esaltate le menti. In tante agitazioni prevalse il consiglio della resistenza alle domande del direttorio. Conseguenza di questo, la lega tentata con l'Austria e la guerra; e a guerra ordinavansi sei o sette mila soldati e cinquecento cavalli sulla destra sponda del Senio capitanati dal general Colli, a sostenere le ragioni del pontefice venutoci da Vienna. Buoni erano gli ordini di battaglia, valide le difese, ma non tali da resistere all'impeto di un nemico fatto animoso dalle vittorie. Credesi dagl'istorici, che un reggimento Corso, mancando alla fede giurata, abbia resa impossibile la resistenza. Le difficili strade impedirono ai soldati repubblicani incalzare l'armata pontificia, che disordinatamente riparò in Faenza, abbandonando quattordici cannoni in potere del nemico. Da colà al sopravvenire dei Francesi, che ne atterrarono le porte, si ritrassero i nostri in Ancona, ma durando lo spavento della disfatta, precipitosi piegarono su Loreto37, quindi fra Fuligno e Spoleto accamparono. Frutto della vittoria la Marca, il ducato di Urbino, gran parte dell' Umbria [p. 25 modifica]venuta sotto la soggezione di Francia e il lauretano tesoro38.

XVII. Padrone Bonaparte di Ancona e della cittadella, che la sovrasta, dopo aver presa Imola, Faenza, Forlì parlò da signore. Convocate le autorità ecclesiastiche: s'impose loro non doversi immischiare in facendo politiche: fece rimprovero al vicario generale della fuga del cardinal Ranuzzi vescovo della occupata città: dissegli quello d'Imola, cardinale pur esso, non esser fuggito: io non l'ho veduto aggiungea, ma seppi, che era al suo posto: gravò i cittadini di una contribuzione di duecento e quaranta mila scudi: creò una commissione municipale39: ristorò la fortuna dei suoi soldati : le quali cose riferite a Roma e dalla fama ingigantite, agitarono grandemente l'animo dei romani e del pontefice, che temea per l'irrompere delle armi rinnovati i tristi giorni, in cui la capitale del cattolicismo fu miseramente depredata dall'esercito del Borbone, accampato innanzi alle sue mura, né la mole Adriana offrì a Clemente VII valido schermo e sicuro. Era in queste condizioni lo stato allora che il cardinale Chiaramonti, obbediente al consiglio di Pio VI, si diresse alla volta di Roma. A Spoleto lo raggiunse lettera a lui inviata da quelli, che in tanto pericolosi momenti reggevano Imola a nome di Francia. Diceasi in essa utile la presenza del vescovo, desiderata da tutti: tornasse in diocesi, se amava vegliare gl'interessi della sua chiesa, la pubblica tranquillità: lui pregato dal clero, chiamato dai cittadini, desiderato dai poveri. Prima di risolvere scrisse Chiaramonti a Pio VI che amorevolmente risposagli: venisse in Roma: non doversi aggiunger fede alle parole lusinghiere di chi lo blandiva : proseguire [p. 26 modifica]il viaggio per aspettare al suo fianco gli eventi. Vi giungea in fatti quando il pontefice stretto dalle angustie, abbandonato dai principi, che provvedere dovevano alla salute dei propri stati, contrariato dalle sorti di guerra, vinto sul Senio40 non avea miglior partito, che abbassarsi agli accordi con chi, occupati gli stati di santa Chiesa, stavasi tutto in armi minacciando la capitale.

XVIII. Tutto quanto vedeasi nella città ai conturbati spiriti aggiungeva sgomento. La corte senza speranze, gli ecclesiastici nel dolore, i magnati tementi pel nuovo ordine di cose e più pei loro averi. Crescea paura alla città un andare, un interrogarsi a vicenda, un dubitare penoso. E poiché nei gravi casi il timore aumenta il sospetto, chi dicea correre i francesi sbrigliati su Roma, accamparsi lungo la sponda del tevere sul ponte milvio e chi di averli veduti. Avvalorava le voci il sinistro fragore dei carriaggi scorrenti le strade dell'atterrita Roma per mettere sulla via di Terracina o di Toscana in salvo gli ori, gli argenti, le preziose stoviglie dei grandi. Intanto, misero ingombro delle piazze, stavasi una plebe di servitori ridotti per colpa dei tempi in povera condizione: un popolo di uomini avvezzi a vivere grassa vita delle elemosine di luoghi pii e di grandi famiglie. Pochi, ma fatti audaci dalla impunità erano faziosi, che si guardavano, e si felicitavano nella iniqua speranza. Era ciò ben tristo spettacolo, ma peggiore la paura dell'avvenire. A Pio non rimaneva che la preghiera, e pubbliche preghiere ordinava, mentre commettea al cardinal Mattei, venuto testé in grazia al conquistatore, di entrar per lettere in trattative. Lo fece: benevole giungevano le risposte di Bonaparte: sapere, scrivea il giovane capitano di Francia, che sua santità era stata ingannata: voler mostrare all'Europa la moderazione della repubblica francese: attendere fra cinque giorni plenipotenziari a Fuligno per trattar degli accordi41: dicea in altra lettera: aver [p. 27 modifica]esso maggiore ambizione di essere il salvatore della santa sede anzi che per rivoluzionarie vicende distruttore e nemico42. Queste proteste rianimarono il santo padre, che amorevolmente rispondea al generale43 e intanto plenipotenziari a Tolentino, ov'erasi aquartierato, spediva il cardinal Mattei, il prelato Galeppi, il duca d. Luigi Braschi, il marchese Camillo Massimi, che sul confine della via flaminia incontravano l'antiguardo dell'armata francese. Sospese le ostilità, mentre Lannes e Victor visitavano Roma onorati da Pio VI, guardati con ira dal popolo, gl'inviati del papa in ventisei articoli segnavano la pace il giorno 19 febraro 1797. Da supremo pericolo nacquero patti onerosi, ma Pio li mantenne, e le spontanee obblazioni dei cittadini, fra i quali distinguevansi i Doria Pamphily, le lauretane ricchezze ed i triregni di Giulio II, di Clemente VIII, spogliati delle loro gioie, completarono i sei milioni di scudi, onde speravasi stabilire la pace con la repubblica francese. Bonaparte scrivea sapersi per tutta Europa le virtù conciliatrici del santo padre, sperare che la repubblica francese diverrebbe la vera amica di Roma44. I fatti smentirono le consolanti parole.

XIX. Anziosamente il cardinal Chiaramonti spiava il corso degli avvenimenti in attenzione dell'ora opportuna di restituirsi alla sua diocesi. Quantunque lontano e stretto dalle amarezze non mancò di vegliare al bene dei suoi e specialmente del clero, al quale dirigeva per lettere e i consigli e i suggerimenti necessari in epoca tanto pericolosa. [p. 28 modifica]Segnato appena il trattato di Tolentino, corse ai piedi di Pio VI per implorare il ritorno in Imola. Il pontefice, che condiscese alla sua domanda, nell'accomiatarlo raccomandava al buon vescovo la moderazione e la prudenza commendevoli sempre, ma necessarie quando gli spiriti altrui sono esaltati, ed evidente manifestasi la corruzione dei popoli. Per la nequizia dei tempi trovava egli infatti o guasta o sedotta l'Imolese diocesi. Infiltrate per il contatto le massime repubblicane nel popolo, vedeasi scemato in molti il sentimento di fedeltà e di religione, in molti soffocato dalla paura. Scacciati i sacerdoti fedeli ai loro doveri, imprigionati quelli, che ad onta delle minaccie non vollero allontanarsi, i cittadini incontravano seduzioni moltissime, esempi di virtù o pochi, o inefficaci. Conseguenza di questo l' irriverenza ai templi, il. disprezzo delle cose più sante, il disordine, la delazione, il sospetto. Arse di zelo l'animo generoso del cardinal Barnaba Chiaramonti e nel desiderio di contraporre una barriera all'impeto dei mali minacciane la sua diocesi, cercò con l'esortazioni e con le omelie calmare l'effervescenza, destare in tutti sentimenti di compassione verso il sovrano, trambasciato da ineffabili angustie e di amor filiale verso la chiesa madre comune oppressa e perseguitata. Intanto mali peggiori andavansi maturando. Il dì nove luglio 1797 in una sola fondeva Bonaparte la cispadana e transpadana, creando la cisalpina repubblica. Frutto della pace di Campoformio congiunse Bologna al Ferrarese, all'Emilia, a Comacchio ed altre terre, che ne dilatarono i confini: avvisava intanto per pubblici bandi il capitano delle armi repubblicane, essere il governo di Francia convinto esiggere l'universale vantaggio e il bene della libertà, l'unione dei popoli in una sola famiglia, perchè i diritti, i privilegi e gl'interessi comuni fossero validamente propugnati e difesi dalla volontà universale: egli volerlo energicamente per fare la felicità degl'italiani sempre delusi. Per altro a queste parole conseguirono fatti diversi che scossero la veneta e crearono in mezzo all'Italia la repubblica Cisalpina, spavento a Cesare che preparavasi a nuove battaglie, ai principi della penisola trepidanti di loro [p. 29 modifica]sorte per propria debolezza, resa più grande dagl'interni sconvolgimenti. Crebbero i mali quando si domandò giuramento di fedeltà ai popoli avvezzi a viver tranquilli sotto il governo clericale. Si sbrigliarono allora tutte le passioni; si agitarono le coscienze, che ben parea brutto atto d'ingratitudine rinunciare alla fede di sudditanza verso quella pontificale autorità, che formò il presidio e la felicità degli avi nostri: parea crudeltà intempestiva abbandonare in momenti tanto dolorosi un principe venerando per anni, che se fu grande nei dì della gloria, fu grandissimo in quelli della sventura. Gli animi si concitavano, le mani correvano all'armi, ne era piccolo stimolo agli sdegni le nuove imposizioni, le patite sventure, le uccisioni frequenti. Che se grave era il fremito della città, gravissimo apparve quello della campagna. I tristi fatti di Lugo, le cui ferite grondavano sangue non erano valido freno al popolare fermento; la presenza delle armi francesi, le vendette, gli esili aumentavano Tira. Per irrompere non il coraggio, mancò l'impulso. Il Chiaramonti di benigna natura, cui erano noti i casi stringenti di Roma, ebbe a cuore la pace e per amore di essa e per non aggravare le condizioni dello stato pontificio, così in basso venute da far presagire vicina una crisi tremenda, parlò il natale del 1797 una lunga omelia ad istruzione di coloro, che chiedevano al vescovo norme secure per reggersi in tanta paura e disparità di consigli. Trovo dagli scrittori contemporanei ora laudate, ora vilipese le provvidenze suggerite dal nostro Chiaramonti: certo è, che su quella sua omelia, che per allora passò quasi inosservata caddero più severi gli esami quando divenne pontefice. Le parole pronunciate con tanta soavità da un uomo eminente per dignità, e venerato per santità di costumi calmarono gli sdegni, raddolcirono i cuori. Si disse che il pio Chiaramonti, incaricandosi della prima parte soltanto, lasciasse agli ecclesiastici, che lo circondavano il carico di compiere la seconda45, e che questi vinti dal [p. 30 modifica]timore, commossi dalla gravità dei casi, siansi discostati da quello spirito di fortezza e di coraggio, magnanime virtù, delle quali in seguito ha egli date al mondo nobilissime prove46.

XX. Ogni giorno per altro le sventure aumentavano di peso e d'intensità. Gemea nel fondo del cuor suo il Chiaramonti e allo spirito irreligioso che andava serpeggiando per tutta l'Italia or fraudolento e nascosto, or manifesto e feroce, opponea barriera di amorevoli consigli, di esortazioni paterne cosi che omelie aggiungendo a omelie, preghiere, a preghiere, chiamò su lui l'attenzione delle autorità francesi, che l'ebbero in sospetto. Non mancarono accuse. Chiamato innanzi la polizia di Milano, seppe difendersi: andò assoluto. Invitato a dare il giuramento civico, si rifiutò: conseguenza, la perdita dell'entrate, i rimproveri, gl'insulti dei giornali che in quel torno pubblicavansi dentro e fuori l'Italia. Giovò l'esempio: Gli ecclesiastici si ricusavano anche essi e anch'essi vidersi spogliati delle rendite, degli onori e persino di quanto serve alla vita. I magistrati repubblicani, cui era di peso la presenza del vescovo, valido e santo freno alle intemperanze del popolo, mirabile eccitamento alla costanza e allo zelo del clero, escogitavano tutti i mezzi di perderlo e bene ottenuto l'avrebbero, se al Chiaramonti veniva meno il coraggio. Riferivano avere il cardinale concitati gli animi contro i francesi, aver fatto [p. 31 modifica]buon viso agli austriaci calati in Imola: accusa letale perchè minacciavano gli editti: tutte le città, ove suoneranno le campane a martello saranno incendiate, i promotori passati per le armi. I preti e frati protetti, s'eglino si condurranno prudentemente: in casi opposti trattati più severamente degli altri cittadini. Facile a dar fede alle accuse, pronto a colpire, correva da Bologna il Magdonald sopra Imola a punire, come dicea, l'audacia del vescovo e saccheggiare la città. Chiaramonti lo seppe e in sì grave pericolo armatosi di coraggio, tatto che fossegli nota la severa indole del generale partì nell'alto della notte da Imola e a lui incontro recandosi, parlò con forza temperata dalla dolcezza e dalla prudenza; difesa la pericolante città, smentite le accuse, i concitati sdegni del francese dissipando, da supremi danni la sua Imola preservava. Frattanto nella capitale fatti ora irreligiosi or fraudolenti, incerti sempre e provocanti sedizioni, inasprivano il popolo. Destinato Cacault ministro di Francia in Roma ad altr’ambasciata, subentrava nel posto Giuseppe Bonaparte uomo tranquillo e dalle mene sediziose alieno. Ad eccitarlo, spedivasi in Roma dal direttorio il generale Duphot giovane di spiriti ardenti, atto ad agitare le masse, a creare inciampi al governo. Amatori di libertà in Roma eran pochi, di nessun credito, odiati. Essi assembravansi lungo le vie della Longara, istigati penetravano contro il diritto delle genti, negli atrii del palazzo Corsini, residenza dell'ambasciatore di Francia, fremevano, tumultuavano. Sapealo il governo e ordinava ai soldati di pattugliare, di mantener l'ordine: ma i tempi soverchiavano la prudenza. Pochi e non temuti, come erano essi, non per mancanza di coraggio ma di forze, furono derisi e respinti sino ai quartieri. L'insulto provocava lo sdegno, lo sdegno il sangue e sangue cittadino e straniero bruttò la città. Duphot alla testa dei faziosi con la spada alla mano, agitando il cappello, i romani che spiegarono le insegne tricolori eccitava all’assalto del corpo di guardia per disarmare i pontifici, che sulle prime limitavansi alle resistenze, quindi faceano fuoco sugl'insorti. In questa mischia fatale cadde [p. 32 modifica]mortalmente ferito Duphot: colpo deplorabile, che infinite vendette chiamava sull’innocente città e sul pontefice già vecchio e logoro dai lunghi mali. Insensibile a tutte le rimostranze allontanavasi l'ambasciatore, segno manifesto di guerra inevitabile, perchè desiderata. Il direttorio di Francia calunniando il governo pontificale, qualificando il tristo evento non come effetto delle ingiuste provocazioni ma come disegno espresso del papa, ordinava a Berthier l'occupazione di Roma47. Precipitiamo i racconti, tanto strazianti e lacrimevoli ci sembrano i casi, che vennero a turbare la tranquillità di un popolo innocente, di un sovrano magnanimo e generoso. Berthier, preceduto da proclami incendiari in data di Ancona, movea in nome della potentissima repubblica francese a danno della pacifica ed inerme città. Quando ebbe l’esercito varcati gli appennini, ordinava prudentemente Pio VI ai suoi soldati di non opporre armi ad armi, ma di sgomberar passo passo a misura che avvicinavasi. E quando il dì dieci febraro l’armata repubblicana, sotto la condotta di Berthier, accampavasi in faccia a Roma sul monte Mario, ove piantava i cannoni a nostro danno, facea sgomberare castel sant’Angelo, togliea dai presidi la truppa pontificia, imponea al suo popolo di rispettare il generale francese, che a modo di trionfatore fra grosse squadre di cavalleria entrava in Roma, che assistea a quel lacrimevole spettacolo attonita e dispettosa. Non mancarono al buon papa le proteste e le assicurazioni portategli dal general Cervoni48, che da parte del Berthier recavasi al Vaticano per inchinarlo. [p. 33 modifica] XXI. E mentre questi atti con maligna intenzione operavansi, accadeva in città scena ridicola e miseranda. Vinti dalle seduzioni e dagli eccitamenti dei francesi Communeau e Jurry, che agitavansi in città per far proseliti alla causa repubblicana, pochi romani prepararono la festa della libertà e, crudo pensiero, vollero mandarla ad effetto il giorno, in cui celebravasi l'anniversario della elezione di Pio. Correva il popolo al campidoglio, s'ingrossava per via, curioso e beffardo giungea sulla piazza. Un albero, avente sulla cima il berretto frigio, posto a traverso sul lastricato, dovea alzarsi emblema di libertà. Appena il videro eretto sollevò un lieto grido la plebe, ma fu quella gioja o effimera, o di breve durata. Condotto il popolo sul foro romano, ricordati pomposamente i grandi nomi degli antichi, si fece rumoroso appello ai presenti per sapere se volea Roma sorgere a nuovi destini: arti subdole e non atte alla manifestazione dell’universale pensiero. Intese le risposte, compendiate in un fremito popolare e rogato atto solenne da cinque notai, fu sul famoso colle capitolino promulgata la libertà e l'indipendenza di Roma. Squillarono le trombe, suonarono le campane a distesa, trasse castel s. Angelo, e quel suono dovè mestamente piombare sul cuore di Pio e dei cardinali di santa chiesa, che raccolti nella cappella Sistina celebravano il vigesimo terzo anniversario della sua elezione. Bella e nobile prova del coraggio e dell'amore, ond'era compreso in quei tristissimi eventi il sacro collegio. A Berthier che, inauguratore del nuovo stato, entrava trionfante in Roma dalla porta del popolo, si offrì una civica corona; egli modestamente l’ accettava, destinandola a Bonaparte, che con imprese mirabili ed inaudite avea, disse, aperta la via a quel nuovo stato49. Le parti [p. 34 modifica]ridicole erano in campidoglio, le crudeli nel vaticano: Pio VI che avrebbe trovato generosa ospitalità nel limitrofo regno di Napoli, fidato alle promesse, nel suo stesso palazzo fu prigioniero dei commissari francesi. Alla preghiera da lui fatta di lasciarlo morire in Roma, rispondea amaramente Ftaller «voi morrete in qualunque luogo vi troviate»: amaro detto che alla crudeltà aggiungeva lo scherno50! Incredibile a dirsi, osava il generale Cervoni presentare al venerando pontefice la nappa tricolore eccitandolo a mostrarsi con questo segno, cui amorevolmente rispondea non conoscer egli altre divise, che quelle di cui avealo onorato la chiesa. A colmar la misura delle orribili sofferenze e a compier la minaccia, non rimanea, che strapparlo dalla sua Roma, e ciò avvenne il dì venti febraro. Fu doloroso il distacco. Scortato dai soldati francesi, accompagnato dal pianto dei suoi, il vicario di Gesù Cristo, nella grave età di ottant anni, dopo un lungo e glorioso regno, usciva dalla [p. 35 modifica]città meravigliata delle sue virtù, dalla sua munificenza resa più splendida e bella. Il coraggio la fortezza d'animo e le virtù dall’augusto prigioniero mostrata gli assicurarono l'ammirazione dell'universo51.

XXII. Erano le sventure di Pio VI sinistro presagio di più funesto avvenire. Il cardinal Chiaramonti mal sicuro nella sua diocesi, tenuto d'occhio dai fautori di novità, e dai francesi, che avevano in mano il governo, versava lacrime amare sulle immeritate sciagure del suo benefattore. Vedea ogni giorno più diradate le fila dei difensori, degli amici dell’apostolica sede, che o tenevansi confinati negli angoli più remoti dello stato, per separarli dai grandi centri, o erano balestrati in terra straniera dalla potenza degli invasori. Ai cardinali, ai prelati, agli ecclesiastici più degni, spogliati dei loro averi, imprigionati, vilipesi non rimaneva speranza alcuna. Rare e sconfortanti giungevano in Roma le notizie di Pio VI, guardato a vista dai francesi, separato dai suoi, tradotto con immenso disagio per vie aspre, e nevose, nel cuor dell'inverno dalla certosa di Firenze, ove pure eragli dato di accudire agli affari della religione, in Savona, che il vide spirare l’anima grande sotto il peso di una persecuzione tanto ostinata quanto crudele. Egli, che aveva benedetta la Francia nel passar la frontiera, pregava morendo per i suoi persecutori e chiedea a Dio, che fatto pietoso ai mali che colpivano la società, restituisse a Roma la residenza pontificia, alla Francia la religione, al mondo la prosperità, la pace. Ridotto agli estremi, quando ebbe perduta la parola, volgea lo sguardo ai familiari che [p. 36 modifica]genuflessi accanto al suo letto, piangevano. Quasi a render grazie dell’attaccamento mostrato stringea, loro la mano con sentimento di affetto. Così chiudevasi la mortale carriera diquel grande a cui la violenza, l'esilio, il carcere, le ingiurie non aveano fatta perdere la soave maestà, la grandezza di animo e il coraggio, che segnalò il suo lungo pontificato52. Corse rapidamente pel mondo il grido della sua morte: a di lui suffragio in tutte le corti cattoliche si ordinarono solenni esequie: fu universale il compianto53. [p. 37 modifica] XXIII. Ardua era la elezione del nuovo pontefice. I nemici della religione aveano gridato Pio VI l'ultimo dei papi. Dio però, che ha promesso di non abbandonar la sua chiesa, disperse il sacrilego voto. Offriva nella veneta laguna l’augusto imperatore d'Austria Francesco II sicura stanza ai cardinali in conclave54. Corse l'invito ai principi di s. Chiesa, e sulla Venezia dai vari paesi, ove il turbine di guerra li avea dispersi, si raccolsero i cardinali. Il Chiaramonti, che prima di lasciare la diocesi e nell'esilio tutte le sue risorse aveva esaurite a vantaggio dei poveri e degli ecclesiastici perseguitati, non avea i mezzi per sostenere le spese del viaggio alla città, ove l’attendevano i suoi colleghi. Un romano a lui affezionato togliealo dalle angustie dandogli mille scudi per sopperire alla urgenza dei suoi bisogni. Vi giunse sul finir dell'ottobre 1799. Non trovando luogo nel chiostro benedettino della congregazione di s. Mauro fu accolto dai padri domenicani nel loro convento de ss. Giovanni e Paolo55. Narrasi, che una colomba entrasse nella sua stanza: noi non l'affermeremo56. Andavasi, sebben per poco, rischiarando il cielo d'Italia, della quale non è debito nostro ricordare le fasi, contenti al dire, che trovandosi in Egitto per disposizione di provvidenza, l'uomo che tenea la vittoria aggiogata al suo carro, non ebbe il destro di riparare alle varie sconfitte toccate all'esercito repubblicano sotto il comando di Scherer. Era [p. 38 modifica]Roma tenuta dal re di Napoli, quando il primo decembre trentacinque cardinali stavano radunati nel vasto monistero di s. Giorgio maggiore, preparato alle spese del governo austriaco: altri se ne attendevano57. Si celebravano prima l’esequie novendiali nella chiesa di s. Pietro di detto castello58: a nome del re cattolico tremila scudi si offrirono al sacro collegio per sostenere le spese di quella ceremonia religiosa59. Chiaramonti fece l'assoluzione nel terzo e ottavo giorno: l'arcivescovo di Nisibi Cesare Brancadoro recitò l'ultimo giorno l’orazione con una facondia degna di Bossuet: l'altra per la elezione del nuovo pontefice fu pronunciata dal vescovo di Crema Antonio Gadini. Mentre queste cose operavansi in Venezia, tornava in Francia Bonaparte reduce dall’Egitto. Con l'ardimento d'un colpo, chiamando tutti a sè i poteri dello stato, mostrò vera l'antica sentenza, breve mai sempre il regno dell’orgoglio e della tirannide60. I prelati, gli addetti al servizio dei porporati, il principe Chigi venuto da Roma a Venezia per mettersi a disposizione del sacro collegio e sostenervi il suo onorevole ufficio di maresciallo, prestarono il loro giuramento in mano al cardinal Albani decano. Il conclave fu chiuso con ceremonia solenne e la guardia austriaca sotto il comando del Manfrault rimase a disposizione dei sacri elettori61. [p. 39 modifica] XXIV. I gravi pericoli, in cui era la chiesa avevano obbligato Pio VI ad allargare con bolla apostolica le leggi, e sospendere le consuetudini e le rigorose prammatiche osservate costantemente dai cardinali nella elezione dei pontefici. Sino d'allora, che ostaggio dei francesi stavasi nella certosa di Firenze, queste prudenti disposizioni confidava in mano del prelato Odescalchi62. Così la voce veneranda di Pio dettò le norme osservate dai principi di s. Chiesa in quei comizi solenni. Non mancarono ai sacri elettori le consuete esortazioni e le solite gratulatorie dei sovrani cattolici. Offriva Cesare ad essi per mezzo del cardinale Hertzan pegni di benevolenza nella illustre città venutagli in mano per nuovi trattati di pace. Luigi XVIII dal castello di Mittau in Curlandia diriggeva amorevole lettera ai padri raccolti in conclave63. Benevoli sentimenti [p. 40 modifica]palesava Ferdinando IV, che faceasi sollecito di dichiarare al senato apostolico godere il suo animo inesprimibile conforto dal sapere riuniti i cardinali in Venezia per l'interesse della chiesa e del mondo; esser parato a restituir Roma al pontefice, ch'essi avrebbero eletto. Volevano però i decreti della provvidenza, che nel momento istesso, in cui dai cardinali leggevansi le lettere sovrane, in Francia domata l'anarchia dalla energica mano di Bonaparte eletto primo console, andavasi in quelle insanguinate contrade istituendo un nuovo e più pacifico ordine di cose64. Sebbene il timore, che i francesi potessero scendere nuovamente in Italia tenesse in agitazione l'animo dei porporati, pure le cose della elezione lentamente procedevano. I voti del sacro consesso dividevansi in due partiti: dichiaravasi il primo a vantaggio di Bellisomi, nato a Pavia, vescovo di Cesena65: proponeva l’altro il Mattei romano, arcivescovo di Ferrara66. Pel Bellisomi voluto dal cardinal Braschi, raccoglievansi ventidue voti67: tredici per il Mattei, sostenuto dal cardinale [p. 41 modifica]Antonelli. Le due parti si mantennero costantemente ferme nel loro proposito, per cui divenuta impossibile la elezione di uno dei due candidati, si pensò di volo al vecchio Albani, al Calcagnini, al Valenti. Mancando ad essi i voluti suffragi, andavasi proponendo il cardinal Sigismondo Gerdil, dottissimo uomo e di età provetta68. Piegavasi alla scelta il sacro collegio, quando il cardinal Hertzan, incaricato dal gabinetto austriaco, dichiarò agli elettori che quella scelta non avrebbe ottenuto il favore del suo sovrano69. Trascorreva il tempo in inutili tentativi, erano i cardinali stanchi delle dimore, paralizzati dalle incontrate contradizioni, sofferenti pel rigore della stagione. Una voce tanto possente, quanto inaspettata, quella del giovane prelato Ercole Consalvi, pro-segretario del conclave, ricordò ai porporati un nome, che sino allora non era stato pronunciato: quello del cardinale Gregorio Barnaba Chiaramonti70. Profittando egli di quel certo smarrimento, in [p. 42 modifica]cui trovavansi gli animi divisi a cagione dell'esclusiva data al Gerdil e delle risposte che non giungevano da Vienna, ove era stato spedito un corriere per intendere se dall'imperatore era gradita la scelta del Bellisomi71, avvisò a tutti i mezzi per promuovere il vescovo d'Imola. Grandi furono le fatiche, difficilissime le parti, ch'egli sostenne. Già quegli uomini, consumati nella prudenza, educati alla scuola della sventura, a piegar l'orecchio ai suggerimenti dell'accorto segretario inclinavano, quando egli a vincerli interamente, ricordando loro le infelici condizioni in cui era la Santa Sede, mostrò il bisogno urgente di scegliere un papa fornito di carattere dolce, affabile, moderato e destramente escludeva dal pontificato supremo Mattei perchè colui, che segnatario del concordato di Tolentino, avea tre provincie alla repubblica Cispadana cedute, non poteva esser fornito del coraggio opportuno a ridomandarle; escludeva Gerdil nato in Savoia, e ricusato da quella potenza, che offriva loro generosa ospitalità: escludeva Bellisomi di Pavia perchè suddito della repubblica traspadana, vicina alla Francia, nemica al Piemonte, disciolta è vero, ma pronta a costituirsi di nuovo. Nè ancora per questi ragionamenti apertamente vedeasi qual fosse il porporato, a cui volea assicurata la pontifical dignità. Voi, padri, dicea [p. 43 modifica]il giovane segretario del conclave, non troverete voi Roma qual la lasciaste. La varietà dei governi, che si disputarono il possesso della città vostra, la presenza degli eserciti minacciantesi l'un l'altro hanno creato in tutte le classi della metropoli massime e bisogni opposti a quelle consuetudini tranquille, che un tempo prosperavano con voi e per voi in Roma. Le vostre forze si stancano, soggiungea destramente, si esauriscono le vostre pratiche in inutili tentativi, e non si pensa ancora che Thugut ministro di Cesare tratta seco voi con freddezza, che la Spagna vi nega quei soccorsi pecuniari, di cui eravi larga in passato, che Napoli occupa la città vostra, che le potenze cattoliche nulla fanno per voi. Affrettatevi, o padri, e pensate che il mondo aspetta impaziente la vostra scelta, che il bene della religione ve lo comanda. Siavi sprone il riflesso, che altre volte Roma fu salva per la prudenza e per la virtù magnanima dei pontefici divinamente ispirati72. Le quali parole non mancavano di produrre effetto nell'animo dei cardinali. Per oltre a tre mesi annoiati degli indugi penosi, vinti dalla facile eloquenza del Consalvi, essi a credere cominciavano concorrere in Chiaramonti le qualità necessarie a supremo gerarca di s. chiesa: animo forte, temperato dalla mansuetudine e dalla prudenza, virtù necessarie in tempi tanto calamitosi. Ma i voti assicurati al vescovo d’Imola non bastavano ancora alla sua canonica elezione. L’accorto Consalvi, che sperò trarre dalla sua il cardinal Maury, da cui dipendevano sei voti, fecesi a visitarlo. Uomini ambedue forniti di spirito penetrante e di acuto ingegno, vennero facilmente agli accordi. Ai diecinove voti, che chiamavano al solio pontificio il cardinal Chiaramonti, promise Maury, aggiungere i sei, dei quali poteva agevolmente disporre. [p. 44 modifica]

XXV. Restava ancora a vincere una difficoltà: quella che opponea l'umiltà e la modestia del nostro porporato. Da più giorni travagliavasi in queste bisogna l'animoso Consalvi, e non temete, diceagli, di accettare l'onorevole peso a cui vi destina il sacro collegio. In voi santità di vita, regolarità di costumi, carattere mansueto. Voi buon vescovo, aggiungevagli, voi da ogni umana ambizione lontano, vissuto voi sempre fuori di Roma, siete il solo che avrete il coraggio di sostenere i brevi emanati dal vostro amico e benefattore Pio VI. Se manca chi per ambizioso pensiero và mendicando il suffragio dei suoi colleghi, manca del pari chi si oppone alle mire della provvidenza, che in questi supremi momenti veglia e governa il cuore e la mente degli elettori: resistere ad uomini intelligenti, congregati nel santo nome di Dio, lontani da ogni prevenzione, spinti soltanto dal desiderio di provvedere al bene della Chiesa, al trionfo della religione, infine rifiutare il loro voto, opporsi alle loro decisioni, sarebbe imperdonabile errore. Pensatelo: voi domani sarete l’'eletto. Volea Chiaramonti replicare, ma il prelato Consalvi, che ben conoscea l’importanza del momento e sfuggiva d'entrare seco lui in discussioni, senza attendere quella risposta, che lo spirito di umiltà gli avrebbe chiamato sul labbro, era uscito dalla cella del cardinale Chiaramonti, che rimase confuso, sbalordito per quello che avea inteso volersi da lui. Intanto l’energico segretario, che non doveva distrarsi un istante dal grave proposito, continuava nelle sue pratiche con tale energia da far decidere al cardinale Antonelli, che avea per due mesi caldeggiata la elezione di Mattei, di andare la sera stessa co' suoi colleghi a baciar la mano del vescovo d'Imola: disposizione, che avrebbe in certo modo preconizzata la elezione solenne. Correva il quattordici marzo 1800. Gli sguardi dei sacri elettori nella sala degli scrutini erano tutti rivolti sul cardinal Chiaramonti, quasi volessero leggergli in volto l'interne emozioni dell'animo: questi, che in tanta gloria stavasi innanzi a loro tutto tremante, avrebbe volentieri sorriso a chi primo la variata opinione dei padri avessegli partecipata. Silenziosi deponevano gli elettori le [p. 45 modifica]loro schede sull'urna e le schede segnavano tutte il nome di Gregorio Barnaba Chiaramonti: che questo avvi di sublime nei fasti del romano pontificato, che cessano tutte le voci di umano interesse, le opinioni le più discordi si annodano quando trattasi di promovere il decoro della santa sede, il vantaggio della religione. Un voto solo cadea su di un altro individuo: era il voto del cardinal Chiaramonti, a cui fattosi innanzi il decano del sacro collegio Gio: Francesco Albani, domandò se accettava la suprema dignità della Chiesa. Alle calde preghiere, alle vive insistenze dei colleghi cedea il nuovo eletto, che in memoria dei benefici ottenuti s'impose il nome di Pio VII. Il cardinal Doria primo diacono, dopo un conclave, che durava da cento e quattro giorni, da una loggia del monistero di san Giorgio maggiore ai buoni veneziani ne annunziava la elezione73. Nel giorno istesso confermò Roverella prodatario, dichiarò suo vicario il cardinal della Somaglia, provvide alle cariche e uffici minori. E perchè doveasi un compenso all'energia e allo zelo spiegato dal Consalvi, era nominato pro-segretario di stato, e ricevea promessa del cappello cardinalizio74. Ben videro tutti l’arte usata dall’accorto prelato nel suggerire al santo padre di provvedere in Roma soltanto ai grandi uffici: ivi, aggiungea scaltramente, è il papa padrone della sua scelta, libero dalla influenza straniera: sagace consiglio, che assicurava un luminoso posto a Consalvi75. A Pio VII portarono [p. 46 modifica]immediatamente l’espressione del loro rispetto gli ambasciatori di Spagna, di Portogallo, di Napoli, di Sardegna. Notavasi frà questi l'inviato di Paolo I, promettente amicizia e sostegno in nome dell’autocrate delle Russie. Pubbliche feste in tutte le città dello stato celebravansi per la elezione dell’universale pastore e gli animi dei buoni in tutti i regni della cristianità si aprivano alle speranza di migliore avvenire. I figli di s. Benedetto nelle dimostrazioni di gioia con luminarie, con iscrizioni votive, con pubblici e solenni rendimenti di grazie a Dio ottimo, massimo, un nome nuovo ai nobilissimi fasti del loro ordine col nome di Pio VII aggiungevano. Parve giustamente, che la elezione del papa fatta in quei momenti fosse argomento sicuro, che la provvidenza vegliava su noi e che al governo della navicella di Pietro non sovrastavano nuovi perigli.

XXVI. Avea il nuovo eletto assunti gli abiti pontificali e i cardinali di s. chiesa disponevansi a prestar atto di obbedienza el vicario di Gesù Cristo, quando innanzi a Pio VII fecesi il prelato Spina, che avea raccolti gli ultimi aneliti del magnanimo predecessore. Un sentimento di tenerezza e di commozione profonda manifestavasi sul volto del nuovo pontefice e dei cardinali, allorchè questi per adempiere al mandato che avea ricevuto, rimettea in mano al successore l'anello che al deportato Pio VI in supremi e dolorosi momenti avea donato la regina sabauda Clotilde. Disceso in sedia gestatoria nella chiesa di s. Giorgio, e ricevuta dal sacro collegio la terza adorazione, intuonavasi dal cardinale Albani l'inno in rendimento di grazie. Erano cinque giorni decorsi dalla sua elezione, quando tenne la prima udienza pubblica, in cui fu ammessa la prelatura, il patriziato veneto e di terra ferma, e l'inviato Parmense, venuto appositamente in città per presentare [p. 47 modifica]gli omaggi a nome del duca. Il gabinetto di Vienna, a cui l'elezione del Chiaramonti riusciva inaspettata, rifiutavasi dal concedere ai cardinali, che la solenne coronazione del papa fosse eseguita nella basilica di s. Marco. Per compierla sceglievasi il ventuno marzo, come giorno consacrato alla memoria del patriarca dell'occidente. Nel vasto tempio di s. Giorgio maggiore, maestosamente adobbato il cardinale Duca di Yorch decano del sacro collegio recitava le consuete preghiere e il nuovo pontefice celebrava la messa solenne. Compiuta alla presenza del popolo veneziano l’augustissima ceremonia, risaliva Pio VII nel monistero adorno degli abiti pontificali e in una loggia appositamente disposta, seguivasi la di lui coronazione. Nell'imporgli il triregno queste parole pronunciavansi da Doria, primo dei cardinali diaconi: Adorna di tre corone ricevete la pontificia tiara: essa vi dichiara padre dei re e dei principi, reggitore del mondo, vicario in terra del nostro Salvatore Gesù Cristo, a cui sia onore e gloria nei secoli dei secoli. Era Pio VII compreso da un sentimento di tenerezza profonda, quando levate al cielo le braccia, benediceva l'immenso popolo, che prostrato a terra, rendea grazie a Dio di aver provveduta la chiesa d'un pastore dolce, pacifico, mansueto76. Il cielo sereno e il mare tranquillo rendeano solenne il momento annunciato dal suono dei sacri bronzi, dallo strepito delle artiglierie di terra e di mare. La veneta laguna coperta da meglio che due mila gondolette e peote simmetricamente disposte, ornate di fiori e di serici drappi era a vedersi nuovo e meraviglioso spettacolo. Non potrebbesi tener conto delle ricche obblazioni fatte al nuovo pontefice: bastaci riferire avere l'imperatore austriaco inviati trentamila ducati per supplire alle inevitabili spese: il [p. 48 modifica]vescovo di Belluno preziosissima mitra, e gemme e ori e vasi sacri, e suppellettili nobilissime e arredi sacerdotali giungevano da ogni parte come pegni di doverosa e filiale esultanza77.

XXVII. Chi potesse descrivere la gioia di Roma e la compiacenza dagli ottimati, dai cittadini, dal popolo minuto dimostrata al lieto annunzio della elezione del papa nella persona del cardinal Chiaramonti darebbe una idea del modo, onde i romani amano e onorano il vicario di Gesù Cristo e sentono vivamente i benefici, che i papi versarono in ogni età sulla capitale del mondo cattolico. Aveano essi piante le sventure di Pio VI: i soldati di Francia, che venivano per osteggiare, quelli di Napoli, che facevano le viste di proteggere gli erano del pari venuti a noja: ella, che apprezzava la tranquillità di un regime paterno e confortavasi all'annunzio che i cardinali erano chiusi in conclave a Venezia, si tenne secura intesa appena la elezione delnuovo pontefice e con pubbliche feste alla sua maniera manifestò l’esultanza. Occupato nel riordinare i gravissimi affari di religione trattenevasi il papa in s. Giorgio maggiore tredici giorni: mostravasi in Venezia il dì ventisei per visitare la chiesa della congregazione camaldolese, ove la, sua elezione solennemente celebravasi dai cenobiti. Il giorno ventotto dopo aver dato il cappello cardinalizio al vescovo di Vercelli Giuseppe de Martiniana, ascritto al sacro collegio dal suo predecessore, così con gravi e commoventi parole facevasi a favellare nel concistoro 78. [p. 49 modifica]

« Eletto da voi, venerabili fratelli, per imprescrutabile decreto di Dio al supremo governo della chiesa di Gesù Cristo con molta perturbazione dell'animo nostro ne assumemmo l’incarico. Se in ogni tempo può dirsi penoso l'ufficio dell’episcopato quanto nol dovrà esser ora che i tempi divennero turbolenti e difficili!

« E quali in fatto possono dirsi quelli in cui miseramente versiamo? Da un santo orrore è compreso l'animo nostro allorchè ci facciamo a considerare il peso dei doveri, che ci sono imposti e le dure condizioni del secolo in cui viviamo. Ci sono noti gli obblighi dell’apostolato, ma non sappiamo come adempierlo in mezzo alla licenza che regna fra gli uomini e in tanto disprezzo delle umane leggi e divine. Conculcato il sacerdozio, geme la chiesa in una schiavitù dolorosa. Agitato da questo pensiero è l'animo nostro, nè ci consente di rimanercene inoperosi.

« E voi, fratelli, ci avete chiamati all’apostolato supremo? E voi ci avete giudicati idonei a condurre la navicella di Pietro da violenti tempeste agitata: a sorreggere un peso anche agli omeri angelici formidabile. Ma fra chi voi sceglieste? Fra quelli, in cui appena alcuno trovavasi, che in questi medesimi tempi per la fedeltà meravigliosa mostrata alla chiesa riputato non fosse fortissimo, perchè avendo sopportato di sue fortune lo spoglio, l'esilio, i pericoli della morte ed ogni altro acerbo trattamento, divenuto spettacolo al mondo, agli angeli ed agli uomini per Gesù Cristo, non solo era di sì grande onore degnissimo, ma molto di noi più capace eziandio di sostenere così gran peso con gloria e sicurezza della chiesa.

« Quali furono adunque i vostri giudizi? Avevate voi uomini sapientissimi, cui potevate affidare la chiesa fra tante procelle, e perchè ad un inesperto affidar la voleste? Avevate degli uomini santi e perchè scegliere un peccatore? Forse la piccolezza nostra a tutti manifesta fu talmente alla penetrazione vostra nascosta, che voi nulla ravvisaste in cosa tanta palese? Forse quello spirito illustratore delle menti, il quale fa conoscere quelli che esso elegge fu

Giucci. Vita di Pio VII [p. 50 modifica]lontano da voi, mentre sopra di noi prendeste a deliberare? Ah no! non fu così certamente, o venerabili fratelli. Noi lo diciamo con sicurezza e non già per nostra, ma per gloria di Dio lo diciamo. Fu presente, sì fu presente Iddio alle menti vostre santissime, e noi soli quegli eravamo, che dovevamo da voi essere onninamente prescelti. E perchè? perchè sebbene tali non sembrassimo agli occhi vostri, agli occhi di Dio apparivamo di tutti quanti il più debole. Imperciocchè di tali consigli appunto si serve Iddio nel sostenere la sua chiesa per confondere la superbia dei forti: e quanto più deboli sono i mezzi, che adopera tanto maggiormente apparisce che la chiesa, come insegna il Crisostomo, ha piantate nel cielo le sue radici e che Iddio è quello che dovunque la difende.

« Richiamate di grazia al pensiero quali furono i primi principî della chiesa. Se in quei primitivi tempi un Pietro pescatore, e pochi apostoli, chiamati ad illuminare gli uomini dalla oscurità della Galilea, furono valevoli a fare così grandi cose, che il suono della loro voce si estese sopra tutta la terra, cosa nuova sembrar non deve, avvengachè meravigliosa, se noi pure da questa isola, che dopo un lungo agitar di tempeste, mentre eravamo bramosi di provvedere un nuovo capo alla chiesa, ci offerse un asilo, per certa ammirabile divina provvidenza e per beneficio dell’augusto Cesare Francesco II, da cui nulla v'è che sperar non possiamo per la difesa e pel decoro della chiesa medesima, se da un monistero di quell’ordine, dalle cui santissime leggi ammaestrati noi fummo, siamo chiamati al governo della chiesa, affinchè quanto è più grande la nostra piccolezza, tanto maggiormente si conosca esser ella non da noi, ma da Dio governata.

« Reggerà dunque Iddio la sua chiesa. E noi sicuri del patrocinio di sì gran rettore e consapevoli della nostra debolezza, riposando nella sola sua provvidenza, sollecitudine alcuna non ci prenderemo forse del gregge cristiano? Anzi con tanta più grande sollecitudine ci affaticheremo per governarla, quanto noi conosceremo esser maggiore la debolezza nostra e al governo della chiesa ci applicheremo [p. 51 modifica]totalmente, come se nulla da noi sperar si dovesse dalla provvidenza divina. Ma con le sole nostre forze dovremo noi applicarci ad una così importante, così grave, così pericolosa amministrazione? Ma come potremo noi sostenere la mole di tante cure e di tante sollecitudini, se voi, o venerabili fratelli, non ci assistete col vostro aiuto?

« Quanto infelice sia la condizione del cristianesimo voi ben lo conoscete: di quante difese abbisogni il gregge di Gesù Cristo in mezzo a così grave corruttela di costumi ben voi lo vedete. Voi dunque la maggior parte dei quali per età e tutti per sapienza ci precedete, assisteteci, ve ne scongiuriamo, coi vostri consigli: mostrateci quello che da noi svellere, piantare, abbattere ed edificare sì debba: sollevate con le vostre forze quel peso, che sovraposto avete agli omeri nostri. Noi vi facciamo una sacra promessa, che l'opera vostra, i vostri consigli ed aiuti saranno per esserci sempre in ogni tempo gratissimi.

« Ma ciò è forse abbastanza? Ciò basta veramente pel nostro ajuto, ma non basta però per la gloria e per lo accrescimento della cristiana religione. La chiesa ha duopo dei nostri esempli.

« Una grave ferita ha certamente ricevuto in questi ultimi anni il sacerdozio. Con quanta di lui gloria nol rammenteremo noi? Non fu mai forse per l’addietro nobilitata la chiesa di tanti trionfi di costantissimi atleti. Per non ripetere i vostri abbiamo sopra tutti quelli veramente ammirabili del nostro santissimo padre e predecessore, la grandezza delle cui persecuzioni sofferte per Cristo, ne hanno resa immortale la gloria. Quale fu mai di esso la fede, quale la fortezza, quale la costanza nel difendere non solo la causa della chiesa, ma ancora con l'affrontare la morte, alla quale andò incontro per essa fra tanti pericoli, fra tante disavventure, fra tanti dolori! Cose delle quali non possiamo ricordarci senza sentire l'animo nostro commosso e ad ogni virtù, pazienza, e longanimità grandemente infiammato.

« Questa piaga poi cotanto grave ed acerba riputeremo noi, che sia stato permessa da Dio alla chiesa senza [p. 52 modifica]un ammirabil consiglio della sua provvidenza? Avendo egli fatto prova della fede e della costanza del sacerdozio, esigge ancora da noi, che dimostriamo al mondo di aver tratto gran profitto da questa nostra tribolazione, vuol che facciamo conoscere a tutti, che non nelle ricchezze, di cui noi fummo spogliati, non nella pompa, che l'invidia e le accuse contro noi produsse dei nostri nemici, non nelle altre vane cose, che sono proprie degli uomini profani, non degli imitatori di Cristo; ma bensì nel disprezzo delle ricchezze, nell’umiltà, nella modestia, nella pazienza, nella carità, e finalmente nell'adempimento di tutti i doveri del sacerdozio ci rappresenta l’immagine del nostro autore e la vera grandezza della chiesa.

« Ma basti sin quì. Noi vediamo, o venerabili fratelli, quanto a voi dobbiamo per aver tanto attribuito col vostro giudizio alla debolezza nostra: appoggiati al divino aiuto, ed ai consigli vostri ci sforzeremo con tutto lo studio e con tutta la fede a praticare e ad eseguire quanto dobbiamo. Preghiamo adunque Iddio che ci assista nell’incominciamento del nostro governo e che con la sua virtù faccia sì, che quanto è a tutti palese la debolezza nostra tanto più chiaramente nel reggimento della chiesa faccia manifesta l’ammirabile sua divinità ».

XXVIII. A Pontefice, che a tanto umili e santi concetti non per consuetudine, ma per interna virtù apriva l'animo generoso mancare non dovevano onorificenze ed omaggi; e grandi e affettuosissimi li ottenne Pio VII. Il re cattolico emanava decreto che, i diritti dell'evangelica disciplina serbando illesi, imponeva all'episcopato di Spagna di rivolgersi al papa negli affari riguardanti la loro diocesi79. Dirigevansi a Venezia per inchinarlo il duca di Berry, vittima serbata ad un pugnale regicida, l'arciduchessa Marianna d'Austria germana di Francesco II e abadessa del [p. 53 modifica]nobile monistero di s. Giorgio di Praga. Ai deputati dell'imperiale governo austriaco, aventi alla testa il colonnello conte di Strasoldo univansi i membri costituenti la giunta suprema del governo romano: principe Gabrielli, marchese Massimi, avvocato Cristaldi. Non mancarono le città dello stato di spedire i loro deputati a Venezia. S'inchinavano al bacio del sacro piede il principe di Condè, l’infelice Enrico di Borbone d'Enghien: con grande apparato presentava le sue lettere credenziali l'ambasciatore d'Austria marchese Ghislieri cui era imposto di risiedere al fianco del gerarca di s. chiesa, ed altri non meno rispettabili personaggi. Primo atto di sovrano potere esercitava Pio in Venezia inviando legati a latere i cardinali Albani, Roverella e della Somaglia, cui dovevansi rimettere dal re di Napoli le redini del governo di Roma. Intanto per il protratto soggiorno del santo padre in Venezia cominciavasi ad accreditar la voce, che l'imperatore austriaco volesse impegnarlo a fermarsi in quella città, o forse ancora a trasferirsi in Vienna. Il sapere Bonaparte eletto primo console della repubblica francese, pronto a tentare di nuovo la sorte delle armi, e già per la via delle alpi segnata un tempo dal capitano cartaginese, calato in Italia, avvalorava i sospetti. Assistevano i veneziani alle solenni funzioni della settimana santa e della pasqua celebrate nella basilica patriarcale di s. Marco, lo seguivano nelle varie chiese da lui visitate, vedevano con interesse la consacrazione del cardinal Francesco Hertzan de Harras dal papa eseguita in s. Giorgio maggiore, ove recitò un omelia80. In queste ricorrenze spiegavasi nelle venete chiese l’ apparato istesso e la pompa, che rende sublimi le funzioni della chiesa romana81. Queste cose che l'animo [p. 54 modifica]dei veneziani mirabilmente eccitavano a sentimento di ossequio verso la sede apostolica, facevano temere a tutta l'Italia e in modo speciale a Roma ben lontano il giorno in cui il papa sarebbesi nei suoi dominî, a seconda dei pubblici voti, ristabilito. Pio VII però, che aveva fermo in cuore il ritorno alla città eterna avvisava a tutti i mezzi di dar compimento al suo voto. Il giorno quindici maggio lettera enciclica scrivea ai vescovi cattolici82, nella quale con la soavità, la tenerezza e l’affezione di un padre descrive i mali, che opprimono la chiesa, ne propone i rimedi, ne inculca con energia l'osservanza: essa sarà sempre riguardata come norma infallibile e sicura di chi siede al timone della navicella di Pietro83. Non volle il pontefice lasciar [p. 55 modifica]Venezia senza aver prima date prove di simpatia alla città e di riconoscenza all’austriaco monarca per l'accordata ospitalità: mosse alla volta di Padova per visitare il santuario del taumaturgo Lusitano. Navigò sulla Brenta, percorse il canale delle Zattere e della Giudecca fiancheggiato da gondole, da battelli e da peote cariche di persone intente ad onorare con atti di spontanea devozione il pastore universale della chiesa. Giunto a Fusina fu incontrato da personaggi distinti e da un distaccamento di cavalleria austriaca del reggimento Bussy: l’arciduchessa Marianna fecegli dono di due carrozze: entrato in Padova fra le acclamazioni di un popolo numeroso, andò ad abitare nel cenobio dei monaci benedettini di s. Giustina, ove si trattenne sino all'ultimo giorno del mese. Tornato in Venezia aumentavasi in Pio il desiderio di Roma a segno, che avrebbe tentato il mare sopra un piccolo legno se la corte d'Austria, vistolo determinato a partire, non avesse avvisato ai mezzi di usar seco lui i riguardi dovuti al sublime suo grado. Eragli dai commissari austriaci chiusa la via delle Legazioni, perchè queste soggette ancora alla dominazione straniera, si volle che sbarcando, dovesse Pio VII trovarsi in mezzo ai suoi sudditi. Posero gl’imperiali a sua disposizione la Bellona fregata austriaca forte di quaranta cannoni ed altri legni minori.

XXIX. Prima di accingersi alla partenza ricevè auguri di prospero viaggio da quanti erano in Venezia rispettabili patrizi, ragguardevoli personaggi. Il di sei giugno compartì adimmenso popolo, accorso in lacrime, la sua apostolica [p. 56 modifica]benedizione: manifestò il suo affetto alla cenobitica famiglia dei cassinesi e dei padri predicatori, dichiarandosene protettore. Avea appena discesa la grande scala accompagnato dalla nobile corte e da tutti i monaci quando vide schierata in armi la truppa e la marineria austriaca. I cardinali Borgia, Caprara, Pignatelli, Braschi e Giuseppe Doria accompagnavano il santo padre: seguivanlo l’aiutante generale Calugi, il patrizio Quirini ispettore della imperiale marina e il capitano Giaxinh. Stavansi in altri piccoli legni il marchese Ghislieri ambasciatore di Cesare a Pio, Catterin Corner cameriere di onore di sua santità: la corte pontificia era distribuita su di altre piccole lance84. Numero immenso di navicelle copriva il mare, corteggiando l’apostolico pellegrino, che commosso da tante prove di riverenza e di affetto, sollevando al cielo le braccia a bordo della Bellona benediva Venezia, mentre le iterate salve di artiglieria, il suono delle campane, le voci di un popolo immenso rendeano quello spettacolo tenero insieme e meraviglioso a vedersi85. Contrari spiravano i venti per cui l’imperiale naviglio fu costretto a gettare le ancore ed attendere un più opportuno momento86. Approdando a Pesaro il dì dieciasette facevansi ad incontrarlo nel porto i cardinali [p. 57 modifica]Bellisomi, Antonelli, Busca ed Antonio Doria preceduti dal generale Millius, e dal commissario Cavallar. Fu commovente l'incontro ch’ebbe coi suoi fratelli, nepoti e congiunti, venuti da Cesena per inchinarlo; vivissime furono le testimonianze di amore prodigategli dalla città che dispose luminarie, archi di trionfo, iscrizioni per festeggiare l'arrivo del santo padre. Di là mosse per Fano, incontrato da Severoli vescovo, scortato da un distaccamento di cavalleria tedesca, che sotto gli ordini di Mann lo accompagnò sino a Roma. Ivi il dì susseguente recavasi a visitare il monistero delle carmelitane scalze e suffragava con funebri esequie l’anima di sua madre, che ivi santamente avea chiusi i suoi giorni. Compiuto questo atto di pietà filiale si diresse alla volta di Sinigaglia: tante e siffatte dimostrazioni di riverenza e di affetto ricevea egli dovunque da far dire, nel percorrere quella strada, ch'egli trionfando riprendeva possesso di quei dominî, che la usurpazione aveva rapiti alla chiesa. Fra lo strepito delle artiglierie, che traevano dalla terra e dal mare e l’esultanza dei cittadini giunse in Ancona desiderato, acclamato, benedetto da tutti. I vascelli russi ancorati nel porto per ordine di Paolo I resero a Pio VII gli onori stessi che resi avrebbero al loro monarca. Seicento giovani anconitani si disputarono l'onore di staccare i cavalli per trarre la carrozza del papa con funi adorne di nastri sino all'episcopio, ov'era atteso dal vescovo cardinal Ranuzzi. Celebrò la messa nella chiesa cattedrale innanzi alla prodigiosa immagine di Maria; visitò i sotterranei, quindi in mezzo agli applausi del popolo dirigevasi a Loreto, ove giunse la sera del ventitre. Ivi stavasi ad aspettarlo il cardinale Archetti particolare suo amico. Celebrò il sacrificio incruento nella santa cappella della casa di Nazaret spogliata dei tesori non meno, che del venerando simulacro della Vergine, per ordine del direttorio inviato a [p. 58 modifica]Parigi. Commovente fu il ricevimento incontrato nella piccola Recanati, che un anno prima aveva sostenute le amarezze di una soldatesca sfrenata e portava ancora i segni delle patite sventure. Le strade erano tutte adobbate di serici drappi, di arazzi, di quadri. Un maestoso trono sorgea sulla piazza: vi ascese Pio VII e benedì al popolo, che dimenticava in quel punto i derubamenti e le uccisioni patite87. L'arciduchessa Marianna inchinavasi novellamente al pontefice quando da parte dell’imperatore d'Austria presentavasi al papa il commissario de Cavallar per partecipargli, che Cesare restituivagli il governo politico di quella parte delle provincie, che dipendevano dagl'imperiali commissari dì Perugia e di Ancona. Scrisse altri, che la grata novella eragli data in Loreto dall'ambasciatore Ghislieri. Da Recanati giungea in Macerata: ivi dopo aver pontificato, proseguiva il viaggio alla volta della capitale tenendo la via di Spoleto, ove coronò la prodigiosa immagine della Vergine. Era ricevuto nel palazzo dell’episcopio in Narni, e in Civita Castellana; onorava la mensa del cardinal Giuseppe Doria in Monterosi; accettava lauto rinfresco alla Storta dal principe Aldobrandini. E così approssimavasi l'avventurato momento, in cui il comun padre doveva trovarsi con i suoi figli, il sovrano con il suo popolo.

XXX. Prima di narrare l’esultanza dei romani correnti in folla lungo la via Flaminia per salutare il nuovo principe, le cui insegne, dopo tanti mesi di avvilimento, sventolavano sugli spalti della mole adriana, ci occorre ricordare quali, dopo tanti sconvolgimenti, fossero le condizioni di Roma. Erasi letto da varî giorni l'editto del principe [p. 59 modifica]di Aragona Naselli generale delle armi napolitane, che occupavano la capitale, per il quale avvisavasi giunto il momento desideratissimo da re Ferdinando IV, di riporre sull’augusto trono di Pietro il romano gerarca: giudicherebbero fra poco i popoli soggetti alla podestà pontificia sacra e immancabile la parola di re; vedrebbero a non molto la capitale e le provincie rivendicate pel valore napolitano dalle mani degli usurpatori, dalla magnanimità del piissimo principe a Pio VII liberamente restituite: tacea che il commodoro Troubridge comandante degl’inglesi per non abbandonare i suoi vascelli avea affidata Roma e lo stato pontificio agli alleati e ad un corpo di soldati russi fatti recentemente venire da Napoli. La commissione cardinalizia creata dal papa contemporaneamente per pubblico proclama annunciava il di ventidue giugno Pio VII impaziente di essere in mezzo ai romani per consolarli dopo aver pianto con essi non meno le sofferte sventure, che quelle restavano a sopportarsi. Egli, aggiungevano, tutto si occupa del vostro bene e vorrebbe perfino cancellar la memoria dei vostri errori passati ma, se non potrà cicatrizzare le vostre piaghe profonde, ne dividerà con voi il dolore, ne andrà sollecitando la cura: alle sue, alle vostre lacrime di duolo, conchiudevano i legati a latere, succedano ormai quelle della tenerezza e della consolazione, che avete già incominciata a dimostrare all'arrivo di ognun di noi. Due giorni precedenti l'ingresso di Pio VII in Roma unito all’editto del pro segretario di stato Consalvi leggeasi il proclama pubblicato in Ancona dai commissarî austriaci Antonio de Cavallar e Camillo Conte della Gherardesca: « Con quella stessa magnanimità, diceasi in esso, con cui non ha s. m. l'imperatore omesso verun sacrificio per la liberazione degli stati di santa sede, vuole ora rimettere nel pieno possesso il sommo pontefice Pio VII. In seguito di tale sovrana determinazione si ordina a tutte le reggenze, governi, magistrati, giudici ed altre autorità costituite, sotto qualunque nome esse siano, finora dipendenti dalla imperiale commissione civile stabilita in Ancona di uniformarsi pienamente fino dal dì d'oggi a quegli ordini, che [p. 60 modifica]piacerà a sua santità di communicar loro: e perchè non si possa da alcuno allegar ciò in ignoranza, sarà il presente proclama pubblicato ed affisso nei soliti luoghi. » Con si fatte grida eransi gli animi dei sudditi innalzati a grandi speranze. Non appena il cannone di castel sant'angelo traendo a festa avvisò i romani, che il pastore universale del mondo cattolico approssimavasi al ponte milvio un sentimento di rispetto, di amore, di filial tenerazza animò e scosse la città eterna così, che tutti i cittadini si travolsero a torme per le vie, sulle quali dovea, come in trionfo, transitare il pontefice. Bellissime erano le decorazioni di fiori, di drappi, di allori preparate dalla letizia romana per festeggiare il lietissimo avvenimento. Chi conosce Roma e il modo energico con cui sà questo popolo sublime esprimere la sua esultanza non ci giudicherà esagerati se diremo, che i trionfi accordati ai Cesari furono al paragone di quello meno interessanti e men belli: affrettavansi tutti, tutti fissavano anziosi lo sguardo sul volto mansuetissimo di Pio VII, che entrato in Roma alle quattro pomeridiane del dì ventidue giugno passando benediceva e sorrideva al popolo lungo le strade plaudente. Era ai romani lieto presagio il vedere diffusa sulla fronte del santo padre quell'aria di bontà, quel sentimento ineffabile, che ha la grandezza temperata dalla modestia: splendidissimo carattere del nuovo sovrano. Lo precedeva il marchese Ghislieri ambasciatore e commissario di Cesare, lo seguiva splendida in armi la cavalleria imperiale: lo ricevea a porta del popolo la suprema giunta di governo e il generale napolitano Naselli. I patrizi romani a dimostrare l'antico loro attaccamento ai gerarchi di santa chiesa a proprie spese sulla vastissima piazza all'ingresso del corso un temporaneo arco di trionfo vollero costruito88. I cannoni situati in tutte le piazze [p. 61 modifica]della capitale a quando a quando traendo, empivano di gioia l'animo dei cittadini; si diresse il pontefice alla basilica Vaticana, ove dal cardinal duca di Yorch si diede con la sacra eucaristia la benedizione al papa e all'immenso popolo che lo seguiva: trasferivasi quindi in forma pubblica al Quirinale, ove i cardinali, i prelati, i principi romani attendevanlo uniti ai rappresentanti di Ferdinando IV di Napoli. Mostratosi sulla gran loggia, che guarda la piazza, impartì al popolo la prima volta la benedizione apostolica quindi si pose a riordinare lo stato, desideroso com'era di promuovere i vantaggi religiosi e di assicurare il ben'essere dei suoi sudditi.

  1. Non ultima delle ragioni per le quali si esclude l’affinità dei Clermont Tonnerre è che la famiglia francese ha nello scudo gentilizio due chiavi incrociate, e quella di Cesena tre teste di mori bendati e tre stelle.
  2. Onorio III creò cardinale Nicolò dei Chiaramonti nobile siciliano. Vedi Moreri.
  3. Vedi Fazzelli, Bonfigli e Zazzeda, i quali asseriscono concordemente, che Enrico Chiaramonti nel 1271 servì l’angioino e quindi, dopo il famoso vespero siciliano, entrò agli stipendi di re Pietro III, che avea conquistati quei dominî per le ragioni di Costanza figlia superstite di Manfredi.
  4. Vedi Moreri come sopra.
  5. Storia di Cesena in XVI libri pubblicata da Scipione Chiaramonti seniore, e difesa dal di lui figlio Simeone nel suo libro «Contentio apologetica de Caesena triumphante adversus Fortuni Liceti oppositiones, in qua defenditur patriae historia fideliter conscripta a Scipione Claramontio». Vedi Jaen Pierre Nicesou «Memoires pour servir à l’histoire des hommes illustres dans la republique des letteres». Tom. XXX. pag. 157. edizione di Parigi 1727.
  6. Dio benedì la famiglia Chiaramonti di numerosa figliolanza. Nacquero da questa avventurata unione Giacinto Ignazio, il quale entrò nella compagnia di Gesù e dopo la soppressione fu arcidiacono della catedrale di Cesena; Tommaso sposato alla contessa Marianna Albini di quella città, da cui discende la generazione attuale; Barnaba, assunto al pontificato; Gregorio che, chiamato in Roma da Pio VI, entrò nell'accademia ecclesiastica, ma avendo rifiutata la prelatura offertagli dal suo congiunto, si ritirò in Bologna, ove morì celibe; Ottavia, celibe anch'essa, è morta in Cesena.
  7. Dicesi, che la madre di Pio VII virtuosissima dama, abbia presagito al figlio il pontificato. Questa veneranda donna, appena rimase vedova, volse le spalle al mondo e nel monistero di s. Teresa in Fano vestì l'abito delle carmelitane scalze. Fece la sua professione solenne nel 1762 assumendo il nome di Maria Teresa. Specchio di ogni virtù, visse santamente nel chiostro sino al sessantesimo anno e morì il giorno 22 novembre 1771. L'arcidiacono Chiaramonti in un suo carme dedicato al fratello, mentr'era cardinal vescovo d'Imola, pubblicato in Cesena nel 1786 col titolo « De majorum suorum laudibus » esprime l'affetto filiale con i seguenti versi, che ci piace di riprodurre.
    « O semper memoranda parens! O Carmine nostro
    « Non unquam laudata satis! Me respice clemens
    « Exatumque tibi mortali corpore junge!
  8. Dopo un regno di oltre a 23 anni Pio VII morì il giorno istesso, in cui avea 65 anni innanzi abbracciato l'Istituto di quel grande, che dall'Italia proscrisse l'idolatria e vaticinò la morte di Totila.
  9. Hanno gli scrittori contemporanei molto e variamente parlato di questo viaggio, delle ragioni che lo promossero, dei risultati che ottenne. Con la speranza di opporre un argine alle innovazioni di Kaunitz, partì Pio VI da Roma nel cuor dell'inverno.
  10. Il titolo di abate conferito per grazia sovrana e non a tenore delle monastiche regole, assicura all'eletto una distinzione fra i confratelli, un seggio onorevole in coro, l'uso dell'anello, della mitra e vari altri privilegi: ma non lo toglie dalla sommissione dovuta all'abate titolare del monistero.
  11. Una delle cose, delle quali l'abate Chiaramonti portò querela a Pio VI era quella di non poter vivere nelle camere assegnategli dall'abate di reggimento, perchè situate in prossimità di un forno. Il papa, dopo aver ammesso al bacio del piede tutti i claustrali, si lagnò del caldo soffocante , che sentivasi nelle stanze onorate di sua presenza. Chiaramonti ne spiegò la causa e Pio VI uscì per condursi nell'appartamento tenuto dall'abate di governo , e trovandolo comodo e agiato, ordinò al medesimo di cambiare il suo quartiere con quello del padre Chiaramonti, ricordando che dovea fra i cenobiti osservarsi una perfetta reciprocanza.
  12. Alludono alla nequizia dei tempi le parole usate dal nuovo vescovo. « Periculosa, egli scrive, tempora, quae nacti sumus omnem sollicitudinem vestram requirunt. Nostis sane quam plurimos infelicissimis bisce diebus exurexisse borni nes seipsos amantes, elatos, superbos, blaspbemos, tumidos et voluptatum magis amatores quam Dei, qui impotenti ac perversa philosophandi libidine nova credendi, videndique praecepta confingentes, flexuosis ambagibus, verborumque lenociniis conculcare omnibus viribus opibusque nitantur ». Epistola pastoralis ad clerum et populum Tiburtinum D. Gregorii Claramonti ord. s. Benedicti congregationis cassinensis.
  13. Il padre Tommaso Maria Mamachi Maestro dei ss. palazzi apostolici, lodato autore della eruditissima opera « Origines et antiquitates christianae » della quale giustamente fu scritto, principem locum tenent laudatissimae origines et antiquitates Christianae.
  14. Dissente da questo racconto il cav. Artaud di Montor, il quale nella sua storia di Pio VII tradotta dall'abate Cesare Rovida narrando questo incidente scrisse « Il vicario di s. uffizio di Tivoli, senza aver ottenuta la permissione del vescovo, avendo permessa la vendita di alcuni libri ascetici, il vescovo minacciò il vicario d'un interdetto , se non riconosceva l'autorità dell' ordinario » Artaud storia di Pio VII cap. I.
  15. Sacrosancti Concilii Tridentini Sess. XXIV. Cap.I. et seq.
  16. Per quello che riguarda Imola e la importanza storica e topografica dell'Emilia, senza aver ricorso a ciò che dicono i moderni, basta ricordare le parole di Plinio « Forum Cornelii, oppidum in Aemilia, quod et forum Sillae appellatur, utroque nomine deducto a Cornelio Silla dittatore, qui ibi primus forum instituit Foro Corneliensis agri meminit. Hodie Imolam vocant quasi Æmiliam a nomine viae, in qua sita est. » Plin. Lib. III. Cap. XVI.
  17. Roma, che deve tanto dell'attuale sua magnificenza al genio e all'amore spiegato da Pio VII, che sino dai suoi primordi mostrò tanto affetto alle arti, d'immortali benefici sarebbe stata arricchita se questo pontefice non fosse stato bersagliato in modo da far dire ad uno storico contemporaneo (Baldassarri) che il suo regno offrì un singolare complesso di virtù e di sventure, di trionfi e di afflizioni.
  18. Egli che, vescovo di Tivoli, erasi dichiarato pronto a dare la sua dimissione se alla difesa da lui fatta dei suoi episcopali diritti non si fosse resa la dovuta giustizia, per la questione insorta in Imola fra lui e il cardinal Spinelli legato di Ferrara non dubitò di dire, che non vivea più in comunione col detto porporato. S'interposero prudentemente i cardinali amici d'ambo le parti: furono in pace composte le vertenze e al Chiaramonti che impavidamente sostenea i diritti della sua chiesa, si fecero le debite scuse.
  19. Hardion - Storia Univers. Tom. XXVII.
  20. Fu conchiusa la pace ad insinuazione del cardinal Costa per la mediazione di Ulloa ambasciatore di Spagna.
  21. Per quello, che riguarda Ugo Basville leggiamo con meraviglia quanto scrive nella vita di Pio VII il cavalier Artaud di Montor. Egli che nella prima edizione della sua opera avea ingenuamente raccontato il tristo avvenimento, sull'appoggio delle notizie attinte sul luogo, ove avvenne la morte di questo segretario dell'ambasciata di Francia in Napoli venuto in Roma per proteggere gl'interessi dei negozianti francesi e caduto vittima di una sommossa popolare originata dalla sua imprudenza. Pentito quindi di aver narrato il vero, nella seconda edizione corregendosi, dichiara che Basville era rientrato nel suo gabinetto quando « un barbiere lo colpì con un rasojo prima , che la forza armata, da suoi familiari chiamata in soccorso, avesse potuto entrare nel suo gabinetto ». Continua quindi immediatamente « Basville trasportato in un vicino corpo di guardia, spirò poche ore dopo il fatai colpo ». Deve pertanto supporsi, che Ugo Basville mortalmente ferito anzi che curarsi in casa abbia voluto farsi condurre in un corpo di guardia. La verità si manifesta da per se stessa. Noi dobbiamo a questa sventurata catastrofe uno dei più bei lavori poetici, dei quali si glorii la letteratura moderna.
    Giucci. Vita di Pio VII. — I
  22. Chi oserebbe ascrivere a colpa del Papa l'aver ordinato solenne ufficio funebre a Luigi XVI dopo la catastrofe lacrimevole, che pose fine ai giorni dell'infelice monarca? Se pianse l'Europa intera chi negar poteva al vicario di Gesù Cristo il pregar pace alla vittima più illustre della rivoluzione francese, al figlio primogenito della chiesa, al re cristianissimo? Nol dovea Roma, che aveva offerto ospitalità ed asilo alle figlie di Luigi XV?
  23. Entrò Buonaparte in Bologna verso la metà del mese di giugno 1796. Questo avvenimento era il preludio dei duri tolti, che a danno del governo pontificio doveano verificarsi più tardi.
  24. Era la pace conchiusa in Basilea il 22 luglio 1796, e ratificata il 29 agosto del detto anno fra il cittadino francese Barthelemy e il ministro del re di Spagna cavaliere Iriate.
  25. Manfredini, uomo assennato, temendo l'occupazione di Livorno, che avrebbe autorizzato il sequestro delle mercanzie inglesi in quel porto, si presentò al generale in capo, il quale tosto che il vide disse « Ritiratevi: voi venite a pregarmi di non andare in Toscana: ed io devo senza dilazione volgermi verso Roma per la via della Toscana e di Livorno ». Questi senza perdersi d'animo rispose: temesse il giudizio della posterità: mal retribuirsi un principe pacifico e affezionato con simile atto: ricordarsi avere, per la pace segnata, incontrato il gran duca la giusta indignazione del fratello imperatore d'Austria, e che eranvi altre strade per andarsene a Roma senza toccar Firenze. Assentiva Buonaparte, era fiducioso il ministro toscano a segno da spedire avviso al gran duca, che i francesi andrebbero a Roma senza comprometterlo con i negozianti inglesi, ebe avevano ricchissimi depositi in quel porto toscano. Ma i fatti non corrisposero alle parole. I francesi deviando, quando meno temeasi, dal cammino di Roma, piombarono all'improviso sulla non munita Livorno, e più milioni di merci inglesi furono confiscate in porto amico alla Francia. Conviene confessare, che Bonaparte obbediva al direttorio, che sul proposito di quella città marittima di Toscana scriveagli « Bisogna sorprenderla, bisogna arrivarvi nel momento, in cui sarete meno aspettato ».
  26. Mentre il ministro toscano lagnavasi con Bonaparte dell'avvenuto, questi senza rispondergli, domandò che cosa era quel segno che vedea sull'abito di alcuni signori toscani. È la croce di s. Stefano replicò il ministro. Ebbene, soggiunse il giovane capitano, mandatene uno al canonico Bonaparte mio zio, che ho visitato a s. Miniato. Glie ne ho data promessa.
  27. Questo armistizio null'altro aveva di chiaro , che la necessità di pagare in poco tempo una somma immensa e il trovarsi lo stato esposto sempre a versare in mano ai soldati di Francia quelle somme, che si vorrebbero imporre nelle legazioni di Bologna e Ferrara non meno, che in Ancona.
  28. Questo disgraziato ministro sembrava destinato ad accreditare in tutte le circostanze con la sua autorità la mala fede di coloro con i quali negoziava e sacrificare in pari tempo quelli per i quali trattava. È singolare il riflesso che il cavalier de Azara dopo aver tante volte compromesso il suo nome, rimanea sempre amicissimo di chi aveva sacrificato. Vedi Coppi Ann. d' Ital. anno 1796.
  29. Fu visto passeggiare per Imola con gli ufficiali dell'armata francese: li convitò tal volta, memore, che il vescovo di Nizza il quale non avea dato saggio di moderazione in circostanze meno penose, anzi che giovare al suo popolo ebbe a stento dal generale Anselme tanto di tempo, che bastavagli appena ad allontanarsi dalia sua sede e rifugiarsi a piedi a Scarena.
  30. Nacque l'insurrezione per le imposizioni dei francesi divenute gravosissime, e più per aver visto metter la mano sulla statua d'argento rappresentante s. Ilario patrono della città.
  31. Ingrossavano le fila degl'insorti i cittadini d'Imola. Infelici! Pagarono ben presto il fio della loro devozione verso la santa Sede. Bonaparte nel darne conto al direttorio scrivea « Stampe sediziose, predicatori fanatici suscitarono dapertutto la ribellione. I rivoltosi ordinarono in pochi giorni quello che essi chiamavano l'esercito canonico e papale. Stabilirono il loro quartier generale a Lugo, grosso borgo nella legazione di Ferrara quantunque appartenente alla Romagna.
  32. Vedi Coppi annali d' Italia in continuazione del Muratori anno 1796. Tom. I pag. 412.
  33. Augereau nell'ampolloso rapporto al generale in capo, in cui regala il titolo di briganti, di chouans della Romagna agl'insofferenti del giogo straniero, dice che soli quattro francesi morirono nel combattimento!
  34. Il bottino raccolto dai francesi fu portato in Bologna ed ivi venduto nella pubblica piazza: vent'otto prigionieri rendeano più lacrimevole quella scena: due giorni dopo una grandine senza esempio abbattè le vigne, devastò i campi e distrusse tutto quello che aveano risparmiato i francesi. Mallio Ann. di Homo, Tom. XIX pag. 152.
  35. Erano fra queste le bandiere riccamate dalla imperatrice d'Austria donate ai volontari di Vienna.
  36. Dicea Clarke aver bisogno la Francia del papa perchè i preti non avversassero la rivoluzione politica.
  37. Prevedendo il general Colli il pericolo, a cui era esposta la santa casa di Loreto fece porre su i carri gli arredi preziosi e le reliquie più insigni, che appartenevano al santuario indirizzandole a Roma.
  38. 1 commissari francesi Munge, Villetard e Moscati poste le mani su quanto restava in quel tesoro, creato dalla pietà dei devoti, spedirono a Parigi il simulacro della vergine lauretana e vari oggetti appartenenti alla santa casa. Destano orrore le parole di sarcasmo e d'insulto, che accompagnarono quell'invio.
  39. Vedi Leoni storia di Ancona dedicata a Carlo X 1832.
  40. Soldati francesi , e cisalpini di alto rango hanno parlato con lodi dei fatti d'armi e della resistenza opposta dai pontifici.
  41. Correspondance de Bonaparte. Tom. II.
  42. Scrivea in altro tempo Bonaparte a Mattei « Voi siete stato testimonio del prezzo, che io posi per la pace , ed il desiderio, che ho di esimervi dagli orrori della guerra; ma delle persone vendute alle corti, in cui sono impiegate, desidererebbero perdere il paese d'Italia. Siamo alla fine di questa ridicola commedia. Assicurate il papa, che come primo ministro della religione troverà protezione per lui e per la chiesa.
  43. Correspondance de Bonaparte Tom. IL pag. 460.
  44. Hìstoire de Bonaparte premier Consul de la Republique française depuis sa naissance jusqu'a l'an. XI. à Paris chez Barbe an. XI 1803-
  45. L'Omelia, che diede luogo a tanti e a si diversi commenti incomincia « La voce onnipotente in se stessa spiegò al di fuori la sua virtù nel tempo ecc. ».
  46. Avvi chi discostandosi dal suo ufficio d'istorico prende ad esaminare la omelia nelle varie sue parti, ne cita i brani, invita i lettori con una franchezza, che incanta a vedere quali sono i pensieri del cardinal Chiaramonti, e quali i passi dettati dai confidenti del vescovo. Egli vi si fa strada scrivendo « Esaminiamo adunque colla maggiore libertà l'Omelia » E poiché pareagli, com'è veramente brutto ufficio quello di censurare l'opera di un virtuosissimo vescovo, che dovea divenir fra non molto il pastore supremo della cristianità scrive « La lode generalmente parlando, non è mai tanto verace, tanto piena, che allorquando noi la veggiamo accompagnata qualche volta da rimprocci meritati, che la sospendono, per così dire, e che la rendono più efficace, più luminosa quando di nuovo è largita ».
  47. Così suonavano gli ordini a Berthier « Il Direttorio esecutivo, cittadino generale, ha veduto colta più viva indignazione la condotta, che tenne la corte di Roma verso l'ambasciatore della repubblica francese. Gli assassini del valoroso generale Duphot non resteranno impuniti. È volere del direttorio, che voi vi portiate immediatamente su Roma, e più segretamente, che sarà possibile.
  48. Dal palazzo del Quirinale, ove avea preso stanza, scrivea al generale Bonaparte Berthier, che avea trovata Roma immersa in un terrore profondo, e quel che fa più meraviglia, che un solo romano erasi a lui presentato per offerirgli di dar libertà a due mila galeotti. Ecco i difensori su i quali potea far conto la repubblica francese!
  49. Il secondo dispaccio da Al. Berthier inviato a Bonaparte dicea « Le vostre vittorie, cittadino generale, hanno aperta alle armi francesi la via per giungere a Roma, e così vendicare, in nome del governo l'uccisione del prode generale Dupbot: l'esercito francese appena si è mostrato Roma divenne libera. Nel giorno ventisette il popolo di questa immensa capitale ha concordemente dichiarata la sua indipendenza, e ripigliati i suoi diritti. Una deputazione mi ha manifestati i suoi voti, ed io ho fatto il mio ingresso in Roma, ove, giunto al campidoglio, in nome della repubblica Francese, ho riconosciuta la repubblica romana indipendente. Pervenuto alla porta detta del Popolo alcuni deputati mi hanno presentata una corona a nome del popolo romano. Nel riceverla io dissi loro, che apparteneva questa di tutto diritto al general Bonaparte, le cui prime gesta avevano preparata la romana libertà: che io la riceveva per lui, e che gliel'avrei trasmessa a nome del popolo di questa metropoli. Incarico mio fratello, cittadino generale, a recarvela, mentre dichiaro, che debbo a voi solo il momento ben avventurato che mi ha posto in grado di proclamare la romana libertà ».
    Giucci. Vita di Pio VII.
  50. Dicesi, che un commissario francese nell’intimare al santo Padre la partenza per ordine del direttorio abbia aggiunto, alludendo ai viaggio di Vienna, che avendo dimostrato d'amare i viaggi conveniva soddisfare alla sua inclinazione.
  51. Se grandi furono i patimenti di Pio VI non furono minori le consolazioni provate dal suo cuore per gli attestati di riverenza e di affetto, che lo accompagnarono ovunque e alleggerirono le angoscie del magnanimo prigioniero. Carlo Emmanuele IV e Maria Clotilde cacciati dai loro stati del continente l’ossequiarono nella certosa di Firenze. La pia Regina prostrata umilmente ai suoi piedi lo pregò di accettare un anello di gran valore: il pontefice se lo pose in dito, e promise, che se gli fosse permesso, lo porterebbe per tutta la vita.
  52. E straziante il racconto della sua morte. Offrendo a Dio il sacrificio della sua vita passò gli ultimi momenti fra la recita delle giaculatorie e dei salmi. Libero di mente e col crocefisso in mano rispondea coi movimenti del capo alla benedizione in articulo mortis portatagli da mons. Spina, che quindi Pio VII creò cardinale. Spirò placidamente la notte del venti agosto 1799 nella grave età di 81 anni, mesi 2 e giorni 2, di pontificato, il più lungo dopo quello di san Pietro; di anni 24, mesi 6 giorni 44. Ordinò prima di morire, che si togliesse dal suo dito l'anello prezioso, che avea ricevuto in dono dalla regina Clotilde per consegnarlo al successore che avrebbe eletto il sacro collegio.
  53. Solenni funerali vennero ordinati a Vienna nella chiesa metropolitana. Si fece altrettanto a Madrid, a Lisbona, a Cagliari, a Siena e altrove. Anche a Pietroburgo nella chiesa cattolica si celebrò un ufficio funebre con l'intervento dell'imperatore Paolo I. In Savona i sacerdoti e i prelati, che avevano seguito il pontefice e assistito negli ultimi momenti disposero i novendiali nell’oratorio della cittadella, ma poveramente per le condizioni dei tempi. Alla mancanza degli oggetti i più necessari alle sacre ceremonie supplirono le lacrime e la pietà. Recitavasi ogni mattina la messa e l’ufficio dei morti: quindi monsignor Spina arcivescovo faceva l'asoluzione. Vennero però l'esequie onorate dal concorso dei fedeli, che Pio VI veneravano come un santo. Si baciava la cassa, si toccava con immagini devote, con fiori, che quindi quei buoni francesi distribuivano fra loro con tenerezza e pietà edificante. Terminati i novendiali, la cassa funebre fu deposta nella camera sotto la cappella. L'arcivescovo Spina partecipò la morte di Pio VI al cardinale Albani decano del sacro collegio. Ricorse al direttorio perchè il governo negava dare ai familiari quei pochi ricordi che il papa avea loro lasciati. La piccola pisside, entro la quale solea Pio VI portare nei suoi viaggi la sacra eucaristia, passata in proprietà del vescovo di Valenza monsiguor Chatrongse fu da questi provvidenzialmente donata a Pio IX, che ne fece uso nel suo memorando viaggio da Roma a Gaeta nel 1848.
  54. Il signor di Thugot ministro imperiale, da parte del suo augusto padrone, scrisse lettera al sacro collegio piena di affettuose e cortesi parole.
  55. Questo monistero si vide onorato da Pio VI quando recavasi a Vienna. Il doge della repubblica volea riceverlo nel monistero di s. Giorgio maggiore , ma egli preferì il convento tenuto dai padri di s. Domenico.
  56. Vedi Moroni Dizionario di erudizione storica ecclesiastica vol. LEI pag. 116.
  57. Per ordine venuto da Vienna uscirono i monaci: vi si disposero quarantatre stanze per i cardinali: la vasta libreria venne ridotta ad uso di chiesa e il coro domestico fu convertito nella sala destinata agli scrutini.
  58. Altri scrisse nel tempio di s. Marco alle spese dei fratelli Braschi nepoti del papa.
  59. Venne a tale oggetto destinato dal re dì Spagna il prelato Despuing y Dameto eletto patriarca di Antiochia ministro plenipotenziario di quel religioso monarca.
  60. Crudelia ac superba imperia, brevia magis , quam diuturna esse solent. Salust. de Repub. ordinanda.
  61. Entrarono in conclave. Albani, il duca di Yorch, Antonelli, Valenti-Gonzaga, Caraffa di Trajetto, Zelada, Calcagnini, Borgia, Caprara, Vincenti, Maury, Pignatelli, Rovarella, della Somaglia, Antonio Doria, Braschi, Carandini, Flangini, Rinuccini, Honorati, Giovannetti, Gerdil, Martinfana, Herlzan de Harras, Bellisomi, Chiaramonti, Laurenzana, Busca, Dugnani, De Pretis, Fabrizio Ruffo. Eranvi altri undici porporati impediti da insuperabili difficoltà a portarsi a Venezia. Erano questi Sentenat, Mendoza, Gallo, La Rocbefoucauld, Roban , Montroorency-Laval, Frankenberg, Migazzi, Bathyany, Ranuzzi, Zurlo. Il cardinale Antici, che avea in mano a Pio Vi rinunciato alla porpora presentavasi anch'esso a prender parte ai solenni comizi, ma non fu ammesso in conclave.
  62. Si crede da altri che questa bolla segnata in Roma il dì undici Febraro 1798 sia stata trovata fra le carte di Pio VI quando fu strappato violentemente dal Vaticano. Essa comincia « Attentis peculiaribus ec.
  63. Questo re balestrato in Russia, ove fu amichevolmente accolto dallo czar, rispose alla lettera dei cardinali adunati in conclave. È rimarchevole il passo della medesima, in cui leggesi « Allorquando darete un capo alla Chiesa speriamo la miglior scelta da un assemblea così distinta per la sua pietà, saviezza e dottrina. È in questa ferma confidenza, che aderiamo solennemente a quello che da voi sarà prescelto e quando Colui per cui regnane i re ci avrà stabilito sul trono dei nostri antenati, noi faremo rispettare la sua legittima autorità in tutta l'estensione del nostro regno, o giustificheremo il nostro titolo di re cristianissimo e di figlio primogenito della Chiesa.
  64. Dalle rive dei Rodano riceveasi in conclave la consolante notizia, che per decreto emanato li ventinove novembre 1799 dal primo console erasi effettuata la ceremonia della inumazione del cadavere di Pio VI. Sino a quel giorno le spoglie mortali del venerendo pontefice furono custodite nel luogo istesso consacrato dalla presenza dei sacri corpi dei martiri Felice, Fortunato, Achilleo inviati a Valenza per propagarvi la luce dell’evangelo da s. Ireneo vescovo di Lione.
  65. Era stato creato cardinale da Pio VI il giorno quattordici febraro 1788.
  66. Appartenne alla nobilissima famiglia dei duchi di Giove e sottoscrisse il trattato di Tolentino. Il cardinale Hertzan ambasciatore cesareo al conclave, a tenore delle sue istruzioni, impegnavasi vivamente alla sua promozione, ma non l'ottenne perchè il cardinal Braschi ricordando al sacro collegio che suo fratello avealo veduto inginocchiarsi innanzi al ministro di Francia, dicea — Mattei saprebbe morire, ma non saprebbe regnare.
  67. Perchè la elezione fosse canonica doveano i voti ascendere a ventiquattro, che formavano appunto i due terzi voluti dalle costituzioni apostoliche
  68. Questo cardinale, il cui nome onora la chiesa, e la congregazione Barnabita alla quale appartenne fu istitutore di Carlo Emmanuele IV re di Sardegna. Avea egli trionfalmente confutato il materialista Loche e Voltaire, era autore di molte opere e tutte pregevolissime.
  69. Il diritto di dare l’esclusiva appartiene all'Austria, alla Francia e alla Spagna. I due cardinali spagnoli, che trovansi in Venezia non avevano alcuna missione dalla loro corte: il cardinale Maury non osava pronunciare per Luigi XVIII un esclusiva, che potevagli essere contrastata in conseguenza delle miserande condizioni di quel re esule dalla Francia.
  70. Ercole Consalvi uomo di altissimo ingegno e di spirito penetrante , il cui nome và strettamente congiunto a quello di Pio VII del quale fu segretario di stato, è troppo noto, perchè noi ci facciamo luogo a parlare di lui. Egli sapea, che per essere segretario del conclave eragli mestiere aver precedentemente esercitato l'ufficio di segretario del concistoro. Prima delle rivoluzioni, che agitarono Roma occupava questa carica per mons. Negroni, uomo avanzato in età. L’accorto Consalvi che recavasi appositamente nella capitale per visitarlo e renderlo favorevole ai suoi desideri, prendea il destro di fargli riflettere che a sostenere i disagi di un viaggio sino a Venezia nel cuor dell'inverno, era bisogno di valida salute e di forze. Quando il vide persuaso a rimanersene in Roma domandò di sostituirlo. Ottenuta dal vecchio prelato una lettera commendatizia, volò a Venezia, e insinuandosi abilmente nella grazia dei porporati seppe far valere le sue pretensioni a preferenza di mons. Devoti, illustre giureconsulto che domandava quel posto. Il Consalvi, che gettava in tal modo le fondamenta della sua fatura grandezza avea a quell'epoca quarantatrè anni.
  71. Fece il cardinal Hertzan riflettere ai porporati, che trovandosi il sacro collegio in una città sottoposta al dominio dell’imperatore austriaco era conveniente prima di pubblicare la nomina del nuovo pontefice partecipargliene per mezzo di un corriere l'avviso. Non poteasi dubitare della sua adesione perchè il Bellisomi era nato a Pavia e per conseguenza suddito di sua maestà.
  72. Fu nel conclave di Venezia, che Ercole Consalvi cominciò a spiegare quella politica, quella spontaneità di concetti, quell’accortezza di modi, quella felicità di risorse che in seguito gli assicurarono una rinomanza fra quanti furono diplomatici dei nostri tempi.
  73. Un vasto incendio avvenuto in Venezia nel pubblico palazzo del collegio dei medici, che consumando l’archivio , la biblioteca non lasciava in piedi che le pareti laterali precedeva la elezione di Pio VII; un incendio più vasto e più deplorabile: quello della basilica di s. Paolo ne preconizzava la morte la notte del quindici luglio 1823.
  74. I segretari del conclave hanno per lo più esercitata un alta influenza su i cardinali. L'elezione d'Innocenzo X fatta nel 1664 è dovuta all'intelligenza e alle premure spiegate dal prelato Fanelli segretario di quel conclave.
  75. Assunto appena al pontificato, provvide alle cariche di corte. Conferì il posto di maggiordomo a Marino Caraffa di Belvedere, di maestro di camera a Diego Innico Caracciolo: fu nominato sacrista Menocchio vescovo d'Ippona, segretario delle lettere latine Mariotti, crocifero e sopranumero dei maestri di ceremonie Speroni.
  76. Il cardinale Giovanni Francesco Albani disse al padre Emmanuale da Ponte professore della università di Bologna « non solo abbiamo quest'oggi eletto un papa, ma un martire » (Vedi Deani Min. Osserv. orazione funebre di Pio VII Roma presso Boulzaler 1824.)
  77. L’Abate del monistero di s. Giorgio maggiore don Bartolomeo Vernier a nome della sua religione inviava a Pio VII un servigio di argento, ma il pontefice, nemico di ogni pompa, lo rifiutava, dichiarandosi soddisfatto interamente dei mobili e delle stoviglie di cui era fornito. Non permise in fatto che fosse con maggior lusso decorato il suo appartamento.
  78. Allocutio habita in concistorio secreto die XXVIII martii MDCCC. Venetiis in Monisterio s. Georgii Majoris ( Romae MDCCC apud Lazarinium typographum cameralem).
  79. Era questo decreto firmato in Aranquez il dì ventinove marzo 1800 richiamando quello, che aveva emanato il giorno cinque settembre dell’anno precedente.
  80. Homelia habita in consacratione Francisci S. R. E. cardinalis Hertian de Hartas episcopi Sabariensis in Ungaria diei XXHI maii MDCCC dominica V post pascha Venetiis in templo s. Georgii majoris. Essa comincia. Episcopalis consecrationis sacramentum etc. (Romae apud Lazzarinum typograpb. K. C. A.)
  81. Molte furono le chiese e diverse le ceremonie ecclesiastiche dal romano pontefice eseguite in Venezia. Frà i monisteri da lui visitati ricordiamo quello di san Lazzaro, che ne volle tramandata ai posteri la memoria con un epigrafe dettata dal Kinver abate dei monaci armeni mechitaristi. Trasferivasi col suo seguito nella chiesa dei santi Apostoli il giorno, in cui celebravasi la festa titolare. In tutte queste funzioni come in quelle della settimana santa, e della pasqua prestava a lui assistenza il tenente maresciallo barone di Manfrault. In segno del suo gradimento sovrano il santo padre gli donò un anello di zaffiro contornato di brillanti, pregandolo di rimetterne un altro di un balascio al maggiore della piazza. Il dono a questi inviato era accompagnato da un biglietto in cui il s. padre significavagli, che nella impossibilità nella quale lo ponevano le sue circostanze nel dover fare una dimostrazione suppliva per esso il vescovo d'Imola, essendo appunto l'anello ch’egli usò mentre tenne il governo di quella chiesa.
  82. Littera Encylica ad omnes catholicos episcopos: Veneliis ex monisterio s. Georgii majoris die XV maii an. MDCCC pontificatus sui anno I. Essa incomincia — Diu satis videmur apud vos tacuisse. - Per essa richiamansi le facoltà provvisoriamente concesse ai vescovi dalla s. m. di Pio VI a motivo della difficile e dolorosa circostanza nella quale trovavasi la chiesa dopo il suo allontanamento da Roma.
  83. È rimarchevole il seguente passo della enciclica con la quale si fà a deplorare i mali, che pesano sulla Francia. « Noi sentiamo una profonda tristezza ed un vivo dolore pensando a quelli dei nostri diletti figli, che abitano la Francia e sacrificheremmo la nostra vita per essi, se la nostra morie operar potesse la loro salute. Una circostanza però diminuisce e mitiga il nostro dolore; ed è la forza, la costanza, che molti di voi hanno mostrato e che sono imitate da tante persone di ogni età, d’ogni sesso e d'ogni condizione. Il loro coraggio a non macchiarsi di un giuramento illecito e colpevole per continuare ad obbedire ai decreti, ed alle sentenze della santa sede apostolica, resterà eternamente scolpito nella nostra memeria quanto la crudeltà rinnovellata dei tempi antichi, colla quale sono stati perseguitati quei fedeli cristiani ».
  84. Precedeva il convoglio una peota fatta preparare dai monaci di s. Giorgio maggiore, ed altre sei peote dei reverendi deputati ecclesiastici, oltre sei sestieri della città, che vollero tutti nel momento della partenza esprimere al vicario di Cristo in terra i sentimenti della loro gratitudine e del profondo loro rispetto.
  85. In occasione della partenza del santo padre circolò per Venetia il distico seguente:
    Ad gregis imperium Christi Petrum unda vehebat
    Ad Petri soliaum vexit et unda Pium.
  86. Sù di un piccolo legno recavasi Pio VII a diporto ad osservare la celebre diga volgarmente chiamata i Murazzi opera sorprendente e monumentale che sola può far concepire 1'idea della munificenza veneta e della grandiosità di quell'antico senato. Imbarcossi pure il giorno nove nel bargio della Bellona per recarsi a Malamocco, ove fu ricevuto dalle autorità di quel luogo e si trattenne tre giorni. Dopo aver camminato per lungo tempo sugli argini di quel littorale verso le ore otto s'imbarcò finalmente per restituirsi ai suoi stati.
  87. Pare, che la provvidenza abbia voluto compensare in questo giorno istesso quella città della desolazione e dello spavento da cui fa compresa l'anno antecedente pel saccheggio e massacro: sostenuto pel fatto delle truppe repubblicane , che vollero in tal modo vendicarsi crudelmente dell’attaccamento e della fedeltà da quella piccola città del Piceno mostrata alla santa sede.
  88. Sulla piazza del popolo, e precisamente frà le due chiese, sorgeva un magnifico arco trionfale fiancheggiato da due archi minori, che aprivano pur essi l'ingresso alle due vie laterali di Ripetta e del Babbuino. Era questa una prova di amore data al pontefice dal patriziato romano. L'arco principale vedeasi adorno di ecclesiastici trofei fra gl'intercolunni: stavano nell'interno due bassorilievi, l'uno dei quali rappresentava lo sbarco del santo padre in Pesaro con l'epigrafe

    EXCENSIO . IN . PORTVM . PISAVRENSEM


    mostrava l'altro l'incontro fatto al pontefice a poche miglia da Roma del duca di Mondragone, rappresentante di Ferdinando IV di Napoli, sotto il quale leggevasi a grandi caratteri il soguente motto:

    INGRESSVS . IN . VRBEM . ROMAM


    vedeasi sulla sommità dell'arco leggiadrissimo gruppo: la religione, che abbatte la falsa dottrina: quattro statue sorgevano fra gl'intercolunni: sul lato riguardante la porta del popolo erano i santi protettori di Roma Pietro e Paolo: sù quello rivolto alla via del corso vedeansi i due santi pontefici Gregorio Magno, e Pio V. Ai lati del gruppo erano due genii portanti in mano corone di alloro. A grandi caratteri scritto sull'attico dell'arco eretto a spese del patriziato romano leggevasi:

    ADVENTVI . PRINCIPIS . SACRATISSIMI

    D. N. PU. SEPTIMI. PONT. MAX.

    S.P.Q.R

    PRO . TEMPORE. ET . COPIA