Poesie (Campanella, 1938)/Indice analitico dei nomi e delle allusioni più notevoli
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INDICE ANALITICO DEI NOMI
E DELLE ALLUSIONI PIÙ NOTEVOLI
Adami (Tobia). Letterato sassone (n. a Verdau, nel Voigtland, 1581, m. ivi, 1643), precettore di Rodolfo di Bunau (v. q. n.), amico del Campanella e primo editore dei suoi versi (pp. 3; 5; 113, n. 70; 270-2; 274; 279; 288; 293-5; 299; 301).
«Albo cavallo». Personificazione dell’ordine domenic., sulla scorta dell’Apocalisse (p. 137, madr. 8).
Alfonso I d’Aragona, v. Napoli (re di).
Amabile (Luigi). Sue ricerche e scoperte campanelliane (pp. 259-303, passim ).
Ambrosius episcopus, v. De Politis.
Amida. Antico culto giapponese (pp. 11, v. 80; 144, madr. 12).
Anacarso. Probabilmente Anacarsi, uno dei sette savi (p. 256, n. 3).
Andrea (Giov. Valentino). Letterato tedesco amico dell’Adami, dal quale ebbe comunicazione di prose e versi del Campanella, e primo traduttore tedesco di alcune poesie di questo (pp. 3; 272-4).
Anna (donna), v. Moscosa.
Antimacchiavellismo (o libro «contra macchiavellisti»). Allude al suo Atheismus triumphatus (pp. 17, n. 6; 138, madr. 9; 145, madr. 12).
Artemisia. Forse nome poetico di ragazza che si fa monaca (pp. 213, n. 5; 291).
Ascolani. Due giovani di Ascoli (piceno verosimilmente) incontrati dal Campanella nelle prigioni del S. Uffizio in Roma (1594-95) e non meglio identificati (p. 285).
«Astratto». Allusione del Campanella a sé stesso (p. 107, n. 62).
Aurelio. Persona non identificata, «tra i molti che si riunivano nelle accademie napoletane» (Am. T. C., II, p. 289), in rapporti amichevoli col Campanella intorno al 1601 (pp. 234, n. 29; 291).
Bagnara (barone di), v. Ruffo.
Barisciana (Dianora o Eleonora, di Barletta). Forse una suora francescana parente del guardiano della torre di Castel nuovo dove fu rinchiuso il Campanella tra il 1602 e il 1603, abitante al piano inferiore della cella di lui ed entrata in rapporti abbastanza intimi con lui (pp. 236, n. 3; 291).
Bastaso o «vastaso»: parola dispregiativa dialettale nel senso di uomo di fatica, facchino (p. 26, n. 17).
Bavaro. Allusione all’imperatore Enrico IV (p. 254).
Berillo (latinamente Berillarius). Sarebbe un don Brigo di Pavia, ecclesiastico probabilmente regolare, «uno di quei monaci cui le porte dovunque erano facilmente aperte» (Am. Cast., I, p. 49); ma che non si è riusciti ad identificare (sulla dibattuta questione, v. pp. 294; 295; 298; 299; 300-2). Questo personaggio avvicinò il Campanella negli anni della prigionia dura in Castel S. Elmo: 1604-608 (pp. 157 sgg., n. 80).
Betri (Domenico) (pp. 269; 288).
Besold (Cristoforo). Letterato tedesco amico di T. Adami, trad. della Monarchia di Spagna del Campanella in tedesco (pp. 3; 271).
«Bianco campione». Allude a se stesso, domenicano (p. 223, n. 8).
Bina, v. Bünaü.
Bisignano (Nicola Bernardino Sanseverino, quinto ed ultimo principe di). Della piú alta nobiltá del Regno di Napoli, imparentato per matrimonio coi duchi di Urbino, ma caduto in disgrazia per vita dissipata e turbolenta; interdetto, infine carcerato per motivi di ordine pubblico. Fu in Castel nuovo tra il 1590 e il’98 e in quest’anno il Campanella, di passaggio per Napoli, al suo ritorno in Calabria, ebbe occasione di visitarlo e confortarlo. Il son. n. 23 (p. 231) porta quindi un titolo impreciso, poiché «è veramente un ricordo dell’essere stato il principe rinchiuso nella medesima prigione e dell’essere poi finalmente uscito» (Am. T. C., II, p. 287) (p. 291).
Bocca, v. Ponzio (Maurizio).
Bombini (Bernardino). Letterato calabrese, componente dell’Accademia cosentina e fervente seguace del Telesio (p. 111, n. 68).
Bomecobo (vescovo). Non identificato; parrebbe un veggente dei tempi del Campanella, del quale non resta notizia (p. 205, nota 35).
Borelli (Filippo). Probabilmente fratello del seguente; chiamato nipote dal Campanella e suo amanuense negli ultimi anni della sua vita, a Roma ed a Parigi. A lui il Campanella attribuí il comm. dell’Ecloga, che è invece suo (p. 281).
Borelli (Giovanni Alfonso). Celebre matematico e medico napoletano (1608-1679), figlio naturale, secondo alcuni del Campanella, secondo altri di un soldato spagnuolo (p. 281).
Brigo (don) di Pavia, v. Berillo.
Bünaü (Enrico di - italianizzato in Bina). Di nobile famiglia, venuto in Italia dal 1603 insieme con C. Pflug (v. q. n.); in rapporti di amicizia con lo Sdoppio (v. q. n.) (p. 270).
Bünaü (Rodolfo di). Fratello minore del precedente, n. a Meissen il 1597; in lungo viaggio d’istruzione insieme col precettore T. Adami (v. q. n.) si ferma a Napoli il 1613, ove avvicina il Campanella, dal quale riceve lezioni di filosofia (pp. 112, n. 69; 270; 294).
Bustelli (G.) (p. 276).
Campanella (Tommaso). N. a Stilo (1568). Nell’ordine domenicano (1582). Compagno di studi di Dionisio e Pietro Ponzio (v. qq. nn.) (1585-86 circa). A Cosenza: non conosce personalmente il Telesio, ma è profondamente influenzato dalle sue dottrine, e comincia a divenire sospetto alle autoritá religiose che lo confinano nel monastero di Altomonte, dove prepara la Philosophia sensibus demonstrata, apologia del Telesio (1588-89). A Napoli, dove pubblica la Philos. sens. dem.; c ospite delle nobili famiglie Del Tufo (v. q. n.), Sangro e Orsini, e avvicina G. B. Della Porta. In seguito alla pubblicazione fatta gli è intentato il primo processo di eresia (fine 1589-90), terminato a Roma presso il S. Uffizio con condanna all’abiura (1591). A Firenze (1592). A Padova (1593-94), insegnante privato in quella universitá. Colpito da due nuovi processi di eresia, pel secondo dei quali è rimandato a Roma (fine 1594). Nel carcere del S. Uffizio (1594-95). Liberato, ma dichiarato «relapsus», resta a disposizione del S. Uffizio, in prova, nel monastero di S. Sabina (1596-97). Ritorna a Napoli, dove riannoda antiche amicizie e con don Lelio Orsini visita il principe di Bisignano (v. q. n.) in Castel nuovo (primavera 1598). In Calabria (seconda metá di luglio 1598). A Nicastro rivede i fratelli Ponzio e G. B. Cortese (v. q. n.). A Stilo, dove trova super. del convento fra Pietro Presterá e fra Domenico Petrolo (v. qq. nn.). Con tutti costoro stringe intimi rapporti. Studi sulle profezie; predicazione apocalittica religioso-politica. Preparativi di una congiura (primavera-estate 1599). Avvicina vari fuorusciti, principale tra i quali Maurizio de Rinaldis (v. q. n.) che è messo a capo delle forze armate. Scoperta della congiura (fine agosto 1599). Fuga da Stilo (27-28 agosto) con fra Domenico Petrolo. Si nasconde travestito nella casa di campagna di un amico e beneficato del padre, G. A. Musuraca (v. q. n.), presso la Roccella. Ma denunziato dal Musuraca è arrestato (4-6 settembre). A Gerace, dove siede il tribunale straordinario; quindi a Napoli (8 novembre), dove è chiuso in Castel nuovo. Sotto doppia inquisizione (ribellione ed eresia: circa i particolari dei due processi v. p. 287). Primo esperimento di tortura. Confessione (7 febbraio 1600). Finta pazzia (comincia il 2 aprile). Inquisito nel processo di eresia: seconda e terza prova di tortura, durante le quali continua a mostrarsi pazzo (giugno 1601). Chiusura del processo di eresia presso il S. Uffizio (seconda metá di settembre 1602; passato in giudicato: 8 gennaio 1603). Visita del marchese di Lavello, Giovanni Geronimo del Tufo (fine gennaio) (v. q. n.). Voci che Dionisio Ponzio (v. q. n. a q. data) prepara l’evasione del Campanella con l’aiuto della flotta turca. Incontro con Cristofaro Pflug (v. q. n.) in Castel nuovo (febbraioaprile 1603). Pratiche di evasione (d’accordo col Pflug e i Fugger pel tramite del marchese di Lavello: fine 1603, primi del 1604). Venuto in sospetto, è trasferito a Castel S. Elmo, nella «fossa» (il «Caucaso»: luglio 1604). Fine palese della pazzia (fine 1604 o principio 1605). Arrivo dello Scioppio (v. q. n.) a Napoli. Non riesce nell’intento di accostare il Campanella, ma carteggia intensamente con lui e riceve suoi manoscritti (aprile-agosto 1607). Rinnovato interessamento dei Fugger in seguito alle sollecitazioni dello Sdoppio. Il Campanella è tolto dalla «fossa» di Castel S. Elmo (marzo 1608 circa). Raffreddamento dello Scioppio e dei Fugger nei suoi riguardi (1610). Tramonto delle speranze di liberazione o di trasferimento a Roma; ma allentamento della disciplina carceraria; concessione di scrivere, di ricevere visite, d’insegnare (dal 1612 circa). Visita di Rodolfo di Bünaü e di T. Adami (v. qq. nn.) (febbraio-ottobre 1613). Nuovi inutili passi per la liberazione nel decennio seguente. Il Campanella è finalmente liberato, ma senza giudizio e sempre a disposizione del potere civile destinato nel convento di S. Domenico di Napoli (maggio 1626). Interviene il S. Uffizio con un ordine di arresto (giugno-luglio). Imbarcato col falso nome di Giovanni Pizzuto, vestito da prete, incatenato, è trasferito a Roma (7-8 luglio: a questo episodio della sua uscita dal Regno di Napoli allude il poeta rievocando la favola di Ulisse e Polifemo in Ecloga, vv. 101-2). Nelle carceri del S. Uffizio, a disposizione (1626-28). Acquista la benevolenza di Urbano ViII, alle cui poesie dedica un lungo commentario (1627-29), e che gli assegna il palazzo del S. Uffizio «loco carceris» (1628). Entra in rapporti con l’Ambasciata di Francia; frequenta la casa del Marescot, segretario dell’ambasciatore, marchese di Bethune, entra in intimitá con Gabriele Naudé (v. q. n.), a cui detta ipg|285}}). Conflitto giurisdizionale tra Spagna e Roma in seguito al processo per la congiura di fra Tommaso Pignatelli, di cui il governo di Napoli credette che avesse agito per istigazione del Campanella da Roma. Il viceré Monterey sollecita l’estradizione del Campanella (1633). In suo favore s’interessa l’ambasciatore di Francia, Noailles, e ne favorisce la fuga (21 ottobre 1634). Per Marsiglia e Lione a Parigi (1° dicembre). Protezione del Richelieu e della corte. Produzione scientifica varia. Attende alla stampa delle sue opere. Scrive la poesia per la nascita di Luigi XIV (dicembre 1638). Muore (21 maggio 1639) nel convento di S. Onorato, dei domenicani, dove aveva abitato, ed ivi seppellito. Al convento sono lasciati
i suoi mss., dispersi insieme con le ceneri stesse del Campanella intorno al 1793 (l’Amabile spiega: «Il convento con la chiesa dell’Annunziata di S. Onorato, detto de’ Giacobini, divenuto sede del club de’ famosi Giacobini ne’ tempi della grande e fiera rivoluzione di Francia, non esiste piú, e nel posto che esso occupava trovasi ora il mercato di S. Onorato ». Am. Cast., II, p. 151).
«Cantai l’altrui virtudi, or me ne pento». Allusione a Maurizio de Rinaldis (v. q. n.) (p. 228, n. 17).
Caracciolo (Annibaie). Mediocre poeta, del quale si trovano alcuni versi in appendice alle Poesie nomiche di G. B. Manso, Venezia 1635 (p. 111, n. 67).
Carafa (Fabrizio, principe di Roccella; nipote di Carlo Spinelli: v. q. n.) Prima amico del Campanella; quindi, dopo la dispersione dei congiurati, promosse la cattura di lui rifugiatosi nei suoi feudi nell’abitazione del Musuraca (v. q. n. e sotto Campanella), e fece denunzie false o esagerate ai suoi danni (p. 223, n. 7).
«Carlo», v. Spinelli.
Castiglia (don Francesco), oriundo spagnuolo, n. a Verona il 1560: «uno de’ tanti spagnuoli che facevano la loro carriera nelle province napoletane» (Am. T. C., II, p. 175). Governatore a Rossano (1594), ad Ostuni (1598) fu poco dopo carcerato in Lecce, per reati attinenti al suo ufficio, pare, e tradotto in Castel nuovo. Nel novembre 1600 depose come testimone a discarico del Campanella. Era uno degli entusiasti dell’epoca per il Tasso, e, poeta dilettante, ne seguiva i modi (pp. 256; 291).
Catarina, cioè S. Caterina da Siena (p. 138, madr. 8).
«Caucaso». Allusione alla prigionia dura in Castel S. Elmo (1604-1608) mediante la favola di Prometeo. Questioni connesse con questa immagine e con la Canzone a Berillo (pp. 7; 8; 113, n. 71; 157, n. 80; 295; 299).
Cavalcanti (Giulio). Letterato; uno dei seguaci del Telesio; componente l’Accademia cosentina (p. 111, n. 68).
Cavaniglia (donna Ippolita). «La piú alta benefattrice del Campanella e de’ frati» (Am. T. C., II, p. 290); figlia, forse naturale, di don Garzia Cavaniglia, conte di Montella; ved. dal 1593 di Fabio Magnati e madre di Troiano Magnati (v. q. n.). I Cavaniglia erano famiglia valenzana venuta nel Regno con gli Aragonesi (pp. 232-33, nn. 25, 26, 27).
Cesare, duca d’Este, successore di Alfonso II; in lotta con Clemente VIII (pp. 249; 286).
Chami. Feticcio adorato da idolatri giapponesi (p. 11, v. 80).
«Chi non volendo nel mio mal si piega». Allusione al debole animo di fra Silvestro di Lauriana (v. q. n.) (p. 227, n. 15).
«Chi piú ingrato mi trade». Allusione al frate G. B. Cortese da Pizzoni (v. q. n.) (p. 227, n. 15).
«Ciclopea caverna», v. Campanella ad ann. 1626 (pp. 113, n. 70; 299).
Cinghi. Il gran can dei Tartari (corruzione di Temugin) il quale impose il suo culto con la forza ai sudditi (pp. 11, v. 79; 144, madr. 12).
Clario (Giov. Batt.), forlivese, medico e filosofo, autore di Dialoghi filosofico-scientifici (Venezia, 1608); medico dell’Arciduca Carlo in Roma. Arrestato per ordine del S. Uffizio per sospetto di eresia incontrò in carcere il Campanella tra il 1594 e il ’95 (p. 285).
Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini, papa dal 1592 al 1605). V. al nome Cesare d’Este (pp. 230, n. 21; 249; 286; 290).
«Conte» (il), v. Lemos.
«Contra macchiavellisti» (libro), v. Antimacchiavellismo.
Conza (vescovo di), v. De Politis.
Cortese (Giov. Batt.) da Pizzoni. Lettore nel convento di Nicastro, ivi incontrò e si strinse di amicizia col Campanella (1598), partecipando alla congiura (1599), ma cercando di salvarsi poi con delazioni gravissime. Ciò non lo salvò dai rigori processuali. Sottoposto anche lui a tortura, ne morí in carcere (maggio 1600). Contro di lui si scaglia il Campanella (p. 227, n. 15, v. 10; n. 16, vv. 7-9).
«Cosentino» (il), v. Telesio.
Croce (Benedetto) (pp. 278; 281-2).
D’Ancona (Alessandro) (pp. 259; 275-7; 280; 304).
De Leonardis (Giov. Batt.) da Nola; fu l’avvocato di ufficio («il difensor commune») del Campanella e degli altri frati (p. 226, n. 14).
«De l’una e l’altra Sicilia gran soma...». Allusione alle incursioni dei turchi sulle coste calabro-sicule: estate 1598 (p. 222, vv. 5-6).
De Mattei (Rodolfo) (p. 281).
Del Tufo (marchesi di Lavello). Nobile famiglia napoletana di origine normanna; feudataria in provincia di Avellino, presso la quale il Campanella trovò larga ospitalitá e protezione. Furono particolarmente legati di amicizia con lui:
Mario, barone di Minervino;
Giovanni Geronimo, quarto marchese di Lavello, che visitò il Campanella in Castel nuovo nel gennaio 1603, poi favorì i progetti di fuga tentati dal Pflug (v. sotto il nome Campanella, ad
ann. 1603), e, caduto in sospetto, fu arrestato;
i cugini Geronimo e Marcantonio. Tutti furono ritenuti partecipi o complici della congiura campanelliana.
De Politis (Ambrogio Catarino). Senese, domenicano, vescovo di Conza (prov. di Avellino); piú di una volta nominato dal Campanella come un veggente (p. 203, n. 13).
De Rinaldis (Maurizio). «Capo secolare della congiura» per comune consenso (Am. T. C., I, p. 169); ventisettenne nel 1599; di nobile famiglia di Stilo, dimorante nel vicino casale di Guardavalle; fuoruscito dal novembre 1598 per omicidio. Colloqui col Campanella (primavera 1599). Entra nella congiura come capo militare della progettata insurrezione ed a tal fine entra anche in rapporti con i capi della flotta turca corseggiante la costa calabra. Arrestato (settembre). Prima condanna capitale emessa dal tribunale di guerra in Calabria (non eseguita per ragioni procedurali). Condotto con gli altri arrestati a Napoli (novembre). Nuova procedura nel processo generale dei laici. Tortura sopportata con animo impavido. Seconda condanna capitale (dicembre). Il fiscale Giovanni Sanchez, assistito, pare, dal confessore del viceré, il gesuita Ferrante de Mendoza, lo inducono con la falsa promessa di aver salva la vita, a confessare davanti al patibolo. Sospensione della condanna dopo questo avvenimento; ma sua esecuzione il 4 febbraio 1600. Questi ultimi casi spiegano l’atteggiamento diverso del Campanella verso di lui (pp. 221, nn. 4, 5; 228, n. 17, v. 1; 289).
Dianora, v. Barisciana.
«Ebraico stuolo», v. Xarava.
Echard (p. Jacques) (p. 281).
Elefante egizio, che si sarebbe ucciso perché sentiva decadere le sue forze: leggenda dell’antichitá ricordata a p. 68, madr. 4.
Fatoche o Fotoques: feticcio adorato da idolatri giapponesi (pp. 11, v. 80).
«Filippo», cioè Filippo III di Spagna (p. 114, n. 71).
Flerida «e altre fanciulle che potrebbero supporsi appartenenti alla famiglia dei Mendoza» (Am. T. C., II, p. 295: il Mendoza era il castellano di Castel nuovo: v. q. n.). In rapporti sia col Campanella che con Francesco Gentile: v. q. n. (pp. 245-6; 265; 291).
Fugger. Celebre famiglia di commercianti e banchieri di Augusta, fautori del partito cattolico. Interessati dal Pflug e dallo Sdoppio alle sorti del Campanella tra il 1607 e il 1610 (pp. 266; 268; 270.
Gaeta (Giacomo), «Gaieta». Cosentino, dimorante in Napoli, giurisperito, poeta, telesiano e appartenente all’Accademia cosentina. Amico del Campanella, che lo introdusse nel Dialogo politico contro luterani e calvinisti (p. 112, n. 68).
Gagliardo (Felice), di Gerace. Partecipe della congiura campanelliana, fu uno dei primi arrestati (principio di settembre 1599) e uno dei primi a confessare e inventare denunzie per salvarsi. Trasferito con gli altri complici a Napoli, si riprese, forse sotto l’influenza del Campanella, e, torturato, non confessò. Bisbetico, arrogante, con tare morali e velleitá poetiche, in carcere fa pratiche di scienze occulte, provoca (2 agosto 1601) una grave rissa
coi fratelli Ponzio e altri detenuti, per cui è implicato in un processo secondario, che si chiude nel marzo 1604, ed esce in libertá (essendo stato giá assolto per la congiura). Nel 1606 è nuovamente arrestato e giustiziato, per omicidio (pp. 266; 290).
Forse è lui il Gilardo, di cui il Campanella parla a p. 120, madr. 5, con allusione alla sua liberazione immeritata.
Gagliato, v. Morano.
Garraffi. Forma dialettale per indicare la famiglia dei Carafa (v. q. n.).
Gentile (Francesco). Giovane genovese, «forse uno della famiglia de’ Gentili che tenevano banco in Napoli... per conto del quale fra Pietro Ponzio raccoglieva le poesie del Campanella nel libretto, che gli fu trovato dagli ufficiali» (Am. T. C., II, pp. 293-4); e per conto del quale il Campanella scriveva poesie ad una parente di lui, Giulia, ad una Flerida, ad una Maria (pp. 237; 241-8; 264-265; 267; 279; 289-91).
Gentile (Giovanni) (pp. 259; 282-4; 295-7; 299; 301; 303).
Gentile (Giulia), parente di Francesco Gentile (v. q. n.) (p. 237, n. 4).
Gesuiti. Nel Ms. Ponzio il titolo del n. 45 (p. 96) è: Contro i G... [esuiti]. Cfr. Am. Cod., pp. 126, 133.
Gilardo, v. Gagliardo.
«Gran reina d’undicimila». S. Orsola, che si disse martirizzata con undicimila vergini (p. 226, n. 13).
«Gran semblea» (la). La grande assemblea, nel senso di scuola, accademia, ma allargato a tutta la concezione di una nuova societá, come concepita nella Cittá del sole, e adombrata nei vv. 43-4 della elegia Al sole (p. 137» madr. 8 e cfr. eleg. cit., p. 191).
Herder (S. Gott.). Riesumatore e traduttore delle poesie del Campanella (pp. 273-4; 276).
Hydruntinus (abbas). Un veggente e astrologo d’Otranto contemporaneo del Campanella (p. 204, nota 22).
Imbriani (Vittorio) (p. 276).
Kvacala (J.) (pp. 281; 283). «La gran donna, ch’a Cesare...». Rievocazione della immagine dell’Italia in Lucano, Phars., I, 185 sgg. (p. 89, n. 37).
Lauriana, v. Silvestro (fra).
Lavello (marchese di), v. Del Tufo.
Leibniz (G. Wil.). Uno dei rinnovatori della fama del Campanella (p. 273).
Lemos (don Ferrante Ruiz de Castro conte di). Viceré di Napoli dal 16 luglio 1599, morto il 1601. A lui si allude a p. 219, n. 1 («il conte»).
Leoni (L.) (p. 276).
«Lo stuol traditoresco», cioè G. B. Cortese da Pizzoni (v. q. n., p. 230, n. 22).
Luigi XIII, re di Francia (pagine 196 sgg., passim).
Luigi XIV, neonato delfino di Francia (pp. 196 sgg., passim; 280-1; 302).
Maccabeo (santo). Allusione ad Eleazaro, su cui v. Maccab., II, vi, 18 sgg. (p. 107, n. 62).
Magnati (Troiano). Figlio di Ippolita Cavaniglia (v. q. n.), ufficiale della guardia di palazzo del Viceré (p. 231, n. 24).
«Marrani e giudei». Allusione allo Xarava (v. q. n.).
Mendoza (don Alonso di - e di Alarcon, marchese della Valle e di Rende). Di nobilissima famiglia spagnuola; castellano del Castel nuovo di Napoli al tempo della prigionia del Campanella.
Montano, v. Quattromani.
Morano (Giov. Geronimo, barone di Gagliato), di una potente famiglia di feudatari calabresi. Oriundo di Stilo, residente in Catanzaro; grande persecutore del Campanella e dei congiurati (pagina 223, n. 7).
«Moresco core». Quello dello Xarava (v. q. n.).
Moscoso (donn’Anna de), giá moglie di don Alvaro de Mendoza, parente di don Alonzo, castellano di Castel nuovo, rimaritata a don Lope de Moscoso Osorio, conte di Altamira. È la donn’Anna benefattrice del Campanella e da lui cantata in alcune poesie (p. 238, n. 6).
«Mostro». Imprecazione contro lo Xarava (v. q. n.).
Musso (Cornelio). Vescovo di Bitonto, rinomato predicatore: 1511-1574 (p. 207, n. 55).
Musuraca (Giov. Antonio). Colono nei feudi dei Carafa (v. q. n.) di Roccella jonica; amico e beneficato di casa Campanella onde questi pensò di rifugiarsi presso di lui; ma fu tradito. V. sotto il nome Campanella, ad ann. 1509 (pp. 224, n. 10; 289).
Napoli (re di). Allusione alla sconfitta di Alfonso I d’Aragona nella battaglia navale di Ponza (1435)» in cui fu fatto prigioniero dai genovesi e inviato a Filippo Maria Visconti (p. 91, n. 39).
Narsinga. Nell’India centrale, prov. di Narbada (p. 68, madr. 5).
Nassau (Giovanni di). Compagno di viaggio di Cristoforo Pfiug a Napoli (p. 266).
Naudé (Gabriele). Erudito e bibliofilo francese (1600-53). Essendo a Roma (1628) bibliotecario del cardinale Barberini, conobbe ed entrò in intimitá col Campanella, che gli dettò il Syntagma, che poi pubblicò parecchi anni dopo la morte del Campanella e molto inesattamente (p. 285).
«Niba». Nello stesso senso di «Nirvana» (p. 68, madr. 5).
«Niblo». Soprannome di Annibaie Caracciolo (v. q. n.).
Olimpia. Nome di una benefattrice del Campanella, non meglio identificata (p. 234, n. 30).
Orelli (1787-1849). Illustre filologo svizzero, al quale si deve il disseppellimento e la prima ristampa della 1a ediz. (1622) della Scelta (pp. 272; 274-6; 280; 304).
«Orpheus aevi nostri...». Allusione ad Urbano VIII, il quale aveva delle pretensioni poetiche, che il Campanella fu costretto ad accarezzare con un voluminoso commento, per guadagnarsi la sua protezione. V. sotto Campanella, ad ann. 1626-28 (p. 198, v. 103).
Orsola (suor) Benincasa. È «la beata Ursula napoletana» di pagina 226, n. 13, la quale apparteneva anch’essa all’ordine domenicano: onde l’allusione alla «senese Caterina — nostra sorella».
Paolo V (papa Camillo Borghese, dal 1605 al 1621) (pp. 269; 281; 294; 298).
Papini (Giovanni) (p. 282).
Parodi (Tommaso) (p. 282).
«Petrillo». Diminutivo di Pietro Cesarano, figlio dello speziale di Castel nuovo, Ottavio e di Polissena Cammardella, nipote di Scipione Cammardella, chirurgo delle carceri che fu molto benevolo col Campanella (pp. 256-57, nn. 3-4; 293).
Petrolo (fra Domenico) di Stignano. Incontrato dal Campanella nel convento di Stilo (1598). Partecipe della congiura, accompagna il Campanella nella fuga da Stilo (primi di settembre 1599: v. sotto il nome di Campanella, ad ann.); ma anche lui è pochi giorni dopo arrestato. La sua condotta nel corso del processo fu assai fiacca e incoerente: appena arrestato confessò profusamente; poi, sollecitato da un sonetto a doppio senso del Campanella (p. 225, n. 12) e forse anche da argomentazioni piú energiche da non affidare alla carta, si ritrattò; ma poco dopo, impaurito dalle opposte argomentazioni dei giudici, ritrattò la ritrattazione (p. 293).
Pflug (Cristofaro). Giovane tedesco forse parente dei Fugger (v. q. n.) residente in Italia, probabilmente per ragioni di studio. Arrestato per equivoco in Napoli, conosce a Castel nuovo il Campanella (25 febbraio-15 aprile 1603) col quale si stringe di deferente e affettuosa amicizia. Tornato in libertá, poco appresso si converte al cattolicismo, entra in intimi rapporti con lo Scioppio (v. q. n.) e con questo e coi Fugger si adopera per la liberazione del Campanella (pp. 266-8; 270).
Pizzoni, v. Cortese.
Polo, per S. Paolo (p. 153, madr. 3).
Ponzio. Ragguardevole famiglia di Nicastro, alla quale appartenevano i tre fratelli Dionisio, Pietro e Ferrante. I primi due entrati nell’ordine domenicano, conoscono il Campanella giovinetto e si stringono tra loro tre rapporti non piú rotti di confidente intimitá (v. sotto il nome di Campanella). Ferrante si trasferisce a Napoli dove compie gli studi legali, e ci resta. Dionisio e Pietro, nel monastero di Nicastro, di cui Dionisio è priore, rivedono il Campanella di ritorno in Calabria nella seconda, metá del 1598 (v. sotto Campanella ad ann.). I due fratelli s’ingolfano nella congiura, diventando i luogotenenti del Campanella. Loro arresto. Animoso contegno durante il processo, specialmente di Dionisio. Fedeltá a tutta prova di Pietro pel Campanella; ammirazione della sua poesia e tentativi per propalarla. Il libretto di poesie trascritte per Francesco Gentile e sue peripezie. Fuga di Dionisio da Castel nuovo (16 ottobre 1602). Ripara a Costantinopoli; si fa maomettano e s’imbarca sull’armata turca destinata alle annuali scorrerie contro le coste del Regno di Napoli. Diffonde la voce che va a liberare il Campanella, ciò che contribuisce a peggiorare le condizioni di vita di questo (v. sotto Campanella, ad ann. 1604). Pietro condannato all’abiura dal tribunale del S. Uffizio; assolto dal tribunale vicereale esce di carcere nell’ottobre 1602 (pp. 228-29, nn. 17-20; 261-3; 265-6; 279; 280; 283-4; 286-91; 304).
Ponzio (fra Maurizio). Uno dei congiurati minori, assolto dal tribunale vicereale. A lui si allude forse a p. 120, madr. 5 col nomignolo di Bocca.
Presterá (fra Pietro). Vicario del convento di Stilo, dove conobbe il Campanella nel 1598. Uno degli ecclesiastici che meno aveva partecipato alla congiura; ma rimase egualmente implicato per l’amicizia col Campanella e col Cortese, di cui era stato scolare e rimase fedele (pp. 227, nn. 15, 16; 266; 290).
«Profetali». Allude agli Articuli prophetales, che sono stati poi pubblicati in Am. T. C., III, docc., pp. 489 sgg.
Prometeo, v. Caucaso.
«Pseudo teologo», v. Teologo cantanbanco».
Quarengo (mons.) (pp. 294-8).
Quattromani (Sertorio), detto «Montano» nell’Accademia cosentina, a cui apparteneva; autore di un compendio di filosofia telesiana (p. 111, n. 68).
Richelieu (A. J. du Plessis, cardinale di). Protettore del Campanella (pp. 197, vv. 67 sgg.).
Roccella (principe di), v. Carafa.
Ruffo. Potente famiglia di feudatari calabresi, imparentati con Carlo Spinelli (v. q. n.) persecutrice del Campanella e degli altri congiurati; principalmente:
Carlo R., barone di Bagnara, vice-duca nel feudo di Ettore Pignatelli duca di Monteleone;
Vincenzo R., principe di Scilla, che entrò in campagna con forze armate da lui raccolte e comandate (p. 223, n. 7).
«Sacro manto». La tonaca, che il Campanella tolse in casa del Musuraca (v. q. n.) per occultarsi. V. sotto Campanella, ad ann. 1599 (p. 226, n. 13).
Sanchez (don Giovanni, de Luna). Di nobile famiglia oriunda spagnuola, cadetto del marchese di Grottola; consigliere nel Consiglio di S. Chiara. Attraverso matrimoni i S. erano imparentati ai Morano (v. q. n.). Nominato avvocato fiscale sia nel tribunale pel processo dei laici che in quello del processo degli ecclesiastici. Fu lui che, assistito probabilmente dal p. Mendoza, indusse il De Rinaldis (v. q. n.) alla spettacolosa confessione davanti al patibolo.
Scalèa (principe di), v. Spinelli.
«Schiavone». Allusione ad Aristotile (p. 87, madr. 4).
Schoppe (Caspar, latinamente Scioppius). Filologo e controversista tedesco (n. Neumarkt, 1576, m. Padova, 1649). Convertitosi dal luteranismo al cattolicismo entrò in fierissime polemiche con gli antichi correligionari. Al servizio di Ferdinando arciduca di Stiria (1607); poi in Italia, in stretti rapporti con la Curia romana. Avuta conoscenza, specialmente attraverso il Pflug (v. q. n.) del Campanella e di alcune sue opere, pensa di utilizzarlo nelle sue polemiche contro i luterani e contro la Repubblica di Venezia in lotta con Paolo V; va a Napoli (aprileagosto 1607); cerca inutilmente d’incontrare il Campanella, ma carteggia con lui ed ottiene parecchi suoi scritti. Lo incita a scrivere contro Venezia. Grandi promesse, non tutte sincere, di adoperarsi in suo favore. Interessa i Fugger (v. q. n.) alla sua sorte. Poi, intorno al 1610, si raffredda e lo abbandona (pp. 267-269; 271; 281; 285; 293; 295-8).
Sciarava; v. Xarava.
Scilla (principe di), v. Ruffo.
Scioppio, v. Schoppe.
«Serpentin bilingue». Allusione a G. B. Cortese (v. q. n.) (p. 227, n. 16, vv. 7-9).
«Setta traditoresca». Altra allusione a G. B. Cortese (p. 227, n. 16, vv. 7-9).
«Settimontana testa». Con la parola «settimontana» il Campanella spesso allude, come a cosa prodigiosa e speciale favore divino, alle sette protuberanze del suo cranio, quali si possono vedere nella ricostruzione fatta eseguire con scientifica precisione dall’Amabile (che di professione era medico) in un busto, che trovasi ora nel Museo di S. Martino in Napoli. Cfr. 1, Studi campanelliani, cit., p. 105 (pp. 137, madr. 8; 138, madr. 9).
«Settimontano Squilla», v. Squilla.
Silvestro (fra, di Lauriana). Scolare di G. B. Cortese e suo fedele. Partecipe della congiura; arrestato, dimostrò carattere debole, soggiacendo all’influenza del suo maestro, che lo istigò contro il Campanella. A lui questi allude a p. 227, n. 15 col verso: «chi non volendo nel mio mal si piega».
Solmi (Edmondo) (p. 281).
Spampanato (Vincenzo) (pp. 259; 279).
Spinelli. Nobile famiglia calabrese che contribuí attivamente a soffocare la congiura campanelliana; specialmente:
il barone Carlo S., il quale, dopo una brillante carriera militare a Tunisi, in Belgio, Francia, ecc. sotto le bandiere spagnuole, tornato a Napoli, era diventato Reggente della Vicaria (1585), consigliere del Collaterale e delegato contro i banditi e i turchi (1591). Scoperta la congiura calabrese fu (agosto 1599) nominato commissario militare straordinario con pieni poteri in Calabria («capitano a guerra»): poteri, che esercitò largamente e implacabilmente, tanto piú che era legato agli interessi delle famiglie feudali del paese. Era zio di Fabrizio Carafa (v. q. n.). È lui il Carlo a cui si allude a pp. 219, n. 1 e 223, n. 7;
Francesco S., principe di Scalèa, nipote di Carlo, capitano di guarnigione in prov. di Cosenza al momento della tentata insurrezione.
Spinola (Cesare). Genovese, trentenne nel 1600, quando, il 15 novembre, rese una testimonianza in discarico del Campanella, — onde il sonetto di ringraziamento: p. 230, n. 22 — ; benestante; uno dei molti Spinola, che facevano affari a Napoli; forse cugino del marchese Ambrogio (p. 291).
«Squilla». Pseudonimo, di cui si serve assai spesso il Campanella, improntato al suo stesso cognome. Lo usò non solo in poesia, ma anche in piú di una lettera, servendosi anche del solo disegno di una campana. Il medesimo disegno insieme con altri simboli (stella, indice teso) e col motto: «Propter Sion non tacebo», tolto da Isaia, trovasi all’angolo di alcuni suoi ritratti (v. in De Mattei, op. cit., le tavole tra pp. 104-105) e sul frontespizio tanto dell’Ecloga per Luigi XIV (v. p. 280) quanto della Philosophia rationalis, primo volume delle opere da lui cominciate a curare a Parigi, presso il Du Bray. Nelle poesie fa precedere alla parola «squilla» l’altra, «settimontano», allusiva alla conformazione della sua testa (pp. 1; 112; 138; 272; 288).
Syntagma de libris propriis. Questioni ad esso connesse, v. Naudé.
Telesio (Bernardino). Naturalista e filosofo cosentino (1509-88), di cui il Campanella si sentí continuatore. Fondatore dell’Accademia cosentina, che, dopo la sua morte, conservò pio ricordo della sua persona e si adoperò a mantenere vivo il suo pensiero (p. 87, madr. 4 — e si avverta che la nota corrispondente si riferisce alla condanna all’Indice del De rerum natura del Telesio, pronunziata il 1595 — ; pp. 111, n. 68; 217, v. 21).
«Teologo cantanbanco» o «pseudoteologo». Allusioni a Paolo Sarpi (pp. 253-54)
«Toglie i di sacri al Tebro». Allusione alle grandi piene del Tevere e del Po nel dicembre 1598 (p. 222, v. 1).
Vailetta (Giuseppe). Erudito, economista e bibliofilo napoletano (1636-1714), possessore dell’esemplare della 1a ediz. della Scelta, che trovasi ora nella Biblioteca dei Gerolamini di Napoli (p. 277).
Vico (Giov. Batt.) (p. 277).
Vigliena (marchese di). La sua prigionia e tortura ricordata (p. 228, n. 18).
«Vincenzo». S. Vincenzo Ferreri (p. 138, madr. 8).
Wense (Guglielmo de la). Letterato tedesco amico dell’Adami e ammiratore del Campanella (p. 3).
Xarava (don Luise, del Castillo). Nato a Granata — secondo afferma il Campanella — da padre di origine araba e da madre ebrea convertita («nato d’uom moro e femmina marrana»: p. 223, n. 7). Entrato nella carriera giudiziaria, era avvocato fiscale in prov. di Cosenza: zelante, ma litigioso, anche col governatore della provincia. Negli anni 1595-96 ha diverse missioni ispettive nell’amministrazione finanziaria. Poco dopo (1598) per contese giurisdizionali (infrazione del diritto di asilo) scomunicato dal vescovo di Mileto. Alla scoperta della tentata ribellione ha l’incarico speciale di avvocato fiscale per l’istruzione del processo a lato del «capitano a guerra» Spinelli (v. q. n.). Passato il processo a Napoli e costituitisi i due tribunali (v. p. 287) è nominato consigliere aggiunto presso l’avvocato fiscale Sanchez (v. q. n.), ed è da presumere che sia stato il sostenitore delle gravi conclusioni, a cui era giunto nella istruttoria sommaria in Calabria, e probabilmente consigliere di rigori procedurali, guardando al furore di epiteti, con i quali il Campanella lo assale («mostro», «moresco core», «ebraico stuolo», «marrani e giudei»: pp. 219, n. . 1; 220, n. 3; 223, nn. 7-8; 227, nn. 15-16).
Note
- ↑ R. de Mattei