Poesie (Campanella, 1938)/Scelta di alcune poesie di Settimontano Squilla/30. Canzone del Sommo Bene, oggetto d'amor naturale

30. Canzone del Sommo Bene, oggetto d'amor naturale

../29. Canzone della Bellezza segnal del bene, oggetto d'amore ../31. Canzone del Sommo Bene metafisico IncludiIntestazione 21 luglio 2022 75% Da definire

30. Canzone del Sommo Bene, oggetto d'amor naturale
Scelta di alcune poesie di Settimontano Squilla - 29. Canzone della Bellezza segnal del bene, oggetto d'amore Scelta di alcune poesie di Settimontano Squilla - 31. Canzone del Sommo Bene metafisico
[p. 65 modifica]

30

Canzon del Sommo Bene, oggetto d’amor naturale

madrigale i

Ogni cosa si dice bella o brutta,
in quanto bene o male rappresenta.
Ogni cosa si dice mala o buona,
in quanto causa, dispone o fomenta
immortal vita o morte, in parte o tutta.
Ché sommo Bene o Sommo Mal consona:
quello oggetto final di tutti amori,
e questo tutti gli odii muove e sprona.
Ogni altro bello e ben or s’ama e prezza,
ed or s’odia e disprezza,
e par malía e bruttezza,
o al medesmo o a diversi amatori,
ch’al Ben sommo ora spine ed or son fiori;
che a nullo ente unqua annoia e sempre rape
tutti, ch’è per sé buono sempre e solo.
Quanto s’opra, si può, s’ama e si sape,
s’indrizza a lui, sí come fuoco al polo.

Perch’il Sommo Bene è la conservazione immortale, e ’l sommo male la destruzione, le altre cose si dicon buone o male, in quanto dispongono, o causano, o fomentano la vita o la morte; e belle o brutte, in quanto sono segnali di bene o di male. E però ogni cosa par buona o mala, bella o brutta al medesimo o a diversi, secondo che reca o mostra bene o male. Ma la vita immortale a [p. 66 modifica]nullo par brutta, né mala mai; e quanto operiamo, sappiamo o possiamo o vogliamo, ci indrizziamo a tal Sommo Bene, com’ogni fuoco va al sole, ecc. Ma in Dio solo si truova per sé vita immortale; però egli è il Sommo Bene di tutti gli enti.

madrigale 2

Cercar il cibo e prepararlo al ventre,
Palla seguire e Venere in gran pena,
e la propria sostanza in lei deporre;
cittá abitar, che tanti gusti affrena;
pugnar per lei, e ben far ad altri; mentre
Sommo Ben non movesse il senno a tôrre
tante brighe, vorria prenderle nullo.
Ma il viver sempre, ch’indi viensi a côrre,
in sé, o nella fama o nelli figli,
dolzor diede a’ perigli,
ed agli agi scompigli.
Cosí noi or la sferza, or il trastullo,
perch’egli impari, usiamo col fanciullo.
Palla dunque non ha, Venere o Bacco
gioie per sé, ma a questo fin piú altèro:
onde attuffan, s’è voto o colmo il sacco;
e spesso è lor preposto il dolor fiero.

Mostra che la vita sia il Sommo Bene, poiché lo studio delle scienze, ch’è Pallade, e di Venere, ch’è il far figli, e di viver nella Republica, e pugnar e morir per quella, son per tal fine, di viver sempre in sé o ne’ figli o nella fama: ciò che fa gli pericoli gioiosi, e gli spassi odiosi, in quanto quelli servano e questi strugghino. E che il Sommo Bene ci guida a sé con tale gioie e dolori, come noi il fanciullo con le carezze e con la sferza. E che la sapienza non è sommo bene, né la voluttá, come pensò Aristotile ed Epicuro; perché questi sono ordinati al Sommo Bene e lo seguono. Onde Venere e Palla ci attuffano o addolorano, e ’l dolore è anteposto alla voluttá che ci corrompe; ma la vita mai ci dá altro che gioia, se ben può senza quella essere vita.

[p. 67 modifica]

madrigale 3

Se, di vivere in scambio, alcun s’uccide,
se stesso o i figli o l’opre sue famose,
lo fa per migliorar di vita, essendo
il viver nostro e delle nostre cose
morir continovo, che mai non vide
senza mutarsi, o mancando o crescendo;
ed ogni mutamento è qualche morte,
uno stato acquistando, altro perdendo,
d’atto, o di quale, o di quanto, o di essenza.
E se con violenza
si fa, reca doglienza;
e gioia, fatto con natural sorte.
E l’esser sol presente è certo e piace;
e se repente forza il muta, duolsi,
sí che il morir comun manco gli spiace
che ’l proprio; ch’è ’l mutar, com’io raccolsi.

Risponde all’obbiezione, che si può fare contra la vita posta per Sommo Bene, poiché molti uccidono sé o i figli, come Catone e Bruto, o l’opere famose in chi s’immortalano, come Virgilio comandò che la sua Eneida fosse bruciata. Rispondendo, dice che la vita nostra sempre si muta. E ch’ogni mutamento è qualche morte o d’essenza, o di qualitá, o d’atto; e, se si fa con violenza, reca dolore; se con modo, allegria. E che par male il passato o il futuro essere, dove o quando ci abbiamo a mutare; ma il presente piace, perché è certo. E però par morte una mutanza grave; e si fugge piú che la morte, ch’è la mutanza a tutti comune. E nel seguente madrigale dichiara questo per esempi.

madrigale 4

La servitute all’animo gentile
morte propria è, che d’uom lo cangia in bruto,
e i suoi studi ed azioni in pecorine.

[p. 68 modifica]

E per men mal Caton s’ammazza; e Bruto
morìa ne’ figli tralignanti, vile
fatto il suo gran sembiante; onde lor fine
die’, qual Marone al suo libro dar volle,
pieno d’error, di sua fama rovine.
Viver per fama infame è vita amara,
morte all’alma preclara,
che, sprezzando, ripara
piú vera vita in gloria. Ove il Nil bolle
s’uccise un elefante, e Neron molle,
e di Sìam le donne non volenti
sopravvivere al vago. A tai piú propia
par morte mutar stato che elementi.
Pensa altri in fama o in ciel vivere a copia.

Pruova quel, che disse, con esempi di quegli che s’uccisero per non viver vita ch’all’esser loro parea morte; e di chi uccise gli figli, perché la vita sua, in quelli sendo a lui dissimile, era morte; e di chi l’opere sue, stimandole erronee, volle estinguere per non morire infame. Quindi si vede che l’autor crede Virgilio aver fatto molti errori nella Eneida e che sperava ammendarli; e nella Poetica esso gli nota. E come la fama infame è simile alla vita vile e servile. Poi adduce esempi di quelli che s’uccidono, perché credono esser piú morte il viver senza quel ben, che posseggono, che morire; o perché si credono eternarsi in fama o in Dio, e perch’Amore nasce dal sapere, secondo che l’uomo sa, vuole ed opra.

madrigale 5

Ma nullo annicchilarsi unquanche intese,
se non alcuni stolti di Narsinga,
che solo in niba credono posarse
senza affanni. Sentenza, che lusinga
chi sommo mal la doglia esser contese,
che a noi guardiana della vita apparse,
e di Natura medicina e sferza.

[p. 69 modifica]

Cosí, se non si mangia per gustarse,
né Venere per sé Natura fece,
ma per servar le spece,
a noi stimar non lece
la voluttá Bontá prima, ma terza,
che segue all’esser bene, e pria anche scherza
con tal presagio il Ben dell’universo,
perch’ogni ente si serbi a lui e propaghi.
Nel che, non d’arte errante al buio immerso,
ma di Natura ogni senso n’appaghi.

Dice che, se ben molti scelsero la morte come manco male, la scelsero come mutazion di vita, ma non come annicchilazione; se bene alcuni dell’Indie orientali credono che l’annicchilazione sia l’ultima felicitá, perché in quella sola pensano non trovarsi male. E questi non sanno quel che sia l’annicchilazione, e rapprendono come mancanza solo di male, secondo in Metafisica disputa l’autore. Poi dice che non sará per questo il sommo male il dolore, come alcuni epicurei stimano; ma è guardiano della vita, perché, se non ci dolessimo, ci lasceremmo uccider da ogni cosa.

Nota: poi pruova che la voluttá non è Sommo Bene, poiché non si mangia per quella; né si usa il coito per quella, ma per servar la spezie. Ed è il terzo, perché prima è il bello, poi il buono, poi il giocondo, benché suole esser primo, quando ci adesca a cercar il bene essa voluttá. E questo fa il Ben Sommo del mondo, perché tira le cose alla cura del conservarsi, quanto a lui è mestiero (cioè al mondo), con la sferza del gusto e del disgusto. E ciò mostra la Natura, e non il senso nostro, che solo al gusto attende.

madrigale 6

Ricchezze, sangue, onor, figli e vasalli
per ben dá il Fato; e pur rovina a molti
son al nome, alla patria ed al composto;
e fan gli animi ansiosi, vili e stolti.
Del corpo i ben, che ’l ciel per meglio dálli,
sanitá, robustezza e beltá, tosto

[p. 70 modifica]

si perdon anche, o perdon chi l’abusa,
quando il ben grande al piccolo è posposto.
Fra tutti beni le virtú dell’alma
ottengono la palma;
onde in corso ed in calma
regge gli altri, e di mal mai non si accusa.
D’esser virtute ogni potenza è esclusa
senza il senno, di lor guida e misura;
né il suo senno tien l’ente che ha l’idea,
specifica bontá, in piú o manco impura;
onde è a sé malo e strutto, e non si bea.

Propone che gli beni di fortuna spesso sono mali e struggono, invece di conservare; ma quegli del corpo sono migliori, ma pure sono soggetti all’abuso. Quegli dell’anima sono ottimi, ché reggon gli altri e non sono soggetti ad abuso. Poi dice che la virtú non solo è facoltá, ma senno insieme; ed altrove dice senno ed amore, perché far bene senza volerlo fare non è atto di virtú. Poi dice: quello ente, che ha la natura impura, piú o men della sua idea declinante, non ha il suo senno vero, e per sé è strutto ed inetto a conservarsi bene; il che chiama «bearsi». Ed altrove disse che col senso della legge si bea chi ha il suo impuro.

madrigale 7

Il ben, ch’all’altrui vivere s’applica,
in sé o ne’ discendenti, utile è detto
dall’uso; e dall’onore in fama, onesto.
D’essi appresi esce l’allegria, il diletto,
il ricco danno, e dolce la fatica.
S’alcun atto è nocivo e disonesto
e par giocondo, avvien ch’ivi fu misto
piú ben con male; e quel nasconde questo.
Dunque ogn’onesto ed utile è gioioso
in che serba, e doglioso
in che strugge; e dir oso

[p. 71 modifica]

che senz’essi piacer mai non fu visto.
Se piace l’acqua all’egro, onde è piú tristo,
giova al spirto, o alla lingua ove ha angoscia;
ma, perché énno assai parti, se a piú noce,
s’ammalan tutte per consenso poscia;
ond’essa perde d’utile la voce.

Distingue il ben esterno in utile ed onesto, e mostra che ’l giocondo esce da loro, posseduti in re od in spe. E che non si distinguono, come pensò Aristotile; e che non si truova gioconditá senza utile in qualche maniera. E lo pruova per esempio dell’infermo. E che il male, ch’è nel ben giocondo, è per accidente, non per sé; ma la voluttá è buona per sé, in quanto è sapor dell’essere, che per sé è l’ottimo.

madrigale 8

La dolorosa vita non si fugge,
se non in quanto è morte: ch’essa doglia
senso è del mal, ch’almen morte minaccia,
o fa, alla parte dov’è: benché soglia
tutte serbar, se ’l mal qui unito strugge.
Onde i dolori il senno accorto abbraccia
per gioire, e molto mal per piú gran bene,
e ’l ben per mal, se piú di mal procaccia.
Viver dunque secondo il senno insegna
felicitá si tegna;
per cui saper convegna
tutte le cose che ’l mondo contiene,
quanto fan di timor, quanto di spene.
Ma, perché manca ogni conservamento,
ché noi siam parti per lo tutto fatte,
e per Dio il tutto, il senno amante, intento,
per farsi divo, a quanto può combatte.

Che se la voluttá non per sé s’ama, né anche per sé si fugge il dolore, se non in quanto è morte al tutto o alla parte dolente; [p. 72 modifica]e che per accidente spesso è vita, come la voluttá per accidente è morte; e che questo sta al senno, di conoscer quando il dolor dá vita o morte, e cosí la voluttá. Talché conchiude che la vita felice consiste in viver secondo il senno, e che per questo si conviene saper tutte le cose che giovano e nuocono nel mondo. Poi conchiude che ogni conservazione manca, perché sono fatte le parti del mondo per lo tutto, e ’l tutto per Dio, e fatalmente si mutano; il che è morire. Però tanti filosofi si forzâro a farsi divi, accostatisi a Dio, che solo può eternare ogni vita.

madrigale 9

Canzon, dirai che l’uom sol fa beato
il senno, senza cui li ben son mali,
né si sente il gioir; ma seco pure
il mal fia ben. Né senso han l’alme impure,
ma veggon con gli occhiali
le cose in altra guisa, ch’elle stanno.
Né puritá può aver chi non è nato
per sé, ma ad uso di que’ che piú sanno;
talché si fa felice
sol oprando quel che ’l saggio ci dice.
Assai sa chi non sa, se sa obbedire.
Tutto infelice fia chi non ascolta,
ma nacque per servire
in quel mal, che ben fia di gente molta.
Forse fia in altre parti puro poi,
ché in varie forme s’occulta e rinasce,
e sol d’eternitá l’esser si pasce;
ché il bene e ’l mal son dolci a’ denti suoi.

In questo commiato dice che il senno fa sentire il bene e convertire il male in bene; dunque, egli è causa di beatitudine. E che non hanno senno vero l'alme impure, ma veggono le cose impuramente, ed adulteratamente giudicano. E che per natura s’ha la puritá. E che gli nati impuri sono all’uso de’ savi creati. E che assai sanno, se sanno ubbidire, e ’n ciò si beano con quelli. [p. 73 modifica]Ma chi né anche sa ubbidire, è nato per servire ad altri, facendo male; perché il male serve al mondo per esercizio, pena e per migliorarsi. E che forse un ente trasmutato sará puro in un altro essere formale, lo quale è corruttibile; e solo eterno è l’essere, che ha per dolce lo bene e ’l mal delle seconde cose, intendendo il lor fine.