Poesie (Campanella, 1938)/Poesie postume/V. Sonetti politici/4. Laudi che ho dato a Venezia, e amor che li portai sempre

4. Laudi che ho dato a Venezia, e amor che li portai sempre

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4. Laudi che ho dato a Venezia, e amor che li portai sempre
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Laudi che ho dato a Venezia, e amor che li portai sempre, e per che ragioni, onde non deve sospettar di me, che solo ho occasione di dolermi, piú di niuno, del clero; e la accusa di Venezia; e che la sua scusa è piú pericolosa che il suo male; e l’augurio della rovina, con molti essempi simili al modo di proceder di Venezia nelle prime pratiche del suo stupro e del suo adulatore; e palinodia di sue laudi.


Odo, Venezia, odo bene come ti sdegni meco: l’antidoto del tuo male son io! Guai a quell’infermo, a cui l’antidoto aggiunge infermitá! Tu non mi conosci. Sappi ch’io non parlo per mio interesse né per amicizia e amore del clero, il quale in tutta la vita mia m’afflisse con guai indicibili, ch’a pochi martiri cedo di tormenti, ma a tutti, di coscienza buona. Pur sappi ch’io tanto amo la gloria d’Italia, che nel papato si serba (altrimenti saria tutta schiava de’ forastieri, come son l’altre sue membra), e tanto amo Venezia, ch’è l’onore d’Italia, fiore verginale illustrissimo, che non posso star senza dolermi, e per il mio buono affetto intendo in cielo quel che parlo in terra. Io son quello che di te cantai tanto altamente:

Nova arca di Noè, che mentre inonda, ecc.1.

Tu sai ch’io non sono uomo venduto, e che mai ti dimandai né per me né per altri un quattrino, come li Sannazzarri e gli Aretini e Berni, che hai onorati generosamente; ma solo ho parlato per dire il vero e per eccitar la virtú con la laude a maggior prove. Cantai ancora altrove, facendo paragon tra greci e latini, che tu sola avanzi tutta la Grecia di senno, di valore, di maraviglie: «balena in mare, leone in terra, alata in cielo, maestra delle genti col Vangelo in mano e, con la forza, domatrice delle nazioni ribelle a quel che insegni».

Dunque avverti ch’ora io ti dico il vero. Io son tuo geloso innamorato castissimamente. Tu ti spogli dell’ale, tu getti il Vangelo, tu disarmi il leone, e converti la tua forza contra le tue viscere, e perdi, non t’avvedendo, la gloria verginale. — Ah! ah! [p. 252 modifica] ah! — Ti ridi? Ahi! infelice, perché non ti conosci? Non hai crollato il cuor pudico! Giá lo mostrasti in questa resoluzione perversa contra li religiosi, fatta per li presenti di Lutero mandati dalle vecchie ruffiane. Tutte le meretrice invecchiate fan questo officio poi con le donzelle vergini.

Oh quanto tempo è che fan questo ancor con teco! quanto ti desideravano! Giá trovâro la via: han vinto nel primo assalto. «Venetiae perdentur novo generi belli», profetò Gioacchino. Sei perduta, e non t’avvertisci; sputa, donzella, il primo bacio; ché, per Dio, se non sputi e non rifiuti questi sguardi e questi presentuzzi, e non rivochi la legge ingiusta, ti passerá il veneno di lussuria spiritale fin alle viscere, piú che non ti penetra il carnale, come sai; e non ti basterá Lutero, perché la puttana non si contenta d’uno. Mira tutte le meretrici apostatanti, che mai d’uno si contentano. Ma poi ti cavalcará Calvino questa tua anima: Calvino, carne asinina, dura e cruda, che tutta disfaceratti. Poi ti cavalcará Zuinglio, e poi altri, finché arrivi al capo dell’Anticristo, Macometto, che con strazi e guai ti smorzará la foia, perché non si sazia mai l’animo della bugia, e sempre cerca nova dottrina per acquetarsi: passa di mastro in mastro, di foia in foia, d’adulterio in adulterio. «Sub omni ligno frondoso prosternaberis», disse Ieremia alla tua consimile ebrea, e per la figura è Germania; e tu, orba minore, canonizerai l’orba maggiore. Ma il re di Babilonia, ch’oggi è il Turco, all’una e all’altra smorzará la foia, come fece a quelle. Dicit Dominus: — Io sento mò che mi chiami stolto, e che dici non aver peccato contra Dio né contra tuo padre. — Cosí disse Lutero nel principio, cosí Arrigo ottavo d’Inghilterra, e ogni altro capo di scisma e d’eresia, e pur l’empio Ario, protestando che non intende essere contra la fede cattolica. E questo è modo antico pur di Samaria e di Giudea: «absque peccato ego sum, non sum polluta». Dimmi, per grazia: non sai tu che ogni puttana si tien per buona sul principio, e, quando è notata di qualche atto libidinoso, si difende come vipera? Ma tu hai osservato il modo della fanciulla sollecitata, che, quando riceve gli primi doni, si sforza ch’altri li laudi: — Oh belle vesti! oh belle catene d’oro! oh belli guanti! — E cosí ella si cala con minore vergogna a cose giá laudate da altri prima.

Non hai avuto faccia di dire che vuoi le rendite delle chiese e la giurisdizione spirituale e temporale, che t’offerisce Lutero, Wicleffo e Marsilio padovano, tuoi proci; ma hai fatto scrivere [p. 253 modifica] da un teologo venduto, e non in nome tuo, che tu non pecchi e che puoi farlo; e mandasti libelli pertutto, senza titolo di autori né di stampatori né del luogo dove si fecino queste canzoni a gloria tua. Onde o hai voluto provocare a gelosia Dio e il suo vicario, perché condiscendessero ad approbar le leggi tue sopra le leggi divine: ma tu per questo vedrai che Dio e il suo vicario provocaranno te a gloria tale, che, come servo fuggitivo, e non come figlia, sarai esclusa dall’onor loro, in questo e nell’altro secolo; overo hai voluto provocare la donna di Toscana, la mantovana, l’urbinate, la modenesa, la francese e la spagnuola a far il simile, affinché la colpa commune non fusse con pena o con vergogna. Hai visto come è dotto questo tuo teologo cantanbanco del demonio? Che ha lasciato di vituperio e d’impietá senza cantarlo per onesto e pio? Tutte,le apostasie e scisme e fondamenti d’eresie, nelle quali andâro a ruina i boemi, bavari, Federighi, Arrighi, Niceforo, Giuliano apostata, egli accumulò, profeta di Iezabel e d’Attalia; ha scorporato gli Marsili, gli Wicleffi, gli Luteri, gli Arrighi e tutti gli dannati, per cavar laude dell’iniquitá, per celebrar lo scisma, per contaminar li sacri canoni, per gittar a terra li concili dello Spirito santo, le regole delli padri antichi, la filosofia di Cristo, Prima Ragione. E tu saltasti e ballasti, a questa canzone, e non ti vergognasti, ma peccatum tuum sicut Sodoma praedicasti.

Ora ti dice Dio: — Quomodo dicis: — Non sum pollata, post Bahalim non ambulavi?— Vidi vias tuas. — E tu presto, prestissimo dirai a chi ti chiama a penitenza: — Desperavi. Nequaquam faciam! Adamavi quippe alienigenas, post eos ambulabo. — A questo cade sempre chi non resiste alle prime tentazioni; e peggio, poiché vuol difendere il suo mal fatto per ben fatto, e chi vuol mostrar di non aver errato. Quando poi è convinto di errore, si ride; e torna a raddoppiarlo per mostrar che è cosa buona, degna d’essere reiterata la sua faccenda; poi, cum in profundum venerit, contemnit: convoca a sé li consiglieri mendaci, qui loquuntur placentia, e gli amici finti e li malfattori a sé simili nella colpa medesima; fa lega con quelli, e si gloria in concilio vanitatis d’aver rotto il giogo del pudore e della modestia e della ragione e del Padre amoroso. Così convenerunt in unum adversus Dominum et adversus Christum eius, dicendo: — Dirumpamus vincula eorum, proiiciamus a nobis iugum ipsorum; — ma sappi, Venezia, che qui habitat in coelis irridebit eos, e che nullo cattolico fará lega con [p. 254 modifica] te, come pensi, se non chi ha dato in reprobo senso come Giuliano apostata, o come il Bavaro, e come Arrigo ottavo; e ruinerenno peggio di quelli, insieme con te. E gli altri, che conoscono Dio, e che in terra mantiene un tribunale e un vicario, come è ragionevole a Dio, s’egli ha cura degli uomini (e gli ama piú che padre, secondo, per certa e pia fede, conosciamo), sapendo pur la rovina di quelli, che hanno tentato quel che tu tenti, e che questa canzone del tuo pseudoteologo è vecchia e dannata mille volte, perché mette il tribunal della terra sopra quel del cielo, ti saran contra e ti affliggeranno. E io muto la mia canzone a questo modo:

Solo Cam con la sua progenie immonda
ch’al gran padre, nel vin sepolto, fanno
vergogna e vituperio, ora in te stanno;
ché ’l seme giusto è uscito omai da l’onda.
Tu nave or di Caronte, ch’a la sponda
tartarea guidi nell’eterno danno
tante alme tristi, che piangendo vanno
la sua brama d’un obolo profonda.
Da questa metamorfosi ognun puote
scorger che ’l Ciel sdegnato a voi l’ingegno,
per punir vosco tutta Europa, invola.
Ecco dal polo andar lunge Boote,
ed a l’altro emisfero il santo regno
del fiero drago; e Dio far nova scola.

  1. Si veda sopra nella Scelta, p. 90 [Ed.].