Poesie (Campanella, 1938)/Scelta di alcune poesie di Settimontano Squilla/28. Canzone d'Amor secondo la vera filosofia

28. Canzone d'Amor secondo la vera filosofia

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28. Canzone d'Amor secondo la vera filosofia
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Canzon d’amor secondo la vera filosofia

madrigale i

Udite, amanti, il mio cantar. Sempr’era
l’Amor universa!, s’egli Dio spinse
a far il mondo, e non forza o bisogno.
La sua possanza a tanta opra l’accinse,

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però che dentro a sua infinita spera,
la prima sapienza, ond’io ciò espongo,
previde che potea starvi l’essenza
de’ finiti enti, e disse: — Or vi ripongo. —
Ché Amor, a cui ogni essere è bontate,
ch’al Senno è ventate,
vita alla Potestate,
l’antevista possibile esistenza
repente amò: tal ch’e’, c’ha dipendenza
dal Senno e dal Poter, la volve a loro:
ché Poter e Saper essi non ponno
quel che non vonno. Dunque insieme adoro
Possanza, Senno, Amor, primo ente e donno.

Senza invocazione comincia la canzone d’Amore; e mostra che sia eterno, perch’egli spinse Dio a far il mondo. Perché quel, che era possibile essere, Dio buono amò che fosse, come col sapere avea previso e col potere fece. Onde conchiude che Amor nasce dal potere e dal sapere eternamente, e che il potere e’1 sapere non possono né sanno, se non vogliono: dunque pendono anch’essi d’Amore. Onde si vede che Possanza, Sapienza ed Amore sono un primo ente, ed in ogni ente son primalitá, secondo la Metafisica. Qui ci son sensi mirabili.

madrigale 2

Il perfetto animal, ch’or mondo è, pria
era confusion, quasi un grand’uovo,
in cui la Monotriade alma parente,
covando, espresse il gran sembiante nuovo.
Però necessitá, fato, armonia,
influendo, il Poter, l’Amor, la Mente,
sopiti, sciolse a farsi in membra tante,
natura, fabbri intrinsechi e semente.
Onde ogn’ente è, perch’esser può, sa ed ama.
Non può, ignora o disama

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chi al morir si richiama;
il che di vita in vita è gire errante,
ché la spera vital sempr’è piú innante.
Ma le tre influenze abbreviâro
il saper delle parti, ond’esse, incerte
degli altri esseri e vite, solo amâro
la propria ed abborrir di farsi esperte.

Mostra che ’l caos ha preceduto, almeno d’origine, se non di tempo, e che Dio Monotriade lo ridusse ad ordine e fece il mondo; e, ch’influendo il fato, l’armonia e la necessitá, sciolse gli sopiti proprincipi partecipati, che son Possanza, Senno ed Amore, e gli fece diventare natura e fabbri e semente delle cose. E pruova ch’ogni ente sia d’essi composto, perché è, in quanto può e sa e vuole essere; e, se perde il potere o il sapere o ’l voler essere, subito muore o si trasmuta. E questo è passar di vita in vita: perché l’acqua, fatta fuoco, vive la vita di fuoco, e non si può andar fuori dalla sfera dell’essere, secondo l’autore ed Agostino, De cognitione verae vitae. E, perché il fato, l’armonia e necessitá abbracciâro il saper degli enti secondi, non sanno il gusto dell’altra vita, ch’a lor succede, e però non amano morire e trasmutarsi mai.

madrigale 3

Il primo Ente divino, uno, immortale,
tranquillo sempre, è l’infinito Bene,
proprio oggetto adeguato del su’ Amore.
Or, perché ogn’esser da quel primo viene,
è buono e lieto oggetto naturale
del proprio amor, tal ch’egli ama il Fattore,
se stesso amando, di cui è certa imago.
E però s’ama d’infinito ardore,
bramando farsi infinito ed eterno,
ché è tal l’Autor superno.
Quinci nasce odio interno
contra ’l morire in chi non è presago

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d’esser vicin piú al primo (ond’è si vago,
ch’anzi odiar sé, che lui può) Bene immenso.
Del Ben il senso amor spira per tutto;
ma alle parti mortai del male il senso,
per parziale amor, l’odio ha produtto.

Come il Primo Essere è Sommo Bene, adeguato oggetto del proprio amore, così ogni secondo essere è adeguato ben del proprio amore; e da qui si scorge che viene dal primo Essere, perché ama esser sempre ed infinito ogni ente, com’è Dio; talché, amando sé, piú ama Dio. Questo è provato in Metafisica. Mostra poscia l’odio nascer dall’amor dell’essere, che fa odiar il non essere, e solo si truova negli enti secondi particulari, che possono non essere. E ’l senso dell’essere spira amore, e ’l senso del male, ch’è il non essere, spira l’odio. «Deus autem nihil odit quae fecit».

madrigale 4

Dio cosa nulla odia, ché affanno e morte
da lor non teme; ma sua vita propria,
da lor partecipata, in sé vagheggia,
tutte avendo per buone. E bench’inopia
di piú sembianza sua nell’alme torte
si dica odiar, e’ non langue o vaneggia,
ch’indi e’ ben non mendica, e n’ha a dovizia
per sempre dar. Ma il suo fato pareggia,
con ta’ detti odii e morti, l’armonia
di sua gran monarchia.
Né ’l mondo a chi ben spia,
odia sue parti; ma prende a letizia
lor guerre e morti, che fanno a giustizia
in altre vite, dove gli è mestiero.
Così il pan duolsi e muore, da me morso,
per farsi e viver sangue, e questo io chiero;
poi muor il sangue alla carne in soccorso.

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Dio non odia le cose, perché l’ha fatte e non teme mal da loro. Odia solo i mancamento del bene in noi, ch’è il peccare: e questo è non ente. Ma questo odio non è con languidezza e vanitá, come in noi passione afflittiva; ma con questo odio fa che i mali del mondo faccino armonia al suo regno. E pure il mondo tutto non odia le sue parti, e le cose, che muoiono in esso, sono per sua vita: come il pane muore nel nostro corpo e si fa sangue, e’l sangue muore e si fa carne; e queste morti e vite particolari servono alla vita del tutto.

madrigale 5

Cosa mala io non truovo a Dio e al mondo,
né téma o gelosia; ma da fiacchezza
nacquero delle parti, o dal difetto
di quel ch’a molti è gioia o sicurezza.
Una comun materia ha il -spazio tondo,
di cui far regno amò, stanza e soggetto,
ogni attivo valor per eternarsi.
Dal che necessitá punse l’affetto
del consimile a far lo stesso, e guerra
pone il fato, e disserra
l’armonia cielo e terra.
Ecco lite d’amor per amor farsi.
Con re il re pugna, non con Davo; ed arsi
gli enti ha il fuoco, per fuoco amico farli;
e la terra vorria che fusser sui.
E dal non esser nasce il contrastarli;
dall’esser,. amicizia e un di dui.

Dunque conchiude che a Dio ed al mondo non ci è male; dunque, né odio, né gelosia; e dichiara l’origine di questi affetti essere la fiacchezza propria o ’l difetto del bene frale. E lo mostra nel mondo, dove il caldo e ’l freddo presero nimicizia per amore di far sua la materia, insufficiente alla loro voglia infinita; e come da tal amore nacque la lite e l’odio; e di tal odio si serve il fato [p. 48 modifica]a far gli elementi ed dementati; e che non ci è guerra tra contrari, ma tra simili, perché uno è Dio, e non fece cose contrarie, ma simili. La contrarietá nasce dal contrasto del regnare sopra la materia. Il caldo e ’l freddo son ambi attivi, incorporei. E dal non essere nasce il contrasto, ché ’l caldo non è freddo o teme esser fatto non caldo; e dall’esser qual è l’altro, l’amistá ed unitá.

madrigale 6

Amor, che dal Valor e Senno primo
procede, e lega que’ con dolce nodo,
del Sommo Ben, ch’è l’esser suo mai sempre,
è voluntate e gaudio sopra modo
di sé a sé, sicur ben, sempre opimo.
Amor, infuso del mondo alle tempre,
del suo gaudio e comodo è pur desire,
che nel futuro mai non si distempre,
ond’egli perda il sembiante divino.
Ma l’amor, che ’l destino
fe’ alle parti meschino,
piú tosto è desiderio, che gioire,
del proprio ben, che va sempr’al morire.
Amor dunqu’è piacer d’immortal vita
in tutti: ma chi in sé perderla sente,
la cerca altronde, e’l consiglio l’invita
a trovar via di non morir repente.

L’Amor divino, ch’è lo Spirito santo inteso personaliter ed appropriate, e non essentialiter, è un gaudio e volontá gioiosa senza misura, a sé di sé, id est del proprio essere, che è il Sommo Bene di esso primo Ente e di tutti gli altri. Perché il gioire è amor dell’obbietto unito alla potenza; il desiderio è amor dell’obbietto non posseduto. E però l’amor infuso al mondo, benché sia in parte gioire dall’esser che ha, nondimeno è pur desiderio di perpetuar quel che ha, perché non l’ha da sé, ma da Dio, a cui solo è amor gioia senza desio. Il terzo amore è [p. 49 modifica]ídelle parti mortali del mondo, e piú desiderio che gioire, se bene alcun gioire del proprio essere; ma il desiderio di non perderlo lo affligge. Distinti gli tre amori, definisce amore esser, non desiderio, ma piacer di vita immortale in tutti, ed anche in Dio: ma chi non l’ha da sé, teme perderla, ed invita il consiglio a trovar via di non perderla. E questo, quando è saggio, gli dice che s’accosti a Dio immortale per immortalarsi; quando è stolto, a’ beni mortali.

madrigale 7

L’inopia, dunque, pregna dal consiglio,
regenera amor fieri, ardenza e fame,
cupidigia, appetito e zel di quelle
cose, ch’intraman della vita il stame.
Onde il sol mangia la terra, e di piglio
ella al ciel dá, e vorria mangiar le stelle.
Fa di tal guerra e di lor semi il fato
spirti, umor, pietre, animai, piante; ed elle
mangiansi l’una l’altra: ove amor fassi
gioir, mentre rifassi
pian pian quel che disfassi.
Ché gioia del sentirsi esser serbato
atto è; e ’l dolor, del sentirsi turbato,
cui sommo è ben la conservazione,
e sommo mal è lo distruggimento.
Però diciam le cose male o buone,
ch’a lor son via, cagion, mostra e fomento.

Non affermò ch’amor sia desiderio, perché questo è sua specie, com’appar nella seconda parte della sua Metafisica; ed ora dice che l’inopia produce amore, impregnata dal consiglio, secondo la favola di Platone. Ma, con veritá, l’inopia non è madre d’amore, ma la voluttá, come ivi pruovò, atteso che non ama, perché non si ha la cosa, ma perché si ha. Solo il desiderio ha per nutrice, non per madre, l’inopia; perché non desideriamo la cosa, perché non l’abbiamo, ma perché è gioiosa: e di questa inopia non nasce [p. 50 modifica]amore verace, ma bastardo, cioè la fame, la gelosia, l’avarizia. E mostra questi effetti tra gli elementi, onde nasce la guerra; e della guerra si serve il fato a far gli enti secondi. Li quali pur si mangiano l’un l’altro, come gli elementi; e, nel rifacimento dell’essere, si ritrova amor esser gioire. E deffinisce che cosa è gioire o voluttá e che cosa è il dolore, e qual è il sommo bene e ’l sommo male, e che le altre cose si dicono buone o male rispetto a quelli, per analogia.

madrigale 8

Del nemico la fuga, o la vittoria,
e del cibo il restauro non bastando
ad eternar, il Senno amante, visto
che ’l sol produce, la terra impregnando,
tante sembianze, revocò a memoria
l’arte divina, e ’l mortal sesso misto
partío in due, che sembra terra e sole,
servendosi del caso; ond’ha provvisto
che, d’essi uniti, Amor, per be’ lambicchi,
virtú vital dispicchi,
chi d’esser gli fa ricchi,
morendo in sé, nella futura prole,
per questo amata piú ch’amante. E suole
qui Amor, vòlto in gioir, scordarsi il Senno;
come fan gli altri dell’inopia figli,
seguendola in piú e meno: onde vizi énno,
come virtuti son presso a consigli.

Con stupendo artificio dichiara come l’eternitá, oggetto di Amore, non si potendo tra mortali aver dalla vittoria o fuga del contrario, né dal ristoro del cibo; perché, se non si muore per quello, si muore per questo, ché ’l cibo, mentre si trasostanzia in noi, ci diminuisce, con la reazione, la natura; e, se pur questo non fosse, è necessario che si rompa qualche vaso, a lungo andare, e si muoia, secondo che Galeno dice, benché di contrari [p. 51 modifica]non fossimo composti: per questo la natural Sapienza divise l’animale in maschio e femmina, servendosi del caso (ché la femmina a caso nasce, intendendo sempre la natura fare il piú perfetto, ch’è il maschio), mirando all’arte divina, che nel mondo pose cielo e terra, maschio e femmina. E cosí mostra come, per lambicciuoli de’ vasi genitali, Natura trasmanda il seme dall’uno all’altro, che poi si fa un simile a’ generanti, e gli rende immortali per successione della prole, la quale per tal causa è piú amata ch’amante; ed amor discende e non ascende. Poi mostra come Amor, sentendo la gioia della conservazione nell’atto venereo, si scorda del Senno, onde nacque; come fan gli altri figli dell’inopia, che sono l’avarizia, ambizione, fame, che per poco senno sono vizi, e col senno sono virtuti.

madrigale 9

Però, dovunque Amor del suo ben scorge
segnale alcun, che Bellezza appelliamo,
pria che lasci pensar s’ivi s’asconda
il ben che ’l serva, accorre; e qui pecchiamo,
ché fuor di tempo e luogo, o piú o men porge
l’idea vitale, o in terra non feconda;
dove, pur, preparata al gran fin, gioia
sentendo, in piú error grande si profonda,
ch’ella d’Amor sia oggetto e fin sovrano,
non saggio e ésca e mezzano
del viver sempre. Ah insano
pensier, che ogni viltá produce e noia!
Né cieca legge smorza tanta foia;
ma il gran Saper, d’Amor viste ir l’antenne
al non morir, il che fra noi mancando,
all’alto volo gli veste le penne
d’eternitá, ch’andiam quaggiú cercando.

Come Amor, seguendo la bellezza, segnale del bene che ci conserva, senza far giudicio del male in quello nascosto tra ’l bene caduco, corre a quello; e qui si pecca, perché si getta il seme fuor di tempo, o di luogo, o del vaso in cui si fa la generazione. [p. 52 modifica]E, perché si sente pur gioia, che la Natura prepose a questo atto per ésca, viene a cader in error piú grande, perché stima esser fin d’Amore la bellezza, la quale è mezzo, saggio ed ésca al vero fine, che è il bene della conservazione. Né può la legge umana dissuadergli questo gusto vano senza frutto di prole, che ci immortala. Ma il Senno, vedendo che Amor tende all’immortalitá, ci china l’ale poi per arrivar ad eternarsi in un altro modo e con veritá, la quale in queste ombre del viver per successione noi andiamo cercando.

madrigale 10

Visto gli eroi e filosofi piú pruove
che ’l cibo e ’l generar fallano spesso,
e ’l figlio tralignante perdé al padre,
invece di servar, l’esser commesso,
punti d’Amor divin (cui par che giove
piú propagar le cose piú leggiadre),
sprezzâr la parte per lo tutto; e ’l seme
pria in tutti gli enti la Bontá lor madre
mirando, amando, han sparso, e la sembianza
di lor senno e possanza,
di Dio ampliati a usanza,
in tutto almen l’uman genere insieme,
in detti, in fatti ed opre alte e supreme.
E preser l’alme belle ad impregnare
di lor virtú, che trae di vaso in vaso
lor vita, ma pur manca a lungo andare,
ché solo Dio resiste ad ogni caso.

Dice che, vedendosi mancar la conservazione in sé o ne’ figli, perché tralignano o non gli potremo avere, gli filosofi e gli eroi si consultâro ad eternarsi in fama, e fecero gesti eroici e benefìci immortali al mondo, scrivendo, dicendo ed operando cose grandi. Talché lasciâro la sembianza loro, non ne’ figli, ma nelle memorie, e l’amplificâro per tutto il germe umano, e pigliâro figli di virtú, e non di carne, ad allevare ed amare; li quali [p. 53 modifica]eternano la lor sembianza e nome. Ma pur questo modo d’eternitá manca, poiché Pitagora e tanti filosofi ed eroi non hanno piú vivo il nome, ché si perderono i libri e statue loro. Dunque solo Dio resiste a tutti casi, che non ha composizione d’essere e non essere, come gli secondi enti, secondo la Metafisica dell’autore dichiara.

madrigale 11

Te, Amor, sfera infinita, alma e benigna,
che ’n ciel di copia, in noi d’inopia hai centro,
circondato dal cerchio sensitivo,
onde chi sente piú, piú ama e gode;
io, che son teco a tutte cose dentro,
canto, laudo e descrivo.
Per te si abbraccia il van le cose sode,
e le virtú la mole, onde consiste
dell’universo l’ordine distinto,
per te di stelle e d’uomini dipinto.
Per te si gira il sol, la terra piglia
vigor, onde poi tante cose figlia.
Per te contra la morte si resiste,
e contra il mal, che tanto ci scompiglia.
Tu, autor di gentilezza,
distruttor di fierezza;
di te son le repubbliche e gli regni
e l’amicizia, ch’è un amor perfetto,
che contra il male accomuna ogni bene.
Tu se’ d’eternitá frate, alla spene
soprabbondanza di eterno diletto.
Tu vinci la Possanza e l’Intelletto.

In questa mirabile conclusione lauda Amore: lo chiama sfera immensa, che in cielo ha il centro di copia, in terra d’inopia; e con tutto ciò ella è circondata dalla sfera della Sapienza, perché dove ci è piú sapere, ci è piú amore; piú aman le piante che le pietre, piú di quelle gli animali, piú di questi l’uomo. Poi dice [p. 54 modifica]come Amor fa che il vacuo tiri a sé gli corpi, e la materia le virtú agenti; che per lui fu distinto il mondo, e per lui nasce ogni cosa, e si fugge la mortalitá e ’l male; ch’egli unisce le republiche e’ regni e l’amicizia, la quale è un perfetto amore, che accomuna gli beni tutti, per conservar gli amici insieme contra il male; ch’è quasi fratello della speranza, la quale è spirata dalla voluttá eterna, che vince la Possanza e ’l Sapere. Qui ci vuol la Metafisica.