La Natura/Libro quarto

Libro quarto

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Libro terzo Libro quinto

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LIBRO QUARTO

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A R G O M E N T O


Lodasi del soggetto. — Dei simulacri ed immagini ch’emanano dalle cose. — Tenue natura di essi. — I quali si formano e muovono velocissimamente. — La vista è generata dal loro contatto. — Perchè si veda l’immagine di là dello specchio. — Perchè nello specchio si vedano a sinistra le cose che sono a destra. — Rifrazione. — Perchè le nostre immagini specchiate segnino i nostri movimenti. — Perchè i corpi risplendenti offendano la vista. — Perchè l’itterico veda giallo. — Perchè dal bujo vediamo ciò ch’è in luce, e non viceversa. — I sensi son fonte certa di conoscenza; le loro illusioni procedono dall’animo. — Contro chi asserisce, che nulla si può sapere. — Dell’udito. — La voce è corporea. — Immagini della voce. — Dell’eco. — Perchè la vista non traversa i corpi che può traversare la voce. — Del gusto. — Perchè i cibi, che a taluni son gustosi e vitali, ad altri son velenosi ed ingrati. — Dell’odorato e delle diverse impressioni degli odori. — I simulacri dell’animo e loro eccellente mobilità. — Perchè pensiamo ciò che vogliamo. — Le membra nacquero prima dell’uso. — Della fame e della sete. — Perchè possiamo muoverci a volontà. — Del sonno e de’ sogni. — Che sia e come nasca l’amore. — [p. 196 modifica]Contradizioni ridicole degli amanti. — Non doverci della donna formare un ideale. — La voluttà dell’amplesso è comune al maschio e alla femmina. — Della rassomiglianza dei figli a’ parenti. — Della sterilità. — Importanza delle simpatie.


GG

l’impervj lochi di Pïera io corro
E in terreno senz’orme i passi stampo.
3Amo accostarmi e attingere ad intatte
Fonti, amo coglier fiori unqua non visti,
Ed insigne al mio crin tesser corona,
6Di cui le Muse non velaron mai
Dinanzi al tempo mio tempia mortale:
Prima, perchè di eccelse cose io canto,
9E da’ ceppi tenaci de la Fede
L’anime umane a liberar m’ingegno;
Poscia, perchè d’un argomento oscuro
12Traggo lucidi carmi, e del suave
De le Muse lepor tutti li aspergo.
Nè ciò senza ragion; ma come allora
15Che ad infermo fanciullo il medicante
Porger si studia amari assenzj, asperge
Di dolce e biondo miel gli orli del vase,
18Perchè adescato sia fino a le labbra
L’imprevidente fanciulletto, e intanto
Trangugi de l’assenzio il succo amaro,
21Non perchè per tal via cada in inganno,
Ma più tosto perchè viva e risani;

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Or io così, giacchè la mia dottrina
24A chi men la trattò più trista appare,
E da lei tortamente il vulgo aborre,
Nel dolce eloquio del pïerio carme
27A te porger la volli e tutta quasi
Co ’l miel soave de le Muse aspersa,
Se mai dato mi fosse in questa guisa
30Tener l’animo tuo sopra i miei versi,
Infin che il naturale ordine e tutta
L’utilità del mio metodo intenda.]
     33E poichè già insegnai di che natura
L’animo sia, di che elementi fatto,
Come unito co ’l corpo acquisti vita,
36Come disciolto a’ primi atomi torni,
Or ti voglio spiegar, già che si attiene
Intimamente a le trattate cose,
39Che siano quelle, a cui di simulacri
Nome noi diamo, e simili a membrane
Tolte da’ corpi, a cui servían di buccia,
42Qua e là vagolando a l’aure vanno,
E ne vengon dinanzi e ne spaventano
Ne le veglie e ne’ sonni, allor che immagini
45Strane vediamo e oscure ombre di morti,
Che ne scotono spesso orribilmente
Dal sopor molle in cui posiam distesi;
48Onde per avventura altri non pensi
Che fuggan l’alme fuor de l’Acheronte

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E vaghino tra’ vivi ombre e fantasmi,
51O qualcosa di noi resti da vero
Dopo la morte, quando insieme estinti
Tornâro a’ lor principj anima e corpo.
     54Dico però, che staccansi da’ corpi
E da la loro superficie estrema
Certe immagini tenui e simulacri,
57Che dir quasi possiam bucce e membrane,
Perchè l’effigie lor serba la forma
E la sembianza, che a capel risponde
60A quel corpo, da cui vagan disciolti.
Chiunque intender ciò può, sia pure ottuso.
Già che, in pria, molte cose apertamente
63Corpi emanan da sè, parte diffusi,
Qual dal foco il vapor, da’ ceppi il fumo,
Parte più fra di lor contesti e densi,
66Come la liscia e delicata spoglia,
Che depon la cicala a’ giorni estivi,
O la membrana che d’intorno al corpo
69Abbandona il vitello allor che nasce,
O lo squame che sveste in fra le spine
Il lubrico serpente, onde talora
72Vediam tra’ vepri svolazzar le scoglie;
Già che avvengon ta’ fatti, una sottile
Immagine emanar devon del pari
75Da la lor superficie i corpi tutti:
Poi che certo nessun spiegar potrebbe

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Perchè si stacchin quelle e si discostino
78Da le cose, anzi che le più sottili;
Tanto più, essendo a fior di tutti i corpi
Numerosi corpuscoli, che ponno
81Lanciarsi con lo stesso ordin, che prima
Ebbero e conservar la forma istessa,
Tanto celeri più, quanto men ponno,
84Piccioli essendo e a prima fronte posti,
Trovar nel corso loro intimi inciampi.
Poichè certo vibrare e spander molti
87Noi ne vediam sovente, e non dal centro
Solo e dal fondo, come abbiam già detto,
Ma da l’estrema sommità dei corpi
90È lo stesso colore anche prodotto.
Così fan su’ teatri ampj distese
Le grigie e rosse e ferruginee tende,
93Che dispiegate fra l’antenne e i travi
Tremano fluttuändo, e su l’accolto
Popol de la platea, su tutto il vago
96Spettacol de la scena e il vario addobbo
Gittan del lor colore onde e riflessi;
E quanto anguste più sono le mura,
99Tanto più queste cose, ivi racchiuse,
Per la luce del dì ch’entra furtiva,
Ridon di grazïose iridi intorno.
102Se le tele perciò mandan dal sommo
De la lor superficie alcun colore,

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Dee mandar lievi effigie ogni altro objetto,
105Già che da l’alta superficie i corpi
E l’effigie e il color mandan del pari.
Sicure dunque son omai le tracce
108Dei simulacri, che di fil sottile
Tessuti sono, e vanno a l’aure errando
Comunemente, ben che poi divisi
111Non possan per l’appunto esser veduti.
L’odore in oltre ed il vapore e il fumo
E ogni altra cosa d’un’egual natura
114Diffusamente ridondan da’ corpi,
Perchè, esalando dal profondo interno,
Nè dritti essendo i varchi ed i meati,
117Per cui fan forza di proromper fuori,
Per l’obliquo sentier si scindon tutti,
E tortuösamente a l’aure vanno.
120Ma per contrario allor che la sottile
Membrana del color vibrano i corpi
Da la lor superficie, alcuna cosa
123Non v’è che lacerar giammai la possa,
Perchè a l’esterno, a fior de’ corpi è posta.
Quei simulacri poi, che negli specchi,
126Ne l’acqua e in ogni rilucente oggetto
Vediamo, è forza pur, già che de’ corpi
Son riflesso fedel, che siano spinti
129Da l’immagin che fuor vibran le cose.

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V’han dunque effigie tenui e simulacri
Simili a’ corpi, e, ben che alcun non possa
132Percepirli distinti uno per uno,
Pur, da l’assiduo e spesso urto sospinti
Dal piano de lo specchio e ripercossi,
135Visibili si fanno; e in altra guisa
Continuärsi non potrebber tanto,
Che ad ogni corpo egual rendan figura.
     138Or, quanto mai sottil sia la sostanza
De l’immagine, ascolta; e, già che tanto
Lungi i principj son da’ sensi nostri
141E più minuti ancor di quanti obietti
Sfuggon primi de’ nostri occhi a l’acume,
Odi pria brevemente, ond’io tel provi,
144Quanto sian tenui d’ogni cosa i semi.
Animali vi son piccioli tanto,
Che la lor terza parte in guisa alcuna
147Discerner non si può: qual esser deve
Un costoro intestino, un membro, un arto,
Quale il globo d’un occhio o ver del cuore!
150Come piccoli son! Quanto sottili
Esser denno i principj, onde composte
Son d’ognuno di lor l’alma e la mente?
153Non vedi quanto son tenui e minuti?
Tutto ciò, in oltre, che dal corpo esala
Un acre odor, la panacea, l’amaro

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156Assenzio, il grave abròtano, la trista
Centäurëa, se mai per caso un d’essi,
Qual più ti piacerà, lieve con due



159Più tosto non dirai, che in molte guise
Parecchi simulacri errano privi
Di tutta forza e d’ogni senso ignudi?
     162[Ma non pensar però, ch’errino i soli
Simulacri ch’emanano da’ corpi,
Chè altri ancora ve n’ha, che da sè stessi
165Formansi in questo ciel ch’aere si appella,
E diversi di forma in varie guise
Poggiano per gli spazj alti, ed essendo
168Fluidi, non cessan di mutar sembianza,
E di qual corpo sia prender l’aspetto:
Come le nubi ch’addensar vediamo
171Facilmente ne l’alto, e con leggero
Moto via per la cheta aere alïando
Turbano del tranquillo etra la faccia;
174Onde in aspetto di giganti or sembrano
Volare e larghe intorno ombre diffondere,
Or d’alti monti e svelte rupi in guisa
177Mover d’innanzi e traversare il sole,
Or in forma di belve una su l’altra
Ammucchiar nembi e provocar tempeste.]

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     180Or odi quanto presto e agevolmente
Si producano quelli, e da le cose
Distaccandosi ognor vaghin disciolti.
183Poi che il sommo de’ corpi ognor tramanda
E vibra qua e là sempre qualcosa,
Che, arrivando agli oggetti, o li trapassa,
186M.Come nel vetro specialmente avviene,
O ver, quando s’imbatte in aspri sassi
O in duro legno, allor si scinde in guisa
189Che simulacro alcun render non possa.
Ma, allor che un denso e rilucente obietto
Si oppone a lei, nulla di ciò succede;
192Qual ne lo specchio primamente avviene:
M.Poichè, nè passar può, come nel vetro,
Nè scindere si può: tanto quel liscio
195Piano è disposto a conservarla intera.
Avvien però, che quindi a noi riflettansi
I simulacri, e contro ad una spera
198Ponendo ciò che vuoi, subitamente,
In qual tempo tu vuoi, ne appar l’immago;
Sì che conoscer puoi, che da l’estrema
201Superficie de’ corpi emanan sempre
Tenui tessuti ed esili figure.
In breve istante si producon dunque
204Simulacri parecchi, onde a buon dritto
Celere si può dir l’origin loro.
E come deve il Sole in picciol tempo

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207Giù vibrar molti raggi, onde sien tutte
Piene le cose di continua luce,
Necessario è così, che numerose
210Immagini in tal guisa, ad un sol punto
Vadan via da le cose in ogni dove,
Per ogni verso, quando, pur lo specchio
213Volgendo a qual sia parte, ognor vediamo
Che ne la forma e nel color risponde
La fida effigie a lo specchiato oggetto.
     216[Tanto in oltre del ciel la limpidissima
Serenità per nubi atre conturbasi
Rapidamente, che pensar potresti
219Che le tenebre tutte, abbandonando
Le sedi d’Acheronte, empian d’un tratto
Tutte quante del ciel l’ampie caverne.
222Tante insiem con la notte atra de’ nembi
Sorgono e sopra a noi pendon da l’alto
Di squallide paure orridi aspetti;
225Di cui nessun può dir quanto sia piccola
Parte l’immago, e la ragione esprimerne.]
     Or come ratto i simulacri volino,
228E quanto agili sieno in fender l’aure,
Sì che un gran tratto in breve ora divorino,
M.Dove che tendan mai con vario moto,
231Con suavi aprirò più che con molti
Carmi, poi che del cigno il breve canto
Più grato è del clamor ch’alzan le grue

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234E fra l’eteree nubi Austro disperde.
Convien prima osservar, che assai sovente
Celere è ciò che di minuti e lisci
237Semi è composto: tali son la luce
E il calore del Sol, però che, fatti
Di minuti principj, in fra di loro
240Battonsi quasi, e traversar non temono
Gli aerei spazj, l’un l’altro a vicenda
Da l’urto del seguente atomo spinti:
243Sì che supplita sia luce da luce
Subitamente, e come stimolato
Senza interruzïon dal lume il lume.
246Necessario è però, che i simulacri
Indicibili spazj in un sol punto
Nel modo istesso a traversar sien atti,
249E perchè basta un lieve impulso a tergo
Per trasportarli e spingerli lontano,
E perchè rara è sì la lor testura,
252Che qual si voglia corpo agevolmente
Possono penetrar, trapelar quasi
Per gli spazj de l’aria. Ed oltre a questo;
255Se i minuti corpuscoli, che vibrano
Da le profonde visceri le cose,
Come la luce ed il calor del Sole,
258Scorrer vediamo in un balen, per tutta
La distesa del ciel spargersi, a volo
Passare i flutti ed inondar le terre,

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261Ch’è a dir di quei che stanno a fior de’ corpi?
Vibrati essendo e senza inciampi al corso,
Ove sian da sì lieve ala portati,
264Non vedi dunque tu, che andar più lungi
E più celeri denno, e in tempo eguale
Trascorrere uno spazio assai maggiore
267Che la luce del Sole il ciel traversi?
E a provar quanto sia celere il moto
De’ simulacri, il vero esempio è questo:
270Che non prima tu ponga a l’aere aperto
La limpid’acqua, ivi specchiarsi a un subito
Con la serena e radïosa faccia,
273Quando stellato è il ciel, gli astri tu vedi.
Omai da questo non t’accorgi adunque,
Che su le piagge de la terra a un punto
276Da le plaghe del ciel l’immagin cade?
Confessar quindi una e più volte è forza,
Che da le cose ognor si vibran corpi,
279Che toccan gli occhi e muovono la vista;
E da certe sostanze emanan sempre
Gli odori, come pur da’ fiumi il freddo,
282Il calore dal Sol, da le marine
Onde il salso vapor, che lento rode
Le muraglie che stan d’intorno al lido.
285Nè cessan di volar qua e là per l’aure
Suoni diversi; e infin, se presso al mare
Ci si aggiri, sovente un certo umore

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288Di salato sapor ci viene in bocca;
E, se mescer vediam disciolti assenzj,
Ne sentiam l’amarume. A tal da tutto
291Alcune qualità fluïscon sempre,
Che diffondonsi intorno in ogni parte;
Nè a sì fatto emanare o indugio o posa
294Vien concessa giammai, quando di tutto
Noi senso abbiam costantemente, e ognora
M.Vedere, udire ed odorar ci è dato.
     297Già ch’oltre a ciò si riconosce un corpo
Brancicato nel bujo esser quel desso,
Che vedi al lume e a lo splendor del giorno,
300Da consimil cagione è ben mestieri,
Che suscitati sian la vista e il tatto.
Or, se un quadrato noi tocchiam, s’ei move
303Ne le tenebre il senso, e qual mai dunque
Ne la luce potrà quadrato obietto,
Fuor che l’immagin sua, venirne in vista?
306Ne le immagini dunque è la cagione
Del veder posta; nè mai cosa alcuna
Potrà, senza di loro, esser veduta.
309Or questi simulacri, onde ragiono,
Portansi ovunque e vibransi dispersi
Per ogni banda; e poi che sol con gli occhi
312Percepir li possiam, quindi succede,
Che ovunque il guardo noi volgiam, là tutti
Ci s’incontrano i corpi, e ci feriscono

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315Con la sembianza e co ’l color la vista.
E l’immagin fa sì, che ben si possa
Vedere e calcolar quanto ciascuno
318Disti da noi; perchè, vibrata a pena,
L’aer fra l’occhio e sè spinge e discaccia
Subitamente, e sì questo trascorre
321Lungo l’iride nostra, e le pupille
Quasi deterge, e in guisa tal trapassa.
Avvien però, che di ciascun obietto
324Noi vediam la distanza; e quanto più
D’aria dinanzi a lui vien che sia spinta,
E più lunga i nostri occhi aura deterga,
327Tanto vediam più lungi esser le cose.
Tal processo, s’intende, avvien sì ratto,
Che il corpo a un tempo e il suo distar vediamo.
330Nè punto è da stimar mirabil cosa,
Che, mentre i simulacri, onde colpiti
Son gli occhi nostri, alcun veder non puote
333Ad uno ad un, veduti sian gli oggetti:
Chè pur così, quando ne sferza il vento
A poco a poco e spira acuto il freddo,
336Non del vento e del freddo ad una ad una
Sentir sogliam le picciolette parti,
Ma tutto insiem più tosto; e allora a punto
339Sentiam, che tal su noi colpo succede
Qual di cosa che sferzi, e con esterno
Urto il suo corpo a noi sensibil renda.

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342Se una pietra, oltre ciò, battiam co ’l dito,
Noi tocchiamo il color, ch’è ne l’estrema
Superficie del sasso; e pure al tatto
345Non sentiamo il color, ma la durezza
Sentiam, che sta ne l’intimo del sasso.
     Or apprendi perchè l’immago appaia
348Oltre lo specchio; chè lontano al certo
M.Essa appare là dentro, a par di quelle
Cose che stan di fuori, e cui scorgiamo
351Quando ci s’offre un libero prospetto
A traverso un dischiuso uscio, e n’è dato
Che da casa vediam ciò che sta fuori.
354Chè pur tal visïon da due distinti
Aeri procede: il primo è quel che scernesi
Al di qua de le porte; a destra e a manca
357Seguon poscia le imposte; indi l’esterna
Luce e l’altr’aere i nostri occhi lambisce,
E tutto ciò ch’è fuor ben si discerne.
360Dove a pena così via si distacchi
L’immagin de lo specchio, in quel che move
A le nostre pupille, urta e sospinge
363L’aer che fra sè stesso e gli occhi è posto,
E fa ch’esso vediam pria de lo specchio;
Ma, dove pur lo specchio al senso arrivi,
366Tosto l’effigie, ch’è da noi mandata,
Giunge, e riflessa retrocede agli occhi,
L’altr’aere innanzi a sè spinge e rivolve,

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369Sì che questo vediam pria di sè stessa:
E per questa ragion lontana tanto
Discosta da lo specchio ella si mostra.
372Da stupire non è quindi, ripeto,
M.Se la riflessa imagine cotanto
Sembra lontana, poi che in ambo i casi
375Tal distanza dal doppio aere procede.
Or ne lo specchio avvien, che manca appaia
La destra parte de le nostre membra,
378Perchè, su ’l piano de lo specchio urtando,
Ripercossa non vien l’effigie intatta,
Ma ricacciata è drittamente a dietro,
381Qual maschera di creta ancor non secca,
Se a trave od a pilastro altri lo batta,
E serbi in faccia la sua forma illesa,
384E rivoltata sè medesma esprima,
Fa sì, che l’occhio ch’era pria diritto
Manco ora sia, quel ch’era manco or destro.
387Avviene ancor, che d’uno ad altro specchio
Si tramandi un’immago, a tal che ponno
Cinque e sei simulacri esser prodotti.
390Così gli oggetti in loco intimo ascosi,
Ben che lontani, a dietro e di traverso,
Indi trarli per torti ànditi è dato
393In grazia di più specchi, e, ben che a dentro,
Possono tutti quanti esser veduti:
A tale è ver, che d’un specchio a l’altro

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396Si rifletta l’immago, e se la manca
Presenti in questo, in quel si fa diritta,
Poi cangia ancora, e qual fu pria ritorna.
399Anzi, qual sia faccetta abbian gli specchi
Curva a guisa di fianco, ognora a destra
I destri simulacri a noi rimanda,
402O sia perchè da l’una a l’altra spera
Si trasporta l’immagine, ed a noi
Per due volte riflessa indi sen voli,
405O perchè, allor che su lo specchio arriva,
Torcesi a tal, che, da l’obliqua forma
De lo specchio costretta, a noi si volga.
408Sembra oltre ciò, che a par di noi l’immagine
Inceda, fermi il passo, i gesti imíti,
Perchè da quella parte de lo specchio,
411Da cui tu ti allontani, immantinenti
Non può alcun simulacro esser riflesso;
Essendo legge natural, che tutto
414Che respinto è da’ corpi e balza a dietro,
Sempre ad angoli eguali indi ritorni.
     Sfuggon poi gli occhi e d’affisar son schivi
417Troppo splendidi obietti: il Sol ti acceca,
Se troppo contro lui lo sguardo appunti,
Però che grande è la sua possa, e i suoi
420Simulacri, pe ’l chiaro aere vibrati
Con gran forza a l’in giù, feriscon gli occhi,
Ne turbano i tessuti. Un troppo vivo

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423Splendor sovente le pupille infiamma,
Perchè molti ei possiede ignei principj,
Che penetrando in lor dolor producono.
426A l’itterico in oltre appaion gialle
Tutte le cose, perchè assai dal corpo
Gialli semi egli emana, i quali incontransi
429A’ simulacri; molti pur negli occhi,
N’ha meschiati, onde avvien, che al lor contagio
Di pallido color tutto si pinga.
432Dal bujo poi vediam quello ch’è in luce,
Perchè quando l’oscuro aere nebbioso,
Ch’è più vicino a noi, primo gli aperti
435Occhi penetra e invade, in lor ben tosto
Un candido succede aere lucente,
Che, a così dir, li terge, e le profonde
438Tenebre di quel primo aere dilegua,
Poi che di lunga mano esso è più mobile,
Di lunga man più tenue e più possente:
441Il qual, non pria di luce empie e dischiude
Le vie degli occhi, or or dal bujo ingombre,
Dei corpi in luce posti i simulacri
444Seguono tosto, ed a veder ne incítano.
Ciò che far non possiam dal lume al bujo:
Perchè il più crasso e oscuro aere che segue
447Tutte ingombra le vie, tutti i meati
Degli occhi ottura, sì che niun vibrato
Idol di corpi suscitar li possa.

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450Spesso vedute da lontan le quadre
Torri d’una città sembran rotonde,
Perchè ogni angol da lungi ottuso appare,
453O non appar più tosto in guisa alcuna,
E l’azion sua si perde, e a le pupille
Nostre veruna impressïon tramanda;
456Perchè, in varcar tant’aere i simulacri,
L’aura con suoi frequenti urti li smussa.
Così, a pena a la vista ogni angol fugge,
459Quasi tornito l’edificio appare,
Non qual da presso appar ciò ch’è rotondo
In realtà, ma come un qualche obietto
462Che un po’ sbozzatamente a lui somigli.
Pur l’ombra nostra al Sol mover vediamo,
Seguir nostr’orme ed imitar nostr’atti,
465Se pur credi che un aere orbo di lume
Camminar possa e seguir gli atti e i moti,
Poi ch’altro esser non può, che un aere privo
468Di lume ciò ch’ombra appellar siam usi.
Perchè a punto la terra, ovunque il passo,
Intercettando il Sol, da noi si mova,
471Spogliasi de la luce a grado a grado
In certi lochi, e si riveste in quelli
Da cui partimmo; onde ne par che l’ombra
474Con pari direzione ancor ne segua;
Però che nuovi raggi ognor si spandono,
E spariscono i primi, a quella guisa

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477Che fa lana gittata entro a la fiamma;
De la luce però s’orna e si spoglia
Facilmente la terra, e d’ombre nere
480Facilmente del par tutta si terge.
     Nè direm già, che qui s’ingannan gli occhi:
Poi che dovunque sia l’ombra e la luce
483Spetta a loro il veder, ma se la stessa
Sia questa luce o no, se la stess’ombra,
Ch’era qui poco innanzi, or passi altrove,
486O avvenga ciò che abbiam testè pur detto,
Ciò la sola ragion discerner deve;
Nè scovrir le cagioni agli occhi è dato.
489Non voler dunque attribuïre agli occhi
Questo difetto de la mente. Corre
La nave che ci porta, e par che stia;
492Quella che ferma sta crediam che vada,
E via fuggir vertiginosi a poppa
Colli e campagne, mentre a gonfie vele
495Voliam su ’l mare e li lasciamo a tergo.
Sembra pur che nel cupo etra confitti
Stieno gl’inoperosi astri, e in assiduo
498Moto son tutti, già che ognun si leva,
E, misurato il ciel co ’l radiante
Disco, ritorna a’ suoi lontani occasi.
501La luna e il Sol così ne paion fermi,
Mentre chiaro il lor moto indica il fatto;
Monti, visti da lungi in mezzo al mare,

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504Che libero a le flotte aprono il varco,
Un’isola formar sembran congiunti;
Fanciul che cessi dal girar, talmente
507Turbinar vede intorno atrj, e colonne,
Che a pena creder può, che non su lui
L’alto edificio rovinar minacci.
510E allor che la Natura alza il vermiglio
Chiaror dïurno, e le tremanti fiamme
Su le cime de’ monti alto solleva,
513Quei monti, a cui già già star sopra il sole
E toccarli co ’l suo foco ti sembra,
Lungi a pena da noi duemila tratti
516Sono di freccia, anzi sovente a pena
Di giavellotto cinquecento tiri;
Pur fra quei monti e il Sol pianure immense
519Giaccion di mar, sotto a l’immense plaghe
De l’etera distese, e mille e mille
Terre frapposte, in cui si accolgon tante
522D’uomini e d’animali ampie famiglie.
E l’acqua che si appozza in fra le pietre
Di lastricate vie, ben che d’un dito
525Alta meglio non sia, tanto profonda
Vista sotto la terra a noi dischiude,
Quant’alto su la terra apresi il cielo;
528Onde miracol par, che sotto terra
Si vedano le nubi e il ciel nascosto.
Se ci si arresti, in oltre, in mezzo a un fiume

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531Il destrier vigoroso, e nei volubili
Rapidi flutti noi fissiam lo sguardo,
Par che una certa forza il corpo immoto
534Del caval tragga di traverso, e ratto
Contro le fuggitive onde lo cacci;
E tutto, ove gittiam l’occhio d’intorno,
537Trarsi pe ’l verso istesso e correr sembra.
Portico d’egual luce e sovra a lungo
Di simili colonne ordin soffolto,
540Se da l’un capo per lo lungo il miri,
Vedrai che le sue vòlte a grado a grado
In più e più stretto cono esso restringe,
543Unisce i tetti al suol, destra a sinistra,
Finchè in punta di cono oscura perdesi.
Sembra al nocchiero in mar, che il Sol da l’onde
546Sorga, e ne l’onde pur celi il suo lume,
Perchè, tranne acqua e cielo, altro e’ non mira;
Non credere però sì di leggieri,
549Che guasti sian da tutte parti i sensi.
A chi ignaro è del mar sembra che zoppa
Sia la nave nel porto, e con infranta
552Poppa si sforzi a galleggiar su l’onde;
Poi che dritta de’ remi è quella parte
Che sta fuor de le salse acque, diritto
555Ne la parte di sopra anche il timone;
Ma quel tanto, che in mar vedesi immerso,
Par che infranto si torca, e torni a galla

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558Supino e quasi a fior de l’acqua ondeggi.
E quando notte tempo i venti portano
Rari via per lo ciel mucchi di nugole,
561Gli astri splendidi allor fuggir ti sembrano
Contro a’ nembi, e su questi alto discorrere
In parte opposta al corso lor verace.
564Se sotto un occhio poi premi co ’l dito,
Tal senso avvien, che tutto quel che miri
Sotto a lo sguardo tuo doppio diventa:
567Doppio de le lucerne il vivo lume,
Doppj gli arredi de la casa, doppie
Degli uomini le facce e doppj i corpi.
570Quando poi con sopor dolce le membra
Ne avvince il sonno, e in quiete alta riposa
Il corpo tutto, pure allor ne sembra
573Vegliar, muovere il corpo, e in fra la cieca
Notturna ombra veder pensiamo il Sole
E la luce dïurna, in chiusa stanza
576Cielo e mari varcar, fiumi e montagne,
Passar pedestri i campi, e, mentre ovunque
I severi silenzj de la notte
579Siedono intorno, udir suoni e parole
E risponder tacendo. Assai di questi
Fenomeni vediam, che cercan quasi
582Tutta infirmar la fede nostra a’ sensi;
Ma invan, già che in gran parte essi ne ingannano
Pe ’l giudicio che a lor l’animo appone,

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585Tal che per visto abbiam ciò che da’ sensi
Visto non fu: chè nulla è più difficile,
Che scevrar bene i manifesti fatti
588Da’ dubbj che il pensier tosto vi aggiunge.
     Se non sapersi nulla altri poi creda,
Ei pur non sa, se ciò saper si possa,
591Quando non saper nulla egli confessa.
Con costui dunque il disputar tralascio,
Perch’e’ pone il cervel sotto a le piante.
594Ma, ov’anche a lui questo saper conceda,
Io gli domanderò, se ne le cose
Nulla ha visto di vero, e d’onde mai
597Ei sa il sapere e il non saper che sia,
Qual mai cosa creò la conoscenza
E del falso e del ver, qual fatto prova
600Che diversa dal dubbio è la certezza.
Troverai, che da’ sensi è in pria creata
La nozïon del vero, e che non puossi
603Ai sensi contradir; poi che altrimenti
Ritrovar converría ciò che, vincendo
Per sua propria virtù co ’l vero il falso,
606Mertar possa da noi fede maggiore.
Or, che del senso più di fede è degno?
Ragion che da fallaci organi è nata
609Potere avrà di contrastar co’ sensi,
Essa ch’è tutta a pien da’ sensi uscita?
Fallaci questi, ogni ragion fallace.

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612Forse l’orecchio può corregger l’occhio.
Forse il tatto l’udito? o forse il gusto
Il tatto accuserà, forse le nari
615Confutar lo potran, convincer gli occhi?
Non già, cred’io; perchè ciascun di loro
Ha un officio e un poter proprio e distinto;
618Ed è forza però, che una distinta
Facoltà senta il molle, il caldo, il freddo.
Una i varj colori, ed ogni obietto,
621Ch’è congiunto a’ colori, uopo è che veda;
Una virtù distinta ha pure il gusto;
Nasce a parte l’odore, il suono a parte;
624E non può quindi un senso a patto alcuno
Confutar l’altro o rampognar sè stesso;
Chè ognun sempre aver dee credito uguale.
627Ver dunque è ognor ciò che tal sembra al senso.
E se spiegar non può la mente nostra,
Perchè mai ciò che da vicin quadrato
630Veduto da lontan ritondo appaja,
Meglio assegnar, chi di ragione ha d’uopo,
Cause fallaci ad ambedue figure,
633Che gittar via di man fatti palesi
E vïolar la prima fede e tutte
Sveller le basi, sopra cui sta ferma
636L’esistenza e la vita. E non soltanto
Ogni ragion cadrà, ma pur la stessa
Vita subitamente andrà in rovina,

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639Ove a’ sensi negar fede si ardisca,
E non schivare i precipizj e l’altre
Simili cose che fuggir si denno,
642E seguir tutto ciò che a lor contrasta.
Vana è dunque ogni copia di parole,
Che contro a’ sensi ad ammucchiar ti appresti.
645Come nel fabbricar, se storto è il primo
Regolo, se fallace esce la squadra
Dal dritto fil, se quinci o quindi inclina
648L’archipenzolo un niente, è forza allora
Che difettoso sia sconcio e bislenco
Tutto inter l’edifizio, e innanzi e indietro
651Senza proporzïon sbonzoli e spiombi,
E già in parte crollar sembra e già crolla,
Perchè i moduli primi eran fallaci,
654Così quindi esser dee fallace e storta
Ogni ragion da sensi falsi uscita.
     Aspra cosa or non torna il render chiaro
657Come senta ogni senso il proprio obietto.
     In primo luogo udiam le voci e i suoni,
Quando, introdotti ne le orecchie, scotono
660Col corpo lor l’udito; onde, se ponno
Movere il senso, confessar dobbiamo,
Che corporei son pur le voci e i suoni.
663La voce anche talor raschia le fauci;
Grido in uscir più l’aspra arteria innaspra;
Perocchè allor che de la voce i semi,

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666In maggior folla dèsti, a uscir cominciano
Per foce angusta, raschian pur, s’intende,
L’empiuto varco de la bocca. È dunque
669Fuor d’ogni dubbio, che parole e voci
Son di corporei semi atti a far male.
Nè ignori già, quanto di corpo tolga,
672Quanto vigor sottragga a’ nervi umani
Un continuo parlar da la sorgente
Alba prodotto a tarda notte oscura,
675Specie se ad alte grida e’ sia profuso.
Corporea deve adunque esser la voce,
Se l’uom parte di sè, parlando, perde.
678L’aspra voce vien poi dagli aspri semi,
Vien da’ dolci del par la sua dolcezza:
Nè in simil forma i suoni entran gli orecchi,
681Quando con grave murmure profondo
Mugghia la tromba, e il barbaro paese
Destasi al rimbombar rauco del corno,
684E quando in flebil voce alzano i cigni
Da le torte convalli d’Elicona
L’armonïosa e lugubre querela.
     687Quando però da l’intimo del corpo
Queste voci esprimiamo, e drittamente
L’emettiam da la bocca, allor la mobile
690Lingua, dedalea di parole artefice,
Le articola; e de’ labbri anche la forma
Ne la loro pronunzia ha la sua parte.

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693E se breve è lo spazio, onde ciascuna
Voce si parte al punto ov’essa arriva,
Chiare udir le parole e a parte a parte
696Distinguerle possiam, poi che ciascuna
Ritiene ancor sua forma e sua struttura;
Ma, se più del dover lungo è lo spazio
699Che s’interpone, è forza allor confondansi
Le parole pe ’l tanto aere, e la voce,
L’aure nel trasvolar, si decomponga:
702Avvien però, che udire il suon tu puoi,
Non discevrar de le parole il senso:
Sì la voce a te giunge e guasta e fioca.
705Talora, in oltre, una parola escita
Di bocca al banditor le orecchie scote
D’un’intera assemblea: dunque una sola
708Voce si sparge in molte voci a un tratto,
Se in ogni orecchio si divide, e il chiaro
Suono e la forma di quel motto imprime.
711Ma parte de le voci, orecchio alcuno
Non incontrando, oltre portata indarno
Dissipata per l’aure si disperde;
714Parte in solidi corpi urta, e respinta
Così fa il loco risonar, che spesso
La simiglianza de la voce inganna.
717Se questo intendi ben, non che a te stesso,
Rendere agli altri la ragion potrai,
Come le rupi in solitarie piagge

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720Rimandin con eguale ordine e forma
Le nostre voci, allor che de’ vaganti
Compagni in traccia, in mezzo a monti opachi,
723Gli smarriti appelliam con alto grido.
Lochi ho pur visti, che sei voci e sette
Rendean per una: così i colli a’ colli
726Respingeano iterando i messi accenti.
Qui fingono i vicini, abbian dimora
I caprìpedi Satiri e le Ninfe;
729Qui affermano, che i Fauni con notturni
Strepiti vaghi e con lieti sollazzi
Rompan la taciturna alta quïete,
732E suoni alzin di cetre e boscherecci
Flauti, che tòcchi da maestre dita
Versan dolci querele: odon da lungi
735Gli agricoltori, e riconoscon Pane,
Quando il semiferin capo velato
Da corone di pino agita, e spesso
738Con labbro adunco i calami patenti
Quinci e quindi percorre, onde non cessino
Di spargere dal sen canto silvestre.
741Portenti altri sì fatti e meraviglie
Narrano, a ciò per caso altri non creda,
Che i solitarj lochi, ove han dimora,
744Sien lasciati da’ Numi in abbandono:
Vantan però questi prodigj, od altri

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Per diversa ragion: chè di portenti
747Tutto il genere umano avido è troppo.
     Stupir del resto non si dee, che gli occhi
Veder palese e penetrar non ponno
750In quei lochi per cui passan le voci,
E scotono le orecchie, anche qualora
A chiuse porte conversiam; chè a punto
753La voce può pe’ tortuosi pori
Di qual sia corpo traversare illesa,
I simulacri no: però che a brani
756Si fanno allor che non son dritti i pori
Come nel vetro, in cui l’immagin passa.
Già che, dove n’emetti una, in parecchie
759Si propaga, e da queste altre ne nascono,
Come talor di fuoco una scintilla
Negli elementi suoi sparger si suole.
762Quindi avvien, che le voci empiano i lochi,
E, benchè posti intorno o dietro ascosi,
Li feriscon co ’l suono e scoton tutti.
765Ma, una volta emanati, i simulacri
Van per dirette vie; però nessuno
Discerner può traverso una parete,
768Ma può bene di fuori udir le voci.
Pur questa voce istessa, in quel che i muri
De le case traversa, si rintuzza,
771Confusamente penetra l’orecchie,
E suon più che parole udir ne sembra.

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     Nè a spiegar come mai sentan sapore
774Il palato e la lingua a noi fa d’uopo
D’un po’ più di fatica. Esso da prima
Sentesi ne la bocca, allor che il cibo
777Masticando spremiamo, a quella guisa
Che con la man si sprema e si dissecchi
Spugna d’acqua imbevuta; indi si sparge
780Pe’ fori del palato e gl’intricati
Pori, che son ne la spongiosa lingua,
Tutto il succo spremuto; ed ove i corpi
783Del penetrante umor son miti e lievi,
Tutte toccano allor soavemente,
Soavemente allor blandiscon quelle
786Che fan giro a la lingua umide chiostre;
Ma quanto più son raggruppati ed aspri,
Tanto più il senso allor pungono e squarciano.
789La voluttà del gusto indi, s’osserva,
Non va in là del palato; e allor che il cibo
Precipitò giù per le fauci, alcuna
792Voluttà non è più, mentre per tutte
Le nostre membra tutto si diffonde.
Nè importa di qual cibo il corpo viva,
795Sol che tu possa il digerito pasto
Spargere ne le parti, ed egualmente
Lo stomaco serbare umido sempre.
     798Or come avvien dirò, che il cibo stesso
Diversamente a ogni animal convenga,

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E perchè ciò che ad altri è amaro e tristo
801Possa ad altri parer grato e soave;
E tal disparità, divario tanto
V’è in ciò, che un cibo, che per uno è vita,
804Esser può per un altro acre veleno:
Evvi un serpe di fatti il qual, se il tocchi
La saliva de l’uom, morde e consuma
807Esso stesso il suo corpo infin che muoia;
E l’elleboro, a noi fiero veleno,
A coturnici e capre adipe accresce.
810Per saper come mai questo succeda,
Giova pria rammentar ciò ch’anzi ho detto,
Che ne’ corpi, cioè, diversamente
813I principj fra lor si tengon misti.
Or, tutti gli animai che prendon cibo,
Come di fuor son differenti, ed hanno
816Vario contorno e specïal tessuto,
Così di varj semi essi son fatti.
E varj essendo i semi, esser diversi
819Gl’intervalli, le vie, che pori io chiamo,
Devono in ogni membro e ne la bocca
E nel palato ancor. Deggiono dunque
822Esser altri minori, altri maggiori,
Trïangolari alcuni, altri quadrati,
Molti rotondi, e alcuni in varia guisa
825Irti d’angoli molti. E, come chiede
La rispondenza tra le forme e i moti,

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Denno i pori tra loro esser difformi,
828Esser varie le vie, come diverso
È il tessuto de’ semi, onde son fatti.
Però, quando a talun sembra soave
831Ciò che amaro è per altri, a cui par dolce
Ne’ pori del palato entrar lievissimi
Atomi denno atti a produr quel senso;
834Ma per contrario a chi par dentro acerbo
Lo stesso cibo, aspri ed adunchi semi
Devono al certo penetrar la gola:
837M.E in ver, ciò che mostrai più volte innanzi,
Nel sapore del miele ambi son misti.
Or facilmente argomentar da questi
840Gli altri casi potrai: tal, se da febbre
Per travaso di bile altri è sorpreso,
O che l’assalga per cagion diversa
843Altra forza di morbo, in lui ben tosto
Tutto il corpo si turba, e cangian sede
Tutti quanti i principj, onde quei semi,
846Che conveníansi prima al nostro senso,
Or non convengon più; quando quegli altri,
Che posson generare un senso acerbo
849Nel penetrare, or ci si adattan meglio.
     Or su, come l’odor co ’l suo contatto
Mova le nari, tratterò. Bisogna
852Primieramente, che sien molti corpi,
Da cui varia d’odori onda fluente

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Volvasi; e che da’ corpi essa fluïsca
855Ed emani per tutto e si diffonda
Stimar si dee; ma pe’ difformi semi
Diversamente a ogni animal si adatta:
858Da l’odore del miel quindi per l’aure
Pur da lungi le vaghe api son tratte,
Gli avvoltoj da’ cadaveri; il potere
861M.Del fiuto oltre corrente indica a’ cani
Dove le fiere erranti impresser l’ugna;
E l’odore de l’uom pur da lontano
864Presentono le bianche oche, per cui
Fu liberata la romulea rocca.
Così il diverso odor dato a le cose
867A’ proprj paschi ogni animai conduce,
E lo spinge a fuggir da rio veleno;
Così ogni specie d’animal si serba.
     870Di questi odori poi, che le narici
Toccan diversamente, avvien che possa
Un più lungi d’un altro esser vibrato;
873Ma nessuno di lor non può giammai
Sì lungi andar quanto la voce e il suono,
Per non dir quanto ciò che le pupille
876Percote e in noi la visïon produce;
Però che vago e tardo ognun si muove,
E diffuso per l’aure a poco a poco
879Struggesi facilmente anzi a l’arrivo:
Primo, perchè da l’intimo de’ corpi

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A stento emana: e che qualunque odore
882Da l’imo de le cose esali e parta
Il mostra ciò: che infranti o triti od arsi
Mandano i corpi ognor più vivo olezzo.
885Convien poscia osservar, che de la voce
Ha d’avere l’odor semi più grossi,
Già ch’ei non vale a penetrar quei muri,
888Per cui la voce e il suon varcan sovente.
Vedrai però, che non è facil tanto
Il loco rintracciar dove sia posto
891Ciò che odori, perchè l’onda ch’ei vibra,
Indugiando per l’aure, a poco a poco
Si raffredda, e così l’odor non giunge
894Caldo indicio de’ corpi al nostro olfato:
Spesso i cani così perdon le tracce.
     [Nè de l’odore e del sapor soltanto
897Questo ch’ò detto avvien, ma parimenti
Non già tutti i color’ le forme tutte
Si acconciano così di tutti al senso,
900Ch’un più d’un altro aspro a veder non sia.
Tal che star fermo e sostenener la vista
Del gallo, uso a scacciar l’ombre con l’ali
903E chiamar l’alba con sonora voce,
Non può il fiero leon; ma tosto in fuga
Volgesi: a punto perchè certi semi
906Hanno i galli nel corpo, i quali, entrando
Negli occhi del leon, sì fattamente

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Li pungono e gli dan dolor sì acuto,
909Che, se ben fiero, ei non può stargli a fronte;
Mentre quei semi stessi in modo alcuno
Offendere non san la nostra vista,
912O perchè entrar non ponno, o perchè, entrati,
Sì libera dagli occhi hanno l’uscita
Da non potere con la lor dimora
915Leder le nostre luci in parte alcuna.]
     Or che sia ciò che l’animo commove,
E d’onde nasca quel che in mente viene,
918Attento ascolta e in brevi detti apprendi.
E questo affermo in pria: che varj e molti
Simulacri di cose in ogni parte
921Vagano intorno, e son così sottili,
Che, incontrandosi in aria, agevolmente,
Come tele di ragno ed auree sfoglie,
924Si congiungon tra loro: e inver, non poco
Esser deve più tenue il lor tessuto
Di quei che prendon gli occhi e in noi producono
927La visïon, se a penetrar son atti
Per li pori del corpo, e la sottile
Sostanza spirital movere in guisa
930Ch’eccitar dentro a noi possano il senso.
Noi vediamo così Centauri e membra
Di Scille e ceffi di Cerberei cani
933E immagini di morti, onde già l’ossa
In fra le braccia sue stringe la terra;

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Poi che vagan qua e là le specie tutte
936Di simulacri, e dentro a l’aria istessa
Parte nascon da sè, parte si staccano
Da ogni specie di corpi, altri, accozzandosi,
939Di varie forme fan sola una forma:
Però che certo d’un Centauro vivo
L’immagin sua non vien, quando giammai
942Tal razza d’animale unqua non visse;
Ma, se d’un uomo e d’un destrier s’incontrano
Per avventura i simulacri, a un subito
945Aderiscon tra sè, come abbiam detto,
Per l’essenza e il tessuto assai sottile.
L’altre immagini strane a questa simile
948Si producono sempre in simil guisa;
E, per l’estrema leggerezza essendo
Velocissimamente in aria tratte,
951Come innanzi mostrai, basta un sol colpo
Perchè qualunque più sottile immagine
Mova l’animo nostro agevolmente;
954Già che tenue è la mente e a meraviglia
Mobile anch’essa. E che, com’io ti dico,
Avvenga ciò, facil tu puoi da questo
957Argomentarlo: infin che si somiglia
Ciò che con gli occhi e co ’l pensier vediamo,
È necessario, con egual processo
960L’un fenomeno e l’altro esser prodotti.
Giacchè dunque mostrai, che mercè solo

[p. 232 modifica]

De’ simulacri, onde la vista è mossa,
963Vedo, a esempio, un leon, concluder lice
Che mossa in egual modo anche è la mente,
La qual vede il leone e ogni altro obietto
966Sol per via de l’effigie, al par degli occhi
Nè più nè men; se non che più sottili
I simulacri son ch’ella discerne.
969Nè per altra ragion la mente veglia,
Quando si sparge per le membra il sonno,
Se non perchè quei simulacri stessi,
972Che vegliando movean gli animi nostri,
Or li movono a tal, che realmente
Veder crediam colui, che tolto al giorno
975Già de la morte e de la terra è preda.
E ciò per natural legge succede,
Perchè, essendo dal sonno il corpo avvinto,
978Tutti in tutte le membra i sensi han posa,
Nè ponno il falso confutar co ’l vero.
La memoria, oltre a ciò, langue sopita,
981Nè oppone che già sia morto e distrutto
Quei che ancor vivo di veder ne sembra.
Del resto non è già mirabil cosa,
984Che i simulacri movansi, e le braccia
Dimenino a misura e l’altre membra;
Come talora noi vediam ne’ sogni
987Che le immagini fan: però che, dove
Una d’esse svanisce, e con diverso

[p. 233 modifica]

Atteggiamento innanzi altra ne viene,
990Par che mutato il gesto abbia la prima;
Ciò, ben s’intende, è da stimar che avvenga
Con gran celerità: mobili tanto
993I simulacri son, tanto il lor numero,
Tanta è la copia de le parti minime,
Che in un punto di tempo il senso afferra,
996Che possa a tanti fatti esser bastante.
     [E qui molte quistioni a noi s’oppongono,
E dichiararne molte è pur mestieri,
999Se vogliam pienamente espor le cose.
Chiedesi in pria: Perchè la mente pensa
Subito a ciò, di cui desir ci nacque.
1002Forse al nostro voler guardan le immagini,
M.E a pena che vogliamo a noi sen corrono,
Se il mar, la terra e il cielo in cor ci stanno?
1005Forse pompe, assemblee, pugne, conviti
Crea Natura ad un cenno, e tutto appresta,
Massime allor che ne lo stesso loco
1008Pensa ciascuno ai più diversi oggetti?
Che direm poi, quando vediam ne’ sogni
Idoli che a misura i passi imprimono,
1011Movon le membra flessuöse, tendono
Le molli braccia alternamente celeri,
E co ’l piè che il terren picchia in cadenza
1014Agli occhi nostri un’azïon presentano?
Forse con l’arte de le danze infusa

[p. 234 modifica]

I dotti simulacri errano intorno,
1017Sì che a notte ne fan tripudj e giochi?
O questo è ver, che in un istante ascosi,
M.Come sentiam quando s’emette un grido,
1020Son molti istanti a la ragion sol noti,
Onde avvien che l’effigie in qual sia tempo
E in qual loco più vuoi stien preste ognora?
1023E, perchè tenui son, non può la mente
Veder ben, che le sole in cui si affisa;
L’altre, che vengon poi, si perdon tutte,
1026Fuor di quelle a cui tien pronta sè stessa.
E si tien pronta, e veder quello spera
Che segue ad ogni cosa, e però il vede.
1029Non osservi che gli occhi, allor che provano
Di scerner ben qualche sottile obietto,
Si stringono, si appuntano, si sforzano,
1032Nè posson senza ciò veder distinto?
Anche osservar tu puoi, che ciò ch’è in vista,
Se il pensier non lo apposti, assai lontano
1035E di tempo e di spazio esser ci sembra.
Perchè dunque stimar mirabil cosa,
Che, fuor di quelli a cui sè stesso appunta,
1038Sfugga a l’animo nostro ogni altro obietto?
Aggiungi, che talor da picciol segno
Inferïam gran cose, e da noi stessi
1041C’implichïamo de l’error nel laccio.]

[p. 235 modifica]

     Anche avviene talor, che un simulacro
Non segua un altro de la specie stessa,
1044Onde quel che da pria femina apparve,
Par che a noi fra le braccia un uom diventi,
O età muti e sembiante; e che tal vista
1047Ci dia stupor l’oblío ce ’l vieta e il sonno.
     [Qui fuggire a tutt’uom quel vizio è d’uopo
E schivar cauti quell’error, che i chiari
1050Lumi degli occhi sien creati a fine
Che si possa veder; femori e tibie
Basati sovra i piè giusto si pieghino
1053Ne l’estreme lor parti, onde si possa
Mover gran passi; che le braccia adatte
Co’ muscoli gagliardi e le ministre
1056Mani, date ci sien d’ambo le bande,
Perchè si faccia quanto al viver giovi.
Le interpretazïon di simil fatta
1059Scambian cause ed effetti, e fanno a’ calci
Con la ragion: però che nulla nasce
Nel corpo nostro a fin che usar si possa,
1062Ma ciò ch’è nato quel genera l’uso:
Nè già prima degli occhi il veder nacque,
Nè creossi il parlar pria de la lingua:
1065L’origin de la lingua anzi precesse
Di lunga mano il favellare, e assai
Prima che fosse un suon qualunque udito,

[p. 236 modifica]

1068Furon le orecchie; tutte infin le membra
Create innanzi a l’uso esser mi penso;
Nate dunque non sono a fin de l’uso.
1071Ma d’altro canto il mescolar le mani
Ne l’azzuffarsi, lacerar le membra,
Macchiar di sangue il corpo era già noto
1074Gran tempo pria che i luccicanti dardi
Volassero per l’aria, e la Natura
A schivar le ferite insegnò avanti
1077Che la sinistra man sapesse l’arte
D’oppor lo scudo; il dar quiete a le stanche
Membra è più antico assai, naturalmente,
1080De’ molli strati che ci fan da letto;
Pria de le tazze il dissetarsi è nato.
Creder dunque possiam, che queste cose
1083Furon trovate dal bisogno industre,
Quando l’utile lor fu conosciuto;
Non così tutto ciò che nacque innanzi,
1086E poi de l’util suo notizia diede:
Com’essere vediam principalmente
Le membra e i sensi; onde una volta ancora
1089Lungi dirò d’ogni possibil fede,
Che per gli utili ufficj ei fosser fatti.]
     [Nè al pari è da stupir, se la natura
1092D’ogni corpo animal cerchi alimento;
Perocchè già mostrai, che da le cose
Emanan variamente atomi molti,

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1095Ma più dagli animali escir ne denno,
Perchè, essendo dal moto esercitati,
Molti n’esalan per la bocca, allora
1098Che stanchi ansano, e molti anche dagl’intimi
Tessuti espressi co ’l sudor ne mandano.
Quindi il corpo si fa raro, le basi
1101De la natura sua vacillan tutte,
E succede il dolor. Quindi alimento
Prendesi a ciò che, dentro al corpo infuso,
1104Ricrei le forze, i muscoli sostenga,
E per le vuote membra e per le vene
Colmi del manicar la brama ingorda.
1107Così pure l’umor corre a le parti
Che richiedono umor, dissipa i molti
Semi d’ardor, che accumulati apportano
1110Ne lo stomaco incendio, a mo’ di fuoco
A l’appressar del liquido li estingue,
E fa sì, che il calor più lungamente
1113Gl’inariditi muscoli non bruci.
Eccoti dunque, che così s’ammorza
Nel corpo nostro l’affannosa sete,
1116Così la brama del mangiar si appaga.]
     Or come avvien dirò che andar si possa
Quando vogliam; com’è che a noi sia dato
1119Mover le membra in vario modo; quale
Sia la forza per cui spinger possiamo
Del corpo nostro il grave peso; ascolta.

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1122Dico, che prima al nostro animo incontro
I simulacri de l’andar si fanno,
E lo scuoton, siccome abbiam già detto;
1125Indi sorge il voler: però che alcuno
Nulla imprende già mai, se pria la mente
Preveduto non ha ciò che si voglia;
1128E quel che voglia in fatti essa prevede
Perchè l’effigie di tal cosa esiste.
Quando l’animo dunque a tal si muove
1131Che porsi in movimento e inceder voglia,
Quella forza de l’anima, che sparsa
Pe’ muscoli e le membra è in tutto il corpo,
1134Tosto ei colpisce; e agevol cosa è il farlo,
Già che con esso ella si tien congiunta.
Essa poi scote il corpo, e a poco a poco
1137Spinta e mossa è così tutta la mole.
Raro in oltre esso il corpo allor diviene:
L’aria che per natura è mobil sempre,
1140Viene in gran copia, entra gli aperti pori,
E si sparge così dentro a le parti
Più minute del corpo: indi per ambe
1143Le vie, d’ambo le cause, a par di nave
Da le vele e dal vento, il corpo è mosso.
Nè mirabile è già, che così piccioli
1146Corpi possan piegar così gran corpo
E girar tutta la corporea soma;
Che il tenue vento co ’l sottil suo corpo

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1149Caccia pur, quando soffia, una gran nave
Con grand’impeto, e, sia quanto più vogli
D’essa rapido il corso, un braccio solo
1152La governa su’ flutti; un sol timone
Ove piaccia la volge; anche una sola
Macchina, a via di taglie e di girelle,
1155Con lievissimo sforzo enormi e molti
Pesi, in moto ponendo, alto solleva.
     Or come avvien, che una serena quiete
1158Entro a le nostre membra il sonno irrighi,
E le cure del cor sciolga dal petto,
Con soavi dirò più che con molti
1161Versi, poi che del cigno il breve canto
Più grato è del clamor ch’alzan le grue
E fra l’eteree nubi Austro disperde.
1164Tu il fino orecchio e l’animo sagace
Dammi fra tanto, a ciò a negar non abbi
Che possibile sia ciò che ti dico,
1167E, rigettando il mio parlar verace,
Non ti parta da me, quando tu stesso
Ne l’error sei, nè de l’error ti avvisi.
1170Quando l’alma dispersa per le membra
Parte fu spinta ad esalare, e parte
Ricacciata ne l’intimo del corpo
1173Si riconcolse, allor sen viene il sonno;
Poi che a la fine allor tutte si sciolgono,
E languiscon le membra. E, già ch’è certo

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1176Ch’opra sono de l’alma i nostri sensi,
Quando sono dal sonno essi impediti,
Stimar si dee, che disturbata e spinta
1179Sia l’anima ad uscir; non però tutta,
Perchè in tal caso giacerebbe il corpo
Nel freddo eterno de la morte immerso.
1182Se non restasse in fatti entro a le membra
Parte alcuna de l’anima nascosa,
Come foco celato in cener molta,
1185Onde mai ne le membra il senso a un tratto
Rallumarsi potría, simile a fiamma
Che da foco sepolto a l’aure insorge?
     1188Ma perchè mai tal mutamento avvenga
E come scompigliar l’alma si possa,
Come il corpo languisca, ecco ti spiego:
1191Tu fa’ che i detti io non disperda a’ venti.
In primo luogo, già che posto è il corpo
In contatto de l’aria, essere ei deve
1194Dal frequente de l’aure urto percosso
E battuto a l’esterno: onde da cuojo,
Da corteccia, da callo, o da conchiglie
1197Protette per lo più sono le cose.
L’aria stessa ad un tempo anche percuote
Le parti intime, allor che respirando
1200L’animale la inspira, o ver l’esala.
Quando però battuto in varia guisa
D’ambe le parti è il corpo, e pei minuti

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1203Pori a le parti e agli elementi primi
Del corpo nostro arrivan le percosse,
Entro le nostre membra a poco a poco
1206Quasi un dissolvimento allor succede:
Dei principj del corpo e de la mente
Si sconvolgon le sedi; onde una parte
1209De l’alma è spinta fuor, parte si cela
Nei recessi del corpo, altra dispersa
Per le membra non può star più congiunta,
1212Nè esercitarsi in vicendevol moto:
Chè i commerci e le vie chiude Natura;
Perciò, mutati i movimenti, il senso
1215Ne l’intimo del corpo si ritira;
E, non v’essendo più presso che nulla
Che i nostri arti sostenga, il corpo tutto
1218S’indebolisce, languono le membra,
Cadon le braccia, aggravansi le palpebre,
Anche in letto i ginocchi ci si piegano,
1221E le forze rilassansi. Vien dietro
Al pasto il sonno poi, però che il cibo,
Mentre che si diffonde entro le vene,
1224Gli effetti che fa l’aria anche produce;
E il sopor che tu prendi o sazio o stanco
È gravissimo ognor, poi che più semi
1227Da più fatiga oppressi allor si turbano.
Per codesta ragion vie più profondo
È il ritrarsi che fa l’anima in parte,

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1230Vie più largo l’efflusso e maggiormente
Tra sè divisa e l’azïon più sparsa.
     E quelle cose, a cui ciascuno attende
1233Comunemente e da l’affetto è avvinto,
Ed in cui più ci siam fermati innanzi,
Ed a cui più che mai l’alma s’intese,
1236Quelle spesso ne par che a noi d’intorno
Si aggirino ne’ sogni: il legulejo
Agita liti, accozza testi; il duce
1239Combatter sogna ed impegnar battaglie;
Far lunga guerra il marinar co’ venti;
Io sogno poi di proseguir quest’opra
1242E la Natura investigar costante,
E investigata esporla in patrie carte.
Così sovente ogni altro studio ed arte
1245Le menti umane in sogno occupa e inganna.
E chi fu assiduo spettator di giochi
Per lungo ininterrotto ordin di giorni
1248Spesso vediam, che quando già co’ sensi
Cessò di percepirli, entro la mente
Serba pure dischiusi altri sentieri,
1251Per cui possano entrar gl’idoli stessi:
Così per molti giorni agli occhi innanzi
Le medesime cose ognor gli stanno,
1254Sì che, pure vegliando, ei mirar crede
Chi spicca salti e chi molleggia in danza,
E accoglier ne le orecchie un suon soave

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1257Di molli cetre e di parlanti corde,
E veder quegli astanti e de la scena
Splendere al tempo stesso i varj adorni:
1260Tanto su l’uom, sugli animali tutti
Può il diletto, lo zel, l’abito, l’uso.
Così un forte destrier, mentre distese
1263Giacciono le sue membra, anche nel sonno
Sudando sbuffa e senza posa anela,
Come se fuor da le dischiuse stalle
1266Rompa, o di tutta forza al palio aspiri.
Così il bracco sovente, ancor che in molle
Quiete riposi, ad un tratto le gambe
1269Agita, spesso spesso a l’aria annusa,
D’un subito squittisce, e già già sembra
Ch’ormeggiata e scovata abbia la fiera;
1272Anche desto talor va dietro a vani
Simulacri di cervi, e gli par quasi
Che si diano a la fuga, infin che, scosso
1275Ogni error de la mente, in sè non torni.
E de’ botoli pur l’adulatrice
Razza in casa allevata il sonno scote,
1278Balza subito in piè, come se strane
Facce vedesse e sconosciuti aspetti.
E quanto più selvagge son le razze,
1281Tanto più denno inferocir ne’ sogni:
Fuggono quindi a notte i varj augelli,
E i sacri boschi fan stormir con l’ale,

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1284Se nel lieve sopor falchi e predaci
Miran volanti offrir zuffe e battaglie.
Le menti poi degli uomini, che grandi
1287Cose con grande emozïon producono,
Spesso a la stessa guisa opran ne’ sogni:
Debellan re, cadon prigioni, armeggiano,
1290Come se alcun li sgozzi alzan le grida;
Combatton molti e dolorando gemono,
E, qual pantera o fier leon li sbrani,
1293Tutto d’alti clamori empiono il loco.
Di grandi opre nel sonno altri favella,
E spesso pur le proprie colpe accusa;
1296Molti incontrar credon la morte; molti,
Come chi da montagna alta precipiti
A corpo morto su la terra, scotonsi
1299Esterrefatti, e da tal sogno restano
Come intontiti, e scossi dal tumulto
Di tutto il corpo in sè tornano a stento.
1302D’un fiume a riva o d’una fonte amena
Siede poi l’assetato, e con ardenti
Fauci gli par che tutta l’onda assorba.
1305Uom di nettezza amante, al sonno in preda,
Presso un mozzo bigoncio o presso un lago
Alzar crede la vesta, e, tutta intanto
1308L’accolta dentro al corpo acqua spargendo,
Splendide coltri babilonie irriga.
E il giovinetto, allor che per le membra,

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1311Co ’l seme che gli crea l’età già piena,
I primieri degli anni impeti sente,
Danzar vedesi intorno effigie vive
1314Emanate da un corpo, a cui fiorisce
Una chiara beltà le rosee forme,
E sì questa, irritando, i seminali
1317Vasi per troppo umor gonfj gli move,
Che, come fosse ogni azïon compiuta,
Ne versano una larga onda, che tutto
1320Gli macula scorrendo il vestimento.
M.Or questo seme, di cui parlo, in noi
Movesi, allor che i muscoli rafforza
1323La giovinezza; e poi che proprj effetti
Ogni causa diversa eccita e spinge,
Sola virtù di creature umane
1326Ne l’uom provoca il seme; e questo, a pena
Spinto da le sue sedi esce, e trascorre
Dal corpo tutto per le membra e gli arti,
1329In proprj nervi si raduna, e tosto
La parte genitale eccita: inturgida
Questa irritata da l’accolto umore,
1332E il desio nasce di lanciarlo dove
Drizza la punta la libidin fiera;
E quel corpo l’accesa alma brameggia,
1335Onde amor l’ha colpito. E come spesso
Su la propria ferita uno trabocca,
E vêr la parte, onde gli venne il colpo,

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1338Schizza il sangue, e, se a lui presso è il nemico,
Di rosso umor lo asperge, in simil guisa
Chi di Venere il dardo ebbe nel petto,
1341Sia che il vibri un garzon da le donnesche
Morbide forme, o sia che donna il vibri,
Che da tutte le membra amor saetti,
1344Ei sempre a quel, da cui gli venne il colpo,
Tende, e unirsi con lui brama, e nel corpo
L’umor lanciargli, che dal corpo è tratto:
1347Poi che il muto disio gli presagisce
La voluttà. Per noi Venere è questa:
Quindi i moti d’amor, quindi nel petto
1350Stilla Venere in pria le sue dolcezze,
Poi la frigida cura a lor succede:
Chè, se lontano è ciò che brami, innanzi
1353Te ne sta pur l’immagine, e il suave
Nome dentro a l’orecchie ognor ti gira.
Ma gl’idoli d’amore e le lusinghe
1356Schivar giova e fuggire, e ad altro segno
Volger la mente, ed il concolto umore
In qual sia corpo ejacular; nè, fisso
1359Ne l’amore d’un sol, fargli ritegno,
E l’angoscia serbarsi e certo il danno.
Ulcera alimentata ognor più viva
1362Invecchiando si fa: di giorno in giorno
Svampa la furia e la miseria aggrava,
Se le piaghe con piaghe altre non cassi,

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1365E vago con volgar Venere errante
Le più fresche non curi, e ad altro obietto
I moti del tuo cor volger non sai.
     1368Nè chi schiva l’amor manca del frutto
Di Venere; ne coglie anzi i piaceri
Che son scevri di pena; e certamente
1371Più pura voluttà gusta chi è sano
Del miserel, che de l’amor nel foco
Nel punto stesso d’appagar suoi voti
1374In mille errori incerto ondeggia, e sta
Perplesso di che prima abbia a godere
Con le mani e con gli occhi: al petto preme
1377Tenacemente il sospirato oggetto,
Ne tormenta le membra, e con frequenti
E baci e morsi i cari labbri affligge,
1380Perchè la voluttà non è sincera,
Ed un segreto stimolo lo istíga
A strazïar qual ch’esso sia quel corpo,
1383Che di tanta sua rabbia i germi avventa.
Ben, durante l’amor, Venere frange
Dolcemente le pene, e una soave
1386Voluttà mista ad esse i morsi affrena,
Perchè si spera che quel corpo istesso,
Onde nacque l’ardor, la vampa ammorzi:
1389Ma vuol Natura, che il contrario avvenga;
E sola cosa è amor, di cui più godi,
E di brama più fiera arde il tuo petto:

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1392Poichè il cibo e l’umor van dentro al corpo
E certi lochi empiendo, agevolmente
Del mangiare e del ber colman la brama;
1395Ma d’un bel volto e d’un color leggiadro
Fruïr non si concede altro a le membra,
Fuor che sottili immagini: meschina
1398Speme che spesso a noi l’animo invola.
Qual dormente assetato, a cui quell’onda,
Che l’ardor del suo corpo estinguer possa
1401E che brama di ber, non si concede,
Ma sol de l’acqua i simulacri ei trova,
Sì che invan si travaglia, e pur beendo
1404Entro a rapido fiume arde di sete,
Ne l’amore così Venere inganna
Con l’effigie l’amante, il qual nè il corpo
1407Sfamar può co ’l mirar l’amato aspetto,
Nè parte alcuna con la man detrarre
Da le morbide carni, allor che tutte
1410Ansante, irresoluto ei le palpeggia.
E quando alfin, membra congiunte a membra,
Il fiore de l’età godono, e i corpi,
1413Già già l’istante del piacer presentono,
E Venere è lì lì, che i desiosi
Feminei campi a seminar si appresta,
1416S’avviticchian l’un l’altro avidi, in bocca
Confondono le lingue, ansan premendo
Con i denti le labbra, è tutto indarno:

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1419Già che quinci detrar non posson nulla,
Nè cacciar ponno e insinuare e infondere
Entro l’amato corpo il corpo tutto,
1422Come sembra talor vogliano a forza:
E sì cupidamente avviluppati
Stan tra’ lacci di Venere, che oppresse
1425Da tante voluttà languide struggonsi
Le membra. Alfin, quando la brama intensa
Ne’ nervi accolta ebbe uno sfogo, ha qualche
1428Picciola tregua il violento ardore;
La stessa rabbia indi ritorna, riede
Il furore di pria, già ch’essi stessi
1431Cercano di saper qual sia l’oggetto
Che bramino ottener, nè astuzia alcuna
Posson trovar che il danno lor conquida.
1434In sì fatta incertezza ei si consumano
Per occulta ferita. Aggiungi, ch’essi
Sprecan le forze, muojono d’affanni,
1437E sotto al cenno altrui volgon la vita.
Ruïna intanto il patrimonio, sorgono
E querele e litigj; il dover langue
1440Negletto, ed il buon nome egro vacilla.
Ben è ver ch’a’ lor piè splendon calzari
Sicïonj, trapunti a fil d’argento;
1443Che i più grossi smeraldi a le lor dita
Gittan, legati in òr, verdi riflessi;
Che ricca veste dal color de l’onda

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1446Usata tutto dì beve il sudore
Di Venere; che mitre e dïademi
L’onorato diventa asse paterno,
1449M.Ed in pallj talora e in Alidensi,
O Cee splendide stole anche si cangia;
S’imbandiscon conviti ampj, di dapi
1452M.Ricchi e di vesti; s’apparecchian giochi;
Nappi frequenti e fior’, serti e profumi;
Tutto invan: già che ognor di mezzo al fonte
1455Di sì fatti piaceri un che d’amaro
Sorge, che pur tra’ fiori ange l’amante,
O perchè, conscio d’ozïar la vita
1458E in case infami scioperar sè stesso,
L’animo gli rimorde; o perchè un motto,
Che lanciò la sua donna, in dubbio il lascia,
1461E qual foco nel cor cupido affisso
Gli si ravviva; o perchè infin gli sembra
Che troppo ella qua e là giochi d’occhiate,
1464E guardi un altro, e d’un furtivo riso
Le tracce accusatrici abbia nel volto.
     E in un costante e assai felice amore
1467Questi mali tu trovi; in un avverso
E disperato poi sono infiniti
Quei che veder si ponno anche a chiusi occhi.
1470Sì che meglio è star pria vigile e accorto,
Come insegnai, per non cader nel laccio;
Perchè in amor non è tanto difficile

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1473Schivar d’essere preso entro al galappio,
Quanto, irretito una volta, svignarsela
E i validi spezzar nodi di Venere.
1476Ed anche allor che t’irretisci e impigli,
Campar potrai dal danno, ove tu stesso
Non poni fra’ tuoi piè scontri ed inciampi,
1479Nè chiudi gli occhi da principio a tutti
I vizj, che ne l’alma e ne le membra
Son di colei che posseder tu brami.
1482Poichè l’uom per lo più, se amor lo acceca,
Opra in tal guisa, ed a l’amato oggetto
Doti, che mai non ebbe, ascriver suole.
1485Onde vediam, che molte laide e brutte
Piacciono, e sono in grande onor tenute;
Ed un d’altro amator gioco si prende,
1488E il suade a invocar Venere amica,
Perchè in un turpe amor tribola afflitto;
Nè spesse volte il miserel si avvede,
1491Che son degli altri i mali suoi peggiori.
La nera gli par bruna; un po’ sciattina
La ciondolona sudicia e fetente;
1494Chi ha gli occhi glauchi come quei del gatto
Pallade in miniatura; una gazzella
Chi è tutta nervi e secca più d’un uscio;
1497Quella nana, che pare un scarabocchio,
Proprio una Grazia, tutta pepe e sale;
Quella pertica lunga, smisurata

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1500Piena è di dignità, rispetto incute.
Intartaglia? Non spiccica la lingua?
Balbetta un poco. È muta a dirittura?
1503N’è cagione il pudore; una ciacciona
Uggiosa, mettiscandali, saetta
Divien facella ardente; una che tiene
1506L’alma co’ denti ed ha il sepolcro in viso
È una donnina tutta sentimento;
L’altra, che muor di tosse, è gracilina;
1509Quella tutta busecchia e tutta ciocce
È Cerere tal qual, di Bacco amica;
La rincagnata è Satira, è Silena;
1512Quella labbrona una bocca da baci.
Ma a dirle tutte opra saría ben lunga.
Pur sia quanto più vuoi bella di viso
1515L’amata donna, e da le membra tutte
Spiri il poter di Venere: ben altre
Pur ve n’ha al mondo; ben senz’essa innanzi
1518Vivemmo; ella fa pur le cose istesse,
E noi ben lo sappiam, che fan le brutte;
Di tetri odori, misera, profumasi
1521Tutta, sì che da lei lungi spulezzano
Le ancelle, e poi di sottecchi sghignazzano.
Ma l’escluso amator con lacrimosi
1524Occhi sovente i limitari ingombra
Di fiori e di corone; unge di amàraco
Le imposte inesorabili, e su l’uscio

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1527Baci e poi baci il poverino affigge;
Pur, se alfine introdotto, un’aura sola
Di quel puzzo a l’entrar mai l’offendesse,
1530Cercherebbe al ritrarsi oneste scuse,
La lunga cesserebbe alta querela
Già cacciata a memoria, anzi in quel punto
1533Di gran stoltezza accusería sè stesso,
Vedendo alfin d’aver dato a colei
Più che a donna mortal conceder lice.
1536Nè le Veneri nostre ignoran questo;
Onde con ogni studio il dietroscena
De la vita nascondono a coloro
1539Che stretti ritener voglion nel laccio;
Ma invan, poichè con la ragion tu puoi
Tutte in luce tirar le lor magagne,
1542Investigare ogni lor riso; ed ove
T’imbatti in una, ch’abbia il cor sincero
Ed uggiosa non sia, con mutua scusa
1545Puoi dar perdono a le miserie umane.
     Nè già di finto amor sempre sospira
La donna, che con l’uomo avviticchiata
1548Corpo a corpo congiunge, e stretto il tiene,
E gli succia co’ labbri umidi i baci;
Però ch’ella di cuore opra sovente,
1551E disïosa di comun piacere
A la meta d’amor giunger s’affretta.
Nè per altra ragione a’ maschj incurvansi

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1554Greggi, belve, cavalle, armenti, augelli,
Se non perchè l’esuberanza stessa
De la natura fa venirle in caldo,
1557A l’amplesso le stimola, e le attira
Al venereo piacer di chi le copra.
Non vedi tu, come pur quei che spesso
1560Legò una mutua voluttà, nel laccio
Del comune piacer trovan tormenti?
Come spesso pe’ trivj i cani han brama
1563Di separarsi, e quinci e quindi cupidi
S’arrabattano e fan sforzi supremi
Per disgropparsi, e tra’ venerei lacci
1566Restano pur tenacemente appresi!
Il che mai non farían, se il godimento
Vicendevole a lor noto non fosse,
1569Che pria li adesca, e poi li tiene avvinti.
Mutua è però la voluttà, il ripeto.
     E quando co ’l viril seme gagliardo
1572Mescolando la femmina il suo seme,
Con subito vigor lo assorbe e vince,
Avviene allor, che dal materno seme,
1575Nascono i figli simili a la madre,
Sì come al padre dal paterno; e quando
Ne vedi alcun che ad ambidue somiglia,
1578E mesce proprio in un d’entrambi i volti,
Dal sangue de la madre e dal paterno
Corpo egli crebbe: il lor comune ardore

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1581Cospirando conflisse, entrambi i semi
Dal venereo desio spinti per gli arti
S’incontrâr, si meschiâr, tal che de’ due
1584Nessun fu vincitor, nessun fu vinto.
Qualcuno anche talor gli avi somiglia;
Degli àtavi le forme altri ritiene:
1587Però che spesso i genitor’ nel corpo
Celan varj principj in varia guisa
Misti, che dal primier ceppo discesi
1590Di padre in padre tramandar si ponno.
Infutura così Vener le forme
Con diversa vicenda, e riproduce
1593Degli antenati il crin, le voci, il volto.
E dal seme paterno il femminino
Sesso è prodotto, dal materno sangue
1596Formati i maschj son, poi che codeste
Varïetà da non men certo seme
Vengono in noi che il volto, i membri, il corpo;
1599M.Chè ognor di doppio seme il parto consta,
E più parte di quello a cui somiglia
Ogni essere che nasce ognor conserva;
1602Il che veder tu puoi, sia che al maschile,
O al femminino sesso egli appartenga.
     Nè degli Dei la volontà distoglie
1605Di alcun giammai la genital semenza,
Perchè da dolci figli unqua ei non sia
Padre chiamato, e in Venere infeconda

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1608Meni l’età: vulgar credenza è questa,
Per cui molti cospargono di largo
Sangue ed afflitti odorano di voti
1611L’are solenni ed il privato altare,
A ciò che incinte d’abbondevol seme
Rendan le mogli; ma le sorti e i Numi
1614Affaticano invan; poichè talune
Sterili son per troppo denso seme,
Altre a l’incontro poi sterili sono
1617Per seme oltre il dover tenue e disciolto;
Però che il tenue a le femminee parti
Attaccarsi non può, subito scorre,
1620Ritorna indietro ed abortisce; il crasso,
Vibrato essendo oltre il dover concreto,
O non ha forza tal che dentro voli
1623Quanto sia giusto, o penetrar le parti
Non può debitamente, o penetrando
Al seme femminil mescesi a pena.
1626Poi che molti divarj esser vediamo
Ne l’armonie di Venere: e talune
Donne più facilmente altri feconda,
1629Talune poi sopportan meglio il peso
E concepiscon d’un più che d’un altro;
In parecchi imenei sterili innanzi
1632Furono molte, e poscia pur trovâro
Da chi ricever prole, e chi di molti
Dolci parti arricchirle alfin potesse;

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1635E chi spesso ottener parto veruno
Non potè in casa da feconde mogli
Una alfin ne trovò d’indole acconcia,
1638Che di figli munì la sua vecchiezza.
Tanto per generar de’ semi importa
La mescolanza, e come al denso seme
1641Convenga il tenue e come al tenue il denso.
E monta pure assai di che mai cibi
Si alimenti la vita, altri n’essendo
1644Per cui s’addensa il seme entro a le membra,
Altri per cui si attenua e si consuma.
E moltissimo ancor giova in che modo
1647La blanda voluttà da noi si prenda:
Poichè si tien, che poste a mo’ di fere,
Di quadrupedi in forma, atte le donne
1650A concepir son più; già che in tal guisa
Con inclinato il seno e i lombi eretti
Meglio il seme ne’ vasi accoglier ponno.
1653Nè di scosse lascive hanno mestieri,
Perchè la donna il concepir contende
E rifiuta a sè stessa, ove co ’l clune
1656La venere de l’uom lieta assecondi,
Tutto ondeggiar facendo il sen carnoso:
Poi che così fuor del sentier diritto
1659Caccia il vomer dal solco, e da le acconce
Parti il vibrato seme allor distoglie.
Per tal cagione dimenar si sogliono

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1662Le meretrici, e perchè spesso gravide
E puerpere in letto esse non restino,
E perchè insiem dei lor drudi la venere
1665Più gradita riesca: il che, si vede,
Non esser d’uopo a le consorti nostre.
     Nè per voler di Numi o per saette
1668Di Venere talvolta avvien che s’ami
Una donnuccia di deforme aspetto;
Imperocchè con l’opre e con gli onesti
1671Modi e il culto del corpo e la nettezza
Ella talor fa sì, che agevolmente
A trar ci avvezzi insiem con lei la vita.
1674Il conversar, del resto, amor produce;
Cosa battuta con assidui colpi,
Sebben leggieri, alfin cede e rovina:
1677Non vedi tu, che le cadenti stille
De l’acqua a lungo andar forano i sassi?