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libro quarto 249

1419Già che quinci detrar non posson nulla,
Nè cacciar ponno e insinuare e infondere
Entro l’amato corpo il corpo tutto,
1422Come sembra talor vogliano a forza:
E sì cupidamente avviluppati
Stan tra’ lacci di Venere, che oppresse
1425Da tante voluttà languide struggonsi
Le membra. Alfin, quando la brama intensa
Ne’ nervi accolta ebbe uno sfogo, ha qualche
1428Picciola tregua il violento ardore;
La stessa rabbia indi ritorna, riede
Il furore di pria, già ch’essi stessi
1431Cercano di saper qual sia l’oggetto
Che bramino ottener, nè astuzia alcuna
Posson trovar che il danno lor conquida.
1434In sì fatta incertezza ei si consumano
Per occulta ferita. Aggiungi, ch’essi
Sprecan le forze, muojono d’affanni,
1437E sotto al cenno altrui volgon la vita.
Ruïna intanto il patrimonio, sorgono
E querele e litigj; il dover langue
1440Negletto, ed il buon nome egro vacilla.
Ben è ver ch’a’ lor piè splendon calzari
Sicïonj, trapunti a fil d’argento;
1443Che i più grossi smeraldi a le lor dita
Gittan, legati in òr, verdi riflessi;
Che ricca veste dal color de l’onda