Delle cose che stanno in su l'acqua/Considerazioni di Accademico Incognito
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CONSIDERAZIONI
DI
ACCADEMICO INCOGNITO.
CON POSTILLE E FRAMMENTI DELLA RISPOSTA DI GALILEO.
CONSIDERAZIONI
SOPRA IL DISCORSO
DEL SIG. GALILEO GALILEI
Intorno alle cose, che stanno in su l’Acqua,
o che in quella si muovono,
Dedicate
ALLA SERENISSIMA
D. MARIA MADALENA
ARCIDVCHESSA D'AVSTRIA
Gran Duchessa di Toscana.
FATTE A DIFESA, E DICHIARAZIONE
dell’opinione d’Aristotile
DA ACCADEMICO INCOGNITO,
In PISA, Appresso Gio. Battista Boschetti, e Giovanni
Fontani, 1612. Con licenzia de’ Superiori.
ALLA SERENISSIMA
D. MARIA MADALENA
ARCIDUCHESSA D’AUSTRIA, GRAN DUCHESSA DI TOSCANA.
La stima e la fama de gli uomini illustri non meno depende dalla potenza e dall’altezza de’ Principi regnanti, che si facciano tutte l’inferiori cose dall’altre superiori, e nell’esser e nel conservarsi. Così il mondo elementale dal celeste, il celeste dall’intellettuale, questo dal divino, si regge: e nel governo civile, le persone private dalle publiche, queste da’ supremi signori, hanno il moto e le leggi. Aristotile, Serenissima Signora, fu quel grand’intelletto e quell’ottimo insegnatore de’ misterii naturali morali e politici, che già è noto. E s’è distesa la sua dottrina ad esser in tutte le buone scuole maestra di chi impara e di chi sa. Ma non altronde la gloria del valor suo ricevette il volo sì largo, che dall’aura favorevole d’Alessandro il Magno: e nondimeno, se tal volta dal favore di nuovi Alessandri non fosse sostenuta e rafforzata, o caderebbe o scemerebbe, là rivolgendosi il più de gli uomini, o pieni di vaghezza giovenile, o vero già emuli, o sazii della continuazione d’una stessa dottrina, dove cose nuove, benchè men sicure, proposte fossero presso chi regna. Fu impugnato Aristotile nel Discorso del Sig. Galileo Galilei: al quale da certe Considerazioni d’autore per ancora incognito essendosi in buona parte latinamente risposto, molti mi hanno fatta forte instanzia di mandarle in luce, tradotte nel nostro idioma, quasi che ufizio fosse di Proveditore Generale di questo Studio di Pisa publicare le difese d’altri intorno a quella dottrina che qua si professa, e da eccellentissimi filosofi, a ciò condotti e provisionati, s’insegna. A sì giusta domanda il negare, dava sospetto di poca stima o di poca cura: ma alla grave mole della dignità e dell’eccellenza di sì glorioso filosofo, per innalzarla e ampliarla, richiedendosi maestà e virtù superiore, niuna ho creduta più atta che quella di Vostra Altezza; tanto più che il contrario Discorso è indirizato al Serenissimo Gran Duca, vostro consorte, al quale col nome gratissimo di Lei si potrà rendere questa difesa assai più grata e accetta, e insieme a’ leggitori più autorevole e risguardata. Spero che V. A. gradirà di communicare gli effetti della grandezza dell’animo suo verso sì grand’uomo, quale Aristotile è: e per sua benignità favorirà me di riconoscere, ancora in deboli segni, la devozione della mia servitù. E facendo umilissima riverenza all’A. V., le prego dal Signore Dio ogni maggiore esaltazione. Di Pisa, alli 15 di luglio 1612.
Di V. A. Serenissima
umilissimo e divotissimo servitore
Arturo Pannochieschi de' Conti d'Elci Pr.
AL SIGNOR
SEVERO GIOCONDI
L’ACCADEMICO INCOGNITO.
Ragionandosi da alcuni Accademici nostri sopra il Discorso, stampato pochi giorni sono in Firenze, del Sig. Galileo Galilei, Intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono; io, per la fama dell’uomo e dell’esperienze e osservazioni sue, mi posi a leggerlo con molto desiderio, e ne continuai la lezione sin alla fine con molto gusto, non poco dilettandosi l’imaginazione di star, al tempo di state, tra l’acque. Leggendo mi vennero notate nella margine del libro, così 10 alla grossa, alcune considerazioni in diversi luoghi; le quali riandando poi, benché io m’avveggia che la materia è degna di più profonda attenzione, nondimeno, dove la mente ha bisogno di ricreazione e di diporto, non si vuol porre né troppo studio né molta fatica; anzi, se talora, nell’aprirsi l’animo, ne uscisse improvisamente qualche scherzo ingegnoso e modesto, si dee raccogliere per gabbo amichevole e per uso accademico molto utile e molto lodato, dicendosi dal poeta lirico, come ognun sa,
ed altrove, Ser. I,
- quamquam ridenfem dicere verum,
Ed il morale Plutarco in più luoghi commendò grandemente il mescolare con la severità della filosofia la soavità de’ motti e delle favole, per renderla più grata e più agevole a’ giovani, quali i più de’ nostri Accademici sono: così ancora fu osservato dalla setta Accademica e da altri valentuomini, per sollevamento di sé e d’altrui da gli studi e da gli affari più gravi. Simigliante avviso ho avuto io, in proporzione delle mie forze e del proposto suggetto, ed, appresso me, non in vano del tutto. Poiché V. S. é lontana, per occasione di salutarla e di passar il tempo in qualche dolce maniera con lei, la quale ha tanta vaghezza delle buone lettere, avendo messe insieme le predette brevi Considerazioni, le ne mando una copia. Io mi penso che già V. S. averà avuto il sopradetto Discorso dal medesimo Autore, per la pratica e cortese autorità che può aver con lui, overo da se medesima l’averà procacciato e letto: però, a maggiore facilità di rincontrare i luoghi, citarò solamente il numero della facciata, con alcune poche parole dell’Autore. Spero che V. S. riceverà in grado questo segno dell’osservanza mia verso lei, ancorché io non le venga innanzi sotto altro nome che di Accademico. E con baciarle la mano, le prego dal Signore Dio ogni felicità. Della valle accademica, il dì primo di luglio 1612.
L’AUTORE
DELLE CONSIDERAZIONI
ALLE MEDESIME.
Sì come voi, brevi e piacevoli Considerazioni mie, non altronde avete la vostra origine che da alcune esalazioni di animo pieno di cure, così vostra vaghezza era di starvene qua, rinchiuse tra le nostre valli solitarie, solo per far il piacere di me e d’alcuni amici più cari. Ma appena generate sete, che, così aride e scomposte di stile e di materia, a guisa di meteoriche impressioni, superior forza vi tira a luoghi più spaziosi e più aperti, dove, essendo molto diversi i gusti e’ vederi de’ mortali, se a noi foste recreazione, forse ad altri non piacerete. Però voi, per mio modesto avviso, non vi lassate veder da presso, se non sforzate: e se alcuno gli occhi e le mani vi metterà addosso, come la vostra placida natura non è per verun danno apportargli, così, nell’usar seco, il voler di lui secondate con ogni destrezza; onde forse, con maniere sì cortesi e sì rimesse, sodisfarete all’altrui curiosità, e scusarete voi dal tedio e dalla noia, se forse, dal vedervi, alcuna gliene venisse neir animo. A gli amici litterati e sinceri andate incontra sicuramente, senza alcuno invito aspettare; anzi, quanto posso vi prego che da gli occhi usiate ogn’arte di penetrare a’ lor cuori, sperando che da qualche nascosa virtù, che forse dal mio cuor vi traete, si possa destar in loro alcuna memoria di me. Salutarete con puro affetto l’Autore del Discorso, che, avendo voi, se non con piena intelligenza, almeno con diletto e con attenzione, considerato questo felice parto del suo ingegno, come persona dotta e cortese gratamente vi raccorrà: e in segno di vero amore, dal suo illustre Discorso non vi scostate punto, acciochè dall’ombra vostra venga il suo lume accresciuto, e il vostro scuro dalla sua chiarezza difeso. A gli uomini e a’ principi grandi, per quel ch’io mi pensi, poco o niente calerà di voi, che tanto sete umili, imperfette e disuguali: ma se pur avvenisse, per mercè e bontà loro, che, stanchi da’ più alti affari, talvolta discendessero a rimirar in altrui l’ossequio e la riverenza che loro si porta, gli servirete lietamente, e per ombra e per aura la più soave che mai possiate. Ma non però cessate giamai, o lungi o vicino, eli risguardare a quel gran Signor, del cui Serenissimo nome va sì ornato e glorioso il Discorso intorno al qual vi raggirate; poiché l’Altezza Sua, sì come nella magnificenza nel valore e nella grandezza dell’animo, particolarmente verso gli studi e verso i letterati, si rassomiglia a quel grande Alessandro, così nell’aver in stima e onorare quel gran filosofo Aristotile vorrà non meno imitarlo, per fare a sé un pari acquisto di gloria. Laonde ben voi ancora potrete sperare che parimente debba gradire questa difesa (qual ella si sia) della dottrina Aristotelica; alla quale voi con sì fervente e sì lieto animo vi sete messe. Di questo sole a’potentissimi e chiarissimi raggi, onde voi, come spiritali essalazioni, possete innalzarvi e risplendere, siate pieghevoli e riverenti, pregando che sì vi sieno propizii, che non altrove che nell’ossequio di lui la vostra lieve natura si dilegui alla fine e venga meno. Andate dunque felici; ed io qui rimanendo, mercè del sollevamento vostro, e più lieto e più spedito, alle mie debite occupazioni ritorno.
CONSIDERAZIONI
SOPRA IL DISCORSO
del Sig. Galileo Galilei
INTORNO ALLE COSE CHE STANNO IN SU L'ACQUA CHE IN QUELLA SI MUOVONO,
FATTE A DIFESA E A DICHIARAZIONE DELL' OPINIONE ARISTOTELICA.
[1] molti non sanno cavar il senso delle parole puntate1.
[2] Non posso a bastanza ammirare il saldo modo di filosofare di questo oppositore, avend’egli molto sottilmente osservato esser proprietà del freddo il congregare le cose simili, al contrario del caldo, congregante le cose simili; tal che, conforme a questa peripatetica dottrina, il diaccio egualmente si può fare dal freddo e dal caldo, avendo amendue queste qualità facoltà di congregare le cose simili.
[3] L’ambiente è l’aria; in peripatetica dottrina, calda ed umida, e non fredda: onde ella non ha occasione discacciarle parti calde.
[4] Il freddo e ’l secco sono le qualità della terra, in dottrina di Aristotile: però gli aliti freddi e secchi, come terrei, devono indur gravità, e non leggerezza; e però non possono esser cagioni di staro a galla.
[5] questo dir secondo alcuni fa creder che l’Accademico produca un testimonio, al quale egli stesso non creda.
[6] si desidera di saper più gravi di che.
[7] Qui sono molti errori in una sola proposizione. Perchè, prima, è contro ad Aristotile ed alla verità che, condensandosi una materia, non se gli accresca gravità, dicend’egli che la gravità e la leggerezza seguono la densità e la rarità. Inoltre, è falso che l’aria condensata non cresca in gravità; ed ècci in contrario l’esperienza ed Aristotile, dicente che più grava un utre gonfiato che sgonfio. Di più, quando fosse vero che il fuoco condensato fosse più leggiero (il che tocca all’oppositore a manifestare; ma ciò non farà egh già mai), ciò avverrebbe per 80 esser egli di sua natura leggiero, onde, moltiplicando la sua materia, si moltiplicherebbe la leggerezza: e però, argumentando in contrario, alla condensazione delle cose per sua natura gravi, ne deve seguir augumento di gravità; ma l’aqqua è grave per natura: adunque,
condensata, deve acquistar gravità maggiore. Quanto alle pietre perspicue3 e gravi, ciò non fa a proposito, perchè una materia può esser perspicuissima e densissima, come il diamante; e credo che l’Accademico equivochi, stimando il perspicuo per l’istesso che il raro. Finalmente, mentre noi stiamo dubbi ed altercanti della densità del diaccio e dell’aqqua, che tutto ’l giorno l’aviamo in mano, il produrci l’attestazione delle stelle e del cielo ambiente, come che le condizioni loro ci siano più cognite, non mostra nell’Accademico tutta la perfezion di logica, la quale non approva, anzi danna, il provare ignotum per ignotius.
[8] l’argomento, dunque, non vale ne i corpi inferiori, a i quali le dette qualità non son repugnanti.
[9] No, Sig. Accademico: hic Rhodos, hic saltus; tempo di rispondere è qui, e non più di sotto. Gli avversarii dicon qui che una falda di diaccio, benché più grave dell’aqqua, galleggia rispetto alla figura larga; e l’Autore instando dice: Se ciò fosse vero, molto più dovrebbe, posto che e’ fosse nel fondo, restarvi; perchè se ’l solo impedimento della figura lo trattien di sopra, contro alla sua naturale inclinazione di sommergersi, come aqqua ingravita per la condensazione, come non rest’egli in fondo, dove amendue le cause, dico la gravità e la figura, conspirano al ritenervelo? In questo luogo non si tratta altro che questo punto, e qui bisogna scoprir le fallacie dell’Autore e le variazioni delle circostanze, e non tanto di sotto che poi non si ritrovino più.
[11] perchè il moto all’in giù è naturalmente necessario alla costituzion del mondo e l’altro aborrito, come contrario ad essa costituzione e tendente a lla dissoluzione.
[12] anzi sarebbe stata superflua nel produr la leggerezza, bastando la sola gravità.
[13] non sono altramente principii; anzi vi consum’egli, ma invano5 un libro intero per provargli.
riprovarli; e l’inventarne degli altri più sicuri e più senzati è un punto, il guaio s’è talora da qualche ingegno tentato, ma spuntato non s’è giamai[14].
Lasciando, dunque, questo discorso da parte, ritornando al nostro proposito, diciamo che la gravità e la leggerezza in tre modi si prende da’ filosofanti: 1. Per la forma stessa essenziale delle cose gravi e leggiere, come primo principio naturale del moto al proprio luogo e della quiete in esso. 2. Per le qualità ed affezioni determinanti detta forma verso il moto, come stromento prossimo ed intrinseco ad esso. 3. Per quella propensione al moto, la quale non è altro che un atto secondo e lo stesso moto; della cui Aristotile, al 4 del Cielo, t. 2, disse non aver nome proprio. Le due prime non si variano, se non si varia il temperamento o la densità; la 3a, essendo esterna, può variarsi, ed accrescersi e diminuirsi, dalla variazione del mezzo e della figura, delle quali disse Aristotile nell’ultimo del Cielo, come ancora dalla velocità del moto, dicendo Aristotile nelle Meccaniche, il corpo grave acquistare più di gravità mentre si muove che mentre sta fermo. E come questa gravità, nascente dalla velocità del moto del braccio più lungo della bilancia, resiste al peso maggiore del braccio più corto, anzi lo innalza, così il peso maggiore quasi perde di peso, o meno resercita, nella figura quadra, come in braccio più corto, e l’augumenta nella figura tonda, come in braccio più lungo[15]
f. 9 [pag. 70, lin. 4-5]: bisogna conferire i momenti della resistenza dell’acqua con i momenti della gravità premente del solido) Questa voce momento è latina e tolomeida, ma non usata, nel preso significato, dal volgare nostro moderno[17] e meno dall’antico; poiché nel vocabolario copiosissimo ed esquisitissimo della Crusca non ve n’è esempio. Questo dico, non per attendere alla purità e proprietà della lingua, ma perchè qui molto importa alla vera intelligenza e dichiarazione della materia proposta[17]. Ma cosa di maggiore momento si è che l’Autore in questo luogo la forza confessa della resistenza, e poco di sotto, scordandosene[18], conclude esser manifesta la necessità di comparare insieme la gravità
[14] No, per quelli che si contentano di adoperarlo senza punta.
[15] Considera quello che si contiene nelle carte dell’Autore, dalla fac. 7 sino alla 9 [pag. 67-70], e nota quanto faccia a quel proposito quello che qui viene scritto: nota, in oltre, qua! leggiadra conclusione si raccolga da tutta questa lunga diceria.
[16] Dal vulgare vostro non solamente non è usata questa voce momento ma nè anco niun’altra comunissima in tutte le matematiche.
[17] e perchè non manifestate voi questa importanza, acciò che l’Autore, ammaestrato da i vostri avvertimenti, possa un’altra volta sfuggir un tale errore?
[18] anzi voi vi scordate di citar fedelmente il testo dell’Autore, etc.
dell’acqua e de’ solidi, senza più far menzione della sopradetta resistenza, la quale depende non poco dalla figura del corpo grave postole sopra.
f. 10 [pag. 70, lin. 34-35]: e tanto più, quanto il vaso, nel quale si contiene l’acqua, è più stretto) Come la larghezza è cosa diversa dalla grossezza così paiono due cose diverse considerare quanta parte d’un corpo grave si sommerga nell’acqua, rispetto alla lor gravità, e considerare quanto si innalzarebbe l’acqua già occupante quello spazio che poi dal corpo sommerso viene ingombrato; elevandosi più meno, secondo la proporzione della mole dell’acqua alla larghezza ed altezza de’ lati del vaso, i quali la ritengano che non si spanda, ed insieme co’ lati del corpo immerso, quasi con moti collaterali e contrarii, premendola, la sforzano a far un terzo moto all’insù[19].
f. 23 [pag. 86, Un. 12-13]: Tuttavia non si troverà mai corpo alcuno il quale non ascenda molto più velocemente nell'acqua che nell'aria) Confessando l’Autore la resistenza del mezzo con l’esempio del moto trasversale della mano, confessa ancora che l’acqua, per la sua densità, resista più della aria alla divisione; e questa ragione e resistenza della densità del mezzo milita parimente nelle esalazioni calde ed ignee: le quali dato che si muovessero più velocemente nell’acqua per la maggior contrarietà che hanno tra loro[21], onde anco quelle più si uniscono, non per questo si ha da negare la resistenza del mezzo più denso[22]; non si stimando inconveniente che nella medesima cosa dove variano le circonstanze, si affermino per diversi rispetti diverse proposizioni. Ma la verità dell’assunto paté non piccol dubbio: 1. per l’esperienza delle cose ignite ed altre che son mosse o nascano da quelle; le quali con maggior impeto e più lontano anderanno, muovendosi per l’aria che per l’acqua[23]: di poi, esse e l’acqua
[19] come la grossezza è diversa dalla larghezza, bisogna che la sia o lunghezza, o profondità, ciò è che siano l'istesso grossezza e lunghezza, o vero grossezza e profondità.
[20] non ci sono moti laterali; e movendo il solido verso le sponde, niente si alzerà, ma sì ben abbassandolo.
l’Autore che credeva di aver osservata una inopinata considerazione, e voi la emendate, e con tanta leggiadria la spiegate tanto meglio.
[21] altra volta vuole che la similitudine ed amicizia sia cagione di velocità.
[22] la resistenza del mezo impedisce i moti che hanno il movente congiunto.
[23] quest’impeto, col quale il fuoco muove con tanta velocità, non ha che far niente con la propensione di ascendere. Il che è manifesto:
scambievolmente si alterano e rintuzzano la qualità contraria. Appresso, sono altre considerazioni filosofiche da considerarsi, come sarebbe la similitudine o dissimilitudine del mobile col mezzo; onde il piombo, come acqueo, più velocemente discende nell’acqua, che altro corpo non acqueo non fa; e per l’aria più facilmente discenderà il legno che il ferro6. E conducendo alla velocità del mobile la spinta del mezzo fluido che lo segue[24], come è chiaro nel movimento da violenza sospinto, verrà il sudetto mobile tanto meno a resistere all’impulsione del mezzo e più facilmente la riceverà quanto più si confaranno tra loro[25]; il che parimente viene a confermarsi dalla virtù attrattiva ed espulsiva di molte cose: onde l’instanzia d’Aristotile centra Democrito, bene intesa ed esplicata, sta nel suo vigore. Che poi l’aria più velocemente ascenda per l’acqua che in sé medesima, non si può dubitare: poiché gli elementi, sì come non si muovono se non quando sono fuori del luogo naturale, per andarsene a quello, così, quando vi sono arrivati o si ritrovano in esso, quivi riposano, né più gravitano o leggierano, per esprimere ciò con li stessi termini filosofici.
perchè i razi e le palle d’artiglieria sono egualmente spinte in su ed in giù e per tutti i versi dove nel principio vengono dirizzate; ed una palla vacua, di rame, sospesa in aria, e che nel mezo contenga un poco di polvere, dandogli fuoco, resterà senza far impeto più verso una parte che verso l’altra; certo argomento che quella propensione che ha il fuoco di andare in su è impercettibile, verso quest’altra forza che gli vien contribuita dalla compressione, etc.
[24] il mezo non dà spinta, anzi ritira in dietro; e le parti anteriori altresì resistono, nel dovere esser aperte e mosse lateralmente: talché il mezo non fa altro che impedire i mobili che son mossi da motor congiunto con loro.
[25] anzi, quanto più il mobile si confà col mezo, tanto più lentamente m si muove; ed allora il moto è velocissimo, quando un mobile gravissimo si trova in un mezo leggerissimo, ed e centra.
[26] alla figura larga non potrebbe resister altro che la repugnanza alla divisione; ma questa non è.
do così facilmente a credere che la falda di cera, quando le si ponga sopra nel mezzo un solo grano di piombo, vada perciò subito al fondo, concedendo l’Autore che quella di ebano non anderebbe[27]: se già noi non ponessimo tanti gradi di peso, che ogni giunta gli desse il tratto; al qual estremo bisognerebbe finalmente pervenire, dandosi l’ultimo sommo per necessità nelle cose.
[27] Qui è grand’equivocazione. La cera va per la giunta di un grano, quando è in mezo all’acqua: e l’ebano non va, quando è sopra; ma posto in mezo, va senza giunta veruna, anzi non si ritien se non per forza.
[28] La comparazion si fa giusto come voi domandate, perchè si paragona la falda e la palla nell’ascendere, e poi la falda con la palla nell’ascendere.
[29] ci contentiamo: e questi ascendono tutti egualmente.
[30] questo è vero, detto 10 volte dall’Autore, né punto contrario al suo intento.
Anzi non pur aiuta, ma è total cagione del loro ascendere, discacciandole; che per altro loro scenderebbono: ed alle cose che scendono, è solo d’impedimento e ritardanza.
all’impulso, viene il suo naturale discendimento meno esternamente aiutato. 3. Oltre di questo diciamo, ch’alia figura larga, come sotto le corrono più parti di acqua che la sospingano all’insù, così nel discendere trovano sotto sé maggior resistenza dalla mole d’acqua, maggiore quanto è più larga; e, per contrario, ha sopra minore impulsione, meno graveggiando l’acqua sopra di essa figura. 4. S’aggiunge, esser quasi impossibile porre un quadro di maniera giacente e situato nel fondo[31] che l’acqua non possa discenderli sotto e sollevarlo, perchè altrimenti non senza violenza si staccherebbe dalla terra, per l’affinità de’ corpi posta dall’Autore stesso; e quando ascenda, si vedrà spesso salire per lato o per taglio in traverso, e non a perpendicolo[32]; oltre a che, essendo bagnato, già si rende minor la resistenza. Per tutte queste ragioni, dunque, variando le circonstanze, non è maraviglia se questo modo di provare poco giova all’Autore per impugnare l’opinione degli avversarli.
[31] che bisogno ci è di por nel fondo quadri, se si attribuisce alla figura larga facoltà di introdur quiete?
[32] non mancano modi di farlo ascender piatto e a perpendicolo; né l’Autore è sì vantaggioso, che voglia farlo salir per coltello.
[33] e pur torniamo ne’ primi termini. La mano mossa mostra la resistenza non alla divisione, ma al muover l’acqua con velocità: e questa resistenza si pon nell’aria, ma non serve al cagionar quiete.
[34] ... si dice che ... l’entrare alquanto nell’acqua sia contrario il galleggiare; perchè anco le navi galleggiano ... è ben contraria al non si lasciar dividere.
[35] si dice anco essere in terra, se ben è tutta fuori della terra.
ella tosto n’andasse al fondo da sé medesima, non avendo la cattivella né braccia da notare né larghezza da sostenersi. Ancora, poco di sotto, assai discordante si scuopre l’Autore dagli avversari, ponendosi da lui una tavola leggiera di noce in fondo, e da loro una d’ebano grave a galla. Ma perché la tavoletta se n’entra alquanto nell’acqua, dunque non può nulla la figura? Anzi pare da inferirsi il contrario, cioè: Dunque la figura, in qualsivoglia modo se ’l faccia, è cagione che non finisce di sommergersi, come fa la palla; la quale non solo penetra la superficie dell’acqua, ma tosto del tutto la fende e si profonda. Della cagione, dunque, di questa diversità si questiona al presente, attribuendosi dall’Autore alla forza dell’aria superiore unita, e dagli aversarii alla figura ed alla resistenza del mezzo, f. 35 [pag. 99], a gli acuti incontri de’ quali, con la risposta dell’Autore par che petatur principium.
f. 32 [pag. 95, lin. 23]: perchè ogni figura particolare) Chi dubita che, denotando la quiete fermezza, alla quale dispone e s’accosta la tardità, non sieno tra loro più simili? come, per contrario, è al moto la velocità.
[pag. 95, lin. 26-27]: una tavoletta, verbi gratta, d’un palmo quadro) Se discende con sei gradi di tardità, se fusse di due palmi, discenderebbe più tardi, considerato solo il rispetto del motore al mobile: ma per altre circonstanze, avvenenti nella congiunzione della materia, si rendono cotali proporzioni, reducendole all’atto, molto fallaci; crescendo, con l’augumento del quadro, l’intrinseca resistenza e l’intervallo, come si dirà più di sotto.
f. 35 [pag. 98, lin. 23]: Rispondo) Concedasi la risposta, che la tavoletta, arrivando al livello dell’acqua, perdi parte della sua gravità; ma non già, perdi parte della sua gravità perché seco discenda e s’unisca l’aria superiore e questa ne sia la sola primitiva cagione, come diremo.
[pag. 99, lin. 2-3]: Ma, signori aversarii) Ma, signor Autore, pigliate voi solamente l’aria ed il corpo, e lassate stare la sola figura7; ed allora, non succedendo lo stare a galla, averete affatto vinta la litei[36]. In tanto non ci scordiamo che, dato un assurdo,
l’Accademico vuol che si levi l’aria e ’l corpo, e si lasci la sola figura; e se questo è il suo senso, pur s’accetterà ’l partito, e l’Autore preso senterà all’Accademico una tavoletta con la figura, ma senz’aria, ed aspetterà che lui produca la figura senz’aria e senza il corpo. Sig. Accademico, voi proponete condizioni impossibili; e l’Autore le propone non solo possibili, ma quali si ricercano per il tenor della disputa.
[38] non è assioma, ma proposizione demostrata; e non sta come è qui profferita, ma si fa comparazione col mobile e col mezo.
[39] anzi sì: in virtù della detta proposizione è necessariissimo che a quel solido, che non va in fondo, gli sia levato l’eccesso della gravità sopra quella del mezo.
[40] Non è la figura, perchè con la medesima figura va anco in fondo.
[41] Se, posto nella superficie, non aqquista natura contraria a quella che ha dentro, descenderà.
[42] è vero; e però molti corpi vi si muovono più velocemente. Sed quid ad rem?
[43] perchè l’acqua non descende nell’acqua, e l’aria vi ascende; e perchè l’acqua sollevata estrude il corpo, che cerca di sollevarla più.
[44] È sciocchezza il cercar filosofia che ci mostri la verità di un effetto meglio che l’esperienza e gli occhi nostri.
[45] e pur è così.
[46] e pur è così. Non la perde; ma, come la tavoletta bagnata è finita di entrar nell’acqua, la superficie dell’acqua che bagnava la tavoletta si unisce con la superficie dell’acqua ambiente, e la tavoletta descende, e l’aria resta contigua alla medesima acqua di prima.
[47] e pur ritien quelle, e non queste; anzi pur ritien tutte le figure, ogni volta che l’aria sia tanta, che faccia il composto men grave dell’acqua.
[48] volete dir piane.
[52] tanto farà una rete di fìl di rame; e l’acqua sottoposta e da dividersi sarà pochissima.
[53] durezza, perchè tanto farà una u... piena d’acqua.
[54] una buona quantità d’acqua sopra un piano si ritiene senza spandersi; ma se con la punta di un ago, partendosi dal? estremità di essa, si noterà una sottilissima strada bagnata, tutta l’acqua scorrerà per detta strada, ed in conseguenza le sue parti in estremo si disuniranno, e quasi in un lungo e sottil filo si fileranno; e ciò perchè non hanno a rimuover aria.
[55] si faranno tavole grosse 2 braccia, acciò la divisione sia intera. Se l’acqua sottoposta alla tavola si ritira alle sponde, è forza che le sue parti si dividano; e se così è, perchè non seguita di dividersi?
quest’intera separazione e divisione è una semplicità; perchè io farò una piramide, che ara diviso con tutta la sua base, anzi con tutta la sua mole, e pur non descenderà, in virtù dell’arginetto fatto intorno alla sottilissima sua punta.
Si è trovato nuovamente il refugio della divisione intera, della quale integrità non mai da Aristotile né da altri, sino al? anno 1612, è stata fatta menzione: ma si leverà anco questa debolissima ritirata col dire all’Accademico ch’e’ determini quanto deva esser profondn questa apertura, acciò che l’aqquisti nome d’intera divisione, e
metterò nell'arbitrio suo l’assegnare una profondità qual più gli piace, purché non la togga infinita; ed io poi farò un’assicella lunga e lara quanto la proposta d’ebano, ma la farò grossa, o vogliamo dire alta, 2 dita, 4, un palmo, un braccio, dieci braccia, 100, mille, e sarà tale che, posta nell’aqqua, si profonderà tutta, e farà il suo arginetto, in virtù del quale resterà a galla, ma levatolo via anderà al fondo; ed all’incontro, farò un’assicella della medesima lunghezza e larghezza, e grossa solamente l’ottava parte di un dito, e ben che poco profondamente divida l’aqqua, non però sarà possibile farla restare a galla: or chi dirà che questa, che intacca meno di un quarto di dito, interamente e bene divida, e che quella, che intacca 100 braccia affondo, non divida interamente? Aggiugni di più, che quella, che resterà a galla, peserà 100 libre, e questa, che non potrà restare, peserà manco di una: anzi, di più, questa medesima falda, che non può restare a galla, con l’aggiugnergli 10 libbre di peso e mantenendo l’istessa larghezza, resterà. Piglia un testone; questo non starà mai: aggiugnigli un cilindro di cera, alto 10 braccia; starà in virtù dell’arginetto, ed averà diviso l’aqqua mille volte più che il semplice testone; e levato l’arginetto, andrà in fondo.
[56] sì tenace che alzerà 1000 libbre di peso.
[57] se non vi si trovassero, l'acqua scorrerebbe subito.
[58] si trova11
[59] ma, se vi è differenza, nella superficie è men crassa.
[60] non è repugnare alla divisione, ma ritardare il moto; perchè se vi fosse la repugnanza, non calerebbono mai.
[pag. 101, ìin. 35-36]: ma sì bene all’esser divisa velocemente) Ogni divisione fatta da altro corpo strano è contra l’inclinazione naturale dell’acqua, di star unita e conservarsi. Nè credo esser dubbio, che il corpo più crasso resista più alla divisione che il corpo raro[61], e che il corpo più largo sia a dividere meno atto che lo stretto o tondo, considerati per sè medesimi come tali[62]. E facendosi un navilio triangolare, difficilmente si muoverebbe per la larghezza d’uno de’suoi lati dinanzi[63], per la resistenza anteriore, ancorché cessasse la cagione della larghezza dello spazio posteriore.
f. 42 [pag. 108, lin. 16]: Già, signori avversari) Per buona loica, secondo la verità io delle premesse, è forza che scoppi la conclusione.
[pag. 108, lin. 82-85]: rimovete per tanto l’aria, e ponete nell’acqua l’ebano solo, e così vi porrete un solido più grave dell’acqua; e se questo non anderà in fondo, voi bene averete filosofato, ed io male) Questo ritornare spesso a’ medesimi colpi è un addestrare gli avversari non solo alla difesa, ma nello stesso tempo all’offesa ancora. Anche di sopra [pag. 99, lin. 4-5] l’Autore, proverbiando gli avversarii, diceva: rimovete quell’aria, la quale, congiunta con la tavoletta, la fa diventare un altro corpo men grave dell’acqua, etc. Ma perchè l’Autore talvolta comparisce in abito di matematico e tal volta di filosofo, chi si trova solo deve andar molto cauto a venire alle mani con uno o con due campioni tanto varii e valorosi. Ma ora che qui viene apertamente da solo filosofo; e si dichiara che la querela sia, chi nel proposto caso abbia meglio filosofato; non si rifiuta per diporto piacevole di venire una volta a duello con lui, senza pregiudizio però degli altri più valorosi guerrieri, militanti sotto lo stendardo peripatetico, che volessono cimentarsi nel medesimo assalto dinanzi a giustissimi e serenissimi giudici. Eccomi dunque in campo: e per fare sicura difesa e rimanere tosto vittorioso, io non saprei fornirmi d’arme più approposito, che guernir la sinistra mano d’una mentita loicale, e tener nella destra, con un certo artiglio fabricato nella fucina dell’Aquila, una piastra grossa di piombo, meno ampia di quella tavoletta che ci porremo in mezzo galleggiante nell’acqua. Or vegniamo ormai alla prova.
[61] è vero de i corpi che resistono alla divisione, ma non di quei che non hanno resistenza alcuna.
[62] tanto resta la tavola stretta, quanto la larga.
[63] Anzi, per il suo detto di sopra, meglio; perchè l’acqua, strignendo il conio, lo farebbe schizzare innanzi.
[64]opera l’istesso quella pochissima aria, che se fusse tutto pieno e non vi fusse la falda. E mirabile esempio ed esperienza sarà il pigliare una bigoncia, ed accomodarvi dentro un maschio, affisso poi fuora in qualche luogo stabile, sì che tal maschio resti 4 dita lontano dal fondo e mezo dito dalle sponde della bigoncia; perchè, infusavi poi 4 o 6 fiaschi d’acqua, non si potrà alzare quelle 4 dita, e peserà come se tutta fusse piena d’acqua. Vedi più distintamente nel principio, al segno )( 12.
[65] questo no; ma che più animosamente si ponga a notare con 2 vesciche piene d’aria legate alle spalle, che senza. E non si disprezza la resistenza dell’acqua dependente dalla sua gravità, che è, ma quella che risguarda la divisione, che non è.
sempre vicino al nostro polo con certo carro stellato, le quali sono di movimento sì pigre, che consumano gli anni con tardi e corti progressi, e sono di qualità sì fredde, che influiscono più tosto alla generazione del piombo che dell’oro.
f. 49 [pag.115, lin. 14-15]: il conio, posto nell’acqua) Il conio e la piramide sono figure e corpi molto diversi dalla figura larga e piana, e perciò possono molto variarsi le proporzioni della gravità verso la resistenza del mezzo e della figura; e dove variano le circonstanze, non è sicuro l’argomentare. Il conio con la punta in giù non s’affonda, perchè le parti dell’acqua divisa più facilmente con la sua punta, facendo anch’esse la medesima figura di conio, hanno maggior forza, mentre vogliono unirsi, di sostenere e sospingere il conio all’insù; e, per contrario, l’istesso conio, posto con la base nell’acqua, verrà talvolta sostenuto, talvolta no, secondo la proporzione dell’altezza grossezza e larghezza sua, f. 50 [pag. 115-117]. Però lungi dal vero filosofo e matematico deve essere il negare assolutamente una cosa, confermata dalla ragione naturale, dal senso, dalla sperienza e dalla autorità, solo per qualche diverso effetto che se ne scorga per altro accidente e circonstanza, e addurne la non cagione per la cagione.
[pag. 120, lin. 30-81]: se sopra se le ne attaccherà una di suvero) Signor mio, questo è il dubbio, che l’aria possa quanto il suvero: e se avesse tal virtù, come più leggiera del suvero, potrebbe, per buona ragion topica, sollevare ancora de’ corpi molto più gravi che non fa il suvero. In oltre si dice, il suvero medesimo esser più atto a sostenere in una figura che in un’altra.
f. 55 [pag. 121, lin. 28]: se la figura abbia azione alcuna) La prova addotta dall’Autore non può, per la diversità delle circonstanze, concludere contra gli avversarii; anzi pare che apertamente faccia contra di lui, perciochè altro è fendere l’acqua o la sua superficie all’ingiù, altro è staccarsi ed elevarsi da quella. 2. La detta piastra, se per l’aria addiacente e attaccatasele è più leggiera, perchè dunque ricerca, ad esser sollevata, contrappeso maggiore? 3. Sì come la figura trova difficoltà e resistenza nel calare per entro l’acqua, così in proporzione la truova nel salire nell’aria, come concede lo stesso Autore. 4, che più importa, si è la difficoltà dello staccarsi tutta insieme dall’acqua, e per il pericolo del vacuo, secondo la verità, e per l’unione che hanno fatta insieme, ancor secondo l’Autore; e però si solleva con la stessa piastra parte dell’acqua, la quale se ne cade poi abbasso, avendo l’aria modo maggiore di subentrare. Onde non è maraviglia, se contra la maggior resistenza dell’acqua e della piastra ed al peso più grave si richiegga contrappeso maggiore al braccio della bilancia che non si fa ad inalzar la palla, nel cui sollevamento non concorrono li sopradetti medesimi impedimenti.
f. 56 [pag. 122, lin. 35]: dire a gli avversarii, che la nostra questione è) Ci rimettiamo alle convenzioni fra loro. Ma è certo, per gli esempi suoi, che Aristotile intese principalmente dello stare a galla sopra la superficie dell’acqua, e di questo, che faceva dubbio, cercò la cagione, non del fermarsi per entro l’acqua.f. 62 [pag. 129, lin. 1-2]: ma le lunghe e sottili, come un ago) Ancora un ago può esser nella sua specie tanto grosso e pesante, che vada al fondo. E Aristotile riguardò forse più a gli artifizii delle machine, che a lavorii di seta delle femine. Oltre a ciò, la figura larga è diversa molto dalla figura lunga, come è la linea dalla superficie<smaller>[66]</smaller>. Ma ch’un piccolo ago e piccolo globicciuolo di ferro o di piombo, posti leggiermente nell’acqua, se ne restino a galla, non è cosa da maraviglia <smaller>[67]</smaller>: perciocché alla loro piccola gravità e densità, benché l’acqua, come liquida, le ceda alquanto, pur resiste che più oltre non calino, come a peso che poco può operare a dividerla, se aiuto non ha di qualche moto gagliardo che la percuota e la ferisca. Ancora una palla grave violentemente tirata ricevendosi destramente con una tal soave cessione, veruna offesa se ne sentirebbe; dove se la mano andasse ad incontrarla o ferma le si opponesse, ne riporterebbe dolorosa percossa. Parimente, i sottilissimi atomi di terra o altre piccole cose si trattengono per lo mezzo dell’acqua e dell’aria, benché alla fine pur se ne discendino a basso, poiché ancora con la lunghezza del tempo la gocciola fora la pietra. In somma, data la stessa qualità di mezzo e la stessa virtù motrice con le stesse proporzioni, si darà ancora pari velocità o tardità ne’movimenti all’insù e all’ingiù e in ogni altro. Là onde da uno o da altro esperimento che si vedesse in contrario più tosto si può conghietturare un concorso di alcune circonstanze particolari varianti l’effetto, che medianti quelli negare l’altre sperienze e li molto forti motivi per li quali chiaro si mostra non esser falsità nella nostra opinione nè aver alcuna necessità il filosofo di prendere in prestanza alcuna leggerezza dall’aria. Perciò forse Aristotile, da vero e destro filosofante, se ne stè sodo nella già fatta considerazione, e molto cauto fu a non moltiplicarci gli esempli, per non isporci a pericolo di urtare per isciagura in qualch’occulto scoglio; come in specialtà occorre nell’esempio dell’aria, la quale chi non sa ascendere più velocemente per l’acqua che nella propia regione? posciachè gli elementi naturalmente non si muovono se non quando fuori sono del propio luogo, al qual gli spinge la loro intrinseca natura, e colà poi termine pone al moto loro dove la pace godono e si quietano. Ed in quanto all’esperienza addotta dell’uovo, 69 [pag. 136-137], per avventura non sarebbe gran fatto che dalla salsedine e dall’esalazioni che sono nell’acqua marina, o da altra agitazione del mare, l’uovo si sollevasse: poiché messo in un vaso pieno di acqua, o sia salsa o no, mai non viene a galla.
[66] Cattivo geometra.
[67] l’Autore non si è maravigliato di questo, ma sì bene che Aristotile non lo sapesse.
[68] l’acqua si trovò calda nel principio di questo libro, avanti che ’l freddo ambiente scacciasse le parti calde e più tenui, per detto dell’Accademico. )(13
[69] questo è un contraddirsi14.
[71] e chi non sa che, se si movesse, si moverebbe con successione, non si facendo moto in istante?
adunque l’argumentare di Aristotile, nel 4 della Fisica, contro al vacuo, depende da premesse false nella dottrina peripatetica; concludendovisi che il vacuo non si dà, perchè il moto vi si farebbe in istante, che è impossibile.
[72] ciò è falso, perchè il moto si accelera nell’istesso mezo.
[73] il denso e ’l raro si dividono con la medesima facilità, ma non con la medesima velocità. Ma il duro non ha che fare in questo negozio; e non sendo stato nominato nelle premesse, vien contro alla buona logica introdotto nella conclusione.
[74] ma l’esperienza mostra il contrario; ed Aristotile deride quelli che lasciano l’esperienze sensate, per seguire un discorso che può esser fallacissimo. figura larga nel dividente e la mole maggiore nel divisibile resiste maggiormente alla divisione[75], come appare per esperienza, adunque, essendo la divisione moto, lo stesso bisognerà dire nel moto, in riguardo del motore e del mezzo, e considerando tutto il mobile movente, sì come tutto muove, e tutto il resistente, sì come tutto è quello che resiste. Però il dire «La gravità è cagione del moto; adunque la figura ed il mezzo non importa nulla», è lo stesso che dire «Il fuoco e il calor riscalda; adunque l’essere in una materia o in altra, e l’essere vicina o lontana, o simile altra circonstanza, niente importa alla calefazzione». 4. S’aggiunge che l’Autore stesso confessa e pone nell’aria inclusa dentro a gli arginetti questa resistenza all’esser divisa: e molto più si manifesta in essa nello spingere che fa le cose violentemente mosse, il che non si può altramente fare senza propia resistenza ad esser divisa dal corpo denso e duro, che violentemente sospinge innanzi. Ma il porre questa repugnanza maggiore nell’aria che nell’acqua, come si farebbe, secondo l’Autore, nel dubbio proposto, repugna non poco alla ragione ed all’esperienza che veggiamo tutto dì dell’acqua, nel muovere e nel girare velocemente le ruote e le macchine grandissime.
4. Aristotile, nel formar le sue regole, suppose senza dubbio l’interna resistenza, la quale, implicando contradizzione, non si può da virtù naturale, benché si desse infinita, togliere né superare; e risguardò solamente a quella resistenza manifesta a gli occhi nostri e atta a variarsi e sperimentarsi, non potendosi fare così pruova dell’altra interna, poiché né si dà il vacuo permanente, né si dà elemento puro, che almeno sia conosciuto da noi; e procedendo al modo astraente de’ matematici, i quali spesso considerano una cosa, l’altre congionte lasciando, diede le regole solamente sopra la proporzione della predetta resistenza, separando con la imaginazione ogn’altra circonstanza. Or perchè, mentre le cose si riducono all’atto secondo, si congiungono con tutte l’altre per le quali quello si varia, quindi nasce che dette regole, ancorché per sé stesse e secondo quella astrazione sien vere (come ancora è forzato di concedere l’Autore), nondimeno per la congiunzione della materia e d’altre particolarità, le quali lasciò che altri considerasse ne’ casi particolari, appariscono talvolta fallaci; come interviene della sfera, della quale affermano i matematici toccare il piano in un sol punto. Se dunque le posizioni d’Aristotile per sé stesse son vere, si conviene ancora che nell’esser loro attuale abbiano e ritenghino la lor verità, quando per altro non siano impedite; e però, nel proposito nostro, la figura larga e la crassizie e resistenza del mezzo ben mostrano l’effetto loro nel galleggiare delle cose gravi sopra l’acqua, se altra cosa non concorre in contrario.
5. In quanto poi alle proposizioni dedotte da Aristotile e stimate false da altri,
Il Fine.
Però, Sig. Accademico, il solido di piombo, che voi collocate nella cavità degli arginetti, scaccia ben l’aria che vi ritrova, ma egli stesso conferisce a quel vaso tanto appunto de i proprii momenti, quant’era ’l momento dell’aria discacciata. Bisogna, se voi volete vedere ciò che operi o non operi l’aria accoppiata con un solido, porvela prima, e poi rimuoverla, ma senza suggerir in suo luogo altro corpo, che possa far l’effetto stesso che ella faceva prima. Ed un modo assai spedito e sensato sarà questo. Facciasi un vaso di vetro, simile all’AB, di qualsivoglia grandezza, il quale abbia in A un foro assai angusto;
nel fondo del quale, o dentro o fuori, pongasi piombo, tanto che, messo tal vaso nell’acquignea, sendo il resto pieno di aria, si riduca all’equilibrio, o vero che appena descenda al fondo: pongasi poi sopra ’l fuoco, sì che l’aria contenuta in esso sia scacciata, in tutto in gran parte, dalle sottilissime parti ignee che, passando per la sustanza del vetro, vi entreranno dentro; ed avanti che il vaso si rimuova dal fuoco, serrisi esquisitamente il foro A, sì che l’aria non vi possa rientrare: levisi poi dal fuoco, e lascisi stare sin che si freddi, e tornisi poi a metter nell’acqua; e vedrassi galleggiare, per essergli stato rimosso o tutta o gran parte dell’aria che prima lo riempieva, senza che in hiogo di quella sia succeduto altro corpo; sì come per esperienza si vedrà aprendo il foro A, per il quale con grand’impeto si sentirà entrar l’aria a riempiere il vaso, che, di nuovo posto nell’acqua, come prima andrà al fondo. Ma se il vaso AB fosse tutto aperto di sopra, ed aggiustato col piombo sì, che galleggiasse bene, ma fosse ridotto vicinissimo al sommergersi, se alcuno scaccierà l’aria col porvi dentro un solido poco minor del suo vano, sostenendo però tal solido con la mano, non aspetti di veder respirar il vaso, né punto sollevarsi sopra ’l livello dell’acqua, come nell’altr’esperienza accadeva: perchè il solido postovi scaccia ben, ma io vi mette altrettanto del suo momento.
F. 1 [pag. 153, lin. 13]: Ciò non avviene etc; leggasi fino a: Il freddo, dunque, ambiente etc. Disse l’Autore, che arebbe creduto il ghiaccio esser più tosto acqua rarefatta che condensata, vedendosi che e’ galleggia nell’acqua, e che, in consequenza, è men grave di quella; il cui contrario dovrebbe accadere s’e’ fosse aqqua condensata. Fu replicato dalla parte avversa, non la minor gravità, ma la figura larga e piana, esser cagione del suo stare a galla: e sopra questa conclusione si rivolse e17 si continuò tutto ’l ragionamento, senza muover mai parola, se la congelazione fosse per rarefazione, o per condensazione, o con mistion di aliti o d’aria, o in altra maniera: tal che chi vuol protegger la parte ed impugnar l’Autore, bisogna che dimostri che il ghiaccio galleggi mediante la figura, che in questo è la controversia, e non ch’e’ sia aqqua condensata, sopra che non è stato conteso. Anzi, chi ben considererà le parole dell’Autore, non ne trarrà che egli resolutamente abbia affermato la congelazione esser rarefazione, non avend’egli dett’altro se non che più tosto arebbe creduto, il ghiaccio esser acqua rarefatta che condensata, vedendosi galleggiare; il che potette molto ben esser proposto da lui come un dubbio simulato, per apprender dalle risposte altrui la vera cagione del suo galleggiare, ancor che più denso dell’acqua. Ora, il declinar che fa l’Accademico in questo luogo la parte principale della questione, attaccandosi a quello che poco importava, dà non piccolo indizio d’esser non men contrario alla persona che alla causa.
Ma perchè l’imparare è sempre opportuno, io, che altro non bramo, resterò molto obbligato all’Accademico se, per mio intero insegnamento, mi rimoverà alcuni dubbii, che mi restano circa questa sua esplicazione della congelazione. Però, volgendomi a lui, dubito in prima così: Se il ghiaccio è acqua condensata per la virtù che ha il freddo di congregare le cose simili e le dissimili, perchè non si fa egli anche dal caldo, al quale voi parimente attribuite virtù di congregare le coso simili? Mi direte voi forse, l’acqua esser cose dissimili, e però congregarsi dal freddo e disgregarsi dal caldo? Se tale sarà la risposta, cascherò in un’altra non minor difficoltà: ed è che, se voi chiamate l’acqua cose dissimili, io non saprò dove volgermi per ritrovar quali sien le cose che, sendo veramente simili, mi servino per accertarmi con esperienza della verità della proposizion posta da voi, ciò è che il freddo ed il caldo di pari abbino virtù di congregarle. E il secondo dubbio intorno all’esperienza, posta per molto chiara, di un vaso colmo d’acqua, che nel congelarsi sciema non poco, non ostante la copia de gli aliti che dentro vi si racchiudono. Ma a me l’esperienza mostra tutto l’opposito: perchè, avendola fatta più volte con vasi, anco di metallo, angusti di collo e di ventre larghi, ho veduto prima uscir non poco il ghiaccio ed allungarsi fuor del collo, e poi, nel ghiacciarsi l’acqua contenuta nel corpo, non potendo elevarsi per esser già serrato il collo, è crepato il vaso, e apparsa l’aqqua congelata intorno alle crepature. Ma più accomodata esperienza, e che in ogni tempo si potrà fare, caveremo dal ghiaccio stesso già fatto. Perchè, se P acqua nel congelarsi sciema di mole, è necessario che ’l ghiaccio nel liquefarsi torni a ricrescere; altramente io potrei dire che P aqqua, nel congelarsi, non si condensassi, ma si consumassi, così l’esperienza dell’Accademico resterebbe senza forza18: però, se si piglierà un vaso di vetro, di ventre assai capace nè molto angusto di collo, e dentro vi si metteranno molti pezzi di ghiaccio, del più denso e privo di quelle bolle che in molte parti del ghiaccio talora si veggono, e poi, per cacciarne l’aria, s’infonderà nel detto vaso acqua sin che arrivi a mezo il collo, non è dubbio alcuno che, liquefacendosi il ghiaccio, quando sia più denso dell’aqqua, quella che era nel vaso doverà alzarsi sopra il mezo del collo, dove arrivava mentre il ghiaccio era ancor duro; ma se all’incontro il ghiaccio era acqua rarefatta, ritornato che sia in acqua, si doverà veder diminuzione nel contenuto dentro al vaso, ed il primo livello abbassarsi. Facciasi, dunque, l’esperienza; chè senza dubbio nissuno si vedrà cadere conforme a questo secondo caso, e, per consequenza, in confermazion dell’opinione dell’Autor del Discorso: onde io volentieri sentirò quali distinzioni o variazioni di circostanze saranno addotte dall’Accademico per reprovar questa esperienza e sostener la sua proposizione.Dubito, oltre a ciò, non poco nel modo col quale l’Accademico fa la congelazione, dicendo che: [pag. 154, lin. 2] Il freddo ambiente conspirando etc.; leggasi sino a: Ma non però.
Ed è il primo dubbio che, vedendosi apertamente il ghiaccio dissolversi prontissimamente solo per le due qualità caldo ed umido, come contrariissime alla sua consistenza, l’Accademico possa, così facilmente e senza alcun disturbo, accomodarsi ad ammettere che l’aria ambiente, e per sua natura, in via peripatetica, umida e calda, operi nella congelazion dell’acqua; in grazia della qual congelazione ella si spogli le sue naturali qualità e si vesta delle contrarie.
Dubito, appresso, com’esser possa che il ghiaccio già mai galleggi; poi che nella congelazione, fatta nel modo che qui si pone, viene per doppia cagione ad ingravirsi più che avanti non era: av-vegna che, prima, si partono le parti calde e tenni, e vi succedono le fredde e terrestri; che tanto è quanto a dire, si partono le parti leggiere, in luogo delle quali subentrano le gravi: secondariamente, l’aqqua si condensa e si ristringe in minor mole; il qual accidente è pur cagione di aqquisto di gravità19.
Noto appresso che l’Accademico poco di sotto, a fac. 4 [pag. 158, lin. 2 e seg.], considera la gravità in 3 modi: primo, per la forma stessa essenziale delle cose gravi; 2°, per la qualità ed affezione determinante la detta forma verso ’l moto, come strumento prossimo ed intrinseco ad so esso; 3°, come una propensione al moto, ciò è come un atto secondo, innominato. La qual divisione io ammetterò come vera, se bene io la stimo nè vera nè falsa; e solo considererò quello che l’Accademico soggiugne, ciò è che le due prune gravità non si variano se non si varia il temperamento o la densità. Ora, nel farsi di acqua ghiaccio, quanto al temperamento si fa variazione in accrescimento di gravità, mediante l’introduzione degli aliti freddi e terrestri; adunque, quanto all’altro accidente è necessario che si faccia una gran rarefazzione, per poter compensare la nuova gravità introdotta da i detti aliti e far che il ghiaccio, in qualsivoglia modo figurato, galleggi nell’acqua, ed, in consequenza, sia di lei men grave; adunque il ghiaccio è acqua rarefatta, e non condensata, anco in dottrina accademica. Che poi ’l legno in universale sia più denso dell’acqua, non credo in modo alcuno che sia vero; ma alcuni saranno più densi, ed altri meno: più densi, quelli che vi descendono e sono in specie più gravi di lei; meno, quelli che vi galleggiano e sono più leggieri. In oltre, che ogni corpo composto di terra e d’aria deva stare a galla, e, più, che ciò sia secondo la mente dell’Autore, con pace dell’Accademico è, nell’una e nell’altra parte, falso: perchè l’Autore non è così semplice che avesse detto una leggerezza così manifesta; nè è vero che tutti i composti di terra e d’aria galleggino, ma solamente quelli ne i quali l’aggregato della terra e dell’aria compone una mole men grave in specie dell’acqua; e questo solo trovo nell’Autore. E qui, s’io ben comprendo, nasce un poco di equivocazione nel discorso dell’Accademico: il quale, vedendo come si può facilmente fare un misto participante in guisa di terra e d’aria che sia men grave dell’acqua e elio perciò in essa galleggi, ha anche compreso ciò potersi far molto più con l’acqua e con l’aria, o con cosa non molto differente dall’aria in gravità; e sin qui il discorso camma benissimo: ma quello che io non credo che sia stato interamente avvertito dall’Accademico, è che20 il ghiaccio fatto al modo suo non può in verun modo esser un di tali composti; perchè, se la mole del ghiaccio sciema dalla; mole dell’acqua, nissuna participazion di aria, ben che grandissima, sarà bastante a far che ’l ghiaccio galleggi. Imperò che, se noi intenderemo due moli di acqua eguali, e, per esempio, di 10 libbre l’una, delle quali una si ghiacci e si riduca in minor mole, già il suo peso non sarà sciemato, non diminuendo la sustanza dell’acqua ma solo condensandosi, anzi, più presto, sarà divenuta in specie più grave, mediante la diminuzion della mole e la mistione de gli aliti freddi e terrestri; sì che almeno peserà le medesime 10 libbre, quanto pesa ancora l’altr’acqua: ma un corpo che, sendo in mole minor d’un altro, pesa quanto quello, è in specie più grave di lui: adunque il ghiaccio sarà in specie più grave dell’acqua, e però non potrà galleggiare: al che repugna l’esperienza. E chi volesse meglio comprendere come è impossibil cosa che un misto d’aria e d’acqua condensata galleggi, tuttavolta che la mole di tal misto sia minore della mole dell’acqua avanti la mistione e condensazione, potrà fare la seguente esperienza. Prenda una boccia di vetro di quelle che noi vulgarmente chiamiamo buffoni, e mettavi dentro tant’acqua che appena resti senza sommergersi, sì che una sola gocciola di più lo mandasse al fondo; di poi pesi l’acqua in esso contenuta, la quale sia, per esempio, 4 libbre; e votata l’acqua, pongavi libre 4 d’argento vivo, il quale occuperà nel vaso appena una delle 15 parti di quello che occupava l’acqua, ed il resto sarà pieno d’aria, e sarà fatto un composto di una gran quantità d’aria e d’una piccola mole d’argento vivo, il quale, quanto appartiene alla gravità, opererà l’istesso che se le 4 libbre d’acqua si fossero condensate e ridotte a un quindicesimo della sua prima mole; torni poi a metter la boccia nell’acqua, e vedrà che ella, come prima, starà per sommergersi all’aggiunta d’una sola gocciola. E perchè questo composto d’argento vivo e d’aria è in mole eguale per appunto alle 4 libbre d’acqua, e sta come quelle su l’affondarsi, è manifesto che, riducendolo in mole un poco minore, andrà senz’altro in fondo. Non è, dunque, possibile far un misto d’aria e d’acqua, quanto si voglia condensata, il quale galleggi, se la mole sua non divien maggiore della mole della medesima acqua sola avanti la sua condensazione. [pag.154,lm.7-8] Ma non però assolutamente etc.; leggasi sino a: posto in fondo dell’acqua. Tra i luoghi che forte mi hanno fatto dubitare che l’Accademico abbia scritte queste Considerazioni più presto per tentar l’Autor del Discorso, che perchè egli abbia creduto di scriver cose veramente salde e fondate, uno assai manifesto mi par questo: dove ei produce alcune proposizioni non solamente dannabili, ma reputate per tali da se e dall’autore da chi egli le ha trascritte, che è il Sig. Piccolomini, filosofo d’illustre fama, nel libro Delle definizioni, a car. 183b. Il quale primieramente conclude, con Aristotile e con la verità, che ad ogni maggior densità conseguita gravità maggiore, tanto se si farà comparazione tra corpi di diversa natura, quanto della medesima; e l’istesso afferma della leggerezza conseguente alla maggior rarità. E l’argomento di Averroe in contrario, preso dalle gioie (non dirò molto lucide, come dice l’Accademico, perchè di tali non so che se ne trovino, ma dirò, come Averroe, diafane e rare), vien pur confutato, dicendosi altra cosa esser il raro, altra il perspicuo, e le gemme esser perspicue non per esser rare, essendo più tosto molto dense, ma solo per esser purgate dalle fecce terrestri. L’argomento poi preso dalle stelle, che, sendo più dense del resto del cielo, non però son più gravi, viene immediatamente resoluto e scoperto inefficace e fuor del caso dal medesimo Accademico che lo produce, nel render, che egli fa, la ragione perchè la densità non partorisca gravità nelle stelle, dicendo ciò avvenire21, perchè simili qualità di gravità e leggerezza sono repugnanti alla semplice natura de gli orbi celesti; dal che in consequenza si deduce che ne’ corpi elementari, a i quali dette qualità non sono repugnanti ma naturalissime, il fatto procede altramente, e che la densità può benissimo cagionar gravità, e la rarità leggerezza. Noto di più, che mentre noi stiamo dubbii ed altercanti della densità del ghiaccio e dell’acqua, che tutta via ci stanno tra le mani, il produr l’attestazione delle stelle e del cielo ambiente, come che le condizioni loro ci siano più cognite, fa che nell’Accademico si desideri qualche cosa attenente all’intera perfezion dell’esatto metodo demostrativo, il quale non approva, anzi danna, il provar ignotum per ignotius22. L’argomento, ancora, del fuoco e dell’aria, che condensati fossero men gravi, primieramente per mio credere è falso; e poi, quando ben fosse vero, sarebbe inutile, anzi nocivo per l’Accademico. È falso: perchè, in quella parte che soggiace all’esperienza, il senso ci mostra che l’aria condensata cresce notabilmente di peso: avvegnaché se si accomoderà una boccia grande di vetro con un ritegno che, cedendo l’entrata all’aria che con forza ci si può spigner dentro, proibisca poi l’uscita, ci si potrà metter aria 2 e 3 volte più di quella che naturalmente vi sta; la quale, posta su bilancia esquisita, si troverà di peso assai maggiore che quando si peserà senza l’aria compressa e condensata, e la differenza non sarà dubbia, perchè in un vaso grande potrà importare mez’oncia e più. Questo effetto è vero, e fu saputo e scritto da Aristotile, ma non fu creduto dal Sig. Piccolomini, nel luogo citato di sopra; dove, per non avere ad ammettere un errore in Aristotile, si va troppo sottilmente ingegnando d’investigar distinzioni e circostanze, per sostener cosa che non minaccia rovina, anzi è benissimo fondata. Quello che faccia il fuoco condensato, io non lo so: averci ben caro che mi fosse detto qualche modo di vederlo per esperienza; ma opinabilmente credo che farebbe l’istesso che l’aria, ciò è che condensato descenderebbe nella sua sfera, ma non per quella dell’aria, sì come né meno l’aria si può tanto condensare che scenda per l’acqua. Ma posto che e nell’aria e nel fuoco condensati crescesse la leggerezza, che ne caverà l’Accademico, applicandolo al proposito di che si parla, se non cosa contraria alla sua intenzione? Perchè, s’ei vorrà render ragione onde avvenga che ’l fuoco condensato accresce la sua leggerezza, non potrà dir altro se non, perchè, multiplicando la materia del fuoco, si multiplica la sua naturale affezzione, e perchè egli è per natura leggiero, però si multiplica la sua leggerezza: e l’Autore del Discorso, continuando l’istessa maniera d’inferire, dirà che per ciò l’acqua, di cui la gravità è propria e naturale affezzione, nel condensarsi aqquista nuova gravità, onde il ghiaccio, quando si faccia per condensazione, sarà di necessità più grave dell’acqua, né potrà in essa galleggiare. Resta per tanto nel suo vigore la ragione che ci persuade il ghiaccio esser acqua rarefatta, fondata sopra l’esperienza, che noi continuamente veggiamo, del suo galleggiare. Ma essendomi pervenuto all’orecchie, come questa nuova proposizione del Sig. Galileo ha, in molti luoghi ed in particolare in Roma, eccitato dubbio non piccolo in quelli che son usi a ben filosofare, anzi non pur dubbio ma un poco di confusione ancora, nel concordare insieme due proposizioni molto discordi, ciò è che il ghiaccio sia acqua rarefatta, come dimostra la sua minor gravità, e che la congelazione si faccia in virtù del freddo, la cui facoltà è di ristrignere e condensare; mi son preso sicurtà di domandare detto Autore ciò che egli in questo proposito potrebbe dire, e, se bene ho tenuto a memoria, ne ho ritratto questo. Prima, egli ammette (per non produr nuove difficoltà in campo, e trapassar d’una in un’altra quistione in infinito) che il freddo sia veramente una qualità reale e positiva, di facoltà di ristrignere e condensare: secondariamente, afferma il giaccio farsi per l’intervento dell’operazione del freddo: e con tutto ciò pur ritiene la medesima conclusione, che il ghiaccio sia acqua rarefatta. Per il che dichiararmi, prima mi fece avvertito che nella produzion del ghiaccio assai più operava il freddo dell’aria ambiente che ’l proprio dell’acqua, per esser quello più intenso di questo, benché al senso nostro appaia in contrario, atteso che non par che si trovasse alcuno al quale non paresse più aspro il dover restar per un’ora o due nell’acqua prossima al congelarsi, che nudo nell’aria circunvicina; tutta via altra esperienza più certa determina circa questo particolare meglio del senso del tatto; perchè, se si empieranno di acqua 2 vasi eguali, e l’uno si terrà nell’aria, e l’altro si profonderà sotto l’acqua, quello in poche ore d’una notte freddissima23 si congelerà tutto, e l’altro talvolta punto. L’istesso ancora si fa manifesto: perchè se ’l freddo dell’acqua non fusse minor di quello dell’aria contigua, la congelazione si farebbe non meno nelle parti di mezo e nelle più profonde, che nelle supreme e contigue all’aria; al che repugna l’esperienza. Il freddo, dunque, nelle stagioni freddissime è più intenso nell’aria che nell’acqua; e perchè proprietà del freddo è il costipare e ristrignere, e l’aria è per natura sua grandemente condensabile e rarefattibile (di che appresso ne produrrò manifeste esperienze), sendo all’incontro l’acqua repugnantissima alla condensazione ed alla distrazione (come pur dichiarerò con esperienze), quindi avviene che l’aria vien dall’immenso freddo immensamente condensata, ed è sotto minori spazii ristretta.
[pag. 155, lin. 3-4] posto in fondo dell’acqua subito ritornarsene a galla) Questo modo d’argumentare etc; leggasi fino a: Intanto per fare una scoperta. No, Sig. Accademico, non vogliate con una scoperta ricoprirvi. Hic Rhodos, hic saltus: tempo di rispondere è qui, e non più di sotto. Gli avversarii dicon qui che una falda di ghiaccio, benché più grave dell’acqua, galleggia rispetto alla figura larga; e l’Autore instando dice: Se ciò fosse vero, molto più dovrebbe, posto che e’ fosse nel fondo, restarvi; perchè, se ’l solo impedimento della figura, inetta al fender l’acqua, lo trattien di sopra contro alla sua naturale inclinazione di sommergersi, come acqua ingravita per la condensazione, come non rest’egli in fondo, dove amendue le cause, dico la gravità e la figura, conspirano a ritenervelo? In questo luogo non si tratta altro che questo punto, né questo punto si tratta altrove; però qui bisognava scoprir le fallacie dell’Autore, e le variazioni delle circostanze, e non tanto di sotto che più non si ritrovino.
[pag. 155, lin. 7] Intanto, per fare una scoperta generale etc.; leggasi fino a: chiamo egualmente gravi. Non contenendo tutto questo discorso cosa che faccia al proposito di che si tratta, come ogn’un leggendo può vedere, non occorre consumarci parole.
[pag. 156, lin. 22] chiamo egualmente gravi) Per me’ filosofare; leggasi fino a: 1. Perciocché, dandosi etc. Potrebbesi tutto questo, che vien in due facce intere addotto dall’Accademico e trascritto dal Sig. Piccolomini, lasciare intatto senza pregiudizio alcuno della dottrina dell’Autor del Discorso, non ci essendo cosa che contrarli alla parte sostenuta da lui circa ’l punto principal della quistione; perché, disputandosi di ciò che operi la figura ne i solidi circa l’ascendere o ’l descender nell’acqua, non vien mai occasione che la leggerezza positiva più che la privativa, o l’ascesa da principio intrinseco più che per l’espulsione, possine alterare le ragioni che si adducono; e massime che del fuoco, nel qual solo, per detto del medesimo Aristotile, risiede la leggerezza positiva, nominando egli tutti gli altri elementi gravi, non vien mai cercato quel che in lui operasse la figura, ma solo in materie che, scendendo in aria, sono, in dottrina peripatetica, a predominio terree o aquee, ed, in consequenza, per principio intrinseco mobili all’in giù, onde resta manifesto che qualunque volta si muovono in su ciò fanno in virtù di motore esterno, che altro non è che lo scacciamento del mezo, in quanto però concerne alla presente controversia. Però, quanto fu necessario il definire e distinguere quello che l’Autore intendesse per più o men grave in specie o assolutamente, per poter poi demostrativamente stabilire i fondamenti della sua dottrina, tanto par che fuor di tempo si produca un lungo discorso per dispiegar la dottrina io d’Aristotile circa ’l grave e leggiero, in molt’altri luoghi nell’istesse maniere spiegata. Pertanto io non credo che l’Accademico proponga questa materia per altro, che per declinar più che si può la causa principale, appigliandosi a quello che incidentemente accennò l’Autore nel difendere Archimede contro al Sig. Buonamico, ciò ò che averebbe creduto che si potesse sostener e difender l’opinione di Platone e di altri antichi contro alla dottrina d’Aristotile: ed io, intendendo tal suo desiderio, cercherò di satisfargli, per quanto le mie forze si estenderanno; procurando insieme, con simili digressioncelle24 che questa mia scrittura non resti così piccola che si perdesse tra le mani, come farebbe quando io non vi dovessi porr’altro che quello che fusse necessario per rispondere alle Considerazioni dell’Accademico che vanno a ferire spezzatamente alcune, ma ben poche, ragioni o esperienze delle molte di che il Discorso dell’Autore è pieno.
non è credibile che l’Accademico abbia scritto per altro, se non per tentare se il Galileo conosceva sì alte cogitazione, o pur le lasciava passare; di che è grand’argumento l’aver taciuto ’l nome.
Piccolomini, in lib. De definitionibus fol. 183, ammette la definizione di Alcinoo, che è «grave esser quello che difficilmente si rimuove dal suo luogo»; adunque, grave assoluto doverà esser quello che non si può muovere dal suo luogo, etc. Veggasi il luogo, e seguasi la lettura per altri particolari.se scrive il Bardi25, si potrà dire che nel domandarmi alcuni suoi dubbi conformi alla sua età, cioè puerili, gli è occorso sentire risposte tali, che benissimo possono satisfare alle Considerazioni dell’Accademico.
Non poteva l’Accademico difendere Aristotile senza impugnar tutto quel che dice l’Autore.
Nota. Il fuoco, mentre è in piccolissimi atomi disseminato per l’acqua, lentamente sale in quella; come anco la arena impalpabile lentamente vi scende: ma quando, per la gran multiplicazione, moltissimi atomi si congiungono, vien con velocità grande e fa il bollore; come anco, attaccandosi insieme innumerabili atomi di terra, si fa la belletta o fango, che velocemente cala nell’acqua. Non però resta di esser torbida, perchè non tutti si attaccano: così l’acqua non resta d’esser calda, perchè non tutti gli atomi ignei si uniscono e fuggono. Chi nell’acqua torbida o vino torbido metterà materie che lentamente vi descendino, come piallature di legno, chiara di uova sbattuta e simili cose (e più operano nel vin bianco che nel rosso, perchè tali cose più lentamente vi scendono, essendo più grave), presto lo chiarirà; perchè, nel passar, portano seco gli atomi della torbida più presto che da per loro non farebbono. Nello scaldarsi l’acqua, gli atomi ignei montano alla superficie, e, nel volere passar nell’aria, vengono ritenuti in copia grande dall’acqua aderente, come nello scender per l’aria molti corpuscoli si fermano su l’acqua per l’aderenza dell’aria, li quali poi, separati, s’affondano: e però l’acqua è più calda presso alla superficie; e l’acqua ancora, che si va rischiarando, prima chia- risce di sopra, e verso il fondo resta più torbida.prova, se si fa d’acqua aria, con le palle che soffiano poste su car- boni, ricevendo quel vento in un panno o in una spugna.
Non potersi dire il moto naturale esser solamente alPin su, sì come si dice esser verso il centro, è manifesto; perchè il moto verso il centro serve alla costituzion dell’universo, ed il moto all’in su tende alla dissoluzione: e però ben si può dire, il moto all’in su farsi per estrusione, ma non già il moto all’in giù.
un metallo resta nell’acqua forte senza descendere, perchè la mi- io stione è fatta per gii ultimi indivisibili.
Quando la tavoletta bagnata arriva al livello dell’acqua, l’aria non si separa altramente dall’acqua che bagna la tavoletta, ma la superficie di quest’acqua si continua con l’altra, e l’aria resta come prima, né muta contatto.
- ↑ Le parole puntate sono «in quanto .... luogo».
- ↑ Di fronte alle parole sottolineate è, sul margine, il segno )(.
- ↑ «perspicue», in luogo di «lacide» che è testo dell’Incognito, si legge negli estratti delle Considerazioni, a quali Galileo appose la presente postilla.
- ↑ La postilla è riferita alle linee 28-29.
- ↑ «ma invano» è stato aggiunto posteriormente.
- ↑ A questo passo Galileo aveva postillato, e poi cancellò, quanto appresso: «Adunque l’esalazioni calide più velocemente si doverebbon muover per aria che per acqua. Nel voler render ragione perchè, contro al credibile, si muovino più velocemente le coso calide per acqua che per aria, adduce la ragione al contrario, ciò è quella [il ms.: ciò quella] per la quale sì devono muover più velocemente per aria elio per acqua.
- ↑ A questo passo Galileo aveva postillato, e poi cancellò, quanto segue: «son molto contento di prender l’aria e ’l corpo, niente curando della figura, ma»
- ↑ non è la figura; perchè tutte le figure stanno, quando vi è l’aria; e tutte stanno meglio che le piane.
- ↑ E già mai non andrebbe, se l’aria non si separasse. Doventa un istesso corpo con la tavoletta tutta l’aria; e quando di tal corpo se n’è sommerso tanto, che tant’acqua pesi quanto tutto, non va più giù: e così accade. Ma nota che tutta l’aria in sé stessa [e] sopra l’acqua non pesa nulla; ma ben quella poca che è sommersa viene estrusa in su, ed in certo modo leggiera nell’acqua. Né si maravigli alcuno che tutta l’aria non pesi niente, perché il simile è dell’acqua.
- ↑ Tutto il discorso è vero, ed arebbe effetto, se gli argini non si rompessero: e però ne’ fondi delle nave, che pur son molte braccia sott’acqua, vi sono tante pietre che farebbono una strada, ed oltre alle pietre molt’altri pesi gravissimi. Però trovi pur l’Accademico il modo di sostener gli argini, che l’Autore farà il restante.
Queste sono 11 instanze che non operano niente, poi che non fann’altro che apportar meraviglie sopra quello che il senso ci mostra. Ma il meravigliarsi, per la nostra ignoranza, come le serpi possine camminar senza piedi, non le fa andar punto men veloci, non che le renda immote. - ↑ Allo stesso passo, a cui si riferisce questa postilla, Galileo aveva puro annotato, e poi cancellò: «ella ben vi è, e l'aria e 'l fuoco tireranno seco l'acqua o la terra.»
- ↑ Questo segno richiama ciò che noi publichiamo dalla paga 182, lin. 14 alla pag. 184, e così si legge in due carte di guardia, poste appunto nel principio dell’esemplare postillato da Galileo.
- ↑ Il segno rimanda al passo che è a pag. 154, lin. 2-3.
- ↑ La postilla è riferita, con una grappa in marigine, alle lin. 19-21 e alla lin. 28.
- ↑ «— che è un bel presente» e aggiunto, di mano del trascrittore, nella copia degli estratti delle Considerazioni postillata da Galileo.
- ↑ Cfr. pag. 172, lin. 31-32.
- ↑ «si rivolse e» è aggiunto in margine.
- ↑ Da «altramente io potrei» a «forza» è aggiunto in margine.
- ↑ Dopo «gravità» si legge, cancellato, quanto appresso: «Forse mi potrebbe alcuno rispondere che, ristrignendosi l’acqua in assai minor mole, gli aliti freddi e secchi succedono in copia molto maggiore che i caldi e secchi, che si partono; li quali aliti, benché non così leggieri come i caldi, posson, con la maggior copia, indur tanta leggerezza che basti a far galleggiare il ghiaccio.»
- ↑ Qui séguita, come si può distinguere sotto le cancellature: «un tal composto d’acqua e d’aria accresca la mole prima dell’acqua».
- ↑ Da «nel render» ad «avvenire» è sostituito marginalmente a «poi che egli dice, la densità non partorir gravità nelle stelle», che è cancellato.
- ↑ Da «Noto» (lin. 24) a «ignotius» è aggiunto marginalmente.
- ↑ «d’una notte freddissima» è aggiunto in margine.
- ↑ «con simili digressioncelle» è aggiunto in margine.
- ↑ Giovanni Bardi, che effettivamente tenne un discorso in Roma intorno a questo argomento e lo diede alle stampe, dedicandolo al Principe Federico Cesi, col titolo: Eorum quae vehuntur in aquis experimenta a Ioanne Barbio fiorentino ad Archimedis trutinam examinata. IX. Kalend. Iul. Anno Domini M. DC. XIV. Romae, ex Typographia Bartholomaei Zannetti. M. DC. XIV. Superiorum permissu.