Pagina:Le opere di Galileo Galilei IV.djvu/160

156 considerazioni


L’Autore ad un’altra dottrina primogenita sua sopra la luna e sopra le stelle, della cui fece qui nel suo proemio menzione, volle con stravaganti arnesi fondare e stabilire un reame negli orbi celesti; ed ora procura di conquistare un altro imperio sotto la luna a questa secondagenita sua opinione, la qual è, che del galleggiare le cose gravi nell’acqua ne sia cagione l’aria che di sopra sta unita a quelle. Ma, per quanto scorgo con la vista de gli occhi naturali, altro non si fa da lui che tentare da diverse bande, con più artificiosi strumenti, di battere e d’espugnare l’opinione Aristotelica, dalla quale, già tanti secoli, fu messa nel possesso del galleggiare la figura larga. E fidandosi forse l’Autore nella forza e nell’ingegno, non si vede che fondi la pretenzione per la sua aria in veruna buona ed intera ragione: poiché alcune prove prodotte, e cavate dalla leggierezza e dalla gravità e da certo proporzioni ed esperienze, chiunque punto vi porrà mente, s’accorgerà che tutte si salvano, o fanno lega con la stessa figura; né facilmente si sollevarebbono centra il dominio di quella, sì largo e maestevole, per mettervi l’aria, altrettanto ventosa ed instabile. Sì che per mantenere nell’antica e giusta possessione questa figurata signora, basta, per mio avviso, che i suoi confederati e seguaci, secondo l’obligo della confederazione e dell’omaggio, l’aiutino a distruggere le nemiche machine od a ripararsi da sì pericolosa impugnazione; e così, stando solamente nella difesa, la conservaranno nella propia iurisdizione, poco per altro curando dell’aria, posciachè, non avendo per sè stessa veruno appoggio solido e dependendo ogni suo impeto da sole forze straniere, sarà necessitata a ritirarsi in salvo nella propria regione.
7 [pag. 67, lin. 26]: chiamo egualmente gravi) Per me’ filosofare, qui si dee distinguere e dichiarire che cosa s’intende per gravità e per leggerezza. Aristotile, considerando il movimento retto de gli elementi rispetto al contro del mondo ed al cielo, corpo soprano e nobilissimo, diffinì il grave ed il leggiero per il moto, per la quiete e per il mezzo, dicendo: Grave esser quello che di sua natura si muove al centro dell’universo; leggiero, quello che si muove dal centro; gravissimo, quello che, fra le cose che discendono, sta di sua natura sotto a tutte l’altre; leggierissimo, per lo contrario, quello che, fra le cose che ascendono, sta sopra tutte[10]: stimando Aristotile, darsi nell’universo per natura della cosa, come dicono i Latini, sursum et deorsum, e la positiva gravità e leggierezza come affezioni del corpo naturale, consequenti alle prime qualità e appartenenti al senso del tatto, e cagioni intrinseche e principali del moto, strumentali però e determinanti l’essenziale forma de gli elementi e de’ composti verso il movimento e la velocità e tardità di quello in essi, come ottimamente dichiara il dottissimo Francesco Piccolomini tra più luoghi, nel libro Delle diffinizioni, dedicato al Serenissimo Don Cosimo II, allora Gran Principe di Toscana. E che questa gravità e leggerezza si dia per loro natura


[10] Piccolomini, De definitionibus folio 181 b1.

  1. La postilla è riferita alle linee 28-29.