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174 | considerazioni |
f. 58 [pag. 124, lin. 15-16J: io domandarei, se si deve con Aristotile) Aristotile non è superfluo, ma succinto, ne’ suoi insegnamenti; e nel discorrere sopra una cosa suppone quello che in altro proposito insegnò, e quello che mostra sopra cosa più nota e principale intende insiememente dell’altre simili e connesse, procedendo sempre con ordine maraviglioso.
Diciamo, dunque, che nel cap. 7 del quarto del Cielo fece, prima, menzione del moto, come più manifesto della quiete, e del quale voleva cercare la cagione della cessazione nel solido largo posto nell’acqua; e volendo procedere per ordine dottrinale, 1. afferma le figure non esser cause semplicemente del moto o, come vuole l’Autore, del moto assoluto, che ciò poco importa al vero sentimento ed al proposito nostro; volendo significarci, come il moto dalla forma essenziale trae la prima origine come da intrinseco principio, e dalla gravità e leggerezza depende come da qualità interna e cagione prossima e strumentale. 2. Poi, secondariamente, afferma che le figure possono esser accidental cagione della più tardità e della meno; onde quelle, se non all’atto primo, almeno all’atto secondo concorrono della gravità, il quale è lo stesso moto; nel quale intervenendo spesso molte estranee condizioni, viene ancora, per conseguente, ad esser da quelle accelerato o ritardato o affatto impedito: così tolto dalla figura il muoversi al solido, ne segue la sua quiete, altro non essendo la quiete che una cessazione del moto. Data, adunque, una figura larga con tale o tal proporzione al mezzo ed alla gravità del mobile ed all’altre circonstanze, si verrà talvolta a ritardare e talvolta ad impedire ogni movimento, come apunto fa la figura larga nel piombo, quando sta in quiete e galleggia sopra l’acqua; e, per contrario, nello stesso piombo, cangiandosi quella figura larga in altra figura sferica, tosto da questa si terrà la quiete, e comincerà il globo di piombo a discendere. Per la qual cosa apparisce, la figura essere in un certo modo occasione della quiete e del moto, in quanto da lei formalmente si dà si toglie l’impedimento predetto; nella guisa che l’agente, proibendo il proibente, si dice cagione efficiente accidentale del moto da gli stessi filosofi: ma bene è vero che più propriamente si dirà, levarsi farsi l’impedimento rispetto al moto e all’azzione che rispetto alla quiete, come è per sé manifesto. Sì che quel sì forte argumento che l’Autore usava, dell’aria, a provar la sua opinione, si può a favore della nostra apertamente formare centra di lui. 3. A dichiarazione di tutto questo proseguì Aristotile, nel terzo luogo, a dubitare, in qual modo e perchè dalla figura un tal rimovimento di moto nascesse, prendendo il moto come cosa più manifesta e per la quale veniva dimostrato ciò che si dee intendere della quiete; e, parimente, ci propose l’esempio solo delle cose poste sopra l’acqua, come a noi più aperte e più senzate, senza più addurci altro esemplo delle cose poste nel fondo, lontane dall’esperienza e dalla nostra cognizione e meno dilettevoli o necessarie, e nelle quali, quanto è diverso e distante il fondo dalla cima, possono esser differenti e più ignote le circonstanze, secondo che di