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AL SIGNOR
SEVERO GIOCONDI
L’ACCADEMICO INCOGNITO.
Ragionandosi da alcuni Accademici nostri sopra il Discorso, stampato pochi giorni sono in Firenze, del Sig. Galileo Galilei, Intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono; io, per la fama dell’uomo e dell’esperienze e osservazioni sue, mi posi a leggerlo con molto desiderio, e ne continuai la lezione sin alla fine con molto gusto, non poco dilettandosi l’imaginazione di star, al tempo di state, tra l’acque. Leggendo mi vennero notate nella margine del libro, così 10 alla grossa, alcune considerazioni in diversi luoghi; le quali riandando poi, benché io m’avveggia che la materia è degna di più profonda attenzione, nondimeno, dove la mente ha bisogno di ricreazione e di diporto, non si vuol porre né troppo studio né molta fatica; anzi, se talora, nell’aprirsi l’animo, ne uscisse improvisamente qualche scherzo ingegnoso e modesto, si dee raccogliere per gabbo amichevole e per uso accademico molto utile e molto lodato, dicendosi dal poeta lirico, come ognun sa,
ed altrove, Ser. I,
- quamquam ridenfem dicere verum,
Ed il morale Plutarco in più luoghi commendò grandemente il mescolare con la severità della filosofia la soavità de’ motti e delle favole, per renderla più grata e più agevole a’ giovani, quali i più de’ nostri Accademici sono: così ancora fu osservato dalla setta Accademica e da altri valentuomini, per sollevamento di sé e d’altrui da gli studi e da gli affari più gravi. Simigliante avviso ho avuto io, in proporzione delle mie forze e del proposto suggetto, ed, appresso me, non in vano del tutto. Poiché V. S. é lontana, per occasione di salutarla e di passar il