Come prima, meglio di prima/Atto I
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ATTO PRIMO
SCENA
Una sala della Pensione Zonchi: vasta sala di vecchia casa a cui l’intonaco nuovo non riesce a mascherar la vecchiaja. Un ampio e alto uscio a vetri nel mezzo lascia scorgere la scura saletta d’ingresso, che ha in fondo, a sua volta, un usciolino aperto sulla scaletta dell’orto, di cui sí vede il piamerottolo con la ringhierina di legno verde, scolorita. Lo sfondo, oltre questa ringhierina, è di cielo, e luminoso, perchè la casa sorge alta sul colle e da quel pianerottolo si gode la vista della grande vallata e si domina la via che da essa sale al colle, girandolo due volte.
L’uscio a vetri, chiuso, non lascia più intravedere la saletta d’ingresso, perchè a una certa altezza ha sui vetri una tendina dí mussola celeste, goffa e nuova, fissata rusticamente alle bacchette.
Nella sala, il solito arredo delle vecchie pensioni di provincia, disposto con meticolosa simmetria. Una stufa di porcellana; un canapè d’antica foggia, con poltroncine e seggiole imbottite, adorni di cuscini e ricamini fatti in casa; una mensola non meno antica con un grande specchio dalla grossa cornice rameggiata e dorata, coperta da una garza celeste, ingiallita, a riparo delle mosche; vasetti con fiori di carta; una cantoniera con ninnoli di vecchia majolica; oleografie volgari, un po’ annerite, alle pareti, e un’antica pèndola che batte le ore e mezz’ore con un languido suono di campana lontana.
Usci laterali a destra e a sinistra.
Chiara mattinata, sulla fine d’aprile.
Al levarsi della tela sono in iscena Don CAMILLO ZONCHI, il fattore ROGHI, la vedova NÀCCHERI e sua figlia GIUDITTA. Queste due sul pianerottolo della scaletta dell’orto, in fondo, guardano giù nella vallata, la Naccheri con un binòculo, la figlia Giuditta facendosi solecchio d’una mano, se da lontano lontano, sulla via che sair al colle, si scorgan le vetture di ritorno dalla stazione ferroviaria. Don Camillo Zonchi e il Roghi sono nella sala; questi, seduto su una seggiola presso il canapè; l’altro in piedi.
La vedova Naccheri, sui cinquant' anni, ha un curioso parucchino ondulato fitto fitto e pieno di riccetti sulla fronte, stretto in una reticella. Il volto magro, angoloso, dagli occhi calvi, biavi, infossati, dà l’impressione d’una maschera, tutto bianco com’è di cipria e goffamente ritinto; ma con l’orribile effetto d’un teschio inbellettato. Veste giovenilmente, costringendo la vecchia persona a una ridicola snellezza e a una buffa formosità. Parla a scatti e con quasi legittimo impero al cognato; con piglio scostante, alla figlia, di cui è gelosa; agli altri, con una languida importanza di decaduta signora. La figlia Giuditta ha ventott' anni: abbandonata dal marito, è umile e trasandata; capelli cascanti, viso giallo incavato, e un’aria smarrita di povera bestia raccolta per carità. Don Camillo Zonchi ha cinquantaquattr’anni: canonichetto della Collegiata e maestro di scuola. È un omarino bruno, itterico, nervoso, con occhietti cattivi. Sopporta la scandaloso impero della cognata friggendo d’umiltà vergognsa. Padrone della Pensione, vi figura da ospite della Nàccheri, a cui, almeno in apparenza, ne lascia il governo. È senza sottana, con una lunga giacca di saja nera; colletto da prete fissato alla sottoveste; calzoni a mezza gamba; calze lunghe di lana e fibbie d’argento alle scarpette. Il fattore Roghi, sulla quarantina, è un omaccione pesante, triste, dalla barba non rifatta da parecchi giorni. Ha una giacca alla cacciatora, un vecchio cappellaccio bianco in capo: grossi stivaloni da campagna, con sproni.
DON CAMILLO
(in attesa, rivolto alle due donne che guardano dalla scaletta dell’orto) No, eh?
ROGHI
(dopo una breve pausa d’attesa) Sarà un po’ troppo presto.
DON CAMILLO
(stizzito, in attesa ancora della risposta) Ehi, Giuditta, dico a te!
LA NÀCCHERI
(venendo avanti dalla scaletta, furiosa e schizzante veleno) Crederei che se ci fosse da vedere, tra me e la Giuditta, a me e non a lei dovreste domandare, perchè con questo (mostrando il grosso binò culo e pigiando sulle parole) se ci fosse da vedere — vedrei meglio io, che lei.
DON CAMILLO
Eh no, abbiate pazienza, Marianna. Anche con queste (mostra le lenti e se le inforca sulla punta del naso), tra me e il signor Roghi, vedo sempre meno io, che lui.
ROGHI
Ah sí, grazie a Dio, la vista...
LA NÀCCHERI
Ma anch’io, signor Roghi, anch’io! Non ho punto bisogno di lenti io, sa? né per leggere, né per cucire, né per veder qua entro certe cose, che Dio sa se s’avrebbero a vedere!
DON CAMILLO
Eh via, Marianna! Non è di cose da veder qua entro che si discorre; ma delle vetture giù a valle. Dio buono, se non si scorgano di ritorno dalla stazione.
GIUDITTA
(che ha seguitato a guardare) Eccole, eccole I Già due! Ma vanno in giù! La Nàccheri corre a guardare col binòculo.
DON CAMILLO
In giù? O come in giù? Possibile?
GIUDITTA
Sì. Eccone un’altra! La vettura di Dodo.
LA NÀCCHERI
Ma che di Dodo! Quella di Dodo è la prima!
GIUDITTA
No, mamma; guardate bene: è la terza.
LA NÀCCHERI
La prima!
DON CAMILLO
O la prima o la terza, se vanno in giù...
LA NÀCCHERI
(voltandosi di là verso il cognato, inviperita) Vi dico che è la prima!
ROGHI
Mi par difficile che si possano distinguere a tanta distanza. Si Vedran di quassù piccine pic- cine, così (fa segno sulV indice). E Dodo, mi scusi, signora Marianna, l’ho visto io partir di piazza dopo gli altri.
LA NÀCCHERI
Questo non vorrebbe dir nulla, perchè ha un cavallo, Dodo, per sua norma, che è un demonio peggio di lui. Anche a partir l’ultimo, arriva sempre il primo.
GIUDITTA
(alla madre, guardando sempre) E difatti, guardi, guardi : ha già sorpassato la seconda e sta per sorpassar la prima. Tant’ è vero che è lui! La Nàccheri scrolla le spalle e viene in sala.
DON CAMILLO
Io non so, saran tutte in ritardo stamani. A quest’ ora, di solito (la pèndola batte le undici) ecco, sono le undici — gli altri giorni, alle un- dici, son di ritorno e si vedono alla seconda gi- rata dello stradone su per la costa. A proposito. Giudi... (s’ interrompe, imharazsato, cercando di riprendersi) — cioè, dico...
LA NÀCCHERI
(di nuovo inviperita, chiamando) Giuditta! E vieni, corri qua a sentir che altro vuol doman- darti tuo zio!
DON CAMILLO
(e. s.) Ma niente, niente... Volevo dire una cosa... (forzandosi a far viso fermo) una cosa appunto, che mi pareva da domandar a lei piut- tosto che a voi.
LA NÀCCHERI
(sfidandolo) E su, ditela! Sentiamo! ’ ^
DON CAMILLO
(volgendosi al Roghi) Ho insegnato al signor ofessore, prima che partisse, la malizia di far ’mare al ritorno la vettura giù. sotto al nostro to, per tagliar la salita alla scòrcìatoja^ anziché ’e, con la vettura al passo, tutta la girata fin assù in cima.
LA NÀCCHERI
(s. s.) E poi?
DON CAMILLO
Volevo appunto domandare alla Giuditta, se era ricordata d’ andare ad aprire il cancellino /U^^’*^ ir orto giù.
LA NÀCCHERI
Niente altro?(Rivolgendosi alla figlia, che si ne in discosto, mortificata) Su, e rispondi a tuo ), se ti sei ricordata!
GIUDITTA
(guardando in là, iriffistidita) Ma sì, ai, è erto.
LA NÀCCHERI
(con un inchino ironico al cognato, come se lo cesse per conto della figlia) È aperto. — Un or- ■le dello zio! Mi pareva assai che non se ne fosse
- prdata! Avesse mai obbedito così a -siipnja-
o! Non mi sarebbe rimasta lì melèiisa per sa; sulle braccia, e così, nè acerba, nè matura.
ROGHI
Ma è poi sicuro, don Camillo, che il profes- re ritornerà stamattina? Non vorrei star qui aspettarlo inutilmente.
DON CAMILLO
Ma che! Per ritornare, ritorna di sicuro! LA NÀCCIIERI Vorrei vedere che non ritornasse! — Ah, io sono stufa, sa!
DON CAMILLO
Per carità, Marianna!
LA NÀCCHERI
Stufa! stufa! stufa!
DON CAMILLO
State tranquilla, che ritornerà. — Ma non vi nascondo, caro Roghi, che mi par difficile, diffì- cile per non dire impossibile, che voglia accettare il vostro invito.
ROGHI
Neanche per un semplice consulto?
DON CAMILLO
Ma neanche...
ROGHI
A me basterebbe che me la vedesse, la mia povera bambina!
DON CAMILLO
Eh, s€ vi riesce che vi venga a vederla! — Detto e fatto, ve la opera e ve la salva!
ROGHI
Dio volesse! Verrei a prenderlo subito subito con l’automobile.
GIUDITTA
Per essere, è la carità in persona!
DON CAMILLO
Già; ma non può. Capirete, dopo il miracolo di qui...
LA NÀCCHERI
(interrompendo) È giusto qui ci voleva co- desto miracolo!
DON CAMILLO
(con un’ occhiataccia alla cognata, passando sopra all’ interruzione) Sparsa la fama, tutti vor- rebbero averlo!
ROGHI
Ma come jeri, a un bisogno, è andato a Sar- teano, così non potrebbe oggi...?
DON CAMILLO
Non può! Avrà più di venti richieste, a dir poco.
LA NÀCCHERI
E non ci mancherebbe altro che, per carità degli altri, tenesse qua noi nello scompiglio an- cora per un mese!
DON CAMILLO
Lassù a Merate ha poi la figliuola... avrà i suoi affari. Era venuto qua per un giorno solo...
LA NÀCCHERI
E ne son passati la grazia di quarantacinque!
GIUDITTA
Par che la figliuola lassiÀ non sappia ancor nulla.
ROGHI
Ah sì? Della madre qui?
DON CAMILLO
(ammiccando e accennando con la mano al- l’uscio a destra) Piano, eh! piano... S’è già le- vata di letto. — (Misteriosamente al Roghi) Ah, caro Roghi, come non siamo tutti esciti di cer- vello, io non lo so!
ROGHI
Con quel giudice, eh?
DON CAMILLO
(irritato) Ma che giudice! Ma che giudice! Non diciamo giudice, per carità!
GIUDITTA
(molle molle, afflitta) Un matto, s’ ha a dire!
DON CAMILLO
(incalzando) Da legare, s’ ha a dire!
GIUDITTA
(lamentosamente) Quel che ci fece vedere!
DON CAMILLO
(collerico, incalzando ancora) Il diavolo! Tutti 1 diavoli dell’ inferno! Non mi ci fate pensare!
LA NÀCCHERI
(che è stata a mirarli, zio e nipote) Attento veh, attento, signor Roghi, come parlano adesso tutt’ e due.
DON CAMILLO
(stordito) O come parliamo?
LA NÀCCHERI
Una, molle molle :(rifacendole il verso con voce nasina) « Quel che ci fece vedere! » E lui, là, come il rum che dà grazia alla ricotta :(rifa- cendo il verso anche a lui) « Il diavolo! Tutti i diavoli dell’ inferno! »
ROGHI
(non potendo tenersi di ridere) Avete voglia di scherzare, signora Marianna!
DON CAMILLO
Già! Come se proprio ne fosse il momento... O che non è vero che qua s’ è visto il diavolo?
LA NÀCCHERI
Ma no, eh, che non istà bene, il diavolo in casa d’ un sacerdote come voi. Il terremoto, si dice! E creda, signor Roghi, che mi sarei tanto spassata, io, a vederli ballare tutt’ e due, zio e nipote, se per causa loro non fosse toccato di ballare anche a me! L. Pirandello 3
DON CAMILLO
Se si potesse saper prima le cose!
LA NÀCCHERI
Gran merito allora, saperle dopo!
DON CAMILLO
Potevo mai supporre che il marito dovesse accorrer qui?
LA NÀCCHERI
Ma sì, che potevate, se lo chiamaste proprio voi!
DON CAMILLO
Nossignori! Nient’ affatto! Io gli scrissi a Merate per il mio ministero di sacerdote, appena ricevuta la confessione.
ROGHI
Ah, quando la signora si tirò? i-
DON CAMILLO
Precisamente. Volle confessarsi. Per morire in pace con tutti, chiese per mio mezzo al marito il perdono de’ suoi trascorsi. Ora il professore poteva rispondere alla mia lettera con un’ altra lettera. Nossignori. Per sua bontà, preferì venire ad accordar di presenza il perdono.
ROGHI
E trovò qui quell’ altro?
DON CAMILLO
Che e’ era piombato da Perugia all’ alba, po- che ore dopo che la signora s’ era ferita. Nel trambusto, in principio, non ce n’ eravamo neanche accorti.
GIUDITTA
Non sapevamo chi fosse la signora...
DON CAMILLO
Si vide hii attorno al letto, che piangeva, pian- geva, come non ho mai visto nessuno!
ROGHI
Eh, r amante!
LA NÀCCHERI
Sì, amante... Che amante! — ’Uno dei tanti. — L’ ultimo.
ROGHI
Ah, perchè la signora... Sì, dico, — andata proprio a male?
LA NÀCCHERI
Ma sì, roba... roba da guerra!
GIUDITTA
Piano, per carità!
LA NÀCCHERI
Ih che scrupoli! Non e’ è poi mica d’ aver tanti riguardi!
DON CAMILLO
Ma almeno per il professore!
LA NÀCCHERI
Sì — che vi pagherà le spese. Il fastidio, in- tanto, non ve lo paga di sicuro! Di due mesi a momenti.
DON CAMILLO
Oh che discorsi!(Poi, ipocritamente al Roghi) La signora aveva abbandonato da tredici anni il tetto coniugale, e...(abbandona la frase, socchiu- dendo gli occhi, a un indulgente gesto delle mani).
LA NÀCCHERI
(rifacendo smorfiosamente con aria compunta il gesto del cognato) E... e...(Subito, staccando) Qua, dietro l’esempio, caro lei, una voglia ab- biamo tutti, ma una voglia di farci male con la indulgenza e la sopportazione, che Dio, si spera, ne vorrà tener conto lassù, perchè quaggiià, quanto agli uomini, non si fa che rider di noi, giiel’ assicuro io!
DON CAMILLO
Ma non è vero!
LA NÀCCHERI
(staccando ancora) Oh, ce n’ è, dico, di paesi, in Valdichiana; e di pensioni qua, per la cura delle acque, dico, non c’è soltanto la mia! Ebbene: proprio qua doveva capitare codesta signora, e proprio da noi! Ma colpa sua, veli!(indica il co- gnato) Sua, e di quella lì!(indica la figlia).
GIUDITTA
Son io sempre la colpa di tutto...
LA NÀCCHERI
Se per te non fosse vangelo, sempre, tutto ciò che dice e fa tuo zio! — -E così, m’ intende, tutti i malanni, alla fine, mi si rammucchiano qui! — 21 Ah, che i Non si maturerà mai nulla qui :(canta- rellando) e’ è troppe frasche!
DON CAMILLO
La vidi arrivar di sera, in legno! giusto con Dodo. Sola, mogia mogia, con una valigina... Io ritornavo da scuola...
LA NÀCCHERI
Non e’ ero, io!
GIUDITTA
Ma noi si disse bene, mamma, che la pensione non era ancora aperta ai forestieri.
LA NÀCCHERI
E dunque, non si doveva pigliare!
DON CAMILLO
Di bujo, una signora sola... Insistette, chieden- doci posto almeno per la notte...
GIUDITTA
(scote lido in aria le mani) E la notte...
LA NÀCCHERI
Un botto, caro lei, nel silenzio della casa, che mi fece springar un palmo su dal letto!
ROGHI
Ma si tirò proprio al ventre?
DON CAMILLO
Che! Al cuore aveva mirato,.
LA NÀCCHERI
Lo suppone lui!
DON CAMILLO
Ma sì! Mano di donna.,. Premendo il gril- letto, la canna — voi capite — s’abbassò. Si ferì al ventre.
GIUDITTA
Accorremmo tutti. Poverina, sul letto...
LA NÀCCHERI
Poverina, già!
ROGHI
Eh via, in quello stato...
DON CAMILLO
Bianca come un cencio, sorrideva come a chie- derci scusa, e diceva che non era nulla... — Lei scappò per il medico(indica Giuditta).
ROGHI
Il dottor Balla?
DON CAMILLO
Sapete coni’ è!
ROGHI
Se lo so! Mi sta lasciando finir così la mia povera figliuola!
DON CAMILLO
E anche qui difatti disse che non c’era piti da far nulla; quando invece, venuto il professore, 23 si vide che a operarla in tempo non ci sarebbe stato rischio di sorta; mentre, quando poi la operò lui, il marito, dopo quattro giorni, già tutta in- fetta, capirete, agonizzante, il caso s’ era fatto di- sperato.
GIUDITTA
E quel matto lì che non voleva! non voleva!
ROGHI
Ah sì? — L’ amante? Oh bella! Non voleva che il marito la operasse?
DON CAMILLO
Che! Fece il diavolo a quattro! Se la voleva caricar su le braccia e portar via, così moribonda, per non fargliela toccare!
ROGHI
Oh bella!
DON CAMILLO
Perchè diceva che, se il marito la salvava, era perduta per lui!
GIUDITTA
Ed era più contento che morisse!
ROGHI
E il marito? o come fece a sopportarselo da- vanti, e così accanto alla moglie?
DON CAMILLO
Se la prese con me!
LA NÀCCHERI
Che gusto! 24
DON CAMILLO
Già, come se non avessi fatto di tutto, io, per farlo andar via, prima ch’ egli arrivasse. Non ci fu verso! — Tanto vero che non se ne volle an- dare, neppur quando arrivò lui, che dopo tutto, ohe, dico, era il marito! Giuditta a questo punto, si recherà di nuovo in fondo a guardare, se si scorgano le vetture di ritorno.
LA NÀCCHERI
E come gli tenne testa! Bisognava vedere!
ROGHI
Sì, eh?
DON CAMILLO
Col pretesto, capite? che in punto di morte non q’ è. piiì gelosie, e che il marito non poteva, dice, adontarsi di lui, dopo tredici anni e dopo ciò ch’ era passato. Si dovette mandarlo via con le guardie.
GIUDITTA
(dal pianerottolo della salctta in fondo, annun- ziando) Ecco, ecco, ritornano le vetture! La Nàccheri accorre come una papera.
DON CAMILLO
Oh finalmente!
GIUDITTA
(con un grido di spavento) Oh Dio! Ma è lui! Lui, di nuovo qua!
ROGHI
Chi lui?
DON CAMILLO
Il matto? Di nuovo qua?
LA NÀCCHERI
Lui! SÌ! lui! lui! — Rièccoci daccapo!
DON CAMILLO
Ma come! Che altro, ora, vorrà qua?
GIUDITTA
(ritirandosi impaurita) Vieti su di corsa! ha scavalcato il murello dell’ orto!
ROGHI
È una bella sfrontatezza!
DON CAMILLO
E di nuovo in assenza del signor professore! Se lo ritroverà qui tra i piedi!
LA NÀCCHERI
E come giulivo! Fa i gesti, oh, così... così... (agita in aria le braccia).
ROGHI
Dateci man forte per carità, caro Roghi! Non bisogna farlo entrar qua dalla signora! — An- diamo, andiamo via tutti di là!(indica la saletta d’ ingresso e s’ avvia spingendo fuori gli altri) Chiudiamo quest’ uscio! Chiudiamo quest’uscio I Richiude l’uscio a vetri, andando via col Roghi, con la Nàc- cheri e Giuditta.
Quasi contemporaneamente s’ apre l’uscio a destra e appare FULVIA GELLI, incerta, sgomenta, pallidissima, come una che sia stata or ora strappata dalle mani della morte. Ha tut- tavia negli occhi un che di fosco ; e il volto è come indurito, sassificato in una disperazione squallida e atroce. Venuta qui per morire, sprovvista di tutto, levandosi ora di letto, ha indossato — in mancanza d’ altro — il suo abito di viandante perduta, che strìde, in contrasto con quella dispe- razione del volto. Stridono ancor più i voluminosi magnifici ca- pelli in disordine, sfacciatamente ritinti d’ un color fulvo ac- ceso, che le avviluppano come in una fiamma lingueggiante il volto disperato. Non ha avuto forza d’agganciarsi il busto su! seno, che è quasi scoperto, e provoca, ma frigidamente, poiché ella ha un evidente sdegno e un vero intimo odio per la sua bella persona, come se da un pezzo non le appartenesse più e non sapesse più neppure com’ esso è, non avendo mai, se non con feroce ribrezzo, condiviso la gioja che gli altri ne han preso Muove alcuni passi per la sala, verso l’ uscio a vetri chiuso attraverso al quale giungono le voci concitate delle due donne di don Camillo e del Roghi, che cercano d’ impedire il passo a MARCO MAURI. A un tratto, però, questi, sbarazzandosi d tutti con uno strappo violento, irrompe spalancando l’uscio e s precipita su Fulvia(ch’ egli chiama Flora) abbracciandola, strin gendola a sé freneticamente. È sulla quarantina, bruno, magro con lucidi occhi sfuggenti, da matto : quasi ilari, pur nella più fiera esagitazione, ìlari e parlanti. Fronte rotonda, specchiante. Capelli da negro, crespi f gremiti, ma già in parte grigi, spar- titi nel mezzo. Sopracciglia foltissime. Parla e gestisce con quella certa teatralità ciie è pj-opria della passione esaltata : teatralità calda e sincera, ma che pure, a tratti, quasi vede sé stessa, e scatta allora per rimorso in gesti irosi, o scade, quasi in com- penso, impro\^-isamente, in toni confidenziali, che fanno, per contrasto e cosi senza trapasso, un curiosissimo effetto. Fulvia tenta dapprima di respingere, quasi odiosamente, l’ab- braccio ; ma poi, investita, soffocata da quella frenesia, nello smarrimento della debolezza che il male recente le ha lasciato, vien meno e s’abbandona come morta tra le braccia di lui.
MAURI
(liberandosi e spahììcando V uscio) Via tutti, vi dico!(precipitandosi su Fulvia e abbraccian- dola e. s.) Flora! Flora mia! Flora! Flora! — Libero! Sono libero! Ritorno a te, liberato! — Mi son liberato di tutto e di tutti!(Notando che ella gli s’ abbandona tra le braccia, riversa) Flora mia! A questo grido, don CAMILLO, il ROGHL la NACCHERI e GIUDITTA, che sono entrati nella sala dietro il Mauri e, sopraffatti dalla violenza, son rimasti sgomenti e sospesi a mirare il frenetico abbraccio, accorrono premurosi e minacciosi gridando insieme.
ROGHI
Ma non vede, perdio, che non si regge 1
DON CAMILLO
Che violenze son codeste?
GIUDITTA
È svenuta! è svenuta!
MAURI
Svenuta? No! no! — Flora!
DON CAMILLO
(aggressivo) La lasci! via! — La lasci, e vada via subito di qua!
MAURI
(senza dargli ascolto, sorreggendo Fulvia) Flora mia... Flora... Flora...
DON CAMILLO
(alle donne) Ma levategliela dalle mani! Giuditta e la Nàccheri si fanno avanti.
GIUDITTA
Dia qua... dia qua...
MAURI
(gridando minaccioso) Non me la tocchi nes- suno!
DON CAMILLO
Non appartiene mica a lei!
MAURI
Appartiene a me! a me!
DON CAMILLO
Ah, nossignori! — C’è qua il marito!
MAURI
E venga! — Dov’ è? — Me la strappi dalle braccia, se è buono!
ROGHI
(vedendo Fulvia tra le braccia di lui, così ab- bandonata, che quasi sta per cadere) Ma la adagi almeno qua, per ora, in nome di Dio!(indica il canapè).
GIUDITTA
(accorrendo e ajutandolo a sorregger Fulvia) Qua, venga qua — qua : l’ajuto io!
MAURI
(trasportando Fulvia sul canapè) Non è nien- te, vi dico! Ora rinviene!
GIUDITTA
Vado a prendere i sali!(corre via per V uscio a sinistra; rientrerà poco dopo).
LA NÀCCHERI
(al cognato) Ma che siete voi qua? Siete o no il padrone?
ROGHI
(a don Camillo) Questa infine è casa vostra!
MAURI
(subito rizzandosi con gli ocelli spiritati, grida sillabando) Nossignori : — Al-ber-go!
DON CAMILLO
(investendolo) Che? dove? quando? Chi glie- r ha detto, albergo? dove sta scritto?
MAURI
Sulla porta, giù: — Pensione Zonchi!
DON CAMILLO
Sissignore — ma d’ estate! ■ — Ora non è sta- gione, capisce? ed è casa mia soltanto ; e vi ri- , cevo chi mi pare e piace!
MAURI
(gridando) Non strillate così!
DON CAMILLO
(restando, quasi sbalordito) Ah senti : stril- lo io!
MAURI
Tanto è inutile : non me ne vado!
DON CAMILLO
Lei andrà via, andrà via, perchè...
LA NACCHERI
(intromettendosi e terminando la frase) Que- sta non è casa vostra!
DON CAMILLO
(seguitando) E non ha più nulla a far qui! In- teso? Il Mauri, per tutta risposta, poiché Giuditta ritorna coi sali, si china su Fulvia per farglieli odorare.
MAURI
(a Giuditta) — Dia qua! dia qua!
DON CAMILLO
(al Roghi, indicandoglielo) — Là — vedete come intende lui?
MAURI
(chino su Fulvia) Flora mia, son qua io... — vSu, via... Sei salva, guarita... E io, libero — libero, sai? E ora ti porto via con me!
DON CAMILLO
(rifacendosi avanti, risoluto) Ah no, sa! Per questo, può star sicuro : — lei non porta via nes- suno!
MAURI
Me r impedirete voi?
ROGHI
(facendosi avanti anche lui) Potrei, a un bi- sogno, impedirglielo anch’io!
DON CAMILLO
Ma no: c’è il marito, caro Roghi, che sarà qui a momenti.
MAURI
E io son venuto per parlare con lui!
DON CAMILLO
Vi farà cacciar di nuovo!
MAURI
Vorrò vederlo! — Non s’ era mica uccisa per lui, questa donna! — Per me, per me s’ era uc- cisa!... E io, per lei — io7"Marco Mauri — ho abbandonato il mio posto, la mia famigha, mia moglie, i miei figli! (Guardando tutti in giro; poi rivolto al Rogìn) \^eda un po’ se è possibile, che qualcuno ora mi stacchi da lei!
DON CAMILLO
(vedendo che Fulvia, sorretta da Giuditta, co- mincia a riaversi e guarda come smarrita) Ma sarà lei... ecco, ora... sarà lei stessa, la signora!
MAURI
(subito voltandosi’ e accorrendo a lei) Tu, Flora? Mi scaccerai anche tu? Fulvia leva una mano per tenerlo discosto e si volta verso don Camillo, ancora stordita, ma già fosca.
DON CAMILLO
Io la prego di credere, signora, che è entrato a forza, approfittando dell’ assenza del signor pro- fessore!
FULVIA
(alzandosi) Che volete ancora da me — voi?
DON CAMILLO
Ecco! Come gli ho detto io!
MAURI
(quasi trasecolato) Flora!... Oh Dio... Mi dai del voi?
FULVIA
(seccata, scrollandosi) Ma se vi conosco ap- pena!
DON CAMILLO
E toi l’avete ingannata, codesta signora: — Io lo so! «k
MAURI
(violentissimo) Statevi zitto, voi!
DON CAMILLO
Ingannata! ingannata! me l’ha detto lei!
MAURI
(a Fulvia) Come! Tu mi conosci appena? Me, Flora? me, che t’ ho dato tutta la mia vita?
FULVIA
(con nausea) Ma finite una buona volta di par- lare così!
MAURI
(e. s. smorendo) Oh Dio... Come parlo? — Ma tu piuttosto, Flora...
FULVIA
Io non mi chiamo Flora.
MAURI
Fulvia, sì, Fulvia, lo so! Ma se volesti tu stessa, che ti chiamassi Flora...
FULVIA
(con crudezza sdegnosa) E volete dire anche come fu, davanti a codesti signori?
MAURI
(ferito) No! — Io? — Ah! — Ma allora vera- mente tu mi disprezzi?
FULVIA
(rimettendosi a sedere, tutta assorta in se, cupa, mormora, seccata) Non disprezzo nessu- no, io.
MAURI
(insistendo) — Perchè t’ ingannai?
FULVIA
Ma no, vi dico! (esasperatamente).
MAURI
(rivolgendosi a’ don Camillo) Me lo rinfac- ciate? Ma se lo gridai io stesso a tutti, qua, che avevo dentro di me lo strazio d’ un doppio ri- morso! Anche davanti a tuo marito lo gridai! — Testimoni tutti qua! — Dite, dite se non gli gridai ch’ era un impostore!... Impostore, sì, im- postore! Perchè era « venuto a perdonare »! Lui : L. Pirandello 3 a perdonare! Quando avrebbe dovuto invece but- tarsi in ginocchio, qua, davanti a te, e farsi lui perdonare — come me! come me! — qua, così, ecco! (Le casca davanti in ginocchio e grida) Per- chè tutti r abbiamo ingannata, questa donna!
FULVIA
(si leva da sedere senza scatto e dice piano, frigidamente, con disperata stanchezza) Dio mio, ancora codesto teatro... Che nausea!
MAURI
(come se si vedesse con gli occhi di lei; lì in ginocchio, ma tuttavia non riuscendo a rialzarsi) Ah sì! nausea, sì! Hai ragione. Mi vedo; me n’ac- corgo io stesso! (Si copre la faccia con le mani, e dice piangendo) Ma non sono io; è la mia passione. Flora! Non grido io : grida lei! Faccio nausea a me stesso, a sentirmi gridare così : ma non posso farne a meno! Non vorrei gridare, e grido! (Si alza infine risolutamente, come se d’im- provviso, a forza, si riprendesse) .Soxio venuto qua però per dimostrarti, che non t’ ho mentito, io, sai? La verità ti dissi : quella ch’ era la verità per me; perchè non ho avuto mai nessuno io nella vita, veramente per me; — tranne te, per pochi giorni! — Venti — quanti sono stati? — non più di venti, in tutta una vita!
FULVIA
.Sì, va bene. Venti. Sono finiti. E dunque, basta.
MAURI
No! Come basta? No! — Adesso, Flora? Adesso che è finito invece l’ inganno?
FULVIA
Ma che inganno? di che inganno mi parlate?
MAURI
Del mìo! di quello che ti feci! — È finito! fi- nito! — Mi sono liberato! sono libero ora!
FULVIA
(fissandolo fosca, come se cominci a prestarle attenzione solo ora, per qualche idea che già le si matura dentro) Di che siete libero?
MAURI
Di disporre di me! Ho lasciato tutto! Il posto. Mi son dimesso. E mia moglie, sai? lei stessa, mi ha aperto la porta : — « Vattene! » — Feli- cissima.
LA NÀCCHERI
Oh guarda!
MAURI
(voltandosi a lei, pronto) Non mi ha mai amato! Non ha mai saputo che farsi di me! Vive per conto suo; ricca, con case e poderi. — Solo per uri malvagio istinto andò a scovar lei(indica Fulvia) là, a Perugia — e le disse —(si volta verso Fulvia, che si è di nuovo seduta, ma come assente, ancora assorta in se) che ti disse? che ti disse? — Io ancora non lo so!(E poiché Fulvia non risponde seguita rivolto agli altri) Forse lei, capite? lusingandosi di ridar la pace a una famiglia, se ne venne qua per levarsi di mezzo. (Riaccostandosi a Fulvia, allegro, e lanciandosi a dire una cosa, che a un certo punto non gli par più facile a dire; tuttavia la dice, facendosi co36 raggio, con una sfrontatessa, che un po’ fa pena, un po’ fa ridere) Ma ora l’inganno è finito! Fi- gurati che... ma sì, non ho vergogna a dirlo... — lei stessa, con le sue mani, mi... mi diede.... sì, un po’ di denaro, per farmene andar via.
FULVIA
(levando il capo, subito, per impedire che altri ne faccia le meraviglie) E poi?
MAURI
(stordito dalla domanda inopinata) E poi? Che vuoi dire?
FULVIA
Che farete poi?
MAURI
Che farò? — Oh! — Che farò poi? — Ma se ho te, ho tutto! Farò di tutto! Mi metterò a dar concerti... Posso — non nelle grandi città, s’in- tende. ’ ’^■’
FULVIA
(freddamente e stranamente, aliandosi) Mi fa- rete il piacere di dire a lui tutto questo, appena sarà di ritorno.
MAURI
(con gioja impetuosa, mentre gli altri restano come basiti) Io? a lui? Sì? Vuoi che gH dica questo?
FULVIA
(per troncare, più che mai fredda, rivolgen- dosi a don Camillo) Dovrebbe già esser qui...
DON CAMILLO
Già... io non so... questo ritardo...
MAURI
E allegramente, sai? allegramente glielo dirò... Eh, ora che tu... Sono felice!
FULVIA
(infastidita) Vi prego... vi prego...
MAURI
Ma non sono stato mai io. Flora! Tu, invece — devi convenirne : sei stata tu a voler prender la cosa così sul serio! Fare quello che hai fatto, scusai... Ma sì, via! — Per quel vecchio cam- mello là!
ROGHI
(non potendo tenersi dal ridere) Ah senti!
LA NÀCCHERI
(contemporaneamente , gargarizzando) Ah! ah! ah! ah! La moglie? cammello?
DON CAMILLO
(contemporaneamente anche lui) Ma non ve Io dico, che è matto? MAURI ^ (con perfetta serietà) Un vecchio cammello, vi assicuro, signori. — Nove anni più di me. — Zotica! Contadina... Lei l’ha veduta!(indica Flora) — La sposai perchè aveva un pianoforte. 38
LA NACCHERI
(c. s. più forte, irrefrenabilmente) Ah! ah! ah! ah! Il riso si comunica per contagio al Roghi e a Giuditta.
MAURI
(c. s. irritato un po’) — Scusi, signora, se le dico che in questo, veramente, non e’ è niente da ridere.
ROGHI
Xridendo ancora) Ma come no, abbiate pa- zienza!
MAURI
Perchè non capite che cosa vogHa dire capitare a venticinque anni, pieno di sogni in un paesucolo più piccolo, più brutto — scusate — di questo vostro, e marcirvi quattro, cinque, dieci eterni anni, pretore!
ROGHI
(a don Camillo) Ah, ecco dunque, è giudi€e davvero!
DON CAMILLO
(con forza convinta) È matto!
- MAURI
(subito, serio) Mi sono dimesso. — Una vita che non si può figurare! come nessuno di voi, che vi marcite dentro qua, può conoscere! — Neanche tu, sai. Flora; che pure hai conosciuti tutti gli orrori della vita! Ma, Dio mio, sono orrori almeno! — Non una vita fatta di niente. — Niente! — Om- bra. — Silenzio d’ un tempo che non passa mai. — Neanche acqua da bere. — Acqua di cisterna, ama- ra, renosiccia... — Ma non sarebbe nulla! È quel silenzio! quel silenzio! Figuratevi che vi si sente anche un soffio di vento, quando scuote la fune della cisterna giù in piazza, e la carrucola che ne stride; mentre voi, dentro... — Ah! Un piano di. vecchio tavolino, unto, polveroso, ingombro di carte giudiziarie — e una mosca che vi scorre a tratti, sopra. E tutta la vita lì, in quella mosca che voi state a guardare per ore e ore. — Ebbene, immaginate di sentire un giorno, in quel silenzio, il suono d’ un pianoforte : l’unico del paese. Vi corsi incontro come un assetato! E sissignori, sposai quella donna più vecchia di me, che mi parve bellissima e intelligentissima, solo perchè aveva quel pianoforte. — Perchè musica, musica io ho studiato, capite? non ho mai studiato legge io. — Sono un musicista, io! — E quella — dacché la sposai — m’ ha chiamato sempre pretore. Sì, sì, e anche i figli! — Quattro — cresciuti con lei in campagna — a-nal-fa-be-ti. — Anch’ essi, an- ch’ essi — non mi chiamano mica papà! pre- tore mi chiamano! anzi : — P r e t o’! , come la madre. — È in casa il P re t o’? — No, è a 11 a p r e t u r a, i 1 P r e t o’! Scoppiano a ridere tutti, tranne Fulvia.
ROGHI
(tra le riso) Oh bella! oh bella!
MAURI
Ridete, sì, ridete! Vog’lio riderne anch’io, ora! — Me ne sono liberato, vivaddio! — D’amo40 re e d’ accordo — sì! Con qualche carezza, anche. ■ — ET avrei strozzata, v’ assicuro!
DON CAMILLO
(vedendo apparire dalla porticina dell’ orto, in fondo, Silvio Celli, che viene avanti tra quelle lisa, costernato) Oh, Dio sia lodato, ecco qua finalmente il signor professore! Alto di statura, SILVIO GELLI, di circa cinquant’ anni, ossuto, poderoso, porta occhiali a staffa, cerchiati d’oro. Non ha barba nè baffi. Quasi calva la sommità del capo; ma lunghe ciocche di capelli biondastri, scoloriti, gli scendono scompostamente su la fronte e su le tempie. Egli se le rialza di tanto in tanto, e si tiene allora, per un tratto, le mani sul capo, come, per un gesto di meditazione, che gli è abituale. Ha l’aria tra stordita e aggrondata d’ un uomo che attraversi una grave crisi di coscienza. Ma vuol dissimularla. Per cui, spesso, resta quasi ottusamente inerte, con un sorriso freddo e vano, rassegato sulle labbra : espressione involontaria d’ un che di beffardo, che è nella sua natura, e che quasi affiora a sua insaputa da antiche, maligne passioni, non ancora spente in lui, sebbene già da un pezzo do- mate. A urtarlo un po’ in queste pause di ottusa inerzia, che sono in lui come ambigui arresti di difesa morale, egli s’ intorbida : quel sorriso vano gli si scompone in una contratta smorfia di dolore, come se gli bisognasse che il dolore gli diventasse anche fisico, per poterlo sentire. Da queste contrazioni la sua fisonomia riassomma poi ricomposta, o meglio, quasi impostata in una grave e stanca aria di probità, che vorrebbe apparire da gran tempo serena, come lontanissima ormai da quelle passioni che pure or ora, in tempestoso fermento, lo hanno travagliato. Al suo entrare Fulvia si rizza in piedi felinamente, con lo stesso animo che, tredici anni addietro, la condusse alla perdi- zione. È per lei, questo, il momento d’ una prova suprema. E in tutto il suo aspetto sarà dunque la risoluzione ferma d’ affrontar questa prova, già meditata e preparata oscuramente nella scena antecedente, a costo di qualunque crudezza, mettendo a nudo come un vivo lacerto la sua coscienza e quella di lui, con la più brutale sincerità, avvalendosi anche della presenza di quel suo pazzo amante.
SILVIO
(notando la presenta del Mauri, ìlare tra la ilarità degli altri, e V aria di sfida della moglie) Ah, di nuovo qua?
MAURI
(irrompente) — Sissignore. E son venuto per...
FULVIA
(pronta, troncando, hnperiosa) Lasciate parlar me!(Al marito, recisamente) Qua di nuovo, sì. — Prega tutti questi signori di lasciarci soli.
DON CAMILLO
Oh, subito, signora. Soltanto tengo a dichia- rare al signor professore...
FULVIA
(interrompendo di nuovo, per troncare) Che questo signore è entrato a forza. — Va bvene I
MAURI
(a don Camillo, accennando a Fulvia) Ma se siamo già d’ accordo!
LA NÀCCHERI
(al cognato) Se son d’accordo! Che storie!
SILVIO
(a Fulvia) L’ hai forse chiamato tu?
FULVIA
Non r ho chiamato io. — Dobbiamo parlar di questo.
SILVIO
Sento che c’è un accordo...
FULVIA
Nessun accordo. Non è vero!
MAURI
Io son venuto da me.
FULVIA
(c. s.) Aspettate a parlare!
DON CAMILLO
E su, su, andiamo noi, andiamo via!(invi- ’ tando coi gesto a uscire il Roghi, Giuditta, e la Nàccheri).
LA NÀCCHERI
(rivoltando gli si) Ecco, ecco... Ma diciamo anche noi, a nostra volta, al signore e alla si- gnora, che noi qua...
DON CAMILLO
(sulle spine) Ma no, via, Marianna, che dite?
LA NÀCCHERI
Dico che siamo alla fine d’aprile, ohe! e che col maggio, voi sapete bene, cominciano a venire i forestieri per la cura delle acque.
SILVIO
Conto, per me, di ripartire prestissimo, si- gnora.
LA NÀCCHERI
La prescriverà, m’ immagino, anche lei ai suoi ammalati, signor professore! Ora, noi, qua, dob43 biamo ancora rimettere in ordine la pensione, ecco!
DON CAMILLO
Ma non vorrei che il signor professore cre- desse...
SILVIO
Lei sa bene che ho ragioni impellenti d’andar via al più presto.
ROGHI
Ma se non dovesse oggi, signor professore — ecco, io vorrei...
SILVIO
(accennando alla moglie) Vi prego...
ROGHI
Sì, sì, attenda, attenda con comodo, signor professore! Io posso aspettare... aspetterò, ri- tornerò...
DON CAMILLO
Ritiriamoci, ritiriamoci adesso... spinge fuori il Roghi, la Nàccheri, Giuditta ed esce per ultimo, inchinandosi e richiudendo l’uscio a vetri. • FULVIA (subito, nervosamente) Ecco. Silvio. Questo signore, che conosco appena...
MAURI
(ferito, protestando) Ma no. Flora!
FULVIA
Vi ho detto di lasciare parlar me!
MAURI
Ma se gli dici così, scusa!
FULVIA
Che volete che significhi, per una come me, conoscere uno da poco o da molto?(Voltandosi verso il marito) « Flora » hai sentito? — Mi chiama Flora!
MAURI
(Ì7i tono di rimprovero) Fulvia!
FULVIA
(precipitosamente) No, no, Flora, Flora — sono Flora. —(Di nuovo al marito) Mi si chiama subito per nome, e mi si dà del tu.
SILVIO
A me premerebbe ora di sapere, come e perchè — dopo quanto è avvenuto — si trovi qua di nuovo codesto signore.
FULVIA
Ecco, sì. — Questo signore, Silvio, crede sin- ceramente ch’ io abbia voluto uccidermi per lui. E non è vero!
MAURI
Ah, non è vero?
FULVIA
Non è vero. L’ho fatto per me. Ditegli come e dove m’ avete conosciuta. Basterà per farglielo comprendere.
SILVIO
Ma io non voglio saperlo!
FULVIA
Ero arrestata.
MAURI
(subito protestando) No! Che arrestata! Che dici!
FULVIA
Con un mandato di comparizione, sì. Compli- cata in. un volgarissimo delitto.
MAURI
(e. s.) Ma che! Non creda! Prosciolta in Ca- mera di Consiglio!
SILVIO
Vi dico che non vogHo saperlo!
MAURI
(seguitando con foga) Venuta soltanto per de- porre. Lo so io! Fu a Perugia, guardi, un mese appena dopo il mio trasferimento colà. C era io nella sala del giudice istruttore, mio collega. Fu nel processo per l’assassinio d’un tal Gamba.
FULVIA
Con cui ero andata a Perugia.
MAURI
Sì, un pittore...
FULVIA
Ma che pittore! Un miserabile applicatore mo- saicista della fabbrica di Murano.
MAURI
Già... venuto per restaurare non so che mo- saico...
FULVIA
Un mascalzone che s’ ubriacava tutti i giorni.
MAURI
E la picchiava! la picchiava!
FULVIA
Fu trovato morto, una notte, sulla strada, con la testa spaccata. Silvio Celli si rialza i capelli sul capo e vi trattiene le mani.
MAURI
(scattando al gesto di Silvio Gcìli) Orrore, eh? « Fin dov’ era caduta! » eh? — Ma mi faccia il piacere! lasci andare!
FULVIA
(subito, forte) Non declamate, al vostro solito!
MAURI
(sensa darle retta, seguitando, ma in tono più basso, rivolto a Silvio) Lei m’ insegna che tutto sta nel togliersi d’ addosso, una prima volta, sotto gli occhi di tutti, r abito, che ci ha imposto la so- cietà. Si provi, lei che sorride...
SILVIO
Ma io non sorrido.
MAURI
Ha sorriso! — Si provi, si provi a rubare una volta cinque lire e faccia che venga scoperto nel- r atto di rubare. Me ne saprà dire qualche cosa! — Ma lei non ruba... Grazie! — E questa di- sgraziata avrebbe fatto quello che fece, se lei, suo marito...
FULVIA
(troncando, fierìssima) Basta! Vi proibisco di seguitare!
SILVIO
(piano, calmo) Io sono venuto qua...
MAURI
Per perdonare, Io sappiamo!
SILVIO
(pronto, fermo, grave) No! — Per ricono- scere il danno degli antichi miei torti verso questa donna. Non m’ aspettavo però che altri qua, oltre lei, potesse arrogarsi di rinfacciarmeli.
MAURI
(subito, a sfida) E riparare?
FULVIA
(e. s.) Aspettate! Non sapete ciò che vi dite!
MAURI
No. io dico riparare, Flora! E lo dico davanti a lui! Perchè ho anch’ io il mio torto verso di te. Tu mi hai perdonato, ma io sono qua per riparai-e, per riparare!
FULVIA
(col piglio di chi non vuol discutere) Dun- que — sta bene — ecco — io ti volevo dir questo, Silvio: — che egli è pronto...
MAURI
(insìstendo, pigiando, sfidando) A riparare, sì, a riparare!
FULVIA
(esasperatamente, sdegnata, gridando) Ma non dite a riparare — fate ridere — se io non vi ri- conosco il torto, di cui volete accusarvi! — Oh quest’ è bella! — Avete mentito con me — come tanti... Che volete che me n’importi? (Rivolgen- dosi di scatto al marito) Senti forse anche tu qualche dovere verso me per avermi salvata? — No, niente, caro! Grazie!
SILVIO
(stordito) Come! Io...
FULVIA
(subito incalzando, ma col tono di chi vuol ra- gionare) Sei forse venuto qua come medico, per operarmi?
SILVIO
No.
FULVIA
(c. s.) Ma anche operandomi —(cosa che nes- suno però ti chiese di fare).
MAURI
Io m’ opposi! io m’ opposi!
FULVIA
(e. s. scasa badare al Mauri) Io, per me certo, non te lo chiesi — ■ è vero?
SILVIO
(impacciato, come sopraffatto, non sapendo a che cosa tenda quelV interrogatorio) No... — io lo feci...
FULVIA
(subito, venendogli in ajuto, con uno strano lustro negli occhi) Quasi irresistibilmente, è Vero?
SILVIO
Vendendoti in quello stato...
FULVIA
E dunque! — Ero come morta. Fu un mira- colo anche per te! — Se sapessi come credo ades- so ai miracoli!
SILVIO
Che vuoi, insomma, concludere?
FULVIA
Niente. Questo. Che non devi credere neanche tu d’ aver adesso verso di me qualche dovere per L. Pirandello 4 50 avermi così... diciamo « restituito alla vita ». — Nessun dovere, nessun dovere. Non ne accetto! — Né da te, nè da altri. Né doveri, nè ripara- zioni.
SILVIO
E che intendi di fare allora?
MAURI
Se ne viene con me!
FULVIA
Sono qua. Vedete voi... Giacché mi trovo tra un dovere che riconosco insussistente, e un ri- morso che dichiaro immaginario...
SILVIO
Tu sei sempre la stessa!
FULVIA
Ah, questo sì, vedi? questo sì, mi fa veramente piacere! Che i miei capelli tinti, questa mia faccia d’ ora, non ti .impediscano di vedermi ancora, di fronte a te, quella di prima!
SILVIO
Ma ti vedo adesso, così — in questo momento! Non ti ho veduta così in tutti questi giorni!
MAURI
Ci sono io, ora, qua!
FULVIA
(subito, voltandosi a lui) Voi non ci siete per nulla! Vi ho detto di non parlare!(Rivolgendosi di nuovo al marito) MA hai veduta come un tempo? Perciò sei stato tutto... non so, come so- speso...
SILVIO
Io? •
FULVIA
Sì, turbato, incerto... pentito dentro di te — ne sono sicura!
SILVIO
No, di che?
FULVIA
Ma d’ aver fatto qua, inconsultamente, più di quanto t’ eri proposto!
SILVIO
No! non è vero! — Non per questo!
FULVIA
Ma sul serio ti credi molto cambiato tu?
SILVIO
Potresti giudicarne dal fatto che mi trovo qua.
FULVIA
Ah, ma non t’ aspettavi questo, venendo qua!
SILVIO
No — ah, questo no! questo no davvero! Non sarei venuto!
FULVIA
(pronta, con disprezzo) E dunque puoi andar- tene!
SILVIO
(contenendosi) Io dico, che tu debba tenermi qua, ora, così, (accenna al Mauri).
MAURI
Mai so tutto io, sa! Di lei — so tutto!
SILVIO
Che sapete? Ciò che vi avrà detto lei, saprete! Dei miei torti. Non di ciò che ho sofferto per essi.
FULVIA
Molto hai sofferto?
SILVIO
Molto — se mi ha condotto qua. Non m’ ob- bUgherai a dirlo davanti a un estraneo.
FULVIA
Ah no, caro, fuori! fuori! — Perchè questo estraneo, caro, è qua, — non tanto per me — quanto per te.
MAURI
E io non sono un estraneo per lei! (indica Fulvia). SILVIO ’ (rispondendo a Fulvia) — Per me? Che vuol dire?
FULVIA
Oh! d’un gran professore come sei ora, non s’ immagina certo! Quasi ho soggezione io stessa, a dirlo. Ma se sono qua — e così — con questo accanto, o con un altro — via, tu sai bene che è per te — per te, com’ eri prima! — Che vuoi? posso ricordarmi soltanto d’allora, io! Di quando giocavi con me, che avevo appena diciott’ anni, come un gatto col topolino — per il gusto di ve- dere dove sarei arrivata. — Ecco qua, dove sono arrivata. — E tu hai molto sofferto! — Sarei cu- riosa di saper come.
SILVIO
Te r ho detto, come.
FULVIA
No: scusa: m’ hai detto anzi, che non ti riesce di soffrire.
SILVIO
Che non sento — t’ ho detto, — di toccare la mia sofferenza: in me, in te... Questo t’ho detto!
FULVIA
Ah già! Il vuoto, sì.
SILVIO
Tu non puoi comprendere. E certe cose non si spiegano.
FULVIA
Non avevi nessuno con te?(allude, con que- sto, alla figlia, e s’ infosca più che mai).
SILVIO
Mi vedevo inetto...
FULVIA
Indegno, no?
SILVIO
Anche indegno. Perchè ho riconosciuto, che tu eri andata via per causa mia. E perciò appunto non m’ è riuscito mai di cohnarlo, questo vuoto.
FULVIA
(con sprezzo) Ma dunque dici che hai sofferto per me I
SILVIO
No. Non come tu credi. Neanche in questo momento. No! Per la vita, che è così...
MAURI
Ah, questo è vero! Ha ragione! Anch’io, sa!
SILVIO
(senza badargli) Tu qua t’ uccidi... un altro là impazzisce... chi crede di ragionare, e non con- clude nulla...
MAURI
(quasi tra se) La vita è brutale! Se lo so!
SILVIO
(c. s.) Vengo qua, dico: « Muore; vuol an- darsene in pace; va’, va’ accorri...» — E il mio sentimento s’ infrange qua contro una realtà che non potevo immaginare.
FULVIA
Che vuoi fare ora?
SILVIO
M’ hai aggredito, appena entrato — con co- desto signore. Non vuoi doveri, non vuoi ripara- zioni. — Non so... Ti vedo decisa — non so a che cosa...
FULVIA
(con voce improvvisa, come per una subitanea scoperta) Tu non sai, caro mio, quanta malizia hai ancora nello sguardo, quando — senza vo- lerlo — guardi di sottecchi.
SILVIO
(stordito) Io?
FULVIA
Tu, tu, sì.
SILVIO
Malizia?
FULVIA
Malizia, malizia. Me ne sono accorta così bene! ora, sì — or ora — come ti sei voltato a guardare così(imita il modo).
SILVIO
Fastidio, forse — o stanchezza.
FULVIA
No. Malizia, malizia. Quella di prima! Devi darti per forza, anche adesso, un’ aria di fronte a me. Questa, o un’ altra. — Tutti gli uomini ve la date! Ma dimenticate come le donne vi hanno veduto, quando non ve la date più, in certi momenti. Mi spiego? E perciò le donne ri- dono sotto il naso, poi, nel veder le arie degli uo- mini. — O ne provano dispetto o disgusto. — Ma questo ora non importa.
SILVIO
Tieni a liberarmi d’ ogni dovere, per mettere a prova davvero, se sono o non sono cambiato?
FULVIA
No no — non per questo! Ma ecco — vedi la tua malizia? ’ SILVIO No, Fulvia — credi! È soltanto perchè una prova su questo non potrei dartela!
FULVIA
E io non la vogHo! — Non capisci che non voglio da te nessun obbligo d ’ ora? Io sono ora... quella che sono. Non voglio approfittarmi della tua venuta, vincolandoti per la vita che m’hai .ridata. Di questa mia vita d’ ora, di quel che sono ora, di tutto ciò che può accadermi ora, non m’importa più nulla — proprio nulla! E tu sa- resti uno sciocco, se te ne facessi qualche scru- polo. Sei accorso qua, perchè credesti che non potessi sopravvivere. Peggio per me, se non sono morta!
MAURI
(con forza) Ma ci sono qua io. Flora!
FULVIA
(subito con leggerezza sprezzante, mostran- dolo al marito) Ecco — vedi? — e’ è lui. — Vo- levo dirti questo!
MAURI
(e. s.) Io : io — tutto per te!
FULVIA
(quasi atterrita) Per carità, non parlate d’ a- more! — (Al marito) Disposto, pronto a ripren- dermi con sé.
MAURI
Con me! Per sempre!
FULVIA
Bravo, caro! Come dicono i fidanzati.
MAURI
(con forza) No! — • Come posso dirtelo sol- tanto io!
FULVIA
(spiegando, come sopra al marito) Ha la- sciato per me moglie e figliuoli. — Anche il posto, non è vero?
MAURI
Tutto!
FULVIA
E m’ offrirà una bellissima posizione! — Darà concerti in provincia! Peccato che la voce, con questa mia vitaccia, mi si sia arrochita! Ci metteremmo insieme : lui sonerebbe e io canterei! (scoppia a ridere stridulamente).
MAURI
(ferito) Tu dunque ridi di me?
FULVIA
(subito) No, no: credo, credo nella vostra bravura di pianista.
SILVIO
(sdegnato) Tutto questo, via, non è serio!
FULVIA
E ti fa molta impressione? — A me, nessuna. — Vi prego, insomma, di non darvi pensiero di me, nessuno dei due. Quante volte devo dirlo? — Stabiliamo così alla buona. — Ho vissuto per anni, caro mio, giorno per giorno. Mi sono mancate le cose più necessarie; e il domani senza certezza non mi spaventa piìi. Può passarsi, il destino, tutti i suoi capricci, con me. — Son cosa sua(S’accosta al marito e lo guarda con mio strano, orribile ammiccamento di donna perduta). — Anche quei tuoi, sai?
SILVIO
(smorcndo) Che, miei?
FULVIA
(ridendo, ma con un misto di’ pianto, in una convulsione che diverrà man mano più forte, quanto più, per vincerla, ella si strazierà, dicendo di se le cose più crude) Mah! quelli che ti pas- sasti, quand’ ero come una bambina, e m’ inse- gnavi cose che mi parevano orribili!
SILVIO
(per richiamarla a sé) Fulvia!
FULVIA
Mi sono divenuti familiari.
SILVIO
(e. s.) Fulvia! Fulvia!
FULVIA
Oh, sai, famosa!
SILVIO
Tu hai la voluttà di dilaniarti!
FULVIA
Con le tue mani, sì. — Le ho, fatte sapere anche a lui, sai? Perciò egli spasima così di me! (Subito — staccando — al colmo dell’ orgasmo — grida tre volte) Che schifo! Che schifo! Che schifo!(Segue come un nitrito, e in un brivido lungo di ribresso, restringendosi tutta in se con le mani afferrate ai capelli e il volto nascosto dalle braccia aggiunge) Ah Dio, che schifo! Subito, Silvio e Mauri le si fanno accosto, premurosi e scon- volti, e mentre l’orgasmo di lei par che si scarichi in un tremore convulso, di freddo, le parlano insieme concitatamente.
SILVIO
Non è possibile seguitare così!
MAURI
(supplice) Ma come, Flora! Se ti ho tenuta come una santa! come una santa! 60
FULVIA
(air ifnprovviso, rizzandosi ancora convulsa, mn di nuovo risoluta, e ponendo le mani sulle spalle del Mauri) Sì, è vero, sì! — Voi, sì! (subito correggendosi, spiccatamente) Tu, sì! — Ma fam- mi il piacere : — ’■ zitto!
MAURI
(felice, provandosi a prenderle una mano per baciargliela) Oh Flora! Grazie!
FULVIA
(ritraendo subito la mano, con ribrezzo) No... no... no...
MAURI
Mi basterà che tu abbia così... pena... pena soltanto... codesta pena che hai, del mio amore, e niente più — niente! — È così dolce, che mi basterà.
FULVIA
(in fretta) Sì, va bene. (Poi, rivolgendosi al marito) Dunque, sarà così, — Vado con lui. — Puoi ripartirtene, caro, con la coscienza tranquilla d’aver compiuto una buona azione.
SILVIO
(la guarda con occhi pieni d’ una sofferenza atroce, poi contenendosi a stento, dice grave- mente) Io ti prego, Fulvia, di levarmi da questa situazione.
FULVIA
Ti dico sinceramente. Che tu sii venuto, — è una buona azione. Dell’ altra che hai compiiito, quasi senza volerlo, e che non era certo nella tua intenzione, venendo — se si riduce per me a un cattivo servizio — in coscienza ti dico che non posso nè voglio fartene responsabile — dunque puoi proprio ripartirtene in pace con te stesso. — O al più, guarda — se proprio lo vuoi —(non ho più nulla del mio!) — vedi? e sono una donna veramente volgare — puoi darmi un po’ di denaro — come a lui l’ha dato sua moglie! (scoppia a ridere indicando il Mauri).
MAURI
(scattando) No! — niente danaro! no! Non accettar danaro da lui. Flora!
FULVIA
Stupido! Non capisci che non è per noi? Dico per lui! Quanto più ne dà, per lui, meglio è. — Si vede così chiaro che(pigiando con intendone le parole) — non ostante ch’ io faccia di tutto — gli persiste un certo rimorso. — Gli propongo, di liquidarlo in contanti.
SILVIO
(non potendone più, con estrema risolutezza) Basta così. Fulvia! — Io debbo parlarti!
FULVIA
(con furore appena contenuto e aria di mi- naccia) Ah, no, sai! Non arrischiarti ora a par- larmi di ciò che ti leggo negli occhi!
MAURI
(tra se, sogghignando) Della figlia!... della figlia!
SILVIO
Debbo pure parlartene!
FULVIA
Guai a te, se lo fai! Ma non vedi che sto qui da un’ ora a imbrattarmi di fango per impedirti di parlarne?
SILVIO
Non vuoi dunque che te ne parli?
FULVIA
No!
SILVIO
Mi provochi!
FULVIA
Se hai sfuggito di parlarne anche poc’anzi!
SILVIO
Te ne parlo adesso!
FULVIA
Ti sfido a farlo; con me così(passa un braccio sul collo di Mauri) decisa ad andarmene con lui!
SILVIO
Sta bene. — Vado... Ma bada che veramente tu perdi ora ogni diritto d’ accusarmi!
FULVIA
Io?(Rivolgendosi al Mauri) L’ho accusato? (A lui) T’ ho lodato; ringraziato; t’ ho detto d’an- dartene via tranquillo. — Sei tu, là, impedito. Insisti tu! Vuoi parlare, per cercarti scuse, ch’ io non ti chiedo.
MAURI
(e. s.) Eh — lo specchio! lo specchio!
SILVIO
(provocante) Che dite voi, specchio?
MAURI
(placido, quasi sorridente) Quello, caro si- gnore, che ci mettiamo noi stessi davanti, senza saperlo. Ce lo troviamo davanti; ci pare che ci parli un altro, e siamo noi stessi. — Io lo so bene.
SILVIO
Lo saprete per voi!
MAURI
Anche per lei, anche per lei!
SILVIO
(a Fulvia) Perchè mi butti in faccia un ri- morso, ch’ io stesso t’ ho dichiarato e provato?
FULVIA
No, scusa : voglio levartelo!
SILVIO
Come? così? « imbrattandoti di fango « per accrescermelo?
FULVIA
(con voce nuova, di disperata sincerità, quasi avvilita, come se fosse arrivata al punto di non poter più sostenere la sua parte) Ah Dio, sono stata qua tanti giorni con lui — e lui stesso ha detto come — quella dì prima — con tutto il cuore sospeso — il mio cuore d’ un tempo — là, nella mia casa — il. mio cuore di madre — tutti questi giorni in attesa che mi parlasse della figlia — dicendo a me stessa: « stai così... stai così... egli ora è buono!... è venuto... ora te ne parla, ora te ne parla... ».
SILVIO
(forte, vibratamente, per rompere la commo- zione di lei) Ma se non potevo parlartene!
FULVIA
(subito, violenta, cangiando tono anche lei) E perchè vuoi parlarmene adesso?
SILVIO
Ma per dirti appunto perchè non te n’ ho par- lato!
FULVIA
Ora non voglio più saperlo! — Sono ragioni per te!
SILVIO
No, non per me! Per tua figlia!
FULVIA
Ragioni di non parlarmene? Anche per lei?
SILVIO
Unicamente per lei!
FULVIA
Perchè mi crede morta, è vero? — Eh, si sa! — Storia vecchia! — Chi gliel’ ha detto? ghe- l’hai detto tu, che sono morta?
SILVIO
Non gliel’ ho detto io...
FULVIA
L’ ha creduto da sé, e tu gliel’ hai lasciato cre- dere? — E va bene. Basta. Lo supponevo. — Vuoi dire che il miracolo di farmi rivivere anche per lei, non puoi farlo?
SILVIO
No, dimmi tu, se lo credi, se lo vedi possi- bile! — Non faccio altro che pensare a questo da un mese. Subito, dacché vidi la possibilità che tu guarissi. — Tu hai atteso che te ne parlassi. Ma non te n’ ho parlato per questo! — Come si può fare? — Dimmi tu! — Rispunti a casa, ora, così?
FULVIA
(con orrore) No, no!
SILVIO
(seguitando) Dove sei stata tutto questo tem- po? E perchè le si è lasciato credere che tu fossi morta, senz’ esser vero?
FULVIA
Non è possible — no! L. Pirandello &
SILVIO
Ecco — lo vedi tu stessa!
FULVIA
E credi che me n’ importi? — Se fossi morta davvero... Ma non sono! Non lo dico per me, bada! Tu non sai ancora, caro mio, tutto intero il miracolo che hai operato! — Non me lo sarei mai atteso! — Stato di grazia! — Tornata per un momento come allora... Caro mio, se non puoi farmi rivivere per tua figlia, "può lei ora, invece, rivivere per me!
SILVIO
(stordito, costernato) Che dici? per te? E come?
FULVIA
Lei — o un’altra — se l’ho già in me, per me è la stessa!
SILVIO
Fulvia, che dici?
MAURI
Come! — Tu dunque...?
FULVIA
E perchè sono così spensierata? — Per que- sto! — Non vedi che non m’ importa più di niente?
MAURI
Ti sei lasciata riprendere da lui?
SILVIO
(levandosi ormai d’ ogni ambascia, d’ ogni dubbio, con animo fermissimamente risoluto) Ah — se è così — senz’ altro, allora!
FULVIA
Che cosa?
MAURI
(quasi tra se) Ma questo è un tradimento!
SILVIO
Avevo già pensato — prima che tu dicessi que- sto — che e’ era forse un mezzo — uno solo — per riparare!
FULVIA
Che mezzo? Se mi hai uccisa per lei!
SILVIO
No — c’è! c’è! — E ora, senz’altro, bi- sogna che tu lo accetti, per quanto possa esser duro per te e per me. FULVJ^ E sarebbe?
SILVIO
Verrai con me!
MAURI
No, Flora! Non farlo! non farlo!
SILVIO
Lei ora lo farà!
FULVIA
(a Mauri, per rassicurarlo) Aspettate!(Al ma- rito, con aria di sfida) Con te, dove?
SILVIO
Dove? A casa!
FULVIA
E come?
SILVIO
(subito, con formi) Come moglie! come moglie!
FULVIA
E se e’ è lei che mi crede morta?
SILVIO
Ecco, sì — questo è duro — e in-eparabile! — Ma bisogna superar questo, nel solo modo in cui è possibile!
FULVIA
Non capisco come dici!
SILVIO
Ma che tu sii moglie, anche se in apparenza per lei non potrai esser madre!
FULVIA
Moglie senz’ esser madre? Ah, tu intendi « un’ altra »?
MAURI
(subito) È una barbarie! è una barbarie!
FULVIA
Ma io non sono un’ altra!
SILVIO
Certo! Sarà solo apparenza! Tu sarai pure la madre!
FULVIA
E lei mi crederà la matrigna?
MAURI
Non accettare, Flora! non accettare! È una barbarie!
SILVIO
Non e’ è altro mezzo! — Se questa è una bar- barie, che è meglio? la condizione che le offrite voi?
MAURI
Meglio, sì! centomila volte meglio! La fame. Flora... con me! Meglio! Pensa che strazio, es- sere un’ altra per tua figlia!
SILVIO
Se puoi sopportarlo...
FULVIA
(subito, con sprezzo, ma già sopra pensiero) Ma non è questo! Sopporto tutto, io! — Se la figlia è mia — io non sono un’ altra — sono sua madre!(Si alza e come se cominciasse a compren- dere soltanto ora) Tu dunque mi riprenderesti con te?
MAURI
(trasecolato) Accetti?
FULVIA
(senza badare al Mauri, rivolgendosi al ma- rito, o piuttosto, parlando quasi tra se) Ma come? — Ah già, il matrimonio c’è... Non ci sarebbe più bisogno di nulla!
SILVIO
È solo per lei! Apparenza...
MAURI
(tra se) Ah che tradimento!... Lasciarsi ri- prendere da lui!
FULVIA
(e. s.) Ha già sedici anni... Certo non può avere nessuna memoria di me.
SILVIO
Ne aveva poco più di tre...
FULVIA
(subito, con scherno) Quando io morii... — (Poi, riprendendosi) Ma gli altri? Potranno ri- conoscermi!
SILVIO
Nessuno, dove sto ora — quasi in campagna. Ma questo non importa! Cambieremo paese.
MAURI
(risoluto) Dunque, per me, Flora, è proprio finito? Non è possibile, bada! non è possibile!
FULVIA
(scrollandosi, infastidita) Ma che volete voi!
MAURI
(terribile) Come, che voglio! E come faccio io ora? Come resto senza di te?
SILVIO
(facendoglisi innanzi) Dovreste capire che non è più tempo di parlare così!
MAURI
(e. s.) Io ho spezzato, distrutto la mia vita per lei!
FULVIA
(interrompendosi, rivolta al marito) Lascia, aspetta. GH parlo io...
MAURI
(abbracciandola, frenetico) Non voglio sentir nulla! Sei mia! Non ti lascio!
SILVIO
(avventandosi per strappargliela) Ah, con la violenza?
FULVIA
(divincolandosi) Lasciatemi!
MAURI
(e. s.) Non ti lascio! Non la lascio! 72
FULVIA
(riuscendo a libci’arsi e respingendolo) Lascia- temi, vi dico!
SILVIO
Fuori! Fuori di qua! Via, fuori!
MAURI
(rompendo in disperati singhiozzi) M’a per pie- tà, almeno I
FULVIA
(vibrante) Che pietà volete, se io avevo già troncato ogni legame con voi?
MAURI
Ma io, no! io, no!
FULVIA
Questo vostro pianto, ora, è veramente di più!
MAURI
Una vita... Come se non fossi uno, io! — Mi stronchi... — dici che sono di più! Casca a sedere, come stroncato veramente, singhiozzando sempre.
SILVIO
Via, via, basta...
FULVIA
(facendo un cenno a Silvio, e accostandosi al Mauri) Un po’ di carità, un po’ di carità... Bi- sogna mandarlo via con le buone!
TELA