Vita nuova/III - Edizioni
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Capitolo III
EDIZIONI
Passati in rassegna i Mss. che devono esser posti a fondamento della nuova edizione della Vita Nuova, veniamo ad esaminare le stampe che se ne sono avute sinora, per determinare se qualcuna di esse possa aver valore por la ricostituzione critica della lezione, come rappresentante di qualche codice sconosciuto. Mostreremo insieme le benemerenze varie dei precedenti editori verso il testo della Vita Nuova e quale utile possiamo ancora ritrarre dall’opera loro.
Il primo libro contiene Sonetti e Canzoni di Dante | Alaghieri | Ne la sua Vita Nuova, e sono tutte le rime di essa, ordinatamente, tranne che è omesso il secondo cominciamento di Era venuta (XXXIV 8). Appare certo per l’ordine in cui sono disposte, e per la dichiarazione stessa «Sonetti e canzoni di Dante ne la sua Vita Nuova», che le rime furono tratte da un Ms. di quell’opera, o che da quell’opera aveva derivato tutta la parte poetica; ma il testo di quel Ms. fu poi riscontrato con altri codici che poterono essere di diversa famiglia, o anche contenere, d’alcune di quelle rime, una tradizione indipendente dalla Vita Nuova, leggendosi in un’avvertenza ai lettori in fine della raccolta (p. 143): «Imperò che nei quattro primi libri de le Canzoni del chiarissimo poeta Dante Alaghieri diversamente per la varietà dei molti testi assaissimi luoghi si potevano leggere, noi dopo quella lezione, la quale, e nei più fidati ed antichi testi ritrovando, più vera e, secondo il giudicio nostro, migliore avevamo riputata, non attribuendo a noi tanto però, che a qualcuno di voi non sia forse, o benigni lettori, per parere altramente, fra le molte quelle che più di alcuna importanza ci sono parate abbiamo qui di sotto brevemente raccolto». Così del testo come delle varianti sarà dunque da fare, dove occorra, un uso assai prudente; ma passarsene senz’altro non si può, potendo e il testo e le varianti rappresentarci qualche codice della Vita Nuova perduto1. In sè la lezione di questa stampa, almeno per le rime della Vita Nuova, riuscì corretta in modo da dar buon senso dappertutto; e la notazione delle varianti può far credere che si sia proceduti nella correzione del testo con un certo scrupolo; ma a parte che allora non poteva esserci nè il proposito nè il mezzo di fare uno studio critico comparato di tutte le tradizioni manoscritte per aver lume a determinare la lezione genuina, qualche variante adottata, che oggi non si riscontra in nessun codice, fa sospettare che s’introducessero anche mutamenti arbitrari per metter senso o regolarità dove pareva mancare. Sotto tale aspetto notevoli sono queste lezioni: XX 4 Amor pregiare il cor per sua magione, XXXI 15 a chi ’l vedesse, XXXII 5 ch’affogherieno il cor, XXXV 5 Ch’io facia.
Com’è noto, la raccolta Giuntina ebbe ristampe nel Cinquecento (Venezia 1532 per Io. Antonio e fratelli da Sabio, col titolo Rime di diversi antichi autori toscani ecc.) e nel Settecento (Firenze 1727 e, collo stesso titolo della veneziana del 1532, «giuntovi moltissime cose», Venezia 1731 appresso Cristoforo Zane); dalla ristampa dello Zane derivarono poi i cinque libri di Canzoni e Sonetti di Dante Alighieri per la prima volta di note illustrati da Romualdo Zotti, Londra, dai torchi di R. Zotti, 1809, e altre simili raccolte di rime dantesche della prima metà del sec. xix; le quali, mentre riprodussero fedelmente l’ordine delle poesie, lo stesso non fecero sempre del testo. Ma poichè a nuovi Mss. della Vita Nuova non appare che siano ricorse, noi possiamo liberamente trascurarle.
Fornì e apparecchiò il testo per la stampa, secondo risulta dalla dedica, un messer Niccolò Carducci; ma non s’accenna alla provenienza del Ms. di cui egli si servì. Fu concessa licenza di stampa l’ultimo di dicembre 1575 da «Fra Francesco da Pisa Min. Conu. Inquisitor generale dello stato di Fiorenza», e le modificazioni che egli volle introdotte nel testo, pur nella loro piccolezza, sono una testimonianza notevole dello spirito dei tempi da non sfigurare accanto alla più celebre rassettatura del Decameron. Che si temesse, in quel tempo di feroce reazione contro la Riforma, lo spirito libero e la satira delle novelle del Boccaccio, s’intende; ma che si trovasse nella Vita Nuova cose che potessero offendere il sentimento religioso, sarà, credo, maraviglia per molti. Eppure è così; e ogni accenno alla divinità, ogni parola di uso sacro, ogni citazione scritturale, dovè esser cambiata o tolta. Fu sostituito con puntolini l’osanna in excelsis di XXIII 7; venne omesso in XXIV 4 l’inciso però che lo suo nome Giovanna è da quello Giovanni, lo quale precedette la verace luce, dicendo: Ego vox clamantis in deserto: parate viam Domini; fu tralasciata in XXVIII 1 la citazione Quomodo sedet ecc., e per conseguenza anche le parole pigliando quello cominciamento .... che appresso vene in XXX 1, sebbene poi siano conservate in XXX 2 queste altre: le parole, che seguitano a quelle allegate. La voce gloriosa fu cambiata ora (II 1) in graziosa, ora (XXXII 1) in leggiadra, ora (XXXIII 1) in vaga, ora (XXXIX 1) in unica; e così beatitudine ora (III 1, V 1, IX 2, XVIII 4, 6, 8) in felicità, ora (X 2, XI 4) in quiete, ora (XI 3) in chiarezza, ora (XII 1) in allegrezza, ora (XVIII 4, 2a volta) in fermezza! Invece di salute par più prudente leggere quiete (III 4), oppure dolcezza (XI 1), oppure donna (XI 3); contento invece di beato (XXIII 10): eresia sarebbe dire che Beatrice è uno de li bellissimi angeli del cielo (XXVI 2), si dirà che è simile a vno de bellissimi angeli del cielo; invece di nobilissima e beata anima (XXIII 8) si dirà semplicemente nobilissima anima, e Beatrice (XXVIII 1) invece di Beatrice beata; in luogo di dominus (III 3) si porrà donnus; e così via.
Nonostante queste infedeltà derivate da irragionevole scrupolo religioso, ed altre alterazioni che in parte possono essere casuali e in parte sono certamente arbitrarie, sono riuscito a riconoscere il Ms. che ha servito alla prosa della Vita Nuova: dico alla prosa, perchè le poesie, essendo già a stampa per opera dei Giunti, non furono ricopiate da nessun Ms., ma vennero riprodotte dalla edizione del 1527, con qualche ritocco. Il fondamento dell’edizione del Sermartelli per la parte prosastica fu, dunque, il Ms. Laur. XL, 42, che ha pure le quindici canzoni solite a trovarsi nei codici derivati dalla copia del Boccaccio, colle rubriche volgari: canzoni e rubriche riprodotte nell’edizione di seguito alla Vita Nuova. La lezione Sermartelli corrisponde in generale così precisa a quella del codice Laurenziano, che basterebbe tale somiglianza a convincere della dipendenza dell’una dall’altra: ma vi sono poi alcuni particolari riscontri che non lasciano dubbio alcuno in proposito.
Tra la fine del § III e il principio del § IV si ha nella stampa accennata una lacuna (è manifesto alli più semplici,... E questa visione innanzi). Nel Ms. (c. 3a) si ha invece al principio del § IV un d minutissimo, secondo l’uso dei copisti di indicar così l’iniziale da esser miniata, e a qualche distanza da esso un’a capitale rustica fatta in modo da poter esser presa per la nota tironiana dell’e congiunzione. Evidentemente chi eseguì nella seconda metà del Cinquecento la copia dal Ms. per la stampa, non più pratico degli usi dei copisti dei secoli precedenti, non avvertì il minutissimo d e prese l’a per e; e l’editore, non trovando senso nel discorso, suppose nel testo una lacuna.
XII 7. Invece di parole per rima la stampa ha parole prima. Anche qui il Ms. Laurenziano (c. 6a) si prestava a esser letto così da chi non avesse vera consuetudine colle abbreviature usate nel Quattrocento, perchè il p è molte vicino a rima, ed ha per l’abbreviatura un breve taglio obliquo lungo l’asta da poter anche parere una prosecuzione involontaria del corpo della lettera.
XIV 9. La stampa legge anzi certo che molta dove il senso richiede e tutti i manoscritti, e quindi anche il laurenziano, hanno anzi credo che molta. Però nel Ms. laurenziano il certo (c. 9a) è scritto in modo da potersi facilmente leggere, sino all’asta del d, anche cier: onde si spiega il frantendimento del suo trascrittore.
XVIII 1. Invece che del mio cuore, come deve essere, la stampa legge del mio operare. E quore ha pure il codice laurenziano (c. 10b), ma scritto in modo da potersi leggere operore, se non operare, perchè l’occhietto del q è staccato dall’asta, e questa col segno dell’abbreviatura per l’u viene ad avere la forma di un p coll’asta tagliata, da poter valere per. Anche in XXIII 13 l’entro quel punto del Ms. (c. 15b) è stato reso nella stampa entro a quel punto, perchè l’occhietto del q staccato dall’asta è stato preso per a.
XVIII 2. La stampa legge raffigurandomi, invece di rassicurandomi. Ora, il Ms. laurenziano (c. 11a) ha rassichurandomi, ma cogli esse lunghi, e poichè di solito il g che precede l’h è fatto in modo (cfr. c. 15b, linea quart’ultima) che se l’occhietto è un po’ accecato può prendersi facilmente per un c e viceversa, ben si spiega con ciò l’origine del raffigurandomi dell’edizione.
XIX 1. L’edizione ha seguiua vn riuo, dove il senso richiede sen giva o sen gia. E il Ms. laurenziano ha (c. 11b) presso a poco senguía, con tre aste simili per l’i e per l’u, e con un apice che sembra appartenere all’ultima delle tre.
XXI 1. La stampa ha e là, dove il senso richiede ella. Il Ms. porta appunto ζla.
XXII 6. Alcuni Mss. leggono a questo punto venivano altre che venivano dicendo, e da tale lezione deriva quella del nostro codice: ueniuano altre cheniano dicendo, che, non intesa e non saputa integrare a dovere, ha dato luogo nella stampa a veniuano altre dicendo.
XXIII 8. Davanti alle parole pareami che la sua faccia manca nella stampa la congiunzione e, necessaria per la sintassi del periodo. Il Ms. ha ben et pareami, ma et è riuscito nel Ms. (c. 15a) così poco distinto e perspicuo, da parere una parola, o meglio il principio d’una parola, cancellata.
XXIII 16. Invece di dissi questa canzone, la stampa ha dissi in questa canzone; e il Ms. (c. 16a) leggeva originariamente allo stesso modo, ma l’in fu poi cancellato ed espunto: se non che pur altre volte il trascrittore del Ms. appare aver trascurato i segni d’espunzione, come se non ne capisse il significato (XVIII 3, alle parole gli occhi in verso nel Ms. è espunto in, e la stampa ha nonostante inuerso; XXIII 5 in faceano è espunto — c. 15a — il no e la stampa ha nonostante facevano) e quanto alla cancellatura, l’in più che cancellato potè parergli riuscito originariamente non nitido per sovrabbondanza d’inchiostro nella penna.
XXXVIII 6. Invece di contrario a quello, come la stampa, il Ms. ha contrario di quello (26a): se non che, mancando l’asta dell’i, compenetrata (come spesso) nel legame del d con la lettera che segue, un d fatto al modo che nel Ms. si vede potè bene esser preso dal trascrittore per un a.
XL 6. La stampa ha & vno dove tutti i testi danno e in uno. Il Ms. laurenziano ha (27b) et ivno, ma l’i si confonde collo svolazzo del v, onde si spiega che possa essere stato trascurato, ed anche che il segno d’abbreviazione sia passato inavvertito.
Che le rime siano desunte dalla Giuntina è dimostrato dal fatto che vengono riprodotti sin gli errori materiali di quella stampa, alcuni dei quali già corretti in essa a c. 147b (se lo saureste, ch’el, e nota inoltre: p. 48 dell’ediz. Sermartelli s’en va, p. 54 qualgiuso). Tuttavia alcuni luoghi furono riscontrati col Ms. laurenziano e modificati: XIII 9 in amorosa erranza (Giunt. in l’amorosa erranza), XIX 7 E alcun santo (Giunt. E ciascun santo. Veramente anche Laur. XL 42 legge ciaschun, ma l’apice dell’i si combina con l’a in modo quasi da formare un l, ed è facile prendere in quella scrittura un ci per un a), XIX 10 gli auuien ciò che gli dona (Giunt. gli addiuien cio che gli dà; Laur. XL 42 veramente: gli adiuien cio chegli dona, ma la misura del verso esclude o l’addivien o il dona); XIX 11 esser può si addorna, e si pura? (Giunt. esser puote, si addorna, e pura?); XX 4 Amor prosire il cor (Giunt. Amor pregiare il core); ibid. Dentro a la qual (Giunt. Dentro a lo qual); ibid. poca (Giunt. brieue), ecc. Nè solo col Laur. XL 42, ma qualche passo potè essere riscontrato anche con un altro Ms., affine a Laur. Antinori 21 [A. I. 11] e a II. ii. 40 della Naz. di Firenze, se non proprio con duo di questi due; e da esso furono tratti i versi Dì Beatrice più che l’altre belle ecc. aggiunti in fine della canz. Li occhi dolenti (cfr, nota a XXXI 17): il codice Antinori ha, ad es., in XXIII 26 la lezione adottata da Serm. humiltà si verace, mentre Laur. XL 42, d’accordo colla Giuntina ed anche con II. ii. 40 della Naz. di Firenze, legge vna humilta veracie.
L’edizione del Sermartelli riuscì dunque, per le rime, presso a poco come la Giuntina: abbastanza corretta, ma senza garanzia che sia dappertutto genuina. Il testo della prosa riuscì invece difettoso e arbitrario, e ciò non soltanto per la mancanza delle divisioni e per le alterazioni consigliate dagli scrupoli religiosi, ma anche perchè il Ms. seguito non era senza lacune, e la riproduzione non fu fedele, anche dove lo scrupolo religioso taceva. Abbiamo già accennato ad alcuni frantendimenti di chi ne fece la trascrizione: ecco altre varietà, delle quali una buona parte paiono piuttosto da attribuirsioad arbitrio dell’editore (noto fra parentesi la lezione del codice): II 1 al medesimo punto (ad un medesimo punto), 7 da lui disposata (allui disposata), III 3 a chi ’l guardaua (achilguardasse), 14 tra le quali (tralli quali), E disse questo Sonetto, alle quali parole segue tutto il sonetto ‘Vedesti al mio parere’ (e disse allora vnsonetto ilquale chomincia, vedesti almio parere ogni valore ζc.), V 1 sopra di lei (sopra lei), 3 in poco tempo (inpocho ditempo), VIII 1 donna di gentile (donna giovane digentile); IX 1 era stata difesa (era stata mia difesa), 3 si signoreggiano (misignoreggiaua), XII 7 sua puerizia (tua puerizia), 9 Et innanzi (ζanzi), 17 che quì volesse (chi qui volesse), XIV 3 Il vero è (e il nero, e,), XV 1 ecco che se tu fussi (eccho chetu fossi), 2 che io imagino (chome io ymagino), 3 & dissi di poi (et dissi), XVI 1 non mi parea che fussero (non mi pareano che fossero), XVIII 3 Altre ve n’erano, che mi (Altre verano chēmi), 4 lor queste parole (queste parole loro), 5 e si tale hora (ζsichome tale ora), 7 che tu mi hai (chettuai), XX 1 vno amico (alchun amicho), XXI 1 sopradetta (sopra scritta), XXIV 1 mi sentì (e io mi sentj), 5 altre parole (dopo queste parole altre chose), XXV 9 come nel primo (quiuj nelprimo) — e omette appresso tutti gli altri quivi — , Poetica (poetria), XXVI 1 vederla (vederlei), 3 vna bellezza honesta (vna dolcezza onesta), il quale non potesse (il quale potesse), 4 visibilmente vedere (sensibile mente vedere), XXVIII 2 posto che fosse nel presente (posto che fosse del presente), 3 à lei fu cotanto (fu allei cotanto), XXIX 2 comunione Astrologia (chomunione astrologha), tutti i noue mobili (tutti ζnove limobili), XXX 1 questa città rimase (rimase tutta la sopra detta cipta), 2 E se alcuno (Se alchuno), XXXIV 3 dir’ parole in rima (dire parole per rima), XXXVII 1 col mio core (nel mio chore), 2 le vanità (lauanita), XXXVIII 1 che è apparita (ζe apparita), 4 più volte così combattuto (chosi più volte combattuto), E lo dico gentile (Et dicho gentile), ragiona (ragionami), 5 Io fo (ζfo), 5 ancho il cuore (il quore anche), XXXIX 2 si volsero (si rivolsero), 3 che li spiriti (che li sospiri), XL 1 sua bellissima figura (bellissima sua fighura), pareua (parue), XLII 1 che io non potessi (che io potessi). È anche da notare che in fine delle ragioni dopo la frase dissi questo sonetto, e simili, tralascia sempre il quale comincia ecc.; tanto che in XIX 2-3 veniamo ad avere: «la mia lingua parlò quasi come per se stessa mossa, & disse allhora vna canzone, la qual comincia come appresso. Queste parole [quali?] io riposi nella mente con gran letizia, pensando di prenderle per mio cominciamento, onde poi ritornato alla sopradetta città, e pensando alquanti dì cominciai la canzone ordinata nel modo che si vedrà appresso», dove il Ms. ha «.... vna chanzone laqual chomincia. donne chauete intelletto damore ctc. Queste parole.... vna chanzone chonquesto chominciamento ordinata....). È anche da notare (e torna a conferma che le poesie furono omesse nella trascrizione del codice, e furono aggiunte dipoi dalla Giuntina) che al § XXXVIII il son. Gentil pensiero fu inserito fuori di posto quasi alla fine del comma 4, prima delle parole «e dico gentile», dove appunto nel Ms. si leggeva «dissi questo sonetto ilqual chomincia, gentil pensiero»; e che fuor di posto fu pure inserito il son. Lasso! per forza nel § XXXIX, perchè fu aggiunto là dove il Ms. leggeva «Et dissi allora lasso per forza etc.» prima delle parole «e dissi lasso», che nella stampa vengono quindi dopo il sonetto.
Dopo ciò, non ci aspetteremo molta fedeltà quanto ai suoni e alle forme: l’editore adotta quelli preferiti da lui o dal suo tempo: non continuamente, ma continovamente; non elli, ma egli; non la terminazione della 1a sing. dell’imperfetto in -a, e della 3a in -ea e in -ia, ma in -o, in -eva e in -iva; non solavate, ma solevi; non appresso il giorno, oltre li, ma appresso al giorno, oltre alli; e così via. Ben più gravi modificazioni subivano rispetto alla lingua altre scritture letterarie nelle stamperie del Cinquecento!
Contiene: di Dante, la Vita Nuova, il Convivio e due epistole; del Boccaccio, la Vita di Dante e sei epistole. Notasi nella prefazione: «.... stante l’essere molto scorrette e manchevoli tutte l’altre edizioni della Vita Nuova e del Convito, queste due opere si sono stampate a forma del Codice Ms. del dottore Anton Maria Biscioni, comecchè egli sia il migliore che si sia potuto trovare. Questo codice, il quale, siccome dalla maniera della scrittura si comprende, è scritto nel 400, e contiene ambedue le dette opere, ma di diverso carattere l’una dall’altra, fu già di Luca di Simone della Robbia. letterato di qualche reputazione verso il principio del 1500.... Non è stato possibile qui in Firenze vederne alcuno esemplare del 1300, onde non è maraviglia, che rimangano ancora in queste operette, e spezialmente nel Convito, alcuni luoghi, alquanto al mio parere oscuretti. Contuttociò per non mancare ad ogni diligenza, che usar si possa da me per la buona correzione di questo libro, non tralascerò di porre.... tra le annotazioni, alcune varie lezioni, che stimerò non essere lungi dal presente proponimento» (p. xxxviiii). Il codice Biscioni è il Marciano Ital. cl. IX, n. 26: solo esso difatti corrisponde alla descrizione surriferita, ha tuttora sulla guardia la testimonianza d’essere appartenuto a Luca della Robbia, e reca nei margini molte varianti e correzioni del Biscioni2. Gli altri codici, dai quali parrebbe che l’editore debba aver tratte le ‘varie lezioni’ sono indicati a p. 411 nel «Catalogo de’ testi a penna e stampati che sono serviti per la presente edizione»: per la Vita Nuova, oltre l’ediz. Sermartelli, son ricordati i Mss.:
- 1. Del Dottore Anton Maria Biscioni.
- 2. Della Libroria Mcdioco-L’iurenziuua. Banco 40. Cod. 31.
- 3. Di detta. Banc. dett. Cod. 42.
- 4. Della Libreria del Marchese Cosimo Riccardi. Cod. 134.
- 5. Della Libreria del Senat. Gio. Batista Guadagni. Cod. 142.
- 6. Della Libreria di Gio. Gualberto Guicciardini. Cod. 48.
- 7. Della Libreria Strozziana. Cod. 259.
Ora, anche i sei Mss. che seguono a quello del Biscioni sono tutti identificabili con codici pur oggi esistenti. Quelli della Libreria Mediceo-Laurenziana conservano tuttora la medesima segnatura; e così la segnatura strozziana 259 si legge sempre in testa al Magl. VI, 143. Quanto al Ms. Riccardi, esso conteneva, come risulta a p. 411, 412, 413 dell’edizione che stiamo esaminando, oltre la Vita Nuova ancho la epistola all’Imperatore Arrigo e la Vita di Dante scritta dal Boccaccio; e fra i Mss. Riccardiani soltanto l’attuale 1050 contiene insieme le tre scritture. Così pure il Ms. Guadagni 142 conteneva, oltre la Vita Nuova, la biografia di Dante scritta dal Boccaccio; e solamente il Palat. 561 fra i Mss. provenienti dal fondo Guadagni risponde a tali condizioni. Del Ms., infine, di Gio. Gualberto Guicciardini attesta il Biscioni nelle Annotazioni (p. 329) che «fu già di Baccio Valori» e che aveva in principio la nota Maravigliannosi ecc., e le divisioni poste nei margini: e nel Catalogo (p. 413) attesta che contiene pure la Vita di Dante di Gio. Boccaccio. Tutto ciò si ritrova nel Panc. 9.
Fatti i necessari riscontri, si vede che l’editore, cioè lo stesso Biscioni, si contentò di far riprodurre il suo codice, correggendolo qua e là colla stampa del Sermartelli e col Ms. Guicciardini (da quest’ultimo testo fu tratta certamente la lezione trattato intero di XIX, 15); che nelle annotazioni, dove aspettò a correggere altri difetti, e molto appariscenti, del suo Ms., si valse della stampa del Sermartelli e della Giuntina; e che infine in un’appendice a queste annotazioni, dal titolo Cose tralasciate sopra la Vita Nuova (p. 337), trasse altre correzioni dal Ms. Guicciardini e dallo Strozziano (almeno la lezione il divino di XIX 7 proviene da quest’ultimo, perchè gli altri testi portano in divino). Avrà anche riscontrato gli altri codici qua e là per assicurarsi di qualche lezione o correzione, ma non è possibile dir come o quanto. Quel che è certo si è che non tutti i codici che cita nell’elenco dei testi consultati, posto in fine del volume dopo l’indice, conobbe ed ebbe presenti sino dal principio del lavoro, tanto è vero che mentre nell’elenco ricorda lo Strozziano 259, che è della metà circa del sec. xiv ed ha le divisioni a posto, nella prefazione, che sembra composta e tirata fra la stampa dei testi o quella delle Annotazioni e del Catalogo3, asserisce non essere stato possibile in Firenze vedere «alcun esemplare del 300», e in principio delle annotazioni (p. 329) afferma essere state tolte via le divisioni «in tutti i Mss. da me veduti, eccettuatone il mio». Può essere che il codice Strozziano gli venisse alle mani soltanto da ultimo, in tempo appena da poterne tener conto nell’appendice di Cose tralasciate sopra la Vita Nuova. Comunque sia, e il riscontro dei codici, e tutto il lavoro fu condotto con poca diligenza, tanto da lasciar guasti alcuni luoghi che si sarebbero potuti correggere guardando solo al contesto e usando una migliore punteggiatura. Ma poco importa dar qui lo prove della negligenza altrui4: quello che a noi preme è constatare che ci son conservati tutti i testi che furon noti al Biscioni, sicchè possiamo francamente metter da parte la sua edizione. Anche le annotazioni che appose al testo (pp. 329-337) non hanno valore por la ricostituzione critica di esso.
L’edizione del Biscioni fu riprodotta in Venezia da Giambatista Pasquali negli anni 1741, 1751, 1772 e da Pietro qu. Giovanni Gatti nel 1793, insieme con le altre opere di Dante, e pur a Venezia nel 1758 e nel 1760 da Antonio Zatta nella sua raccolta in quattro volumi delle Opere di Dante Alighieri. Nel 1810 fu anche riprodotta, dalle ristampe dello Zatta e del Pasquali, fuori d’Italia, col titolo:
la vita nuova e le rime, | di | dante alighieri. | riscontrate coi migliori esemplari | e rivedute | da | g. c. keil. || chemnitz, | appresso carlo maucke. | 1810.
L’editore stesso avverte: «abbiamo formata specialmente questa ristampa sopra l’edizione del Zatta fatta in Venezia nel 1757 [il volume 4°, contenente la Vita Nuova, porta veramente la data del 1758]; ma non abbiamo però tralasciato di riscontrare il testo con più altre edizioni, delle quali basti nominare quella del Pasquali, o la rarissima edizione di Bernardo di Giunta, in Firenze del 1527». Le divisioni della Vita Nuova sono «poste fra le altre dichiarazioni» aggiunte in fine del volume, «credendo, che mescolate col testo, interrompono (sic) spiacevolmente il filo della narrazione».
Il fondamento dell’edizione rimane la stampa fiorentina procurata dal Biscioni, ma coll’aiuto dei due testi a penna della Trivulziana (F = 1050, B = 1058), giovandosi pure per riscontro dell’edizione del Sermartelli, riuscirono gli Editori Milanesi (G. G. Trivulzio, colla cooperazione di V. Monti5 e A. M. Maggi) a sanare «alcune lezioni guaste nelle stampe antecedenti» e riempire «diverse lacune», dando di tutto ragione nelle note. Certo sarebbe stato miglior partito porre a fondamento il 1058, e dar le varianti dell’altro codice e delle stampe: il confronto tra le divisioni di quel primo Ms. e quelle degli altri testi (avendo presente la nota pubblicata dal Biscioni) e le lacune avvertite nella volgata potevano facilmente fare accorti gli editori della maggior compiutezza e autenticità del loro codice B. Ma l’attribuire in ogni caso, a priori, al testo volgato delle stampe un valore superiore a quello dei nuovi Mss. che era dato consultare, è stato un pregiudizio comune sino ai nostri giorni. S’aggiunse anche a render meno sicura la correzione del testo volgato una certa predilezione pei versi di miglior suono (p. 16, 28, 38) e per le imagini più poetiche, ed anche per le forme che sono, o sembrano, grammaticalmente più corrette e per le voci meno dissuete (p. 61, § XXV 4, non è molto numero d’anni passato; p. 92, § XLII 1, infino a tanto che io non potessi; p. 20, § XI 1, risposta, in luogo di risponsione data da B e dalla volgata), anche se più scarso è il fondamento diplomatico: quando una lezione piace, non importa neppure dir precisamente da quali codici sia sorretta o contrastata (p. 78). Da queste predilezioni, dalla mancanza di principii critici più sicuri, è derivato che il testo volgato sia stato in qualche punto peggiorato. Tuttavia non sono pochi i passi in cui si è ristabilita la lezione genuina o si è colmata una lacuna: altre buone lezioni, anche se non accolte nel testo, sono registrate a piè di pagina6. E non è da trascurare d’avvertire che questa è la prima edizione ove, ordinariamente, le varianti sono presentate con la precisa indicazione delle autorità che le sostengono: non sono date tutte quante le varianti di B e di F, nè sempre esattamente o integralmente; ma più che da negligenza, è dipeso dal modo allora in uso di spogliare i codici. È ben chiaro che gli Editori milanesi non si valsero, nel loro lavoro, direttamento dei manoscritti posseduti dal principe Trivulzio, ma di collazioni già fatte, una delle quali si conserva ancora in Trivulziana sur una delle stampe venete del Pasquali, e precisamente su quella del 1741. Ora, se oggi si fanno spogli completi delle varianti di ciascun Ms., è perchè vogliamo che essi, oltre che alla correzione del testo, servano a una ricerca preparatoria, cioè a mostrarci le relazioni fra i vari codici, e a quest’ultimo fine anche gli errori e le lacune, anzi principalmente gli errori e le lacune, sono utili; ma quando di quella ricerca preparatoria non si vedeva la necessità, pareva sufficiente nella collazione segnare quella variante o parte di variante che si credeva poter giovare alla correzione del testo. Di qui proveniva che in collazioni di vari Mss. della stessa opera una stessa variante fosse ora registrata ed ora omessa, ora trascritta in una forma più completa od ora meno, a seconda della persona o del pensiero momentaneo o del caso: di qui poi una serie di falsi supposti e di involontari errori e di necessarie omissioni quando toccava servirsi di quel materiale per la critica del testo e per disporre l’apparato critico. Così nell’edizione milanese: a p. 12 (VI 2), F non legge sotto modo come B, ma in modo; a p. 13 (VII 1), sta bene che tutti e due i codici aggiungono alla Volgata molto, ma B ha molto lontano e F lontano molto; ugualmente a p. 21 (XI 3), tutti e due i codici aggiungono allora, ma B legge era allora tutto, F era tutto allora; a p. 42 (XX 2), anche F legge alquanto d’amore; a p. 46 (XXII 3), attribuendo a B la variante «si raunarono a cotal tristizia colà, dove ecc.» si fa credere a torto che anche quel codice abbia a questo punto la lacuna di F e di tutto il gruppo Boccaccesco, cioè l’omissione delle parole s’adunino a cotale tristizia molte donne s’adunaro, eccettuate il complemento a cotale tristizia; e così via. A p. 64 (XXV 9), la lezione di B remolo modo (corruzione di recitando lo modo) è introdotta nel testo così modificata: in emolo modo, avvertendo in nota semplicemente: «Così col C[odice] B».
Luigi Carrer, ripubblicando nel 1840 la Vita Nuova nel suo grazioso volumetto intitolato Autori che ragionano di sè (Venezia, co’ tipi del Gondoliere, p. 1-73), afferma di aver «tenuto sottocchi la milanese del Pogliani 1827», contento «di rendere più divulgato un testo», che non fu pubblicato se non in sole sessanta copie» (p. xv). Corresse infatti col sussidio di esso la lezione biscioniana, ma non sì che qualche variante di questa non rimanesse, e anche in casi dove la correzione degli Editori Milanesi è necessaria, come: XIX 15 che l’altre di sopra, 18 delle sue belle bellezze, XXIII 4 certi visi di donne, diversi, XXXVII 3 non rimanesse non saputa, pur dal misero.
Questa edizione comparve in due forme: una di lusso, col titolo e le divisioni impresse in carattere rosso, dedicata «ad Anna Zanucchi nelle nozze di sua figlia Leonilde con Filippo Medi»; l’altra in carta e caratteri comuni, ma «colle varianti delle edizioni più accreditate» (cioè delle quattro fondamentali da noi sinora esaminate) nei margini.
Curarono l’edizione L. C. Ferrucci, allora professore d’eloquenza in Pesaro, e il conte Odoardo Machirelli, riproducendo un Ms. del sec. xv, oggi irreperibile, non però con fedeltà diplomatica. Che anzi confessano (p. vi) d’aver omesso parecchie varianti «dipendenti principalmente dall’ortografia» del codice, «come sarebbero: virtute — puose — vene (per viene) — contastare — loco — esto — diciere — sanza — matèra — ecc.», tanto che quando lasciano correre quest’ultima voce, credono opportuno di giustificarsi col dire (p. 20): «In un sonetto, ove si trovano dolzore, erranza, accordanza può correre anche matèra». Quanto alle divisioni, pur avendole trovate a loro posto, ma sottolineate in rosso, s’indussero a credere «che in tempi più vicini a Dante queste dichiarazioni e divisioni si considerassero tuttavia come fuori del seguito dell’operetta», e consigliatisi perciò di separarle dal testo e di riguardarle come semplici note o chiose, le cacciarono a piè di pagina. E anch’essi doverono necessariamente per tale resecazione alterare qua e là il testo. Non mancarono invece di notare, a piè di pagina, le lezioni marginali e interlineari del codice; e ivi stesso vollero indicare quelle varianti che a loro parvero migliori della lezione volgata, giustificando anche talvolta, brevemente, la preferenza che ad esse pareva da concedere. È certo un errore e un’esagerazione quanto il Machirelli afferma nella dedicatoria dell’edizione di lusso, cioè che quale è ivi la Vita Nuova «dir si possa disposta nel vero suo ordine e ridotta alla sua genuina lezione», nè sarebbe davvero agevole provare che per tutte le 850 varianti offerte dal codice Pesarese di fronte all’edizione Biscioni «il dettato acquista eleganza maggiore, o maggiore chiarezza il senso». È anzi un testo molto arbitrario. Tuttavia ebbe assai valore per il suo tempo, offrendo una lezione indipendente e in certi luoghi più genuina di quella del Boccaccio, sino allora fondamentale; e conserva ancora valore per la critica del testo quale rappresentante di un Ms. smarrito. Cfr. Manoscritti, n. 39.
Il testo della stampa di Pesaro fu riprodotto nel t. IV delle Opere di Dante edite in Firenze per Leonardo Ciardetti nel 1830. Il Ferruzzi (Manuale dantesco, IV, 488) ricorda: «La Vita Nuova di Dante Alighieri secondo la lezione di un Cod. inedito del sec. xv colle varianti delle edizioni più accreditate. Torino, Gallo e Brunetti, 1865». Non son riuscito a trovarne un esemplare; ma sarà probabilmente l’edizione stessa di Pesaro col frontespizio cambiato.
- A pp. 201-358 del III vol. delle Opere minori di Dante Alighieri.
Dichiara il Fraticelli in fine della introduzione (p. 263): «ho tenuto a riscontro le quattro principali edizioni che di esso libro abbiamo (Sermartelli 1576, Biscioni 1723, Poliani 1827, e Nobili 1829), e ne ho trascolta quella che m’è apparsa la migliore od almen la più vera. Oltredichè ho pur riscontrato un Codice della Libreria del Sig. Cav. Balì Niccolò Martelli, dalla cui gentilezza, pel mezzo del Sig. Canonico Basi, ho potuto ottenere di consultarlo a mio agio: e dirò che la lezione di questo prezioso Codice, e la stampa procurataci dal Trivulzio (Poliani 1827), sono più specialmente state il fondamento di questa mia edizione. Nella quale io avrei volentieri riportate in postilla tutte le varianti che le stampe ed i Codici ne presentano, e che da me sono state fedelmente notate, se lo avesse comportato il formato di essa. Il quale per esser di troppo piccolo ed a ciò disadatto, mi fa procrastinare un tale divisamento fino ad altro tempo, a quello cioè, nel quale io pubblicherò una seconda magnifica edizione di queste Opere minori di Dante». Col crescere dei codici riscontrati, e specialmente di quelli appartenenti a una tradizione diversa dalla boccaccesca, su cui era fondata la volgata, sempre più facile e sicura diveniva la correzione del testo; e anche il Fraticelli diè corso, rispetto ad essa volgata ricorretta dagli Ed. Mil., a molte altre lezioni genuine, comuni per la maggior parte sì al codice Pesarese come al Martelliano, ed anche al Trivulz. 1058, come: I libello (libro), II 2 d’un grado (del grado), 4 qui veniens (veniens), 5 vestra (nostra), 8 nobili (nuovi), III 15 sogno (Sonetto), V 4 salvo che alcuna cosa (se non che alcuna), VII 3 tormento (dolore), VIII 1 senza l’anima (sanza anima), VIII 12 parlando a lei (parlando di lei), XII 13 che ne sa ’l vero (s’egli è vero), XIII 2 vili cose (rie cose), XIV 7 onde l’ingannato amico di buona fede mi prese (onde di ciò accorgendosi l’amico mio, di buona fede mi prese; Bisc. Onde l’amico di buona fede mi prese), XV 1 mi riprendea, ed era di cotale ragionamento meco (mi riprendea di cotale ragionamento meco; Bisc, era meco), 3 riprensione (passione), 7 mi tegno (m’attento), XVI 5 non solamente non mi difendea (non solamente mi difendea), XIX 2 e disse: Donne (e dissi allora una Canzone, la qual comincia: Donne), 15 lo intento trattato (il trattato intero), 16 e perchè io voglio dire (e che io voglio dire), XXI 1 mirabilmente operando lo fa venire (mirabilmente il fa venire, operando), 6 riduce (induce), XXIII 29 d’una vana (in una vana), XXV 4 dire per versi in latino, seconda alcuna proporzione. E segno che sia picciol tempo è che se volemo (dire per versi in latino. Secondo alcuna proporzione è segno che sia piccol tempo; e se volemo), XXVIII 3 avesse molto luogo (avesse molto), XXXIV 1 de’ cittadini (delle cittadine), 3 ritornaimi alla mia opera, cioè del disegnare figure d’Angeli, e facendo ciò (ritornato alla mia opera del disegnare, e facendo ciò; Bisc. ritornato alla mia opera, cioè del disegnare, facendo ciò), XXXVII 5 Potrebbe bene ancora (Potrebbe bene questa parte ancora), 6 Faceva lagrimar (Facea maravigliar), XXXVIII 1 Recommi (Ricoverai adunque). Vide anche che per le divisioni la lezione dei codici Pesarese e Martelli era in certi luoghi, come XXVI 8, XXXV 4, XXXVI 3, preferibile a quella della tradizione boccaccesca. Ma non sempre riuscì a portare, nell’apprezzamento dei codici e nella scelta delle singole varianti, criteri sicuri; e come accettò dal codice Martelli simulata in luogo di simulacro (XII 3), così accolse dal Pesarese l’avvede di XV 6, il credeimi di XVII 1 (quantunque guasti la regolarità del periodo), il molto chiaro d’onde di XIX 1, il beato di XXI 3, ed altre lezioni evidentemente secondarie; e ridiede sin vita a lezioni arbitrarie della stampa del Sermartelli, come questa gentilissima donna salutava (XI 3) e facia (XXXV 5, proveniente dalla Giuntina). Introdusse anche sue lezioni arbitrarie, come e quali non sapeano, che tentò giustificare in nota (II 1), e dico che lo Signore loro piange, e che udendo la cagione perch’ e piange, si acconcino, ricostruita sul codice Martelliano7 e sull’edizione pesarese (VIII 7), quasi d’uno mezzo (XII 8), Amore è quei (XII 12), quasi vergognandomi (XVIII 8), non solamente lo sveglia (XXI 1), Morra’ tu pur, morrati (XXIII 22), che mi dicesse queste altre cose (XXIV 5), leggier paresse (XXXVIII 6), e vi sta (XLI 5; uista fu bene inteso, ma quell’e che vi premine non gli era data, da nessuna delle sue fonti, e non è necessaria). Le divisioni lasciò al loro posto, ma volle distinguerle dal resto collo stamparle in corsivo: e fu espediente poco opportuno, che lo costrinse a riprodurre un periodo (XXVI 8) metà in carattere corsivo e metà in carattere tondo, distinguendo l’una dall’altra parte con una virgola e col far capoverso! Nel complesso però l’edizione riuscì tale, da dare, per la prima volta, un senso sodisfacente non soltanto nella parte poetica, ma anche in tutta la parte prosastica.
Ristampe materiali di questa edizione si ebbero nelle Opere di Dante Alighieri uscite a Napoli da’ torchi del Tramater nel 1839 e nelle Opere minori di esso poeta date in luce pare a Napoli per Francesco Rossi-Romano nel 1855. Il testo fraticelliano è pur riprodotto nelle due seguenti edizioni:
the early life | of | dante alighieri. | togheter with the original in parallel pages | by | Joseph Garrow esqr a. m. || florence | printed by felix le monnier | 1846.
la | vita nuova | di | dante alighieri | col commento | di p. j. fraticelli | e con giunta di note | di francesco prudenzano || napoli | tipografia delle belle arti | Via Pellegrini a Toledo N. 18 e 19. | 1856.
Il Prudenzano veramente afferma (p. vi): «nel riprodurre questa operetta tenemmo a modello le migliori edizioni fatte in Italia a’ dì nostri, ed in ispecie ci valemmo di quella pregevolissima del Le Monnier» (quella del Gotti, di cui vedremo appresso?); ma è pura vanteria: tanto poco ha seguito le edizioni posteriori a questa del Fraticelli, che non ha neppure ammesso la distinzione in paragrafi introdotta, come vedremo, dal Torri.
Delle prose e poesie liriche di Dante Allighieri prima edizione illustrata con note di diversi. Volume primo.
Proposito del Torri fu di riunire e pubblicare tutte insieme le scritture in prosa e lo poesie liriche di Dante con le illustrazioni degli studiosi che furono avanti di lui, e con quelle che volessero favorirgli i suoi coetanei, «a render nazionale, e possibilmente perfetto» il monumento che credeva rimanesse tuttora da erigere al sommo poeta. Pel testo della Vita Nuova fece fondamento l’edizione Biscioni, che designa come «la volgata», dando «tuttavia luogo qualche volta a lezioni diverse, quando le conobbe confortate da maggior numero di stampe e dall’autorità dei codici, giustificando in nota i motivi della preferenza data», e riportando le lezioni scartate a piè di pagina in qualità di varianti. «Ogni altra differenza — afferma l’editore — fra l’anzidetto testo e le stampe Sermartelli [S], di Milano [EM] e Pesarese [EP], fu da me scrupolosamente ricordata nelle note: dimodochè la presente sarà lo specchio che rifletterà le quattro principali da cui fu preceduta, tranne qualche divario di ortografia o desinenza di voci, che non parvemi degna di speciale avvertenza» (p. xix e x-xi). Oltre al sussidio delle edizioni antecedenti, potè giovarsi dello spoglio del codice Martelli (CM) e di quello del codice Corsiniano (CC) procuratogli l’uno da Giuseppe Manuzzi, l’altro da Francesco Cerrotti romano; e per lo rime, di copie e collazioni dei Mss. Riccardiani 1050 e 1118 e del Laur. Rediano 184 raccolte in uno dei codici Moücke favoritogli dal conte Alessandro Mortara. Non giunse a tempo a valersi delle varianti del parmense 1081 (codice Vitali) per i quattro sonetti Negli occhi porta, Vede perfettamente, Era venuta, Color d’amore, e del Vat. 3793 per la canzone Donne che avete, e le riferì in appendice (p. 158). Ebbe anche occasione d’esaminare nella Vaticana il codice Capponiano ma si limitò a guardare «il principio del § II, ove l’autore parla dei nome di Beatrice, per vedere se qualche variante occorresse in quel passo», e avendovi trovato la lezione comune, «tranne ch’è scritto Biatrice», credè di poter arguire «con fondamento, che anco nel rimanente non porga notevoli differenze»!
Non è da dire che i propositi dei Torri non fossero buoni; ma, a quel che appare oggi dai suoi lavori, non era uomo di molto criterio, e anche per l’esattezza lasciava non poco a desiderare. Non daremo tutto il carico a lui dell’incompiutezza dello spoglio dei codici Martelli e Corsiniano, sapendo come si facessero allora certe collazioni; certo è però ch’egli se ne servì senza rendersi conto dell’uso che poteva farne. La collazione dei suddetti codici non fu fatta sul testo della volgata, ma per il Martelli sull’edizione di Pesaro (p. 146), e per il Corsiniano sull’edizione del Sermartelli (p. xxi): ora tutte le volte che queste stampe concordano con i codici collazionati, e discordano dalla volgata, noi abbiamo bensì nell’apparato critico dei Torri le varianti, rispetto alla volgata medesima, di esse stampe, ma non quelle dei codici: non era segnata a quei punti nessuna variante per il codice Martelli o per il Corsiniano (e non poteva essere, stante l’accordo fra i testi posti a raffronto), e il Torri non si cura di cercare se debba allegare la testimonianza di quei due Mss. a favore della volgata oppure delle stampe che discordano da essa; tace lo spoglio, tace anche lui. Ciò può esser prudenza, ma non basta la prudenza per giungere alla verità.
Ma non pei codici soltanto l’apparato critico pecca di incompiutezza e di poca precisione: gli stessi difetti s’hanno per lo spoglio delle stampe. Bastino pochi esempi. In II 10 era lezione delle edizioni anteriori alla Milanese, e quindi anche della cosiddetta ‘volgata’, pare. Gli Ed. Mil. dal loro codice B trassero parrà, che non si riscontra negli altri Mss. Ora, il Torri accetta pare, e annota: «Così gli EM col Cod. B, come l’ediz. S, l’EP e il CC; parrà la volgata»! Al § III 3 afferma che «nella mia camera non leggesi nella vulgata», e vi si legge. Al § XX 4 legge Amor per Sire e ’l cor per sua magione, e annota: «Nelle RA è la variante - Amor pregiare il cor per sua magione - riportata dal Biscioni, il quale però legge nel testo come noi, non come leggono le altre stampe». Ma quali altre stampe, se Edd. Mil., Pes. e Frat. leggono come Biscioni e Torri, e Serm. ha soltanto prosire invece di per sire? Al § XLI 5 Frat. indovina come va inteso uista dei Mss., e legge e vi sta; il Torri invece non solo torna al vista, che non dà senso, ma attribuisce anche al Frat. la lezione e vista.
Nè meglio può dirsi riuscita la ricostituzione del testo. Qualche migliore lezione è introdotta anche rispetto all’edizione Fraticelli (ricordo in II 9 sì nobilissima, in luogo di sì nobile); non abbiamo nè simulata (XII 3), nè avvede (XV 6) nè molto chiaro d’onde (XIX 1): ma sovente si ritorna alla volgata già con buon senso critico abbandonata dal precedente editore; s’accetta donna, invece di salute, in XI 3 e facia in XXXV 5; si fa buon viso a parecchie lezioni evidentemente secondarie dell’edizione di Pesaro; ed anche dei concieri del Fraticelli s’adottano Amore è quei (XII 12) e morra’ tu pur, morra’ ti (XXIII 22). Aggiunge poi il Torri per conto suo buon numero di lezioni dimozzicate o arbitrarie, come: V 4 mi celai anni e mesi (omesso alquanti), XII 17 parlata (l. ballata), in parte dubbiosa (l. in parte più dubbiosa), XIV 7 di questa mia (l. della mia), XVI lo quale si partìa (omesso poco), XIX 19 secondo la persona (omesso tutta), 22 omesso il suo intendimento; XXV 2 visibile (l. risibile), 8 la quale poesia (l. la quale poscia), XXIX 3 senz’altro numero (omesso alcuno), Triade (l. Trinità), XXXII 1 consanguinità (l. sanguinità), XXXIV 1 In quel primo giorno (l. In quel giorno), XXXVII 7 ogni stagione (l. ogni cagione). Taluna di siffatte lezioni sarà da imputarsi ad errore dello stampatore; ma si hanno altrove tante prove del malsicuro criterio e della poca precisione dell’editore, che dobbiamo andar cauti a riversar colpe su di altri. Basti dire che al § XIX 19-20 legge, non per svista, ma di proposito, col codice Pesarese «quivi — Degli occhi suoi — li quali sono principio d’Amore», tralasciando, dopo occhi suoi, «Questa seconda parte si divide in due; che nell’una dico degli occhi...; nella seconda dico della bocca, ch’è fino d’Amore», perchè questi membretti della Volgata gli hanno «l’aria di glossema»!
Un’utile innovazione fu l’aver distinto la Vita Nuova in quarantatrè paragrafi numerati, a render più agevoli le citazioni del testo. Per le divisioni adottò invece il non felice espediente del Fraticelli di riprodurle in carattere corsivo: gli inconvenienti appariscono meno, avendo il Torri preferito sempre per esse il testo della tradizione boccaccesca; ma anche questa preferenza fu un passo addietro rispetto all’edizione fiorentina.
L’edizione del Torri diede luogo ad alcune recensioni critiche, che non furono inutili, in seguito, a migliorare il testo della Vita Nuova. Le osservazioni più importanti furono quelle di Giuseppe Tedeschini, ma esse non uscirono in luce se non nel 1872 nel secondo volume dei suoi Scritti su Dante, raccolti da B. Bressan dopo la morte dell’autore: prima si conobbero quelle che il P. Sorio fece in una lettera a Pietro Fanfani, stampata nell’Etruria (a. I, 1851, pp. 385-390). e quelle che Carlo Witte raccolse nell’opuscolo Cento e più correzioni al testo delle opere minori di Dante Allighieri proposte agli illustri signori Accademici della Crusca da un loro socio corrispondente (Halle, 1853, coi tipi di Otto Hendel, pp. 3-5).
Il Todeschini, postosi ad esaminare il lavoro del Torri, non tardò molto ad accorgersi del procedere incostante ed arbitrario di lui; e volle prender in esame i luoghi ne’ quali la lezione livornese non gli sembrava sodisfacente. Le osservazioni furono numerosissime, e talora largamente svolte, specialmente quando la retta lezione non si poteva stabilire senza entrare nella parte ermeneutica. Acuto e diritto ragionatore, conscio dei più sicuri principii critici, come quello che più codici possono rappresentare una testimonianza sola (p. 11, 54) e l’altro che «la lezione più strana (semprechè ragionevole) è solitamente la più vera, perchè i copisti non l’avrebber immaginata» (p. 23); riesce, coi soli mezzi fornitigli dal Torri, a riconoscer la vera lezione in molti luoghi dove la critica del suo antecessore aveva miseramente naufragato: e non soltanto dove la genuinità di una data variante è dimostrata dal contesto rettamente inteso, ma anche dove la buona scelta è indizio di un’arte critica più fine; ad es., XI 3 questa gentilissima salute salutava (p. 23), XIII 1 mi pareva che ingombrassero (p. 33), XVIII 7 con altro intendimento (p. 43), XXIII 1 Appresso ciò per pochi dì (p. 59). Non arriva a far buona accoglienza al va di XL 1, ma mette sulla via di vederne l’opportunità, e di proferirla appena si sappia del largo fondamento che ha nei codici. Nou sempre però è uguale a sè stesso. Non che gli sia da far gran carico se ignora il valore di osa (XX 3) e vuol mutarle in usa, e se preferisce a sì nobilissima (II 9) sì nobile: ma fa maraviglia che trovi «maggior purezza» nella lezione l’una del grado (II 2); rifiuti del nome (VI 1, avanti a di questa gentil donna), solo perchè è ripetuto troppe volte nel paragrafo; accolga assai fiate (VII 4), perchè rende suono migliore di spesse fiate (sebbene dica a p. 54 che «nelle varie lezioni delle rime di Dante non bisogna innamorarsi de’ versi rotondi» o chieda a p. 76: «credono forse certi signori che Dante avesse dell’armonia del verso italiano la stessa idea del Frugoni e del Cesarotti?»); osi dire «indubitabile» che Dante «non pose alla voce anima quell’articolo» (VIII 1)! Curioso che anche rigetti per cento cinquanta anni (XXV 4), mentre ha accettato per pochi dì in XXIII 1; e che in XXVII 2 non veda che la lezione del Torri e da integrare così: cominciai allora una canzone, la quale incomincia: Sì lungiamente, e sentenzii invece che «più breve, più disinvolta, più naturale, e per ogni conto proferibile è la lezione comune: cominciai questa canzone». Quanto alle divisioni, egli avvertì bene che esse non fanno parte a sè nell’opera, e che perciò non devono essere stampate in carattere differente dal resto (p. 6, 14) e volle anche scartate quelle riduzioni brusche e rotte tutte in esse necessariamente da chi prima le trasportò nei margini (p. 75, 88).
Il p. Sorio collazionò il testo del Torri col codice capitolare di Verona. Ma non molto diligente dovè essere il riscontro, se «poche cose» trovò da notare che fossero «di qualche rilievo». Delle proposte d’integrazione o d’emendazione che fece, alcune (XII 13 che sa lo vero, XIX 19 secondo la persona tutta, 22 comunicato lo suo intendimento, XXV 8 alle cose inanimate, la quale poscia) più che opportune, erano necessarie. Altro invece, come tu dei esser omai gentile (XXIII 9), perchè piangi tu sì coralmente? (XII 4), vedremo esser lezioni peculiari del gruppo a cui appartiene il codice veronese.
Diciannove furono le correzioni proposte dal Witte; le più dalle edizioni procedenti, ossia dall’apparato stesso del Torri; altre dal codice di sua proprietà; altre infine per congettura. Ve ne sono d’indiscutibili, perchè tolgono errori palesi, già da noi indicati; è notevole fra le meno facili, in XXXVII 6, faceva lacrimar; ma non sempre la correzione è perfetta (in IX 5 manca ti davanti a facea; in XII 3 non andava mantenuto il punto fermo dopo vista sua; sta bene in XLI 5 vi sta, ma manca e davanti a siccome ed è dopo lo quale). Non sono inoltre congetture necessarie la suragionata cagione (XIV 13: l. la sua ragionata cagione), riso (XIX 12; l. viso), dopo queste, altre parole, cioè (XXIV 5; l. dopo, queste parole:); e certamente errata è la lezione che, senza dirlo, deriva dal suo codice e propone in XXXVIII 6: «Però dico, che ivi anche» (cioè ancora) «il cuore non intendo per appetito», Il Todeschini prese in esame tali proposte, e comunicò al Witte le sue osservazioni; ma anche queste, come le altre fatte direttamente sull’edizione Torri, non furono note per le stampe se non nel 1872 colla pubblicazione dei suoi Studi (vol. II, pp. 101-105).
- — seconda edizione. || firenze. | felice le monnier. | 1856.
- — terza edizione. || firenze. | felice le monnier. | 1859.
Queste tre edizioni, in tutto simili fra loro, sono prive delle divisioni, perchè all’editore (Aurelio Gotti) parvero «scritte senza la consapevolezza delle Grazie». Si valse delle edizioni del Fraticelli e del Torri, e accostandosi ora all’una or all’altra, secondo gli consigliava il proprio gusto, e valendosi talvolta anche delle varianti registrate dal Torri, riuscì a dare una lezione, se non più sicura delle altre rispetto alla genuinità d’ogni singolo passo, più corretta nel complesso, perchè seppe evitare talune delle lezioni errate o arbitrarie delle due edizioni. Riscontro di nuovi Mss. non fece; e una sola nota appose al testo, per dichiarare il tanto tormentato passo li quali non sapeano che sì chiamare (così stampa egli, d’accordo cogli Ed. Mil., la cui lezione trovava registrata dal Torri). Adottò la divisione in paragrafi introdotta nell’edizione livornese.
Il testo curato dal Gotti fu riprodotto nella ‘Biblioteca delle famiglie’ a Torino dalla «Società Editrice italiana di M. Guigoni» nel 1858 (con un brano della Storia della lett. ital. dell’Emil. Giudici concernente la V. N., a mo’ di prefazione) e ristampato a Milano dalla medesima «Casa editrice M. Guigoni» più volte, e certo nel 1864, 1877, 1882, 1889. Riproduzione alla lor volta della ristampa Guigoniana sono le edizioni fattene a Roma da Odoardo Perino nel 1884 (Biblioteca Nova, n. 11) e nel 1892 (Biblioteca diamante, n. 69), a Napoli dalla «Casa editrice Fratelli Tornese, S. Geronimo alle Monache» nel 1890, e pur a Napoli da D. de Feo nel 1891. Col testo Le Monnier si è anche formata la giunteria libraria che va sotto questo titolo: La | Vita Nuova | di | Dante Alighieri | Edizione conforme a quella di Bartolomeo Sermartelli | del MDLXXVI | citata dall’Accademia della Crusca || Firenze | Alessandro Volpato | editore. Dall’edizione Perino del 1884 deriva la ristampa fatta in Firenze della tipografia Adriano Salani nel 1887.
Opere minori di Dante Alighieri. Volume II.
Sono due vere e proprie edizioni; con qualche varietà fra loro. Il Fraticelli ristampa in esse, quanto al testo, la dichiarazione fatta per l’edizione del 1839, aggiungendo di aver tenuto sott’occhio anche l’edizione del Torri uscita nel frattempo, e di aver notato a piè di pagina le varianti dei testi da lui riscontrati. Ma di varianti ne registrò soltanto poche e generalmente senza indicare i testi donde gli provenivano; e le mutazioni che introdusse nella lezione non sono in massima parte felici. Alcune che ha derivate dal Torri sono anzi senza alcun dubbio erronee: II 5 allo spirito del viso, XXV 8 delle cose inanimate, XXXVII 6 facea maravigliar (questa lezione, che era della volgata, l’aveva già corretta egli stesso in faceva lacrimar nella prima edizione!), XLI 5 della sua patria vista. Dal Witte accettò, oltre alla giusta correzione bellezza grande (invece di bellezza e grande, in XXXIII 8), le due congetturali, non necessarie, riso in XIX 12 e dopo queste, altre parole, cioè in XXIV 5. Rinunziò in II 1 alla sua congettura e quali non sapevano, credendo peraltro «potere e dover dire che la lezione è errata, o vi ha qualche lacuna; per esempio: fu chiamata da molti Beatrice, ed altri v’avea, i quali non sapeano che si chiamare». Ridusse anche quello strano d’uno mezzo (XII 8), che forse era stato un errore di stampa, alla vera lezione. Ma corresse poi, senza bisogno, e senza che i suoi testi ve lo consigliassero, morta in smorta in XV 6 e fugge in fuggon in XXI 2. Anche nei ritocchi fatti nell’edizione del 1861 (XII 13 s’egli è vero, XIX 18 procedono, XLI 5 della sua patria, omesso vista o vi sta) non fu felice. Il testo di questa 2a edizione fu poi riprodotto inalterato sino alla «7a edizione» (1899). Tutte quante hanno la distinzione in paragrafi del Torri.
Parla l’editore nella prefazione di critica «severa», afferma anche di aver «cercati e ricercati i codici e le stampe più accreditati»; ma il vero è che, presa la stampa Fraticelli del 1861, non altro fece che riordinare la punteggiatura secondo un diverso sistema ortografico e introdurre poche varianti, che non migliorano il testo (come: III 2 si movessero, VII 3 d’ogni dolore, XIX 15 lo intero trattato, XXVI 8 omesso e però lasciando lui, XXIX 3 ineffabile, XXXVII 2 essere restate). E, appena stampato il testo, messosi a comporre il commento, già vede la necessità di nuove mutazioni; onde avviene spesso di trovar dichiarato nelle note che accetta una lezione diversa da quella che si legge nel testo (p. 140 che ne sa ’l vero, 141 E vedra’ mi bene ubbidir servitore, 147 onde l’ingannato amico mio, 152 m’impugnava, 154 vedere, 156 il divino, 169 erronea, 190 secondo li cristiani veritade è che nove, 204 di mostrare la mia viltà, 208 lacrimar). Si danno dei casi curiosi. In III 15 ha dal Fraticelli sogno; stampando il testo, lo muta in sonetto; poi nelle note dichiara che sogno «è senza manco la vera lezione»! In XX 7 comincia col leggere, arbitrariamente, siano prodotti insieme in atto nel testo (p. 54); poi seguita nelle note (p. 163) a variare la lezione, a capriccio, da linea a linea: «Nella seconda dico come questo soggetto e questa potenza sieno prodotti in un atto, a un tempo. Alcune stampe hanno insieme e altre in essere, dove noi senza diversità d’interpretazione leggiamo, giusta i più dei codici [?], in atto. Ma qui non si tratta di potenza che si riduca in atto, bensì di soggetto e potenza prodotti in un atto, ciò che importa lo stesso che nati insieme....». Fermiamoci ai codici. Intanto, non è vero che i più di essi in XX 7 leggano in atto: nessun codice ha invece questa lezione, e l’affermazione più modesta del Fraticelli «altri leggono in atto» deriva dal frantendimento di questa nota del Torri: «Così [vale a dire in essere, come ha il testo] l’EP e il CC, cioè in atto, meglio a creder nostro della comune lezione insieme». In atto è una dichiarazione di in essere, e non una variante. Il Giuliani ricorda, per altri passi, anche altri codici: ebbene, anche di questi ha saputo trarre poco profitto. Cita il Ricc. 1054 per la lezione d’ogni dolore in VII 3 (p. 129); i Ricc. 1340, 1034 e 1140 a favore di lo pronta in XII 13 (p. 140); il Laur. XL 42 per preferire in XVI 4 m’impugnava a mi pugnava (p. 152), il Ricc. 1050 per sostenere in XXIII 10 mestieri contro misterii (p. 170). Allega anche, al § XII 17, il codice «Magliabechiano 143», cioè Magl. VI 143, per leggere «intenderà e in quello modo, laddove la comune porta intenda e in questo modo» (p. 142), ma a farlo apposta anche quel codice ha la lezione comune! Afferma pure (p. 144) che forte, in luogo di folle (XIII 8), «si legge chiaramente in due de’ codici (Magl. 163 e Laur. 42, plut. 40)»; ma nessun Magl. 163 contiene la Vita Nuova o rime di Dante, e se deve prendersi invece per Magl. VI 143, nè questo codice, nè il Laur. XL 42, hanno forte, bensì la lezione ordinaria. Ma ben più «chiaramente» che nei codici, vedeva il buon padre Giuliani «nella ragione e nell’arte» di Dante. Basta il verso del Purg. «Ahi serva Italia, di dolore ostello» a provar autentica in VII 3 la lezione son d’ogni dolore ostello e chiave (p. 129); basta il sonetto Videro gli occhi miei col suo verso «di dimostrar cogli occhi mia viltate», perchè anche nella prosa precedente (XXXV 3) si debba leggere, non temendo di non mostrare la mia vile vita, ma temendo di mostrare la mia viltà (p. 204); basta il riscontro della prosa «le stelle si mostravano d’un colore che faceano giudicare che piangessero» (XXIII 5) per esser sicuri che anche nella canzone (XXIII 24), dove si ripete la stessa scena, è da leggere «Turbar lo sole ed apparir le stelle, E pianger egli ed elle» (p. 173). E tacciano i codici, se discordano dalla voce di Dante; e taccia in XXIII 24 anche la rima colla sua esigenza di terminazioni che s’accordino con novella e bella meglio di stelle ed elle!
In questa edizione, dovuta alle cure di Ludovico Pizzo, e pubblicata per commemorare il sesto centenario della nascita di Dante, fu seguito il testo di Frat.3, salvo che in trentaquattro passi, pei quali fu preferita la lezione del codice Marc. IX ital. 191, trascritte da Antonio Mezzabarba; e di questo codice furono anche pubblicate in appendice ordinatamente le varianti, con brevi note a talune di esse per sostenerne o combatterne l’attendibilità, o per aggiungere la testimonianza del codice Marc. X ital. 26. Male però faremmo a fidarci dell’esattezza di tale spoglio. Noi sappiamo che testo sia il Marc. ital. IX, 191: ha parole espunte e varianti in margine, che attestano la collazione di un codice diverso, probabilmente di sole rime; per Ballata i’ voi, Donne che avete, Donna pietosa, Li occhi dolenti siamo rimandati in principio del volume a una serie di rime trascritte da altra fonte, in margine delle quali troviamo assai varianti, fra cui sarà da cercare la lezione del Ms. della Vita Nuova che il Mezzabarba ebbe davanti. Il Pizzo non fa alcuna distinzione tra l’una e l’altra parte del codice, e spesso neppure tra la lezione del testo e quella dei margini, ma dà ora l’una ora l’altra, senza apporre nessun’avvertenza; giunge anzi talvolta, combinando l’una coll’altra, a formare una lezione a capriccio. Così non avverte quel che è espunto, o quel che è aggiunto fra le linee: non registra tutte le differenze fra il testo del Frat. e il codice; non sempre legge bene, e per III 7 offre una lezione che nel Ms. effettivamente non c’è (non sosteneva in luogo di non potè sostenere). Anche la maggior parte delle mutazioni fatte al testo del Frat. sono poco felici (V 2 drieto, appresso; VI 1 dir lo, ricordare il; VII 3 dolore, tormento; VIII 10 Chè le sue proprietà son conosciute, Che per le proprietà sue conosciute; XII 11 E aver dovresti in tutti parti ardire, Dovresti avere in tutte parti ardire; 12 Che s’egli ha scusa, che voi l’intendiate, Sed egli ha scusa, che la m’intendiate;.... e ricorderemo anche, perchè accettata poi da D’Anc.2: XXIII 25 cantavan tutti, gridavan tutti): di nessun valore sono in generale le ragioni addotte nelle note allo spoglio per giustificare sia la scelta sia lo scarto delle varie lezioni.
Nel 1867 comparvero alcune pagine (387-400) di Emendationen und Conjecturen zu Dante’s Schriften d’Eduard Böhmer nel 1° volume del Jahrbuch der deutschen Dante-Gesellschaft (Leipzig, F. A. Brockhaus). Quelle che riguardano la Vita Nuova sono emendazioni congetturali non necessarie: II 1 non sapeano ch’essi chiamaro; III 4 la donna dello saluto; XVIII 7 se tu ne dicessi vero con quelle parole che tu n’hai dette notificando la tua condizione, avresti tu operato con altro intendimento; XXIV 10 Questo sonetto ha in sè tre parti. Pure lasciarono traccia di sè nelle posteriori edizioni.
In questa edizione c’è un po’ più largo riscontro di stampe e di codici che non nell’altra curata dallo stesso Giuliani nel 1863, e son tenute presenti anche le correzioni proposte dal Witte; ma nessuno di quei codici è andato perduto; nè, d’altra parte, la diligenza e il criterio dell’editore sono variati. Si citano «Riccard. 1050 e 1054» a sostegno della lezione chiama il divino (p. 112); ed il primo ha invece chiama diuino, il secondo non ha neppur la canzone (si ferma al § VII!). Si afferma (p. 114): «Non v’ha dubbio che nel riso [XIX, 12] debbasi leggere, giusta molti codici e l’autorità del Dionisi e del Witte»; e nessun codice, sia della Vita Nuova, sia delle rime, ha quella lezione. Alcune delle discrepanze della 1a edizione fra il testo e il commento sono tolte; ma altre rimangono, e se ne aggiunge una nuova: infatti, a p. 129 il Giuliani afferma: «mi è sembrata assai migliore» la lezione E però lasciandola (XXVI 8), e nel testo non c’è nè questa nè la variante riprovata E però lasciando lui. Quanto a nuovi mutamenti nel testo, ripiglia in II 5 dai codici «Marciano N. cxci. cl [vorrà dire n° 191 cl. IX] e Riccardiano 1054» la lezione agli spiriti del viso, che vedemmo male abbandonata dal Torri; accetta dal Witte in XIV 13 la su ragionata cagione; dallo spoglio del Pizzo o da edizioni precedenti, come Bisc., Ed. Mil., Tor., in XXI 1 soprascritta, che è buona lezione; dalla sua «ragione ed arte di Dante» lassassi di dire (invece di tacessi di dire) in XVII 1, ed anche parlava (invece di ed anche che parlava) in XXV 2, chi piange (invece di chi la piange) in XXXI 6. Di questa edizione fu fatta una seconda impressione stereotipa nel 1879, e una terza nel 1885.
Per questa magnifica edizione, che prima di tutte ebbe il merito di essere, più che una correzione della volgata, una ricostruzione critica ex integro, furono posti a raffronto sei codici: il Riccardiano 1050 (a), i Magl. VI 143 (b), VI (non VII) 187 (c), VII 1103 (d) e Conv. B. 2. 1267 (e) della B.ca Nazionale di Firenze, il Chigiano L. V. 176 (f). Il primo posto, in ordine di pregio, fu giustamente assegnato al Magl. VI 143, sebbene fossero avvertite le sue mende; fu anche rilevata la parentela fra il Ricc. 1050 e il Magl. VI 187; ma non essendosi esattamente valutato il fatto della relegazione delle divisioni nei margini e della conseguente omissione di esse in alcuni Mss., non fu possibile scorgere, di contro a Magl. VI 143, l’affinità degli altri cinque codici fra loro. Questa affinità non fu possibile avvertire anche per un’altra ragione: colui, o coloro che fecero la collazione dei Mss. non ebbero presenti i bisogni d’una classificazione di essi per famiglie, e fu quindi, ora per tutti, ora per alcuni, trascurato di segnare le lacune, gli errori manifesti o che parvero tali, e le varianti che sono o parvero secondarie. E quel che fu fatto per i Mss. fu fatto per le stampe 8. Onde chi ebbe poi a lavorare sopra siffatto materiale (e fu chi ha più efficacemente propugnato e insegnato il buon metodo in questo genere di studi, il prof. Rajna) non potè neppure avvertire che anche le stampe — meno una, quella di Pesaro — derivano fondamentalmente dalla stessa tradizione dei cinque manoscritti. Era una voce sola, e parvero molte; e in mezzo allo strepito artificioso si perse non solo quella di Pesaro, che per frequenti e sensibili stonature pareva degna di poca attenzione, ma anche l’altra ben più grave e autorevole di Magl. VI 143. Peggio ancora avvenne, sia per la determmazione delle affinità fra i Mss., sia per la critica del testo, quando di questi due codici si era trascurato di notar la variante, o si lasciava credere che avessero la lezione degli altri cinque 9. Chi fece le collazioni, o per sbadataggine o per la persuasione che in VII 3 dolore fosse la vera lezione e fosse quindi superfluo notar varianti, non fece resultare che Magl. VI 143 legge tormento. Così porta anche la stampa di Pesaro (e dietro ad essa Tor., Frat.). Il Rajna invece dal silenzio dello spoglio dovè arguire che tutti i suoi sei Mss. fossero concordi contro Pes., onde accettò francamente dolore: «Ripongo col G[iuliani] dolore, che trovo in tutti i nostri codd. là dove P. T. Fr. leggono tormento». Sarebbe stato disposto ad accettare questa gentilissima salute salutava in XI 3; ma nei suoi spogli vedeva esser lezione soltanto di a e f, mentre è di tutti i codici (e anche di Bisc., Ed. Mil., Pes.), e mantenne il conciero di Serm. q. g. donna salutava. È costretto in XIII 8 ad accettare da Giul. (sul cui testo doverono essere, se non fatti, riportati gli spogli dei Mss. e delle stampe) forte, non resultandogli che folle è invece la lezione di tutti gli altri testi a penna e a stampa. Vorrebbe leggere (XIV 8) con Magl. VI 143 e con Pes. io tenni, ma se ne ritrae spaventato dal numero delle testimonianze in favore di io ho tenuti, mentre esse in realtà valgono solamente per una. Legge in XVIII 8 vergognando, ed annota: «vergognandomi: c d e; Fr.; vergognoso: a b; P. T. V. Noi ci siamo attenuti al cod. f.» Ma, in realtà, nè f ha vergognando nè c d e vergognandomi, e tutti leggono invece vergognoso. Chi fece lo spoglio di c d e avrà creduto inutile, se il testo di riscontro aveva vergognandomi, di segnare la variante vergognoso, che dà lo stesso senso; e chi collazionò f deve essersi limitato a togliere sulla stampa mi, lasciandovi indisturbato vergognando invece di vergognoso. Poteva il Rajna immaginarsi tanta trascuratezza? Accetta in XIX 1 non si conveniva, se non che io parlassi, non sapendo della vera lezione data da Magl. e da Pes. non si convenia che io facesse, se io non parlasse. Per omettere nel mio cuore in XXIV 10 e per accogliere la lezione il vedesse in XXXI 15 crede di poter contare su b, e questo invece non ha l’omissione e legge, come tutti gli altri, m’audisse. Avrebbe in XL 1 accolto andava, se avesse saputo che oltre f, Serm., Pes. leggono va anche a b c d e? Anche quando sceglie la buona lezione, lo fa spesso sopra una supposta concordanza di testi che in realtà non esiste. In XIII 2, ad esempio: dove rie cose non è lezione soltanto di a d Tor. e Ven., ma anche di c e f Serm. Bisc., pei quali il Rajna, non avendo trovata segnata la variante rie, avrà supposto la lezione del testo di riscontro, cioè vili. Così in XXXVIII 1, dove, ricordando per la lezione ricoverai dunque soltanto f, mostra di aver creduto che a b c d e leggano recommi, mentre a c d e leggono come f, e b ricontai. Nascono dei casi strani: che s’accetti, ad es., una lezione secondaria e nello stesso tempo si dia alla vera una più larga base del giusto. Così avviene appunto in XXXV 4: invece di «...in questa ragione. E però che per questa ragione è assai manifesto, sì nollo dividerò. Lo sonetto comincia: Videro li occhi miei», i cinque codici con le divisioni nei margini, o sprovvisti di divisioni, e le edizioni Serm. Bisc. Mil. leggono «...in questa ragione. E cominciai: Videro ecc.», e poi in margine «Videro ecc. Questo sonetto è chiaro, però non si divide». Il Rajna accetta questa lezione, che è certamente secondaria, e insieme attribuisce all’altra, o almeno a una lezione che le si avvicma, un più largo fondamento che in realtà non abbia: «I codd. salvo f, e le edd. salvo la Pes. e il T., continuano ancora nel testo dopo ragione: e però che questa ragione è assai manifesta nol dividerò». Ciò, al solito, perchè chi fece il riscontro dei Mss. e delle stampe non segnò esattamente le differenze, e in questo caso l’omissione, di a c d e Serm. Bisc. Mil.; e il Rajna, naturalmente, suppose che leggessero come il testo di riscontro. E ciononostante riuscì il Rajna, giovandosi della sicura conoscenza dell’italiano antico ed applicando giusti principii di critica, a restituire o ad assicurare al testo, oltre a forme e costruzioni legittime come dichi, pensero, resurressiti, lo ne ecc., le seguenti genuine lezioni: II 5 agli spiriti del viso, XII 3 e pensando molto, quanto alla vista sua, mi riguardava; XII 3 simulacro, XVII 1 credendomi, XIX 15 intento trattato, XX 7 prodotti in essere, XXI 1 volontà di voler dire, non solamente si sveglia, 2 fugge, 3 laudato, XXII 9 bagnar nel viso suo di pianto Amore, 16 piangendo morta, XXIII 1 per pochi dì, 8 erronea fantasia, 10 mistieri, 19 dall’angoscia del pianto, 22 dicean pur: morra’ ti, morra’ ti, 24 la stella (mutata in le stelle dal Giul. contro lo esigenze della rima), XXV 2 corpo, ancora, 8 parlato alle cose inanimate, XXIX 1 d’Arabia, XXXV 1 una vista di terribile, 3 la mia vile vita, XXXVIII 1 nel suo ragionare, XXXIX 6 paresse distrutto, XLII 2 duri. Correzioni da non potersi accogliere ci sembrano invece: VIII 7 e dico, acciò che udendo la cagione perch’e’ piange, si acconcino, XI 3 si volgea come, XII 13 ed egli è il vero, XV 6 pièta, XVIII 4 ch’è ’l fine, XXV 10 compone cose, XLI 5 della sua patria giusta.
Quanto alle divisioni, anche al D’Ancona si presentarono nettamente distinte dalle poesie e dalla narrazione, probabilmente per la imperfetta collazione di b, che solo poteva fornire le prove delle alterazioni sofferte dal testo in quei codici che le avevano trasportate nei margini od omesse; e non sospettando quindi altra differenza fra i vari codici che la diversa disposizione materiale, confortato dall’uso antico di disporre i commenti intorno alle rime e dalla nota Maraviglierannosi ecc. che faceva credere tale disposizione conforme all’ultimo desiderio di Dante, ad essa s’attenne, facendo imprimere dette divisioni in rosso, e curando che prima della canzone Li occhi dolenti esse stessero accanto o sotto al componimento poetico, e chein seguito la rubrica incorniciasse il componimento stesso fin dal suo cominciare. Si ebbe cosi, crediamolo pure, sodisfatto «l’appetito dell’autore» in età matura, ma non l’opera quale realmente uscì dalle sue mani e quale è nostro dovere riprodurre.
Al testo furono aggiunte dal D’Ancona, colla cooperazione di Giosuè Carducci, ricche illustrazioni: le quali involgono spesso anche questioni di testo, e ad ogni modo chiarendo per ogni aspetto il pensiero di Dante, e rendendoci, coll’abbondanza dei riscontri con altri antichi rimatori e scrittori, familiare il modo di sentire e di esprimersi di quei tempi, ci rendono meglio preparati anche alla critica del testo. Se non dunque per l’apparato critico, che è di codici noti e ai quali possiamo ricorrere direttamente, l’edizione può giovare all’opera nostra per le discussioni critiche del Rajna sul testo e per le dotte illustrazioni aggiunte dal D’Ancona.
Questa edizione fu preparata contemporaneamente a quella pisana, sebbene uscisse in luce assai più tardi: la stampa era «terminata nell’aprile 1873», e non fu quindi possibile al Witte valersi del lavoro critico del Rajna, nè dei commenti del D’Ancona e del Carducci. Si valse delle edizioni e degli spogli anteriori, e del codice di sua proprietà, al quale era ricorso anche per le Cento correzioni: aggiunse inoltre per le rime il frammento Scappucci, ora Marciano ital. IX, 528, il Quinterno della Palatina di Firenze creduto dal Palermo autografo del Petrarca e da lui pubblicato nel 2° vol. del suo catalogo di quella Biblioteca, e la prima edizione delle canzoni di Dante, che si ha in fine della Divina Commedia col commento del Landino impressa in Venezia «per Petro Cremonese dito Veronese» nel 1491. E come il D’Ancona, fece anche il Witte una ricostituzione nuova del testo, e riuscì quasi dappertutto a una lezione sodisfacente, senza tuttavia raggiunger quella perfezione e quella sicurezza ch’è desiderabile. Introdusse o ristabilì nel testo in più del Rajna qualche buona lezione, come VII 3 d’ogni tormento, VIII 7 e dico «udendo la cagione perch’e’ piange» acciocchè, XIII 1 mi pareva che ingombrassero, XIII 8 folle, XVI 1 Appresso ciò ch’io dissi questo sonetto, mi mosse, XVIII 8 vergognoso, XIX 9 sommo, ecc.; ma altre di cui il Rajna vide la bontà, egli non seppe convenientemente apprezzare, e lesse: XVII 1 credeimi, XXI 1 volontà di dire, 3 beato, XXII 9 bagnata il viso di pianto d’Amore, XXIII 1 appresso ciò pochi dì, 8 errante fantasia, XXV 2 corpo, ed ancora, XXIX 1 Italia, XXXV 1 d’una vista, 3 mia viltà, XXXIX 6 paressero distrutti. Fu anche troppo facile ad accogliere varianti peculiari di singoli codici, come donna della salute (III 4) e ed allora mi domandavano (XXIII 14) dal suo codice, la beatitudine e il fine (XVIII 4), esser fatta gentile (XXIII 9) e cantavan (XXIII 25) dal Marc. IX it. 191 spogliato dal Pizzo. Accettò anche da Giul. in XII 17, sul supposto fondamento del codice Magl. VI 143, allora intenderà e opporre in quello modo. Delle correzioni proposte nel 1853 agli Accademici della Crusca mantenne così le buone come le cattive, nonostante le giuste osservazioni contro alcune di queste fattegli dal Todeschini con lettera del 21 luglio 1854 (Studi su Dante, II 103-5): solo abbandonò, invece di aggiungere ciò che mancava, la prima, che io faceva avere a lei, por tornare alla comune ch’io li facea avere da lei (IX 5). Quanto alle divisioni, ben capì, come già il Todeschini, che formano una sola cosa col resto, e lasciò quindi di stamparle in carattere diverso o fuori di posto, e restituì col Fraticelli la vera lezione in quei luoghi che, per il trasporto di esse divisioni nei margini, avevano subito alterazioni.
L’apparato è più esatto e per le stampe anche più compiuto che nell’edizione D’Ancona, quantunque le stampe posteriori a quella del Biscioni si citino soltanto dove si allontanano da essa. Inesattezze tuttavia non ne mancano, e non solo per le varianti di codici prese da antecedenti edizioni, ma anche per il codice posseduto dall’editore: il che talvolta è anche riuscito a danno del testo. Ad es., in XXIX 3 il Witte mostra di credere che i testi M, N, W e B leggano senza numero altro, per se, e così pone infatti, sul loro fondamento, nel testo: se non che la lezione concorde di quei testi è invece senza numero altro alcuno, per se, ed è veramente la genuina.
Parve al Witte necessario dare il nome di capitoli alle distinzioni introdotte dal Torri. Questi le aveva chiamate paragrafi, deducendo il vocabolo dalla fine del capo II «verrò a quelle parole le quali sono scritte nella mia memoria sotto maggiori paragrafi». Ma il Witte oppone che Dante nella Monarchia e nel Convivio chiama ‘capitoli’ le sottodivisioni dei libri ossia dei trattati; osserva che ‘capitoli’ furon detti da non pochi antichi anche i canti della Divina Commedia; «e non si vede» — conclude — «perchè l’autore dovesse aver scelto pel presente libretto, il più semplice di tutti i suoi componimenti, un altro termine, termine che ricorda un po’ troppo la pedanteria degli Scolastici». Il vero è che Dante per il presente libretto non ha scelto il termine nè di capitoli nè di paragrafi, perchè divisioni sistematiche non ne ha poste, e le aggiungiamo noi nei margini per comodo di citazione; ma poichè immaginava distinzione di paragrafi nel libro della memoria, non vedo perchè non possiamo, anzi non dobbiamo, adottare lo stesso termine (fosse pur più pedantesco di capitoli, che non mi pare) per le divisioni che paiono da farsi nella Vita Nuova, che secondo l’autore è un ‘assembramento’, una copia di quel libro (I e II 10). Arbitrario è veramente inserire, come il Witte ha fatto, per entro il testo quelle dizioni di capitolo I, capitolo II, ecc., quasi che Dante avesse lasciato sì precisa distinzione di parti nella sua opera.
Un’altra, dannosa, innovazione fu quella di mutare la numerazione di essi paragrafi o capitoli proposta dal Torri. «Considerando» — scrive il Witte — «che nel cap. 29 [XXVIII 2] l’autore dice: ‘ciò non è del presente proposito, se volemo guardare il proemio che precede questo libello’, non si è creduto dover far entrare questo proemio nella numerazione dei capitoli». E per questo vano scrupolo, che fortunatamente non ebbe poi nell’edizione della Monarchia, dove il proemio di ciascun libro è segnato come primo capitolo, portò il disordine in una divisione tutta estrinseca, la cui utilità dipende dal rimanere inalterata. Meno male che, non volendo lo stesso Witte allontanarsi «troppo dai numeri, sull’esempio del Torri, ricevuti in tutte le edizioni moderne», il paragrafo 3 di esse fu da lui diviso in due capitoli, in modo che il terzo comprende esclusivamente la prima visione. Così la differenza fra la numerazione del Witte e quella del Torri si limita ai § I e II e ai commi 1 e 2 del III, che nella stampa wittiana si chiamano proemio, e capitolo I e II.
Tanto il D’Ancona quanto il Witte non giunsero in tempo a valersi degli Studi del Todeschini, pubblicati, come abbiam detto, nel 1872, e che ebbero in principio non larga diffusione; nè altri se ne valse sino alla seconda edizione D’Ancona, nel 1884. Nel frattempo si ebbero alcune stampe senza valore critico, le quali basterà registrare:
dante alighieri | la vita nuova | il convito | il canzoniere | con prefazioni e note || milano | edoardo sonzogno, editore | 1878.
la | vita nuova | di | dante allighieri | con proemio e commento | di | giuseppe romanelli | nuova edizione | ad uso delle scuole | tipografia monarchi | 1878.
la | vita nuova | di | dante alighieri | con note | del Prof. a. fassini | ad uso dello Scuole || 1882 | ditta g. b. paravia e comp. | di i. vigliardi | Tipografi-Librai-Editori | roma-torino-milano-firenze.
la | vita nuova | di | dante alighieri | con introduzione e note | di | giovanni fioretto || padova | angelo draghi editore | 1883.
L’edizione Sonzogno, stereotipa, e che ha avuto varie impressioni (1882, 1883, 1884, 1897) riproduce il testo della 2a ediz. Giuliani; quella del Romanelli si dice condotta sopra la ediz. fiorentina del 1839, del 1855 e del 1868; l’edizione Fassini, riprodotta nel 1883 e nel 1891, è la 1a del Giuliani con varianti tolte alla 2a; il Fioretto dà il testo del D’Ancona, meno alcuni luoghi dove parve conveniente, per un’edizione scolastica, seguire piuttosto la lezione del Witte.
Favorevole al testo della Vita Nuova fu il triennio 1883-85.
Data lode al tentativo del D’Ancona di restituire il testo della Vita Nuova a più genuina lezione, e osservato che «solo in qualche punto si fe’ troppo trascinare dal desiderio di correggere, scegliendo, ad esempio, fra due vocaboli sempre il più antiquato, e fra due frasi quella che la ragion pura della lingua farebbe credere più acconcia alla penna dell’Alighieri», dichiara, senz’altro, di aver cercato di scacciare dal testo cotali ‘mende’. Con ciò qualche lezione genuina ha in realtà avuto il bando; ma fortunatamente non è stato un bando generale, nè cieco, e fino il resurressiti di XIV 8 ha trovato grazia. Del resto accetta quasi tutte le correzioni buone introdotte dal Rajna, escludendo la maggior parte di quelle che abbiamo indicate come meno opportune, e altri luoghi migliora da sè (accetta anche m’udesse in XXXI 15). Ma muove anch’egli spesso da dati poco esatti, come son quelli somministratigli dall’apparato critico dell’edizione D’Ancona, e procede in generale troppo sicuro nel pesare il valore delle testimonionie dei codici e nel sentenziare sulla genuinità delle lezioni. Ha bensì aggiunto per le rime la collazione dei codici Barberiniano XLV 130 (ora Vaticano Barb. lat. 4036) e Casanatense d. V. 5, e per talune di esse anche quella dei codici Vaticano Urbinate 687 e Barberiniano XLV 47 (ora Vaticano Barb. lat. 3953); ma la lezione della parte poetica era già sodisfacente, e quindi poco potè essere il vantaggio di questi nuovi spogli, tanto più che mancava ancora lo studio comparativo dei vari testi, necessario a determinare quale fra le varie lezioni ugualmente adattabili al contesto possa più dirittamente esser proclamata genuina.
Le edizioni del D’Ancona e del Witte ebbero qualche utile riflesso su quest’ultima del Giuliani; e lezioni come fugge (XXI 2), laudato (XXI 3), la stella (XXIII 24), leggiero parea (XXXVIII 6) furono restituite al testo, insieme con va in XL 1, della quale lezione verso lo stesso tempo si faceva, o s’era fatto, paladino il Fornaciari nei suoi Studi su Dante, venuti in luce sui primi del 1883. Entrarono nel testo anche altre lezioni, verso le quali il Giuliani aveva già mostrato la sua preferenza nelle note alla seconda edizione. Ma il vezzo di dichiarar migliore una data variante nelle note e di non accoglierla nel testo non è smesso neppur qui (cfr. p. 12, n. 33; p. 82, n. 63; p. 102, n. 56). Vero è che qualche volta ciò può dirsi una fortuna per il testo; nel quale purtroppo è stato introdotto cotesto Amore invece di questo Amore (IV 3),subitanamente invece di simulatamente (XIV 4), quelle parti invece di quella parte (XXIV 2), Tredecimo invece di terzodecimo (XXIX 1), ecc. Chi desiderasse veder le ragioni con cui il Giuliani propugna siffatte lezioni, o difende quelle proposte nelle precedenti edizioni dall’obbiezione che manca il sostegno dei codici, può vedere a p. 38, n. 104; a p. 42, n. 34; a p. 46, n. 25; e a p. 81, n. 47. In VIII 10-11 adotta un’interpunzione, che contrasta alla divisione che il poeta fa del suo sonetto (VIII 12). L’omissione invece delle parole «e scrivere a costoro li quali erano venuti a me» in XXXIV 3 sarà da attribuirsi allo stampatore, perchè il Giuliani nel commento si vale anche di esse (p. 135, n. 14). La divisione in paragrafi è quella del Torri, adottata anche nelle altre due edizioni.
Riproducendo il D’Ancona per la seconda volta la Vita Nuova, con «maggior copia di commenti», sia di fattura sua sia spigolati per entro le opere dei suoi predecessori, avvertiva di aver posto «ogni maggior cura» alla lezione del testo, ma d’aver stimato soverchio «il riprodurre le varianti, che trovansi nella prima edizione», sapendo che attendevano a «raccogliere le varie lezioni di tutti i codici» G. L. Passerini e Pasquale Papa. Non lasciò tuttavia di discutere nelle annotazioni, che riuscirono davvero compiutissime, i passi di dubbia lezione, valendosi anche delle osservazioni del Todeschini; e in più casi si discostò dal testo fissato dal Rajna per la sua prima edizione, talvolta cambiando in meglio (XI 3 movea, XII 13 che sa lo vero, XIII 8 folle, XIV 7 onde lo ingannato amico — omette però di buona fede — , 12 pinge, XV 6 pietà, XVIII 7 intendimento, XIX 12 escono invece di n’escono, XXIII 1 soffersi per nove dì, XXV 9 recitando lo modo, XXXV 5 faccio; e si veda anche quanto spetta alla divisione in XXXV 4 e in XXXVI 3), ma più spesso preferendo lezioni secondarie, come II 8 nuovi, III 4 delle salute, V 4 alcuna ne scriverò, VIII 8 vada, IX 8 om. di ciò, XI 1 delle mirabili salute, XII 4 nobiltate, perchè (habent, poco appresso, invece di se habent, sarà un errore di stampa), 17 intenderà, XIV 3 nel primo sedere alla mensa nella magione del suo novello sposo, 9 le ne verrebbe, XV 2 Ed a questo, XVIII 3 volgendo gli occhi (om. suoi), 6 anche quatta donna mi disse, 7 Ed ella rispose: Se tu, XIX 1 correva un rivo, e così via sino a mutare in XXIX 1 Arabia in Italia, lezione che al Rajna non era parsa «ammissibile», perchè «scompone tutto quanto l’ordine» del discorso, ed «ha contro di sè i migliori mss.». Forse questa 2a edizione del D’Ancona non venne composta sulla sua prima, ma sul testo del Fraticelli o del Giuliani, e fu corretta poi sulle prove di stampa tenendo a riscontro il testo e l’apparato del Rajna, l’edizione del Witte e le annotazioni del Todeschini.
Le divisioni non furono questa volta disposte a modo di rubriche intorno al testo, ma allogatevi dentro, ora prima ora dopo le rime, secondo l’intenzione dell’autore, salvochè, per meglio distinguerle, fu usato per esse il carattere corsivo. Quanto alla distinzione numerica dei paragrafi, fu seguìta quella del Torri.
Su questa edizione o sulle due precedenti è da ricordare l’ampia recensione che R. Renier pubblicò nel Giornale stor. d. lett. ital., II, 366-894, perch+ certe osservazioni sull’interpretazione di singoli punti hanno importanza anche per la critica del testo: qualche osservazione speciale al testo del D’Ancona fece anche F. D’Ovidio nell’articolo La Vita Nuova ed una recente edizione di essa, venuto in luce nella Nuova Antologia del 15 marzo 1884 (serie II, vol. XLIV, pp. 238-268).
Essendosi il Casini proposto un’edizione scolastica, il «fermare il testo criticamente ricostituito del libretto dantesco» gli parve «opera disconveniente a un libro destinato fino da principio ai giovini»: pur fece in modo che «la nuova stampa arrecasse alcun contributo alla futura edizione critica, comunicando il testo di uno dei manoscritti più antichi» rimasto fino allora, per questa parte, del tutto inesplorato, il codice Chig. L, VIII, 305 (p. vi). Fu suo proposito riprodurre questo testo a penna «con iscrupolosa fedeltà» (p. xiii), ricorrendo per altro dove fosse manifesto errore del copista, ad altri testi, e specialmente alla lezione del Martelliano e del Magl. VI, 143, e trascurando pure «certe particolarità ortografiche comuni ad ogni scrittore del sec. xiv, inutili a riprodurre in una stampa che non abbia un intendimento speciale filologico». Il contributo fu notevole, data la gran bontà del codice, forse il più compiuto e corretto fra tutti; e il Casini, conscio dell’importanza di una riproduzione fedelissima, registrò in apposita appendice (pp. 211-214, Note per la critica del testo) le particolarità del Ms. da lui non riprodotte, e volle, anche a stampa compiuta, fare una nuova collazione, che gli diede modo «di correggere alcuni pochi passi del testo» ne’ quali era incorso errore (p. 212, n. 1). Sfuggirono tuttavia anche in questa nuova collazione alcune varianti, non soltanto fonetiche e morfologiche, ma anche lessicali: (paragrafo e linea dell’ed. Casini) VII 36 [profeta] che dicono; XIV 53 le ne; XVI 39 [levo] gli occhi; XXI 37 [la terza] quiui; XXIII 3 [onde io] continuamente; 94 da dire ζ daudire; XXIV 54 [allegro] nel miocuore; XXV 17 a presente, 22, 24 poete, 27 ζ in quella [di sì]; XXVI 49 [questo] altro [sonetto] che comincia vede perfectamente ogni salute; XXXIII 21 seruo; XLI 17 [patria] uistae. Nè tutte le lezioni sostituite (cfr. pp. 211-214) erano manifesti errori (ad es. III 41 In ciò che; VII 19 ostale; VIII 14 sonetti li quali; XIV 70 fore: allore; XLI 35 divisa); e neppure fu avvertito, nelle note per la critica del testo, che certe lezioni sono, nel codice, su rasura. Ma nel complesso venne ad esser questa la stampa di più fedele lezione; e le accrebbe valore un ricco e sicuro commento, che anche a noi potrà giovare per fermare il nuovo testo.
Quanto alla distinzione e numerazione dei paragrafi, volentieri avrebbe il Casini «accolta senz’altro la partizione vulgata»; ma in un luogo credè doversene scostare, «e precisamente nel capitolo ventesimosesto che tutti i precedenti editori divisero in due, il Torri introducendo nel testo una emendazione che giustificasse l’interruzione, il Witte invece passando da un capitolo al seguente senza alcuna pausa del senso, anzi con la sola distinzione d’una virgola». Che logicamente sia impossibile qualunque divisione a questo luogo, trattandosi per tutto il capitolo dello stesso argomento, cioè degli effetti di Beatrice rispetto agli uomini e alle altre donne, concediamo al Casini, ma piuttosto che scostarsi dalla tradizione, era meglio lasciare l’inconveniente di segnare il principio d’un nuovo capitolo, dove non poteva farsi alcuna pausa; ponendo in margine i numeri, magari entro parentesi come in D’Anc.1, per far vedere che era cosa tutta estrinseca e per comodo delle citazioni. Comunque sia, sta in fatto che per i § I-III il Casini segue la partizione e la numerazione del Witte, scostandosi da quella del Torri; che nel § XXVI comprende i § XXVI e XXVII delle edizioni Torri e Witte; onde ogni capitolo successivo è in queste distinte, con un numero superiore d’una unità al numero corrispondente del Casini. (Noi seguiamo — sia detto qui per chiarezza, ma la ragione la vedremo in seguito — la vulgata per i primi tre paragrafi, il Casini dal XXVI in poi).
Una «2a edizione riveduta e corretta» comparve nel 1901 nella «Biblioteca scolastica di classici italiani diretta da Giosue Carducci» e pubblicata dalla stessa casa editrice, ed è una riproduzione stereotipa della 1a con poche varietà così nel testo come nel commento: nel testo furono solo introdotte quelle correzioni che erano già state avvertite nel 1885, a stampa compiuta, in nota a p. 212.
Sono senza valore critico le tre edizioni che seguirono:
gli | amori di dante | raccontati da lui medesimo | (vita nuova e canzoniere) | con prefazione e note | per g. stiavelli || roma | edoardo perino | 1888.
la | vita nuova | di | dante alighieri | con prefazione su beatrice | di | aurelio gotti || firenze | stabilimento g. civelli, editore | m dccclxl.
la vita nuova | di | dante alighieri | with notes and comments, in english. | by | N. perini, f. r. a. s. | Professor of Italian ecc. || london | hachette & co. | 1893.
La prima riproduce Giul.2; deriva la seconda dalle edizioni più comuni, e specialmente da Giul.2; il Perini dice di aver composto il suo sulle migliori edizioni, e fa in realtà una contaminazione del Fraticelli con D’Ancona2. Come curiosità sono anche da ricordarsi due edizioni uscite in Inghilterra «In stamperie private in un ristretto numero d’esemplari (cfr. Koch, Catalogue of the Dante Collection cit., I, 85); la prima a «London, Chiswick Press, 1892», per cura di R. Radcliff-Whitehead; l’altra ad «Ashendene, C. H. St J. H[ornby] ed E. M. S. H[ornby], fratello e sorella, 1895».
Per la Vita Nuova è riprodotto «quasi letteralmente il testo wittiano» (in XL 1 andava è corretto in va); il proemio però è numerato come § I e dei capitoli II e III wittiani si è formato il § III: siam dunque tornati alla divisione del Torri. In molti esemplari è aggiunto un carticino che propone di correggere al § XXIX 1 Italia in Arabia. Tale correzione fu introdotta nel testo nella ristampa che questo volume ebbe nel 1897. Una «terza edizione più estesamente riveduta» è comparsa nel 1904, ma il testo della Vita Nuova è rimasto lo stesso.
È la prima edizione fatta su una nuova generale collazione di tutti i Mss. noti della Vita Nuova. Mancano soltanto il codice di Toledo, il Magl. VI 30, il frammento Olschki e quello dell’Archivio di Stato di Firenze; e manca altresì la maggior parte dei codici che contengono, estratte dalla Vita Nuova, tutte o in parte le rime di essa. Sono date anche varianti del Barb. XLV 130 e del Rediano, ma le une son tratte dall’edizione Luciani, le altre dalle edizioni Torri e Witte; qualche altro Ms. di rime, che però non resulta esser derivato da codici della Vita Nuova (Canoniciano 81, Parigino 557), fu pur collazionato, e le loro varianti sono offerte insieme a quelle raccolte da altri simili Mss. nelle edizioni Giuliani, Witte e Luciani. Sfortunatamente le collazioni fatte o fatte fare dal Beck non riuscirono esatte, onde il lavoro di classificazione dei codici dette resultati che non corrispondono al vero. Nè procedè poi il critico nella ricostituzione del testo conforme ai resultati della classificazione, perchè mentre questa gli offre sei tradizioni manoscritte indipendenti fra loro, egli non consulta e valuta passo per passo le sei testimonianze, ma salvo il caso di manifesto errore, segue ordinariamente la lezione del codice Chig. L, VIII, 305. E la riproduzione che fa di questo Ms. è nei particolari ortografici poco coerente; nè sempre c’è errore dove egli crede di dover correggere; nè si scosta senza necessità soltanto da esso, ma talvolta anche dagli altri codici, dando prova di non sicura conoscenza dell’uso antico italiano (cfr. la mia recensione nel Bull. d. Soc. Dant., N. S., IV 33-43, e quelle di E. Rostagno e A. Tobler rispettivamente nel Giorn. dantesco, VI 202-11 e nell’Archiv f. d. Studium der neueren Sprachen u. Litter., XCVIII 214-19). Le divisioni sono a loro posto, e la ripartizione in capitoli è quella stessa del Casini. L’apparato vorrebbe dare tutte le varianti dei Mss. migliori e altre varianti tratte dai rimanenti Mss., secondo che parve opportuno notarle o per l’ortografìa, o per ragioni metriche, o per provare le relazioni dei codici, o per mostrare che alcuni di essi furono troppo stimati da precedenti editori; ma riesce invece una prova continua, come abbiamo accennato, della poca esattezza delle collazioni a chi lo vada riscontrando coi manoscritti. Non si hanno, se non per eccezione, note giustificative della preferenza data all’una piuttosto che all’altra lezione.
Parecchie proposte di correzione al proprio testo, senza però addurne alcuna ragione, ha fatto il Beck in appendice alla sua versione tedesca della Vita Nuova (Das Neue Leben des Dante Alighieri übersetzl und mit einer kurzen Laut-und Formenlehre des Dekmals versehen von Friedrich Beck, München 1903, Piloty & Loehle, pp. 73-79): taluna certamente migliora il testo da lui dato, ma altre invece lo rendono più scorretto o meno sicuro.
Riproduce sostanzialmente il testo del Beck, ma approfittando dell’apparato critico da lui fornito, introduce alcune modificazioni, registrate a p. 61, non tutte necessarie, ma che nel complesso migliorano la lezione.
È una riproduzione diplomatica, non sempre esatta, del codice Laurenziano Acquisti e doni 224. Una nuova rimpressione fu data l’anno appresso col titolo:
vita . nova . dantis. | frammenti . di . un . codice. | membranaceo . del . secolo | xiv . novamente . scoperti | a cura di g. l. passerini || in . firenze . per . leo . s. olschki . nelle case . delli . acciaiuoli . | an. dom. mdccc xcix.
Dovendo questa edizione servire per le scuole secondarie, ed essendo il Ms. lacunoso e assai scorretto, spesso ha dovuto il Passerini integrarlo e correggerlo col sussidio dell’edizione Casini. Ha però tenuto distinto con parentesi quadre tutto ciò che proviene da questa seconda fonte, e offerto in un’avvertenza a pp. xlvi-xlvii le vere lezioni del codice Strozziano. Se non che la trascrizione o la collazione del codice non è riuscita sempre fedele, e la lezione è generalmente ridotta a ortografia moderna anche più cbe non occorresse pei bisogni didattici delle scuole medie, onde perdiamo suoni e forme come merzede, poete, ei ebbi, ecc.; nè sono avvertite le lezioni in rasura o le corrette da altra mano (cfr. la mia recensione in Bull. d. Soc. Dant., N. S., V, 170-1). La divisione in paragrafi è quella del Casini.
Dichiara il Passerini a p. xvii: «per la presente stampa seguo la lezione ottima del codice Chigiano L, VIII, 305 già data dal Casini, e ora da me riveduta diligentemente sul manoscritto che la cortesia del principe Chigi ha messo, per lungo tempo, a mia disposizione». I mutamenti introdotti dal Casini nella lezione del Chigiano li mantiene tutti, anche là dove non erano necessari o era possibile corregger meglio: ha fatto eccezione per ostale, a cui, opportunamente, non ha sostituito ostello (VII 3). Mantiene i raddoppiamenti di consonanti nelle proposizioni articolate della nella ecc., mentre il Casini le aveva risolte ne’ loro due elementi de la ne la ecc., ma per ogni altro caso di raddoppiamento o scempiamento di consonanti segue il suo predecessore, e abbiamo quindi, poniamo, siccome ridotto a sì come, diffinita ridotto a difinita, avegna ridotto ad avvegna ecc. Gli sono sfuggite, come già al Casini, o gli son parse da correggere lezioni come tremare (XI 2, tremore), sì com’io credo (XII 11, se, com’io credo), che me non parea (XXIV 2, che non me parea), e ciascuna (XXIV 7, e ’n ciascuna), corpo, ancora (XXV 2, corpo e ancora), a presente (XXV 3, al presente), e in quella di sì (XXV 4, e in lingua di sì), vi stae (XLI 5, omesso); non avverte che fora (VIII 5, nell’espressione fora de l’onore), il divino (XIX 7) e sapere (XIX 9) sono in parte su rasura: ma in complesso la lezione del Ms. è riprodotta qui più fedelmente che nell’edizione Casini. La divisione in paragrafi è la casiniana. Cfr. Bull. d. Soc. Dant., N. S., VIII 30.
Nessuna importanza hanno per il testo le tre seguenti edizioni:
la vita nuova | di | dante alighieri | con prefazione e note | di giovanni canevazzi | Professore nel R. Liceo-Ginnasio L. A. Muratori di Modena || milano | Albrighi, Segati & C. Editori | 1900.
la | vita nuova | di | dante | con le illustrazioni di d. G. rossetti || casa editrice nazionale | Roux e Viarengo | Torino-Roma | 1902.
the | new life | by | dante alighieri | italian text with english | translation | edited by | luigi ricci || london | kegan paul, trench, trübner & co. ltd. | paternoster house, charing cross road | 1903.
La prima segue Casini2, scostandosi solo in qualche luogo, ove l’editore fu condotto «da umile modo di vedere personale a seguire altre lezioni» (anche per la distinzione in paragrafi, dal III al XXVI ha numerazione diversa da tutte le edizioni, poi s’accorda col Casini); la seconda è una semplice ristampa della seconda edizione del D’Ancona; la terza riproduce il testo della prima edizione del Giuliani.
Scarso valore per il testo ha pure l’edizione, per altri rispetti assai pregevole, uscita mentre attendevo alla stampa di questa mia e che registro qui come ultima:
Il Melodia avverte a p. viii-ix: «quanto al testo, che ognun sa, ci è pervenuto in uno stato piuttosto buono, ho seguito la lezione del Codice Chigiano L, VIII, 305, data già dal Casini e dal Passerini, non senza servirmi, dove occorreva, di alcune preziose osservazioni del Barbi [nelle recensioni cit. del Bull. d. Soc. Dant., N. S., IV, 33-43; V, 170-1; VIII, 30-32] e del giudizio mio». Ma la riproduzione del testo chigiano non è fatta di sul codice direttamente, bensì dalle edizioni precedenti, e se qua e là sono state introdotte le correzioni da me indicate nelle suindicate recensioni (non però tutte, rimanendo fuori varietà fonetiche come diffinita, oppinione, spezialmente, iera, e lessicali come, in XIX 10, dona ’n salute), non si tien però conto sufficientemente della più larga, anche se non sempre esatta, conoscenza che della tradizione diplomatica è fornita dalle pubblicazioni del Beck e del Passerini, per correggere il testo chigiano dove anche altre ragioni a ciò fare consigliano. Solo in XXXVII 6 mostra il Melodia il desiderio di accettar lagrimar in luogo di maravigliar, ma non osa far la sostituzione dell’una all’altra voce nel testo. E muta poi senza ragione lasso in lassi in XXXII 5, scostandosi da tutte le tradizioni manoscritte. Per la divisione in paragrafi segue il Casini. Il commento è ampio e per quanto attiene, non alla lingua, ma ai concetti, ricco di raffronti; onde può esser utile per questioni di lezione che involgano questioni di senso.
L’esame che abbiamo fatto delle edizioni, ci ha portato a quest’utile resultato, che, eccetto la Giuntina e la Pesarese, tutte le altre edizioni non possono avere l’autorità di testi, conoscendo noi i manoscritti onde esse derivarono: potranno al più, in casi speciali, servirci per l’interpretazione critica di essi. Dell’edizione Giuntina, ossia del 1° libro di essa, non è più possibile determinare precisamente il testo fondamentale e quelli di riscontro, ond’è come una testimonianza anonima, che può esser eco di altre testimonianze rimasteci; e se anche in parte è nuova, rimane sempre incerta, non potendosi determinare qual’è la sua fonte nè se fu esattamente riferita: vedremo se ci sia lecito indurre qualcosa di più preciso quando conosceremo meglio le varie tradizioni. L’edizione di Pesaro invece ci è data come una quasi letterale riproduzione di un Ms. ora smarrito; e dobbiamo quindi accettarla fra i testi: solo però il riscontro di qualche codice affine potrà darci la sicurezza, che ora ci manca, della sua fedeltà di fronte all’originale.
Note
- ↑ Non sappiamo sicuramente chi curasse pei Giunti questa raccolta di antiche rime: la tradizione già nel Cinquecento attribuiva questo onore a Bardo Segni. Nelle Annotazioni inedite di Vincenzo Borghini sulla Cronaca del Villani (B.ca Nazionale di Firenze, II, x, 66, vol. II, p. 155) si legge: «Truovansi alcuni poeti antichi; parte de’ quali furono già dati alla stampa per diligentia et amorevolezza di Bardo Segni, che fu un bello o gentile spirito; parte se ne ritrovaron poi in un libro che fu di Mons.r Brevio, di poi venne in mano di Mons. Bembo, e ne va a torno alcuna copia ecc.».
- ↑ Il Beck, nella sua edizione della Vita Nuova (p. xxxvii), dubita se il Biscioni si servisse del codice Marciano oppure di quello d’Oxford, e cita a favore di quest’ultimo la variante l’amore invece di lo nome in XXXIX 3. Ma tale variante non è soltanto del codice d’Oxford, è anche del Marciano; e quello d’Oxford non ha, come il codice Biscioni, la Vita Nuova e il Convivio «di diverso carattere», nè risulta che fosse posseduto dal Della Robbia, nè ha postille di mano del Biscioni.
- ↑ Anche il modo come in essa l’editore s’esprime par confermare ciò: «queste due opere» — la Vita Nuova e il Convivio — «si sono stampate.... non tralascerò di porre, tra le annotazioni, alcune vario lezioni».
- ↑ Se ne veda tuttavia qualche esempio. Il semplice riscontro della divisione colla poesia sarebbe bastato a correggere in XIX 19 Dove gli occhi suoi in Degli occhi suoi. Una collazione più diligente pur con la stampa del Sermartelli avrebbe mostrato la necessità e il modo di correggere questi luoghi: XII, 8 in mezzo (l. un mezzo); XVI, 5 non solamente mi difendea (l. non solamente non mi difendea); XVII, 1 di questa (l. a questa); XXVI, 12 per se (l. per lei). E si poteva bene anche nelle divisioni mediante il contesto e col sussidio dei codici che di esse erano forniti (Guicciardini e Strozziano) togliere errori come questi altri: XXIII, 29 in una vana (l. d’una vana), XXXVII, 4 commuovo (l. rimuovo). Per la punteggiatura, si osservino questi passi: XII, 3: «mi parve vedere nella mia camera, lungo me, sedere un giovane vestito di bianchissime vestimenta, e pensando molto: quanto alla vista sua mi riguardava, la ove io giacea: e quando m’avea guardato....» (p. 10); - XIX, 20 «Nella seconda dico della bocca, ch’è fine d’amore, acciocchè quinci si levi ogni vizioso pensiero. Ricordisi chi legge, che di sopra è scritto, ch eil saluto di questa donna, il quale era operazione della bocca sua, fu fine de’ miei desiderj, mentre io il pote’ ricevere» (p. 21); - XXV, 4 «E non è molto numero d’anni passati, che apparirono questi Poeti volgari (che dire per rima in volgare, tanto è, quanto dire per versi in Latino) secondo alcuna proporzione è segno, che sia piccol tempo; e se volemo guardare....» (p. 31). Quanto alle divisioni, che dispose, seguendo il suo codice, per entro il tosto della Vita Nuova, non avvertì le alterazioni che avevano sofferto nel suo Ms. e in quello Guicciardini rispetto allo Strozziano; pur s’accorse della convenienza di far precedere esse divisioni alle ‘rime dolorose’, laddove nel suo codice, contro la volontà espressa dell’autore, vengono sempre di seguito (cfr. qui addietro a p. l, Manoscritti n. 31).
- ↑ Scriveva, il 29 sett. 1824, ad Ant. Papadopoli il Monti: «la dura mia sorte ha voluto che per servire all’altrui volere io mi sia gettato a tutt’uomo in lavori troppo contrari ai dolci studi delle Muse, e che finito l’uno, sia stato costretto a por mano ad un altro di peggior condizione, come appunto quello in cui mi ammazzo al presente; nella correzione cioè di tutte le opere minori di Dante, il Convito, la Vita Nuova e le Rime; fatica che veramente uccide l’ingegno ed è morte a tutte le Muse. Nulladimeno ho durata tanta pazienza che coll’aiuto del Trivulzio e del Maggi sono già al termine dell’impresa. Il testo del Convito e della Vita Nuova ridotto a sana lezione è tutto fermo, e il sarà tra poco anche quello del Canzoniere; e quando il pubblico contemplerà le migliaia d’orrende piaghe a cui si è data salute, per certo dirà che la nostra pazienza ha superato quella di Giobbe» (Opere inedite e rare di V. M., Milano 1831, vol. V, pp. 242-43).
- ↑ Gli errori indicati nell’edizione Biscioni a p. lxxxv, n. 2 rimangono però tutti, meno XIX 19, XXVI 12 e XXXVII 4.
- ↑ Questo codice leggeva ζ dicho che udendo, ma sul dicho furono tirati due freghi; non manca però l’acciò, ma il Frat. s’indusse ad ometterlo sull’autorità dell’edizione pesarese (a piangere; e dico che udendo la cagione perch’ e’ piange, si acconcino).
- ↑ Ecco, ad es., sino al § XVIII come sono segnate le varianti caratteristiche della famiglia a cui appartengono a c d e f o lo stampe S B (cioè Serm. o Bisc.): I, libro non è lezione soltanto di d e f, ma anche di a (c ha qui una lacuna) o di S B. — II 2, non sono allegate per l’omissione di nono (dopo mio) S B. — II, 4 per l’omissione del qui non sono notati a c d e. — II 5, tutti e cinque i Mss. leggono nostra, e nessuno è indicato. — III 15 Non è vero che sogno sia «della biscioniana o del cod. d»: leggono anch’essi sonetto. — VIII 7, è omesso di notare la variante di e f B: a tre parti. — IX 1, anche S B leggono andare. — XII 11, non notata per nessuno dei cinque Mss. l’omissione del verso Se com’io credo ecc. — XII 16, manca intendere anche in e e in B. — XIII 2, rie è lezione anche di e e f S B. — XIV 4, trascurata affatto la lezione distendersi sì — XIV 7, onde l’amico di buona fede leggono anche c d e. — XV 1, continuamente era meco hanno anche c d. — XV 2, nè pei cinque Mss. nè per S B è notata l’omissione di s’io non perdesse le mie virtudi e fossi libero tanto che io le potessi rispondere. — XV 7, ora anche da avvertire che e reca non mattendo dandare. — XVII 1, d pure legge come gli altri quattro codici. — XVIII 5, anche d f leggono parue udire, e così S B, e non già parea udire, com’è segnato. — XVIII 7, mi dicessi è pur lezione di S B. — S’avverta anche che non è tenuto conto delle diversità di lezione tra le varie edizioni del Frat. e del Giul.
- ↑ Che gli spogli, «eseguiti dal buon Calvi impiegato alla Nazionale di Firenze, e dovuti adoperare senza nemmeno aver visto la coperta dei volumi», lasciassero a desiderar parecchio, avvertì più tardi il Rajna stesso nel Giornale stor. d. lett. ital. VI, 115.