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legge, non per svista, ma di proposito, col codice Pesarese «quivi — Degli occhi suoi — li quali sono principio d’Amore», tralasciando, dopo occhi suoi, «Questa seconda parte si divide in due; che nell’una dico degli occhi...; nella seconda dico della bocca, ch’è fino d’Amore», perchè questi membretti della Volgata gli hanno «l’aria di glossema»!
Un’utile innovazione fu l’aver distinto la Vita Nuova in quarantatrè paragrafi numerati, a render più agevoli le citazioni del testo. Per le divisioni adottò invece il non felice espediente del Fraticelli di riprodurle in carattere corsivo: gli inconvenienti appariscono meno, avendo il Torri preferito sempre per esse il testo della tradizione boccaccesca; ma anche questa preferenza fu un passo addietro rispetto all’edizione fiorentina.
L’edizione del Torri diede luogo ad alcune recensioni critiche, che non furono inutili, in seguito, a migliorare il testo della Vita Nuova. Le osservazioni più importanti furono quelle di Giuseppe Tedeschini, ma esse non uscirono in luce se non nel 1872 nel secondo volume dei suoi Scritti su Dante, raccolti da B. Bressan dopo la morte dell’autore: prima si conobbero quelle che il P. Sorio fece in una lettera a Pietro Fanfani, stampata nell’Etruria (a. I, 1851, pp. 385-390). e quelle che Carlo Witte raccolse nell’opuscolo Cento e più correzioni al testo delle opere minori di Dante Allighieri proposte agli illustri signori Accademici della Crusca da un loro socio corrispondente (Halle, 1853, coi tipi di Otto Hendel, pp. 3-5).
Il Todeschini, postosi ad esaminare il lavoro del Torri, non tardò molto ad accorgersi del procedere incostante ed arbitrario di lui; e volle prender in esame i luoghi ne’ quali la lezione livornese non gli sembrava sodisfacente. Le osservazioni furono numerosissime, e talora largamente svolte, specialmente quando la retta lezione non si poteva stabilire senza entrare nella parte ermeneutica. Acuto e diritto ragionatore, conscio dei più sicuri principii critici, come quello che più codici possono rappresentare una testimonianza sola (p. 11, 54) e l’altro che «la lezione più strana (semprechè ragionevole) è solitamente la più vera, perchè i copisti non l’avrebber immaginata» (p. 23); riesce, coi soli mezzi fornitigli dal Torri, a riconoscer la vera lezione in molti luoghi dove la critica del suo antecessore aveva miseramente naufragato: e non soltanto dove la genuinità di una data variante è dimostrata dal contesto rettamente inteso, ma anche dove la buona scelta è indizio di un’arte critica più fine; ad es., XI 3 questa gentilissima salute salutava (p. 23), XIII 1 mi pareva che ingombrassero (p. 33), XVIII 7 con altro intendimento (p. 43), XXIII 1 Appresso ciò per pochi dì (p. 59). Non arriva a far buona accoglienza al va di XL 1, ma mette sulla via di vederne l’opportunità, e di