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cvi introduzione

critico del Rajna, nè dei commenti del D’Ancona e del Carducci. Si valse delle edizioni e degli spogli anteriori, e del codice di sua proprietà, al quale era ricorso anche per le Cento correzioni: aggiunse inoltre per le rime il frammento Scappucci, ora Marciano ital. IX, 528, il Quinterno della Palatina di Firenze creduto dal Palermo autografo del Petrarca e da lui pubblicato nel 2° vol. del suo catalogo di quella Biblioteca, e la prima edizione delle canzoni di Dante, che si ha in fine della Divina Commedia col commento del Landino impressa in Venezia «per Petro Cremonese dito Veronese» nel 1491. E come il D’Ancona, fece anche il Witte una ricostituzione nuova del testo, e riuscì quasi dappertutto a una lezione sodisfacente, senza tuttavia raggiunger quella perfezione e quella sicurezza ch’è desiderabile. Introdusse o ristabilì nel testo in più del Rajna qualche buona lezione, come VII 3 d’ogni tormento, VIII 7 e dico «udendo la cagione perch’e’ piange» acciocchè, XIII 1 mi pareva che ingombrassero, XIII 8 folle, XVI 1 Appresso ciò ch’io dissi questo sonetto, mi mosse, XVIII 8 vergognoso, XIX 9 sommo, ecc.; ma altre di cui il Rajna vide la bontà, egli non seppe convenientemente apprezzare, e lesse: XVII 1 credeimi, XXI 1 volontà di dire, 3 beato, XXII 9 bagnata il viso di pianto d’Amore, XXIII 1 appresso ciò pochi dì, 8 errante fantasia, XXV 2 corpo, ed ancora, XXIX 1 Italia, XXXV 1 d’una vista, 3 mia viltà, XXXIX 6 paressero distrutti. Fu anche troppo facile ad accogliere varianti peculiari di singoli codici, come donna della salute (III 4) e ed allora mi domandavano (XXIII 14) dal suo codice, la beatitudine e il fine (XVIII 4), esser fatta gentile (XXIII 9) e cantavan (XXIII 25) dal Marc. IX it. 191 spogliato dal Pizzo. Accettò anche da Giul. in XII 17, sul supposto fondamento del codice Magl. VI 143, allora intenderà e opporre in quello modo. Delle correzioni proposte nel 1853 agli Accademici della Crusca mantenne così le buone come le cattive, nonostante le giuste osservazioni contro alcune di queste fattegli dal Todeschini con lettera del 21 luglio 1854 (Studi su Dante, II 103-5): solo abbandonò, invece di aggiungere ciò che mancava, la prima, che io faceva avere a lei, por tornare alla comune ch’io li facea avere da lei (IX 5). Quanto alle divisioni, ben capì, come già il Todeschini, che formano una sola cosa col resto, e lasciò quindi di stamparle in carattere diverso o fuori di posto, e restituì col Fraticelli la vera lezione in quei luoghi che, per il trasporto di esse divisioni nei margini, avevano subito alterazioni.

L’apparato è più esatto e per le stampe anche più compiuto che nell’edizione D’Ancona, quantunque le stampe posteriori a quella del Biscioni si citino soltanto dove si allontanano da essa. Inesattezze tuttavia non ne mancano, e non solo per le varianti di codici prese da antecedenti edizioni, ma anche per il codice posseduto dal-