Pagina:Vita nuova.djvu/87


edizioni lxxxvii

visioni della Vita Nuova sono «poste fra le altre dichiarazioni» aggiunte in fine del volume, «credendo, che mescolate col testo, interrompono (sic) spiacevolmente il filo della narrazione».

4. vita nuova | di | dante alighieri | ridotta a lezione migliore || milano | dalla tipografia pogliani | mdcccxxvii.

Il fondamento dell’edizione rimane la stampa fiorentina procurata dal Biscioni, ma coll’aiuto dei due testi a penna della Trivulziana (F = 1050, B = 1058), giovandosi pure per riscontro dell’edizione del Sermartelli, riuscirono gli Editori Milanesi (G. G. Trivulzio, colla cooperazione di V. Monti1 e A. M. Maggi) a sanare «alcune lezioni guaste nelle stampe antecedenti» e riempire «diverse lacune», dando di tutto ragione nelle note. Certo sarebbe stato miglior partito porre a fondamento il 1058, e dar le varianti dell’altro codice e delle stampe: il confronto tra le divisioni di quel primo Ms. e quelle degli altri testi (avendo presente la nota pubblicata dal Biscioni) e le lacune avvertite nella volgata potevano facilmente fare accorti gli editori della maggior compiutezza e autenticità del loro codice B. Ma l’attribuire in ogni caso, a priori, al testo volgato delle stampe un valore superiore a quello dei nuovi Mss. che era dato consultare, è stato un pregiudizio comune sino ai nostri giorni. S’aggiunse anche a render meno sicura la correzione del testo volgato una certa predilezione pei versi di miglior suono (p. 16, 28, 38) e per le imagini più poetiche, ed anche per le forme che sono, o sembrano, grammaticalmente più corrette e per le voci meno dissuete (p. 61, § XXV 4, non è molto numero d’anni passato; p. 92, § XLII 1, infino a tanto che io non potessi; p. 20, § XI 1, risposta, in luogo di risponsione data da B e dalla volgata), anche se più scarso è il fondamento diplomatico: quando una lezione piace, non importa neppure dir precisamente da quali codici sia sorretta o contrastata (p. 78). Da queste predilezioni, dalla mancanza di principii critici

  1. Scriveva, il 29 sett. 1824, ad Ant. Papadopoli il Monti: «la dura mia sorte ha voluto che per servire all’altrui volere io mi sia gettato a tutt’uomo in lavori troppo contrari ai dolci studi delle Muse, e che finito l’uno, sia stato costretto a por mano ad un altro di peggior condizione, come appunto quello in cui mi ammazzo al presente; nella correzione cioè di tutte le opere minori di Dante, il Convito, la Vita Nuova e le Rime; fatica che veramente uccide l’ingegno ed è morte a tutte le Muse. Nulladimeno ho durata tanta pazienza che coll’aiuto del Trivulzio e del Maggi sono già al termine dell’impresa. Il testo del Convito e della Vita Nuova ridotto a sana lezione è tutto fermo, e il sarà tra poco anche quello del Canzoniere; e quando il pubblico contemplerà le migliaia d’orrende piaghe a cui si è data salute, per certo dirà che la nostra pazienza ha superato quella di Giobbe» (Opere inedite e rare di V. M., Milano 1831, vol. V, pp. 242-43).