Storia della rivoluzione di Roma (vol. III)/Capitolo XVII
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[Anno 1849]
Conosciuto che fu il rifiuto del generale Oudinot (e non vi volle molto a conoscerlo, perchè la mattina del 1° di giugno quel no fatale era su tutte le bocche), le ire dei Romani proruppero acerbe contro il nome francese, e da ogni banda accenti sdegnosi udivansi e propositi di vendetta. E come già non pochi erano per istinto avversi alla Francia, ed altri lo divennero dopo il 30 di aprile, così le pratiche del Lesseps contennero per quindici giorni, e per rispetto al triumvirato, i loro sdegni. Costoro pertanto durante le negoziazioni dubitaron sempre, e poco o nulla fidenti nelle promesse francesi, non peritavansi di ripetere a mezza voce quel celebre: «equo ne credito. Teucri;» mentre altri più franchi ed aperti imprecavano e maledicevano al generale, ai soldati, alla nazione, e perfino al presidente della repubblica Luigi Napoleone Bonaparte.
Che anzi a tal punto di aperta contrarietà pronunziossi il partito esagerato, che come indizio dell’alto disprezzo in cui teneva il francese dittatore, non ebbe riguardo di farlo rappresentare nel Don Pirlone (ch’era l’organo più dichiarato della rivoluzione) siccome un uomo senza testa o colla testa di asino. Dietro tali preliminari può ognuno immaginare l’effetto terribile prodotto in quelle teste vulcaniche dal rifiuto del generale, e quali i discorsi, i fogli stampati, e le caricature per esprimer lo sdegno e il disprezzo che invadeva le menti.
Il primo giorno di giugno pertanto si passò fra le grida, le minacce, gli schiamazzi e le recriminazioni. L’accaduto però conoscevasi, ma vagamente soltanto.
Nel giorno 2 il Monitore mise tutto in chiara luce, ed il triumvirato informò i Romani con una grida, della convenzione col Lesseps e del rifiuto del generale di ratificarla.1 Con altro proclama poi gli avvertiva che il generale anzidetto aveva rotto la tregua.2 Pubblicavasi inoltre l’ultima lettera del Lesseps in data del 1°, nella quale annunziava di partire per Parigi per far ratificare la convenzione del 31 di maggio.3
Tutte queste particolarità noi le abbiamo già esposte alla fine del nostro capitolo XV sulla missione del Lesseps. Ne abbiamo ora riparlato succintamente onde seguire per ordine cronologico la serie degli avvenimenti occorsi in sui primi di giugno.
Analogamente alle sue promesse il generale Oudinot non avrebbe dovuto assalire i Romani che il lunedi 4 giugno. Ma secondo ciò che a noi manifestò confidenzialmente il Le Duc segretario del Lesseps, si riteneva che dovessero battersi il 3. E si disse difatti che la sera del 2 i Romani vi si mostrassero preparati, perchè alcuni giovani andarono gridando pel Corso in quella sera: a domani a domani, senz’aspettare lunedì.
Come ed in qual modo possa spiegarsi la infrazione per parte del generale Oudinot della sua promessa, nol sappiamo; come il Le Duc potesse tenere a noi che scriviamo quel linguaggio, è un mistero; ma è un fatto positivo che i Romani vennero attaccati la mattina della domenica 3 di giugno in sul far dell’alba.
Prima però che facciamo il racconto dello scontro fra i Romani ed i Francesi, crediamo di dover informare i nostri lettori che allorquando venne denunciata la cessazione dell’armistizio, l’armata francese era stata portata a ventimila uomini, e quella di Roma a ventunmila settecento sessanta combattenti, oltre dodicimila uomini di guardia nazionale, e centoquattordici cannoni. Abbiamo estratto queste cifre dall’opera del maresciallo Vaillant sull’assedio di Roma.4
Trascriveremo più sotto lo specchio dell’armata romana datoci dal medesimo Vaillant, osservando preliminarmente ch’egli si era tenuto al largo dando millesettecento uomini alla legione di Garibaldi, compresivi i lancieri, la quale appena componevasi di millecinquecento, e dodicimila alla guardia nazionale, che appena ne contava ottomila.
Ci racconta il maresciallo che il 25 di maggio (clandestinamente s’intende) egli era penetrato in Roma, ne aveva studiato le difese ed i mezzi, e si era deciso per fare della porta san Pancrazio il punto di attacco, affine di annullare così tutte le barricate ed i trinceramenti del Trastevere.5
Queste particolarità non riusciranno sgradite ai nostri lettori.
Ecco, secondo il Vaillant, la
Composizione dell’Armata Romana
concentrata nelle mura di Roma.
Uomini | ||||
Fanteria | Un reggimento di veterani | 745 | 17,935 | |
1° reggimento di linea | 1,864 | |||
2° idem | 2,000 | |||
3° idem | 1,493 | |||
5° idem | 2,193 | |||
6° idem | 1,740 | |||
Un battaglione di bersaglieri (comandato da Melara)
|
379 | |||
2° battaglione dell'8° di linea | 729 | |||
9° reggimento di linea (Unione) | 1,841 | |||
Legione romana (volontari) | 251 | |||
Bersaglieri lombardi (comandati da Manara)
|
1,000 | |||
Battaglione universitario (studenti)
|
300 | |||
Legione bolognese (volontari) | 650 | |||
Divisione Arcioni (Piemontesi) | 450 | |||
Legione Garibaldi (Piemontesi e Lombardi)
|
1,500 | |||
Lancieri di Garibaldi (di cui 40 a cavallo)
|
200 | |||
Carabinieri mobilizzati | 400 | |||
Legione polacca | 200 | |||
Cavalleria | 1° reggimento di dragoni | 889 | 1,751 | |
2° idem | 862 | |||
Artiglieria | Artiglieria di linea | 1,383 | 1,574 | |
Artiglieria di volontari | 191 | |||
Genio | 500 | |||
Totale | 21,760 | |||
Indipendentemente dalla guardia civica addetta più specialmente alla polizia della città, e di cui l’effettivo elevavasi a circa
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12,0006 |
Roma pertanto in sui primi di giugno era risolutamente per la guerra. Ed in previsione di ciò che andava necessariamente ad accadere a momenti, la commissione delle barricate composta di Cernuschi, Cattabeni, Andreini, annunziava il 2 di andare a riprendere le sue funzioni.9
L’assemblea dichiaravasi in permanenza,10 ed il triumvirato invitava i Romani di recarsi alle mura, alle porte e alle barricate.11
Il nuovo ministro dell’interno Mayr, entrato in ufficio il 2 di giugno in sostituzione del Rusconi partito per una missione all’estero, ordinava lo stesso giorno che tutte le campane fosser mute e al rintuono di quella del Campidoglio rispondessero a stormo, e che il Santissimo venisse esposto nelle chiese.12 Ed il maggiore Galvagni invitava i cittadini a spargere terra e pozzolana avanti le case affine di render facili i movimenti della cavalleria.13 Dal triumvirato poi decretatasi che le botteghe di commestibili e le farmacie dovessero, come nella giornata del 30 aprile, rimanere aperte, e stabilivasi, circa le campane, quanto si è testè riferito.14
Tutte queste disposizioni davansi dall’autorità, perchè si ardeva da ambe le parti di venire a combattimento e di finirla.
E la mattina di fatti del 3 di giugno sul far del giorno i Francesi avanzaronsi dal campo per recarsi alla villa Pamphily ch’era occupata dai Romani. I Francesi per rendersi padroni del terreno sul quale volevasi aprire la trincea, dovevano far precedere il discacciamento dei Romani, come pure trovavansi costretti di occupare la chiesa e il convento di san Pancrazio, e gli altri locali e le ville adiacenti alla porta che da san Pancrazio prende il nome.
Mentre dunque da un lato una compagnia di cacciatori francesi del 1° battaglione ed una compagnia di zappatori seguiti dal 33° di linea forzavano il passaggio nella villa Pamphily, altri corpi francesi occupavano la chiesa, il chiostro, ed il giardino di san Pancrazio, occupavan pure la villa Valentini, ed apparecchiavansi ad attaccare la villa Corsini ov’erano trincerati i Romani. I Francesi per farsi strada nella villa Pamphily fecero esplodere un sacco di polvere in una fenditura di un muro divisorio, e così, rottolo, dettero accesso alla colonna di attacco. Centocinquanta soldati appartenenti all’armata romana, e parecchi ufficiali con una bandiera furon fatti prigioni.
Dopo di ciò un attacco non già parziale ma generale ebbe luogo: e quantunque esso fosse formidabile per parte de’ Francesi, provocò una difesa onorevole e valorosa dal lato dei Romani. Questo più che scontro, vero combattimento, durò dall’alba alla sera: e dopo che le ville Corsini, Valentini e le case vicine furon prese, abbandonate, e riprese, or da’ Francesi, or da’Romani, finalmente questi dovettero cedere e lasciare gli anzidetti locali nelle mani dei Francesi. Non così potè dirsi della villa già Giraud, e del casino chiamato il Vascello, il quale rimase costantemente e durante tutto l’assedio nelle mani dei Romani, ad onta degli sforzi de’ Francesi per occuparlo.
La gloria e l’onore della difesa dei Romani si dovette precipuamente alla legione di Garibaldi ed a quella lombarda. Ma le perdite in entrambi le legioni, e massimamente tra gli ufficiali, furono immense ed irreparabili. Il fiore di questi vi perdette la vita.
Secondo la relazione del general Garibaldi perirono gli ufficiali seguenti, cioè:
- L’aiutante maggiore — Peralta.15
Tra i feriti poi furon da annoverarsi:
- Il colonnello — Marocchetti.
- Gli uffiziali — Bixio — Mameli.
Posteriormente fu pubblicata dal governo una nota generale di tutti i feriti, la quale ne porta il numero a 350, fra i quali erano 27 gli ufficiali.
Secondo però il Torre, meglio di tutti informato di queste faccende, gli ufficiali uccisi nei fatti del 3 di giugno furono 19, ed i feriti 32; e cosa notevole e rilevantissima si è che fra tutti questi morti e feriti non vi fu un solo che potesse dirsi veramente romano. Il medesimo Torre poi dice che furon 500 i soldati tra feriti e morti.16
Intanto e mentre ferveva il combattimento sul Gianicolo, un distaccamento francese passato il fiume a nuoto nelle vicinanze del ponte Molle il quale era rotto, veniva a stabilirsi e trincerarsi sulla riva sinistra che fortificava alla meglio. Il ponte fu reso praticabile anche alle più pesanti vetture nella mattina del dì seguente.17
Il risultato dei fatti del 3 di giugno, quantunque i Romani ed i loro ausiliari facesser prova di un coraggio perseverante e di una bravura incontrastabile, fu che i Romani vennero respinti nella piazza, lasciando libera tutta l’estensione di terreno ove dovevano stendersi le trincee francesi. Occuparono i Francesi e fortificarono la chiesa di san Pancrazio, e nell’alto Tevere s’impossessarono e ritennero il passaggio importantissimo del ponte Molle, stabilendosi sulla sua riva sinistra. Il monte Mario da vari giorni per astuzia e non per valore era già nelle loro mani.
Ci siamo un poco diffusi nel raccontare queste particolarità, perchè le credemmo necessarie per l’intelligenza de’ fatti successivi. Ripetiamo che i Romani non ebbero la gloria di aver vinto. Ebber quella bensì di essersi mostrati coraggiosi ed abili quanto i Francesi. Chi desideri più ampli ragguagli sulle fazioni militari del 3 di giugno, potrà rinvenirle nel generale Vaillant, nel Torre, e nel Balleydier.18
Terminato il combattimento colla peggio dei Romani, incominciarono le opere di umanità a sollievo de’ sofferenti. Le ambulanze porsero un confortevole ricovero agli sventurati cui dovevansi curar le ferite. Lo spirito di carità, e l’amore di patria e d’indipendenza (non vogliam dire se rettamente o sinistramente o esageratamente professati) presiedevano all’opera umanitaria, e varie signore anche spettabili per condizione sociale vi si dedicarono.
Noi non ne citeremo i nomi, nè ci abbandoneremo, come fecer taluni, a censurare la loro condotta, e tanto meno a sparger dubbi sulla loro onestà. L’opera buona che praticarono, rifulge di luce sì vivida, da far sparire le ombre, e la carità cristiana c’insegna a non pensare a male. Era direttrice delle suore umanitarie la principessa Trivulzio di Belgioioso.
I triumviri emisero un indirizzo per lodare i Romani e congratularsi con loro. 19 La commissione delle barricate in istile scherzevole al solito, emetteva il suo che incominciava così: «Un giorno di guadagnato. Hanno mancato di parola. Ma noi terremo la nostra di resistere ec.» 20
Dal giorno 4 giugno incominciano le operazioni di assedio regolare, che noi racconteremo in questo capitolo seguitamente siuo al giorno 22, posteriore a quello in cui i Francesi entrarono per la breccia.
Prima però di por mano a questo racconto crediamo di dover riferire
1° La lettera che si vuole essere stata scritta in sugli ultimi di maggio o in sui primi di giugno dal generale Oudinot al comandante in capo dell’armata austriaca.
2° Il discordo pronunciato dal medesimo al colonnello Buenaga spagnolo, al colonnello d’Agostino ed al tenente colonnello Nunziante, napolitani entrambi, per indurli a lasciarlo solo nella intrapresa di prendere Roma. Ecco l’una e l’altro:
Lettera al comandante austriaco.
- «Generale,
» Ho appreso che voi siete arrivato a Perugia con una parte delle vostre truppe e che vi proponete di continuare la vostra marcia in avanti, mettendovi in comunicazione coll’armata napolitana negli Abruzzi. Devo rammentarvi che l’armata francese ha incominciato sola l’assedio di Roma, ch’essa è sul punto d’impadronirsi del Ponte Molle, ch’essa è, per conseguenza, in comunicazione colle strade di Firenze e di Ancona. Io sono risoluto di fare avanzare la mia armata verso questa direzione; sospendete dunque la vostra marcia: l’onore delle nostre armi lo esige.
» Io imparai a onorare sul campo di battaglia le truppe austriache; ma, in questo momento, qualunque dimostrazione da parte loro sopra Roma sembrerebbe offensiva od ostile alla Francia. Se in queste condizioni i nostri soldati s’incontrassero, potrebbero risultarne conflitti che entrambi abbiamo a cuore di prevenire.»21
- «Signori,
» Con la franchezza del soldato esporrovvi, come io io la comprendo, la situazione rispettiva delle armate cattoliche riunite in questo momento sul territorio del governo pontificio.
» Apparteneva alla Francia, figlia primogenita della Chiesa, di prendere l’iniziativa del ristabilimento in Roma della sovranità temporale del papa intimamente legata all’autorità spirituale. Evidentemente in questo scopo un corpo di spedizione fu diretto a Civitavecchia. Tuttavia, la situazione politica della Francia, la forma del suo governo, le imponevano doveri complessi e speciali.
» Le istituzioni liberali che la reggono le prescrivono di opporsi alle reazioni assolutiste. I governi austriaco. spagnolo e napolitano sono a questo riguardo in condizioni differentissime dalla nostra. Questa distinzione è stata subito stabilita dal primo proclama datato da Civitaveccbia, ma compilato a Parigi dal governo stesso.
» Le disposizioni del mio paese per il Santo Padre e le sue simpatie pel vero popolo romano unite ai ragguagli che da ogni parte mi eran pervenuti, hanno dovuto fare affrettar la mia marcia sopra la città santa. Io spinsi una forte ricognizione su Roma piuttosto come mediatore che come conquistatore, con le armi a braccio per così dire. Vidi subito che le nostre intenzioni erano state mal conosciute. La giornata del 30 di aprile di cui tutti conoscono l’esito e di cui le armi francesi possono andar gloriose, mi obbligò ciò non ostante a ripiegarmi su Palo. Io sperava di essere attaccato in questa ritirata a campo aperto, ma quantunque io abbia impiegato cinque giorni in eseguirla, neppure un solo distaccamento dell’armata romana osò inquietare la nostra marcia. Io feci, al mio governo un rapporto conforme alla più esatta verità. Io dichiarai che le popolazioni essendo sotto l’impero del terrore non verrebbero punto in nostro aiuto, e che rinforzi, sopra tutto in munizioni, erano necessari per assediare la città. Piacemi di rendere questa giustizia al mio governo, che mi spedi forze superiori a quelle che mi erano rigorosamente iudispensabili. Appena giunte, ripresi l’iniziativa dell’attacco; e si fu allora che il signor di Lesseps giunse da Parigi con una missione diplomatica. Ciò che mi han fatto soffrire esitazioni, lentezze e sotterfugi così poco in rapporto colle abitudini militari, Dio solo ed io il sappiamo. Voi mi comprenderete quando io vi dirò qui, o signori, che il mio carattere di soldato è stato messo a crudeli prove.
» Io doveva dare a’ miei subalterni l’esempio della pazienza; io l’ho dato loro fino al momento in cui il signor di Lesseps mi presentò, per essere da me firmata, una convenzione ingiuriosa per l’onore delie nostre armi e per la dignità della Francia.
38 » La mia rottura col signor di Lesseps doveva essere, come fu, strepitosa. La maniera colla quale questo diplomatico ha eseguito la sua missione, è in oggi conosciuta ed apprezzata. Essa lo è stata subito, sono felice di poterlo dire, dal presidente della repubblica francese e dal suo gabinetto. Il signor di Lesseps era richiamato a Parigi nel momento stesso in cui io gl’interdiceva l’ingresso nel campo. Mi si restituirono i pieni poteri dovuti ad un generale in capo. Allora io detti alle operazioni di guerra lo slancio atto a finir l’impresa.
» In seguito di parecchi vigorosi combattimenti, le nostre truppe s’impadronirono di tutte le posizioni esterne, ed ora esse son padrone del Ponte Molle sopra l’alto Tevere come ancora delle comunicazioni con Firenze e con Ancona. Incontro alla basilica di San Paolo sono alcune chiatte, ed un ponte di barche è gittato sul basso Tevere; la mia cavalleria percorre tutta la pianura che si estende fra Roma, Frascati e Albano. Noi abbiamo di già aperta la nostra prima parallela a trecento metri dalla città. Le nostre batterie sono stabilite; fra qualche giorno noi saremo padroni di Roma, e se le disposizioni ch’io ho prese ritardano il successo, almeno esse eviteranno alla città eterna gl’infortuni della guerra.
» Ebbene! quando una grande nazione come la Francia ha di già compiuto tali cose, quando ella ha fatto sacrifici e spese sì enormi, quando è stata offesa, le bisogna una riparazione solenne. Essa deve ottenerla senza alcuna partecipazione ausiliaria, senza alcun soccorso straniero. No, nelle circostanze attuali, la Francia non può permettere che alcuna nazione venga a toglierle la gloria che le appartiene esclusivamente, e che non può sfuggirle. Qualunque armata che si avanzasse in questo momento verso di Roma, non potrebbe farlo che come nostra amica o come nostra nemica; soccorrendo gli assediati o gli assedianti. Noi non possiamo accettare nè l’una nè l’altra di queste combinazioni. Noi entreremo in Roma senza il soccorso delle armate alleate; credo alle loro buone intenzioni, ma se esse non sospendessero immediatamente la loro marcia, l’armata francese si porterebbe senza ritardo ad incontrarle e non esiterebbe punto a trattarle come nemiche.
» Io ignoro gli avvenimenti che possono aver luogo nell’ordine politico e sociale di Europa; io ignoro ancora il partito definitivo che prenderà la Francia negli imbarazzi che seguiranno la resa di Roma; ma in oggi il mio dovere è tracciato; nella città santa il mio paese farà t conoscere le sue ultime risoluzioni sopra l’avvenire degli Stati pontificî.
» Per non offendere la giusta suscettibilità delle armate napolitana e spagnola, io vi leggerò la lettera che ho scritta sullo stesso oggetto al comandante in capo delle truppe austriache le quali trovansi negli Stati romani.»
Dopo di aver letto rapidamente la lettera che abbiamo riportata di sopra, il generale Oudinot continuò:
- «Signori,
» Io non so se questo linguaggio sia diplomatico quanto alla forma, ma esso è l’espressione di una volontà irremovibile. Ho l’orgoglio di credere che otterrà il vostro assentimento e quello de’ vostri sovrani rispettivi.»
Si persuasero gl’inviati spagnolo e napolitano al discorso ragionevole e risoluto del comandante francese, si scambiarono vicendevolmente attestazioni di amicizia e di stima, e fecer tutt’insieme colezione. E siccome il colonnello Buenaga avea recato al generale Oudinot una lettera per parte del suo comandante in capo generale Cordova, così il generale Oudinot lo pregò di recargli la sua risposta, che può leggersi nel nostro Sommario.24
La determinazione del generale Oudinot di volere restar solo e di non voler compagni nella presa di Roma, quantunque ragionevole, non potè non essere sentita con sorpresa e direna pure con timore tanto dal governo di Napoli, quanto dalla corte pontificia residente in Gaeta.
Ma noi lasciando gli uni e gli altri fra i timori, i sospetti e le speranze, torneremo a parlar dell’assedio.
Nella mattina del 4 giugno i Romani fecero una sortita per attaccare la casa detta di Merluzzetto (che gli assediane chiamavano la maison des six volets verts) debolmente occupata da’ Francesi. Questi avendo avuto un rinforzo, i Romani ritiraronsi senza far fuoco. Cannoneggiaron gli assediati poco dopo dal bastione 6 contro la stessa casa, e vi uccisero due soldati ed un capitano di artiglieria di marina. Nella notte dal 4 al 5 giugno si apri da’ Francesi la trincea incominciandola dalla chiesa di san Pancrazio, ove la prima parallela doveva appoggiare la sua estrema sinistra, fino ai pendii che scendono alla via Portuense; e costruironsi la 1ª e la 2ª batteria, quella contro il bastione 6, questa contro le batterie romane di sant’Alessio e di Testaccio.25
Il giorno 5 furono pubblicati i seguenti dispacci:
«Primo.
» Il combattimento ha incominciato alle ore 4 e 1/2. Fanno fuoco san Pancrazio, monte Aventino, porta Portese, Testaccio, e questo quinto baluardo (Vaticano).
» San Pancrazio fa miracoli colle granate.
» La moschetteria è vivissima da per tutto.
» Due grossi cannoni francesi fanno fuoco alla vigna di sant’Antonio sulla dritta del Tevere, al mezzogiorno da san Pancrazio.
» Altro cannone nemico è nella vicinanza di san Paolo.
» Ponte Molle, monte Mario, e villa Mattei rimangono come ieri.
» Secondo.
» Due cannoni francesi sono posti a villa Pamphily, nella direzione di questo quinto baluardo (Vaticano).
» Terzo.
» Ore 9 antimeridiane
» Il fuoco è cessato.
» I Francesi si concentrano a villa Pamphily. Dall’Osservatorio di santa Maria Maggiore si dice, non vedersi nulla. A porta san Giovanni v’è movimento ma per la direzione di san Paolo.
» Quarto.
» Ore 9 e 30 antimeridiane.
» Un colpo di cannone dal quinto bastione Vaticano ha disperso lo Stato maggiore francese, ch’era raccolto sul piazzale di villa Pamphily.»26
Secondo poi lo scrittore del Sommario storico,27 oggetto pei Romani fu quello di cacciare i Francesi da villa Pamphily, ed a tale scopo fecero una sortita, e due compagnie francesi del 33° venner massacrate. Quanto alle perdite dei Romani la nota generale pubblicata in settembre numera 42 feriti.28
Egli è innegabile che nei fatti di questo giorno i Romani e gli artiglieri massimamente si condussero assai bene, ed in qualche cosa anche meglio de’ Francesi, per confessione dello stesso Vaillant, il quale asserisce inoltre che le perdite dell’armata francese nei giorni 4 e 5 furono di 10 uccisi e 73 feriti, fra i quali 3 ufficiali.29 Tra i feriti romani fuvvi il colonnello de’ bersaglieri Pietro Mellara bolognese, il quale morl in luglio per effetto della ferita.30
Fu incominciata nella notte dal 5 al 6 dai Francesi la batteria nº 3 nella 1° parallela; e siccome aveva per iscopo di molestare i difensori de’ bastioni 6 e 7, così fu stabilita in una posizione intermedia contro la faccia diritta del primo e la sinistra del secondo. Un uragano che imperverso nelle ore pomeridiane del 6 danneggid molto le opere dei Francesi.31
Durante la giornata del 6 le batterie n° 1 e 2 continuarono il loro fuoco, la prima contro il bastione 6, la seconda contro le batterie della riva sinistra del Tevere. I Francesi ebbero fra gli uccisi il tenente Clère, ed un cannoniere ferito.32
Nella notte dal 7 all’8 incominciossi dai medesimi a costruire la batteria nº 4 opposta alla faccia destra del bastione 6. Ebbero i Francesi 5 uomini uccisi e 10 feriti.33
Si cannoneggiò il giorno 8 da ambe le parti, e il cannone romano, per confessione dello stesso Vaillant, inquietò molto i Francesi. Smascherarono i Romani due nuove batterie, l’una vicino a quella di sant’Alessio, l’altra a sette in ottocento metri all’est del monte Testaccio, avanti la chiesa di san Saba.34
Il 9 verso sera fu tentata una sortita dai Romani per fare una ricognizione. Rientrarono la sera stessa, senza aver raggiunto lo scopo. Perdettero un aiutante ufficiale, ed ebbero 8 o 10 feriti.35 Il generale Vaillant dice che la sortita dei Romani produsse una qualche emozione, e che anche i lavoranti si misero a rispondere al loro fuoco. Altro uragano danneggiò i lavori dei Francesi.36 Nella notte eran giunti alcuni battaglioni per prender parte alla guerra. La legione romana, comandata dal Masi, era rientrata nella mattina.37
Dal 9 al 10 furon continuati per parte de Francesi i lavori di trincea, e si fece la traccia di una piazza d’armi appoggiantesi a villa Corsini. La batteria n° 4 era quasi armata, e sul ripiano di villa Corsini s’incominciò la costruzione di una batteria.38
Lo stesso giorno 10 fece il suo ingresso in Roma il generale Arcioni lombardo colla sua legione reduce dall’Ascolano. Erano fra i suoi legionari anche de’ giovinetti, in tutto 617 uomini. Il Monitore l’annunziò per 700. L’Arcioni, il quale già trovavasi in Roma fin dal marzo alla testa della legione degli emigrati, ne era partito il 5 maggio per recarsi a battere gl’insorti nella provincia di Ascoli.39
I Francesi, in proseguimento dei loro lavori di assedio regolare, e volendo stringere Roma e toglierle i soccorsi dei paesi circonvicini, spedirono il capitano Ragon con un distaccamento di zappatori ed un battaglione del 13º sull’ Aniene, per tagliare i tre ponti Salario, Nomentano e Mammolo.40 Non pensarono però a tagliare anche il ponte Lucano, in prossimità di Tivoli, e quindi ne risultò che non raggiunsero completamente l’intento d’isolare Roma. Mediante il ponte Lucano mantennersi non interrotte le comunicazioni con la Toscana e con Ancona, e salvo un giro più lungo, il servizio postale da quel giorno in poi si fece passando per ponte Lucano, fino al termine dell’assedio.
Lo stesso giorno fu pure tagliato dai Francesi l’acquedotto dell’acqua Paola, per deviarla da Roma.41
Egli è per noi ragionevole, storicamente parlando, di notare nella notte del 10 all’11 di giugno il racconto di una sortita che fecero i Romani, della quale poco o nulla si parlò all’aperto perchè non riuscita affatto, ma che costituisce non pertanto uno degli episodi più notevoli della storia dell’assedio di Roma. Sono però dissenzienti gli scrittori sul giorno preciso in cui accadde.
Il Torre la pone nella notte del 10 all’11, e con lui consente uno dei militi che vi preser parte, il quale ne pubblicò la relazione. Il suo nome è Michele Stagi.
Il Vaillant però, il conte Lubienski, ed il giornale l’Album del 29 settembre 1849 ne parlano come accaduta nella notte del 17. Ma la precisione del Torre ch’era sostituto al ministero della guerra, la sua qualifica di storico, e l’esser deputato all’assemblea costituente, danno un gran peso alla sua opinione. Il racconto circostanziato che ce ne fornì, e l’esser convalidato da un testimonio di fatto, quale fu lo Stagi, c’inducono ad adottare la data da lui indicata. Ecco il racconto:
«La nostra armata dovea uscir di Roma per la porta Cavalleggeri divisa in cinque brigate la notte del 10 per combattere all’alba del giorno 11. La prima brigata doveva dirigersi per il monte delle cave della creta al casale di san Pio V, girare a sinistra ed attaccare al ridosso Villa Pamphily: altre tre brigate seguendo la prima a giusta distanza e giunte in linea colla estremità di detta Villa doveano spiegarsi per masse in battaglia, fronte alla medesima e piombare su quella posizione con un movimento a scaloni per la diritta. In tal guisa le nostre schiere si sarebbero trovate su di una linea quasi perpendicolare dietro la sinistra delle trincee francesi. La quinta brigata avanzando sulla strada da porta Cavalleggeri a porta san Pancrazio avea ordine di occupare le case che erano qua e là sulla sua diritta per proteggere l’artiglieria che era destinata alla sinistra della linea di battaglia. La cavalleria poi uscendo anch’essa da Porta Cavalleggeri e trapassato il recinto Vaticano doveva tenersi più innanzi appostata su quelle alture onde impedire alla brigata che era a monte Mario e ponte Molle poter soccorrere il campo attaccato dai nostri. Questo era il disegno del generale in capo e del suo stato maggiore: noi lo abbiamo riferito come storici dubitando assai della felice riuscita di quella impresa, chè le nostre giovani milizie non usate agli esercizi ed alle discipline del campo non potevano prosperosamente combattere all’aperto truppe brave, agguerrite, non meno delle italiane impetuose agli attacchi. Il generale Garibaldi volle il comando di quella impresa di cui non sappiamo se intendesse seguire in tutto l’idea o solo operare una sortita per manomettere i lavori del nemico. Riunì otto mila uomini sulla piazza di san Pietro la sera del 10, e perchè tra le tenebre si potessero distinguere uscirono incamiciati da porta Cavalleggeri. Invece di mandare innanzi per esploratori i soldati del paese marciavano avanti a tutti i Polacchi, i quali tra quei difficili luoghi scambiato sentiere anziché procedere s’imbatterono nella legione italiana testa della prima brigata. Le prime file dinnanzi in quella oscurità della notte travedendo nemici nei compagni tirarono ciecamente sopra loro, si scomposero, e in quella confusione feritisi alcuni tra loro si precipitarono gli uni sugli altri, ed avrebbero col loro esempio sciolte le ordinanze anche delle altre milizie se il bravo colonnello Mezzacapo alla testa della seconda brigata non avesse tenuto fermo, e posto sui fuggenti stessi alcun ordine.»
Questo racconto dice chiaramente la mala riuscita della fazione militare cui si diè il nome d’incamiciata.
I Francesi poi sembra che quasi neppur si avvedessero della sortita del Garibaldi dalla porta san Pancrazio, e nella stessa notte fecero un’apertura nel muro di sostegno di villa Corsini. Il Vaillant ci dice semplicemente nella sua opera che i Romani si ritirarono perchè trovarono ben custodite le trincee. 42
L’unico indizio di questa sortita che si dette nel giornaie ufficiale dell’11 fu un indirizzo del general Roselli, ove si accenna quasi misteriosamente la sortita, senza farvi menzione nè della incamiciata, nè delle fucilate fra i militi dell’armata romana, nè della confusione che ne segui, in somma del mal successo della intrapresa. Ecco le parole del Roselli:
«Repubblica Romana
» in nome di Dio e del Popolo.
- Cittadini!
» La breve assenza delle truppe dalla città mi ha dato campo a conoscere come il Popolo Romano sia sempre pronto alla difesa de’suoi sacri diritti. I cittadini sono corsi numerosi alle mura, la Guardia Nazionale pronta alle armi, e la città era guardata con egual vigilanza.
» La truppa è rientrata poiché sapemmo il nemico prevenuto della mossa; voi, cittadini, tornate alle domestiche cure, ed accettate, in nome della Patria, i miei » sentimenti di viva soddisfazione.
» Viva la Repubblica .
- «Roma 11 giugno 1849.
» Il Generale in Capo |
In un modo o nell’altro però la sortita detta della incamiciata è un fatto, ed un fatto il quale non che non avere avuto l’esito che se ne sperava, non ne ebbe alcuno affatto, e questo mal successo porge una spiegazione del silenzio conservato da’ giornali sul medesimo. E se noi ne parlammo diffusamente, egli è perchè sentimmo raccontarlo ripetutamente e noi credemmo. Non fu dunque che dopo la lettura delle opere del Vaillant, dei Torre, dei Lubiensky, dell’opuscoìo dello Stagi, e dell’articolo dell’Album, (tutte pubblicazioni posteriori alla restaurazione del governo pontificio in Roma) che dovemmo persuaderci della sua esistenza. A ciò si deve pertanto quella cura speciale che abbiam posto nello schiarire questo avvenimento, e citare tutti i documenti che ne constatino la esistenza.44
Proseguendo la narrazione sommaria di ciò che all’assedio si riferisce, fino al primo ingresso dei Francesi per la breccia, diremo che nella notte dal 10 alni venne incominciata la costruzione della batteria n° 5 contro la faccia sinistra del bastione 7.45
La mattina del 12 i Romani fecero verso la batteria n° 5 una sortita, di cui parla il Vaillant dicendo che poteva riuscir fatale ai Francesi, e che i Romani si batterono con tale accanimento, che ove non potè farsi uso del fucile, si ricorse alle pietre. Ebbero i Francesi 7 uomini uccisi e 25 feriti.46
Il ballettino del general Garibaldi pubblicato nel Monitore racconta che quando per uccidere mancò per un istante la munizione, i Romani si rivolsero ai sassi, e strapparon le baionette dalle mani del nemico. Vi prese parte il secondo battaglione del reggimento Unione comandato dal maggiore Pietro Panizzi modenese il quale vi perdette la vita insieme con due ufficiali egualmente non romani Cremonini e Giordani.47 I cenni sulla vita e morte di Pietro Panizzi fratello del Panizzi bibliotecario del museo britannico in Londra, e amico di lord Palmerston, posson leggersi nel Monitore.48
Lo stesso giorno, mentre l’assemblea e il triumvirato occupavansi ostinatamente della difesa di Roma, il generale Oudinot mandava alle autorità romane un indirizzo ove, dicendo che gli eventi della guerra aveano condotto l’armata francese alle porte di Roma, le invitava a cedere per risparmiare sanguinose rovine alla capitale del mondo cristiano.49
Nell’intervallo però in cui discutevansi e combinavansi le risposte pel generale Oudinot, il deputato Cernuschi capo della commissione delle barricate, e il Lombard (uno dei gerenti e collaboratori del National di Parigi, inviato in Roma per sostener la rivoluzione) recavansi al campo francese a villa Santucci.
Il Cernuschi vi era stato chiamato da un tal Sala che aveva conosciuto a Milano e che, siccome egli ci racconti, era amantissimo della libertà italiana e francese. L’oggetto della chiamata fu un tentativo di accomodamento; ma esso non ebbe luogo affatto, come rilevasi dalla relazione che ne dette lo stesso Cernuschi all’assemblea il giorno 14.50 Eran pure arrivati al campo, e si ritrovarono presenti alla discussione, il signor de Corcelles ed il signor de la Tour d’Auvergne.51
La risposta delle autorità romane fu quale poteva attendersi, un rifiuto assoluto di cedere, appoggiandosi precipuamente alla convenzione del 31 di maggio col signor di Lesseps.
L’indirizzo del generale Oudinot e le risposte dell’assemblea, del generale comandante la guardia nazionale, del general Roselli, e del triumvirato, sono, per riguardo alla storia, del massimo interesse, e posson leggersi nel Monitore romano. 52
Quanto alla risposta negativa delle autorità di Roma, di cui l’anima e il cuore era il Mazzini, se dicemmo che fu qual’era da attendersi, lo dicemmo per la semplicissima ragione che quello che al generale francese sembrava un sufficiente motivo per consigliarne la resa, cioè il desiderio di risparmiare sanguinose rovine alla capitale (lei mondo cattolico, non era e non poteva esserlo affatto pel Mazzini cui nulla caleva di Roma, dei monumenti e delle chiese al culto cattolico consecrate.
Il risparmiare pertanto queste rovine non poteva essere soggetto dei palpiti del Mazzini; poiché come già raccontammo sotto la data del 23 maggio, egli ed i suoi professavano il principio che chi delle rovine ha paura non comprende la vita, e che purché l’Italia si facesse, sarebbe stato indifferente che corressero fiumi di sangue, che le rovine succedessero agl’incendi e gl’incendi alle rovine.
Il Cernuschi poi, che fu chiamato per prender parte alla discussione, tanto meno poteva lasciarsi ammorbidire dalle considerazioni conservatrici dell’Oudinot, esso che vantossi in un atto pubblico di avere arso ed atterrato lietamente le ville e le delizie suburbane di Roma, per salvare questa, com’egli disse, capitale d’Italia.53
Un uomo come il Cernuschi, ch’era la quintessenza del mazzinianismo più esagerato, che con cinico lepore scherzava sugli effetti delle bombe, parificandole ai giocattoli dei bimbi, e che si allietava per le rovine della città eterna, era egli presumibile che potesse mettersi in pena per le scrostature degli edifici onde favorire un accomodamento? Possibile, che temesse tanto le bombe chi aveva detto, scritto, e fatto in certo modo l’apologia delle bombe e delle granate? Le risposte dunque al generale Oudinot con uomini di tempra siffatta che disgraziatamente erano alla testa delle cose nostre, furon quali era da immaginare, assolutamente negative.
Appena giunto al campo francese il signor de Corcelles inviato straordinario della repubblica francese in Roma, indirizzava al cancelliere di Francia de Gerando una lettera in data del 13 ove sosteneva che il Lesseps non poteva entrare in verun accordo il 31 di maggio, perchè le facoltà erangli state ritirate dal governo, il quale in conseguenza non aveva potuto ratificare la sua convenzione.
Consigliava al governo romano di desistere da una inutile resistenza, e diceva chiaramente non aver la Francia che uno scopo, cioè quello di restituire la libertà al capo venerato della Chiesa, la libertà in pari tempo agli stati romani, e fare ogni sforzo per ristabilire la pace del mondo. Rispose il Mazzini alle proposte del de Corcelles, e fece inserire la sua risposta nel Monitore .54
Quanto alle operazioni dell’assedio è da sapere che le batterie n° 3,4,5, e 6 (quest’ultima costruita sul piccolo spianato della villa Corsini) eran compiute; ma il generale Oudinot volendo attendere la risposta all’intimazione inviata alle autorità romane, ordinò che non principiassero il fuoco che il giorno 13.55 Nella mattina ritornato al campo l’ufficiale che come parlamentario era stato inviato a Roma, annunziò che le proposte di una conciliazione erano state respinte, e che il governo romano rifiutava qualunque proposizione.56 Allora si ordinò che tutte le batterie francesi cominciassero a far fuoco. I Romani ne risentiron danno. Le facce dei bastioni 6 e 7 furono sconquassate, e i fuochi della piazza rallentarono. I Francesi poterono in quel di far uso di ventuna bocca da fuoco.57
In quello stesso giorno 13 la fonderia di porto d’Anzio, la quale somministrava ai Romani il principale approvigionamento di proiettili, venne distrutta dai Francesi. Il capitano di stato maggiore Casteloau esegul quest’incarico. Trovaronsi in quella fonderia ottocento proiettili, tremila chilogrammi di mitraglia, ed un cannone. Tre cannoni erano stati inchiodati sul luogo.58
Il 14 giugno ebbe luogo uno scontro fra i Romani ed i Francesi fuori la porta del Popolo, tendente a discacciare questi ultimi da ponte Molle, ma non riusci.59
Dal 14 al 15 continuaronsi i lavori di trincea per parte dei Francesi. Furono eseguiti sessanta metri di piazza d’arme in vicinanza del bastione 6, e circa cento e venti di comunicazione a zig-zag per giungere alla detta piazza d’arme ove dovean piantarsi le batterie di breccia. A tale scopo venner fatti alcuni lavori a villa Corsini. La batteria n° 4 danneggiò il bastione 6, la batteria n° 6 danneggiò il 7, e dirigeva i suoi proiettili contro l’8, dietro il quale è il palazzo Savorelli.60
Il 15 un attacco più serio di quello del giorno precedente ebbe luogo fuori la porta del Popolo per isloggiare i Francesi dal ponte Molle. Sostennero i Romani il loro attacco con alcuni pezzi di artiglieria che avevano sopra i monti Parioli. Il generale Guesviller si portò contro di loro e li respinse, facendo 6 ufficiali prigionieri, e 40 fra sott’ufficiali e soldati. Restarono sul campo 100 morti. Cosi il Vaillant.61 Il generale in capo Roselli nell’appendice al bullettino dei fatti d’arme dei giorni 14 e 15, inserita nel n° 134 del Monitore dice che nel di 15 i Romani ebbero 40 feriti e 10 morti, fra’ quali il capitano Fiume, il tenente Oliva napolitano, ed il capitano dello stato maggiore generale Podulak polacco, di cui loda la intrepidezza di animo. Egli nota pure il valore di un altro ufficiale polacco per nome Taczanowski, ferito mortalmente.62 È da osservarsi che fra i detti ufficiali uccisi o feriti non vi fu alcun romano.
Dal 15 al 16 proseguironsi i lavori di trincea per parte dei Francesi, e i difensori di Roma abbandonarono i bastioni 6 e 7, il saliente del primo dei quali essendo completamente ruinato. I Francesi inoltre andavano ad essere presto in grado di battere dal casino dei Quattro Venti la porta san Pancrazio, il Vascello, ed il casino Savorelli.
I Romani smascherarono il 16 un obice sul fianco diritto del bastione 5, ma fu subito ridotto al silenzio. Il bastione 7 era quasi ruinato del tutto.63
Altro piccolo scontro accadde in quel giorno. I Romani ebber 17 feriti.64
Dal 16 al 17 nella 3. parallela s’incominciarono le batterie di breccia nº 7 e n° 8, quella destinata a battere la cortina, questa la faccia diritta del bastione 6. La batteria nº 4 tirò su i Romani al bastione 6 per impedir loro di riparare la breccia.65
Dal giorno 17 giugno (domenica) l’assemblea giudicò opportuno di trasferirsi al Campidoglio, in luogo del palazzo della Cancelleria. Il Monitore del 19 ne parlò in questi termini:
«L’Assemblea Costituente Romana tiene da tre giorni le sue sedute nella gran sala del Campidoglio. L’antica residenza, per giudicio de’ periti, diveniva di giorno in giorno meno sicura, e reclamava pronto ristauro.
» L’Assemblea si trasferì dunque domenica alla sua stabile sede, ancorché fatta segno e bersaglio alle palle francesi che pur questa mane offesero le case vicine e sfiorarono lo scalone. Come gli antichi padri, noi staremo aspettando colà fermi al nostro posto l’esito della pugna. Là cominciammo a discutere, al tuono delle artiglierie francesi, le nostre leggi: là mostreremo ai repubblicani di Francia lo spettacolo d’un’Assemblea, la quale non ha che uno spirito, non ha che un voto, e non passa all’ordine del giorno quando si tratta della salute della patria e dell’onor nazionale.»66
Dal 17 al 18 si fece progredire il lavoro della 3ª parallela, fu incominciata la costruzione della batteria n° 9 contro la faccia sinistra del bastione 7, e principiata parimenti la costruzione sullo spianato grande della villa Corsini della batteria n° 10 destinata a contro-battere direttamente la fronte della porta san Pancrazio.67
Fra i Romani che difesero Roma, oltre una lista di 93 individui appartenenti tutti alla guardia nazionale dei vari rioni, la quale venne sottoscritta dal capitano del terzo Oreste Regnoli, e che può leggersi nel Monitore del 13,68 altra lista di 34 uomini ne pubblicò il maggiore Corsetti del settimo (Regola). Questi ultimi avevano realmente e coraggiosamente difeso Roma ai bastioni sotto il comando del tenente Bolasco.69 Nel totale però queste due note non ci danno che centoventisette individui, che sopra ottomila di cui era composta la guardia nazionale, ne rappresentano la sessantatreesima parte soltanto. Dunque di sessantatre parti della guardia nazionale sessantadue guardaron le proprie case e fecero il servizio del quartiere, ed una parte minima soltanto si adoperò per un certo tempo in difesa dei bastioni di Roma.
Dal 19 al 20 venti la 3ª parallela venne prolungata di altri 70 metri verso la sua sinistra, e furon fatti molti altri lavori. La batteria nº 9 pervenne a demolire il rivestimento della faccia sinistra del bastione 7.70
I Francesi però, per confessione del Vaillant, furono siffattamente inquietati nella giornata del 20 dalla moschetteria dei Romani diretta contro le batterie n’7 e 8, che poco poterono far avanzare le brecce alla cortina ed al bastione 6.71
Il giorno 20 la batteria nº 10 posta avanti il casino dei Quattro Venti aprì il fuoco, fece cessare le batterie arverse dei Romani, distrusse il casino detto il Vascello, e fece crollare gran parte del casino Savorelli posto entro le mura, dietro al bastione 9. La caduta del Vascello uccise 20 giovani sotto le sue rovine. Pur nondimeno il Medici che vi comandava non dette indietro e perdurò costante nella sua difesa.72
La batteria nº 5 lanciò bombe sul casino Savorelli, e la batteria n° 3 diresse le sue contro i bastioni 6 e 7.73
Lo stesso giorno il Monitore designava alcuni guasti prodotti dalle palle francesi nell’interno della città.74
Desiderando noi che nulla manchi, o il meno possibile, al racconto delle particolarità che ci siam proposti di dare sull’assedio di Roma, gl’indicheremo brevemente.
Una palla da 24 fu lanciata il 19 verso la residenza dei triumviri, nella direzione del telegrafo di monte Cavallo. La palla cadde vicino ai colossi del Quirinale, e quindi sfondò il tetto della loggia de’ Rospigliosi sopra la celebre Aurora di Guido Reni, e s’incastrò nel soffitto.
Un’altra palla sfiorò il tempio della Fortuna Virile. 1 luoghi più bersagliati dalle palle francesi, secondo il Monitore, furono la chiesa di santa Maria in Trastevere, quelle di sant’Andrea della Valle e di san Carlo a’ Catinari nelle quali sono gli affreschi del Domenichino, la chiesa ed il monastero di san Cosimato, noti pei dipinti del Pinturicchio, e finalmente il Campidoglio ove accolgonsi tante meraviglie di antichità e di arte. Ai palazzo senatorio ancora caddero alcune palle.
Dal 20 al 21 fu prolungata la 3ª parallela. Le batterie n° 7, 8, 9, e 10 continuarono il loro fuoco il giorno 21.
Nella mattinata caddero i rivestimenti battuti in breccia dalle batterie n 1 7 ed 8. I mortari tirarono sui bastioni 6 e 7 e sulla porta san Pancrazio.
Racconta il generale Vaillant l’attacco infruttuoso per parte dei Francesi della casa Giacometti alla destra ed in avanti della villa Corsini, il quale non solo non riuscì, ma produsse confusione e perdite nelle loro file.75 I Romani ebbero in detto giorno 43 feriti.
Le ricognizioni fatte nella giornata avendo constatato che le brecce erano praticabili, l’ordine di montare all’assalto venne dato la stessa sera.
In seguito di ciò nella notte dal 21 al 22 i Francesi entravano per le brecce del bastione 7, della cortina, e del bastione 6 al lato del casino dei Barberini. Le tre colonne di attacco eran comandate dai capi di battaglione
- De Cappe
- Dantin
- De Sainte-Marie.
Le tre brigate di zappatori che preser parte all’attacco, eran comandate dal capitano de Jouslard, e dai tenenti Denfert e Guillemard.
Il capitano del genio Doutrelaine fu incaricato dei lavori da eseguirsi al bastione 6 sotto la direzione del comandante Galbaud-Dufort capo di attacco. Il capitano Prévost ebbe lo stesso incarico pel bastione 7.
Il segnale dell’assalto fu dato dal colonnello Niel, quello stesso che più tardi fu incaricato di recare al Santo Padre in Gaeta le chiavi della città di Roma.76
Entrati i Francesi per le brecce, ecco come si annunziò il fatto nel Monitore:77
- «Roma 22 giugno.
» Dopo l’assiduo cannoneggiare di ieri il nemico tentò questa notte un assalto su tutti i punti. Scambiate parecchie scariche senza effetto su quasi tutta la linea, la cosa parve cessata o rimessa ad altro momento. Nessuno pensava che il Francese volesse tentare l’accesso come un ladro notturno, ma lo tentò. Fra porta Portese e porta san Pancrazio, a due a due, a tre a tre, quatti quatti, protetti dalle tenebre e dalle macerie, alcuni drappelli di nemici entrarono per le aperture praticate nel muro e s’accovacciarono in un casino là presso, mal guardato da’ nostri avamposti. La prima luce del giorno li fece manifesti, che già protetti dai nostri lavori, tentavano ritorcerli a propria difesa contro di noi.
» Al primo grido sparso tra il popolo: nemici son dentro! senza badare al numero, senza considerare che poco è il loro vantaggio, e poco il pericolo che ci minaccia per questo semplice fatto, fu dato l’allarme. La campana del Campidoglio, questa tromba del popolo sonò a stormo. La città si levò in armi; accorse verso il sito indicato pronta a ricevere il nemico in quel modo che a lui si conviene. Vi fu un’ora di tremenda ansietà, come apparirà dai proclami che seguono. Ma noi abbiamo colassù il nostro gran portinaio, il quale prende sopra di se quest’affare, e noi lo lasciamo a Garibaldi e a’ prodi che dipendono dal suo cenno.78
- «Romani!
» Coll’aiuto della tenebra, come un traditore, il nemico ha messo piede sulla breccia. Sorga Roma, sorga il popolo nella sua onnipotenza, e lo sperda! chiudano la breccia i suoi cadaveri! chi tocca, come nemico, il sacro terreno di Roma è maledetto da Dio.
» Mentre Oudinot tenta disperatamente l’ultimo sforzo, la Francia si leva commossa, e rinnega questo pugno di soldati invasori che la disonorano. Un ultimo sforzo da parte nostra, o Romani; e la Patria è salva per sempre. Roma colla sua costanza avrà dato il segnale a un nuovo risorgimento europeo.
» In nome dei vostri Padri, in nome dei vostro avvenire, levatevi a combattere, levatevi a vincere. Una preghiera al Dio dei forti: — un pensiero di fiducia nei fratelli: — e la mano al fucile. Ogni uomo oggi diventi un eroe. La giornata decide i fati di Roma e della Repubblica.
» 22 giugno 1849.
» I Triumviri.»79
- «Romani!
» Ore 11 antimeridiane.
» La campana a stormo ha cessato. La grande voce di Roma dovea fare intendere ai Fratelli combattenti che i Cittadini stanno pronti a soccorrerli; e al nemico, che l’intera città si rovescerà, occorrendo, sulle sue linee. Ora basta. Il bollettino del Comando in Capo vi dirà tra pochi minuti la condizione delle cose. Serbatevi pronti all’azione. Preparate Tarmi. Stringetevi fraternamente. Confortatevi a grandi fatti. La campana non sonerà più he per dirvi: accorrete . E accorrerete. Noi lo giuriamo per le giornate del 30 e del 3. — Viva la Repubblica!
- » Roma 22 giugno 1849.
» I Triumviri.»80
- «Romani!
» Il nemico, per quell’inevitabile progresso che hanno
le opere dell’assediante, è giunto palmo a palmo, muovendo
la terra, a salire sui bastioni; ma nel tempo
stesso abbiamo messo in azione tre batterie costruite
per questo oggetto; e fulminando i suoi lavori con quella
destrezza e valore che distingue la nostra artiglieria,
gli abbiamo cagionato perdite gravissime.
» Il Francese a caro prezzo non ha guadagnato che pochi metri di terreno. Esso è circoscritto dalle nostre batterie e dalle nostre truppe, che, molestandolo, cercano il momento propizio di attaccarlo. — Non può avanzare d’un passo, prima d’aver compiuto, sotto il nostro fuoco, lunghi e faticosi lavori.
» Cittadini! La campana vi ha avvisati di ciò per risvegliare i vostri animi, certo dei tutto pronti alla riscossa. Non sarete però chiamati che nel momento di adoprare i fucili.
» So che nessuno mancherà all’appello.
- » Roma 22 giugno 1849.
Mediante gli atti sovradescritti abbiamo informato i nostri lettori delle dicerie poco dignitose, delle inutili querimonie, e degli ampollosi eccitamenti divulgati dal governo, e da’ suoi. Fra gli eccitamenti ampollosi non è da passare inosservato quello del primo proclama per un risorgimento europeo, affinché apparisca sempre più la giustezza del nostro asserto che la rivoluzione romana era capo e centro della rivoluzione europea. Certo che un documento più concludente di questo difficilmente potrebbe trovarsi.
Raccontato fin qui ciò che venne pubblicato dal governo, narreremo come realmente passaronsi le cose.
Dopo le dieci ore della sera del 21 il tenente colonnello francese Espinasse fece cominciare un fuoco vivo e pertinace contro le mura di porta san Paolo, e contemporaneamente il generale Guesviller che era sui monti Parioli ad un terzo di miglio dalla porta del Popolo, attaccò Roma dalla parte di villa Borghese, facendo a tal effetto lanciare granate su quella parte nobilissima della città che corrisponde all’antico Campo Marzio. Eran per verità due finti assalti. Ciò non ostante molti difensori di Roma accorsero ai punti attaccati. Tutto questo, in una parola, non ebbe per iscopo che di richiamar l’attenzione e sparpagliare le forze dei Romani in tutt’altro punto che non fosse il Gianicolo.
Relativamente all’attacco dai monti Parioli non fu se non il giorno 24 che se ne conobbero le particolarità per mezzo di un bullettino sottoscritto dal generale Roselli. Vari distaccamenti di Romani vi preser parte, ed erano comandati dal perugino Masi, dal piemontese Pinna, dal romano Morelli, e dallo svizzero de Sère, sotto il comando del colonnello polacco Ysenschmid de Milbitz.82
Alle 11 difatti della sera del 21 il colonnello Niel dette l’ordine dell’assalto, e le colonne francesi slanciaronsi subito sulle brecce e le superarono. Gridò all’armi una sola sentinella del bastione 7, ma i Romani vedendosi in faccia al nemico comparso all’improvviso, sorpresi e vinti da timor panico, fecer sì una scarica, ma poi tutti insieme fuggirono, e i difensori della cortina seguirono il mal esempio. La casa de’ Barberini servì di ricovero alle guardie romane del bastione 6, e colà sostenner l’assalto dei Francesi cui ferirono mortalmente due capitani, d’Astelet e de Jouslard; ma quantunque si difendessero valorosamente, furon sopraffatti, e ritiraronsi a san Cosimato.
Fu talmente sollecita e inaspettata la presa delle brecce, che al rimanente della divisione romana ch’era a difesa della seconda linea, sembrò uno dei soliti falsi allarmi, e il colonnello Rossi del reggimento Unione, di nulla avvedutosi, rondeggiava tranquillo, quando improvvisamente si vide fatto prigioniero da alcuni Francesi spintisi più degli altri innanzi. E n’ebbe bene a soffrire, perchè alcune voci maligne, alle quali fece eco lo stesso ministro della guerra, non mancaron di accusarlo di trascuranza, e perfino di connivenza col nemico, e volevasi ben anco sottoporlo ad un Consiglio di guerra.83
Superate appena le brecce, i Francesi non si ristettero un istante, e fecero colla lor nota speditezza tutto ciò che secondo le regole militari fa d’uopo per assicurarne il possesso. Gli ufficiali del genio segnarono sul terreno gli alloggiamenti, e posti i gabbioni lungo la traccia, i lavoratori stando al coperto poterono liberamente intendere ad aprir le trincee. Le mine preparate furon fatte scaricare.
Era il Garibaldi nel quartiere generale al palazzo Corsini, e colà ricevette l’annunzio dell’accaduto. Avebber voluto i suoi aiutanti spingerlo ad accorrere sulla breccia e rovesciarne il nemico. Si oppose: spedì in quella vece il colonnello Manara con una parte della legione lombarda al casino Savorelli, perchè facesse testa e difendesse ad ogni costo quella posizione ch’egli considerava come capo d’una terza linea di difesa. Mandò il colonnello Bacchi con un’altra parte di quella legione a villa Spada, e questi scontratosi co’ Francesi, combattè validamente, ma perdette una ventina de’ suoi. I Francesi poco o nulla essendo molestati dopo tale scaramuccia, poteron continuare i loro lavori.
La mattina del 22 pertanto, all’annunzio di questo avvenimento che si conobbe all’istante, la città fu commossa sì, ma non tanto come in alcune esagerate relazioni si dette a credere. Sonò a stormo è verissimo la campana del Campidoglio; ma l’eccitamento in città fu ben differente da quello prodotto dalla stessa campana il 30 aprile e il 3 di giugno. Poco o niuno fu l’entusiasmo per accorrer su’ luoghi. E a che fare, se la truppa, la truppa stessa comandata dal Garibaldi lasciavasi nella inazione? Chiaro era dunque che se i Francesi eran penetrati nel recinto di Roma, il discacciameli non sarebbe stato agevol cosa, e che dalle brecce stesse altri molti potevano venire ad accrescerne il numero. Eran pochi è vero i Francesi penetrati nel sacro recinto della città eterna; ma in quei pochi non era a considerare il distaccamento, la compagnia, il battaglione, era a vedervi la Francia, e questa aveva ben altri aiuti da poter inviare per rivendicar l’onore della propria bandiera oltraggiata il 30 di aprile. Queste considerazioni non isfuggivano. Aggiungi che già conoscevasi la mala riuscita della rivoluzione tentata in Parigi da Ledru-Rollin il giorno 13, e la sua fuga o l’arresto; cosicché tutte le speranze de’ repubblicani romani si trovarono svanite, perchè fondate appunto sulla riscossa preconcertata della Francia repubblicana.
Vedemmo noi stessi sul far del giorno, dal palazzo della famiglia Chigi ove noi alloggiavamo, ed ove alloggiavan pure i lancieri di Garibaldi, partire essi in gran fretta armati per condursi sul Gianicolo, e pochi momenti dopo riedere impolverati, trafelanti per sudore, abbattuti d’animo, e li sentimmo ripetere ad alta voce: «che nulla vi era a fare, i Francesi essendosi già stabiliti e fortificati nel locale occupato.
Si seppe allora che due o tre compagnie di linea eran fuggite dal Gianicolo, che era fuggito il distaccamento che vi si trovava, appartenente al reggimento Unione. Fuggiron pure alcuni de’ nostri civici (erano per la massima parte del 3° battaglione), e fu tale la fuga per la china del monte, che si credette esser rimasto schiacciato in quello scompiglio da’ suoi stessi compagni il tenente Capeccioni che nel fuggire cogli altri era caduto.
Dopo quest’epoca, e in seguito appunto dell’ingresso dei Francesi per le brecce (chi lo crederebbe?) furon diramate istruzioni severissime a voce onde impedire che dalle specole, dalle logge, e perfino dal piazzale sterrato della Trinità de’ Monti, si osservassero con canocchiali o senza le operazioni degli assedianti, o per intenderci meglio, affinchè non si vedesse ov’era fatta la breccia. Si lasciò bensì fino all’ultimo momento la libertà ai curiosi di recarsi sul ripiano avanti la facciata della chiesa di Ara-Coeli, donde vedevasi tutto magnificamente, come vedovasi benissimo e dalla rupe Tarpea e da mille altri luoghi inosservati; cosicché questa misura mentre riusciva vessatoria e tirannica, era ben lungi dal far conseguire lo scopo che era quello di occultare ai Romani la verità.
A questo proposito diremo che in Roma non si conosceva nè si parlava affatto dello sbarco degli Spagnoli a Terracina, nè di quanti fossero e dove stessero. Credevasi o studiavasi di far credere che i Francesi fossero pochi e malaticci, e provvisti di pochissimi cannoni. La malsania dell’aria poi dicevasi pubblicamente aver loro enfiato la regione addominale a guisa di rospi, e nel Don Pirlone di fatto pubblicossi una vignetta esprimente un rospo con cappello piumato che comandava a rospi col fucile in ispalla. nota Nulla poi si sapeva dei lavoro delle trincee, dei zig-zag o cammini coperti, delle gabbionate, e
84 delle altre opere degli assedianti. Sentivansi ogni giorno cannonate, ogni giorno si credeva o si temeva l’assalto, e non si poteva comprendere il perchè non accadesse.
L’ingresso dei Francesi per le brecce la notte del 21 al 22 incominciò a far comprendere qualche cosa sulle operazioni di un assedio regolare, di cui il popolo non aveva la minima idea. Riempironsi di stupore i Romani allorquando entrati i Francesi definitivamente in Roma, schierarono le loro artiglierie e fecer vedere di qual sorta di cannoni erano muniti.
Ritornando ora alle operazioni militari ripeteremo che i Francesi, appena superatele brecce, incominciarono immediatamente i lavori di trincea entro le mura della città. I difensori di Roma ritiratisi allora nel recinto Aureliano, aprirono alle 2 e 1/2 della mattina il fuoco di due batterie, una all’estremità del primo ramo di quel recinto presso la porta san Pancrazio, l’altra avanti la chiesa di san Pietro in Montorio. Anche la batteria romana di sant’Alessio traeva colpi contro il bastione 6. Ben presto l’intensità di questi fuochi convergenti fu tale, che il capo dell’attacco giudicò non solo di far cessare il lavoro, ma di lasciare nel bastione la sola guardia necessaria rannicchiata negli scavi di già fatti. 85 L’artiglieria romana pertanto se non ebbe forza di distruggere i lavori de’ Francesi, n’ebbe però abbastanza per molestarli gagliardamente e mostrar loro ad un tempo, che ne’ Romani non era difetto di coraggio nè di perizia militare.
Parve che i Francesi ne fossero grandemente irritati, perchè sia per volersene vendicare, sia per fiaccare il romano orgoglio e la inesplicabil resistenza (sembrando loro insensata cosa il resistere al punto in cui eran giunte le cose), sia infine per iscuoterli, intimorirli, e determinarli alla resa, lanciarono nella sera in città oltre centocinquanta fra granate e bombe di piccol calibro, le quali caddero quasi tutte nella parte centrale della città, e precisamente nella direzione di sant’Ignazio, piazza di Venezia, sant’Andrea della Valle, Argentina, Piè di Marmo, e ne’ luoghi adiacenti. Osservavansi la sera tranquillamente le granate che scaturivano dal Gianicolo, e se ne accompagnava coll’occhio la lenta parabola, come si osserverebbe un fuoco di artificio. Non s’inteser grida e non nacque in città scompiglio veruno. Pochissimi furono i danni, e poco o nulla memorati; cosicché andato a vuoto il progetto de’ Francesi, rimase incontrastata la signoria della città ai repubblicani che avevan saputo ghermirla.
Abbiamo narrato le operazioni di guerra dal 1° al 22 di giugno, nel qual giorno fu a tutti palese che i Francesi erano non solo entrati per le brecce, ma che entrativi una volta, occorreva rassegnarsi a lasciarveli e farveli fortificare, e rinunziare all’idea di poterneli sloggiare. Ciò si pensava dagli assennati, ma non si osava dirlo; gli esagerati in vece ne preconizzavano l’esterminio. I primi soli però ebber ragione.
Ripiegandoci ora al principio del mese rammenteremo come in seguito della partenza del ministro dell’interno Rusconi per l’Inghilterra (la infruttuosa missione dei quale raccontammo nel capitolo precedente) venne nominato a quell’ufficio l’ex preside di Ferrara Carlo Mayr.86
Enumereremo quindi tutte insieme le disposizioni governative che in detti 22 giorni ebber luogo, ed incominceremo da quelle che versavano su cose di amministrazione e di finanza.
Il giorno 2 ordinavasi dalla commissione di finanza che i censi e canoni soliti pagarsi nella Camera dei tributi si dovesser versare nella depositeria generale. Quanto alle provincie occupate interdicevasi di pagare i censi e canoni nelle casse locali, dovendosi anche questi indeclinabilmente versare nella depositeria di Roma.87
Ordinavasi pure dal triumvirato che la zecca e l’ufficio del bollo acquistassero argento in pasta o manifatturato coll’aumento del 20 per cento, per coniar moneta.88
Ordinavasi pure il 5 la sospensione della vendita di pegni al sacro Monte di pietà per le somme non superiori agli scudi 30.89
Decretavasi il 6 la emissione di 100 mila scudi in boni di 10 baiocchi;90 e si devolveva con decreto alla sola commissione di requisizione la facoltà di requisir danaro, argenti ed altri valori metallici.91
Ed il giorno 7 i due rappresentanti del popolo Pietro Guerrini e Giovan Battista Luciani, commissari straordinari del rione di Campo Marzo, all’oggetto di facilitare le compre dei generi commestibili e le minute contrattazioni, dichiaravan rei di tradimento verso la patria coloro che si ricusavano di cambiare i piccoli boni con moneta erosa o di rame.92
Savio, umano il provvedimento, ma inefficace quando la fiducia è spenta. In tal caso gli eccitamenti, le minacce non valgono a nulla: e pur troppo una delle piaghe di quell’epoca malaugurata, e uno degl’imbarazzi più seri pe’ poveri cittadini vessati, spaventati, minacciati e costretti a tacere, furon quelli di non trovare chi desse resti in rame, in guisa che fu forza si acconciassero a ricever da’ caffettieri, da fruttajoli, e perfino dagli erbajuoli, piccoli boni sopra di loro per il residuo delle giornaliere minute contrattazioni. Lo scrivente prese un caffè sulla piazza di san Pietro, ed ebbe per resto un piccolo bono che non isconto giammai.
Diotzed by Il giorno 9 la commissione di tutela e aggiudicamento per le requisizioni di ori, argenti e valori metallici composta di
Orazio Antinori
Giulio Govoni
Gio. Paolo Muti
Alessandro Malvezzi
Federico Doda
emise un indirizzo tendente a rassicurare i cittadini.93
Il giorno 11 la commissione municipale di approvigionamento, e per essa Angelo Tittoni, proibiva provvidamente ai fornari di vendere alcuna quantità di farine oltre il piccolo e consueto dettaglio.94 Diciamo provvidamente, quantunque una siffatta misura, in tempi regolari, avrebbe potuto qualificarsi come attentatoria alla libertà del commercio; ma in momenti eccezionali com’eran quelli, le misure eccezionali erano reclamate dalla necessità. E nei caso attuale, senza un simile provvedimento, i soli ricchi si sarebber riempiuta la casa di farine, e la povera gente non le avrebbe avute neppure per il giornaliero consumo.
Con altro avviso poi la detta commissione autorizzava i fornari a prendersi gratuitamente nella villa Borghese la legna, le fascine, e i ramoscelli che vi erano.95
Ed il giorno 12 il triumvirato dichiarava illegali tutte le requisizioni che non si facessero d’ora innanzi in virtù di un mandato segnato dal triumvirato stesso.96
Ed affinchè non si creda che queste requisizioni arbitrarie o latrocini, di cui varie volte ci è occorso di parlare nelle presenti, carte, fosser cosa di lieve momento, ricorderemo che entrati appena i Francesi in Roma, crearono una commissione di ricuperamento degli oggetti requisiti, per farne la restituzione.
E questa commissione, come altrove dicemmo, in adempimento del proprio mandato fece pubblicare ed affiggere per la città successivamente 16 grandi liste contenenti la descrizione degli oggetti i quali venner quasi tutti restituiti ai rispettivi proprietari. Esse comprendevano nientemeno che 2,954 articoli. Noi le abbiamo conservate tutte e posson leggersi nella nostra raccolta.97
I bisogni dell’erario però, non ostante le requisizioni di argenti e la emissione di carta, facendosi sentire imperiosamente, determinarono il triumvirato a pubblicaru un decreto sotto il giorno 15 giugno, per la emissione di boni della repubblica per quattro milioni di scudi romani, da garantirsi coi beni nazionali.98
E siccome se erano stringenti i bisogni dell’erario, stringentissimi erano pur quelli de’ poveri commercianti, così fu d’uopo che il triumvirato facesse il 16 un decreto col quale si acrordava una ulteriore proroga facoltativa ai debitori delle cambiali, dei biglietti o pagherò all’ordine, e di qualunque altro effetto di commercio, pagabili in Roma e nel suo territorio, di data anteriore al giorno 15, e scadenti dal giorno stesso 15 a tutto il corrente giugno.99
La commissione municipale centrale, per soddisfare alle incessanti richieste della commissione delle barricate e fortificazioni, invitava il 18 tutti i possessori di canevaccio e tele ordinarie a denunciarne la quantità e la qualità, entro lo spazio di 24 ore, sotto pena di perderle, non denunciandole.100
Agli stringenti bisogni dell’erario pubblico veniva però a porgere un qualche sollievo il famoso Filippo Paradisi del quondam Tiberio, del quale parlammo, e forse troppo, sia sotto la data del 20 novembre 1847 per le accuse da lui dirette contro Torlonia, sia sotto il giorno 15 aprile per la diminuzione del prezzo del sale, sia finalmente sotto il 5 maggio per il processo verbale relativo ai prigionieri francesi.
Quest’uomo dunque beneficato già dal governo pontifico, e benemerito poscia della repubblica romana, scriveva sul Monitore del 18 giugno: «In Londra si è istituito un Comitato per raccogliere danaro onde soccorrere i feriti in Roma e le famiglie degli estinti nella lotta che questo popolo sostiene. Oltre 4,800 franchi sono stati versati in un giorno da Americani, da Inglesi e da poveri emigrati Italiani, e le oblazioni continuano. — A momenti riceveremo da altri punti del globo le offerte dell’umana famiglia — 200 milioni di figli sperava poter volgere il papa contro di noi, ma non ha trovato che pochi sgherri; le migliaia offerte oltre mare ed oltre monte lo faranno fremere nel dover confessare che la nostra è guerra di umanità contro la forza bruta, e contro i falsificatori del Vangelo.»101
A queste ridicole millantazioni del Paradisi risponderemo con un semplice fatto. Mentre i nemici del papato appartenenti al vecchio ed al nuovo mondo, accozzavano la meschina somma di 4,800 franchi pei repubblicani di Roma, i cattolici dell’universo intiero senza strepito e senza millantazioni, inviavano al Santo Padre in Gaeta oltre 1,000,000 di scudi.
Il giorno 19 veniva assoluto dal Consiglio di guerra, e dimesso dal forte sant’Angelo il colonnello Amadei del genio, accusato di oscitanza in servizio.102
Ritornando indietro ancora una volta, andremo spigolando e rammentando qualch’altra cosa occorsa, e che pur ci sembra meritevole di ricordo.
Diremo pertanto che accaduti i fatti del 3 di giugno, nei quali non mancò certamente il coraggio negli assaliti per mostrare agli assalitori non esser poi cosa sì agevole lo attaccarli ed il vincerli, egli era ben naturale che stante un assedio del quale andavansi ad incontrare tutti gl’inconvenienti, fosse nell’interesse del governo di incoraggiare e sostenere nelle romane popolazioni non solo lo spirito bellicoso, ma di fare qualche cosa altresì che ne menomasse i disagi.
A tal effetto sorgeva il triumvirato e con enfatiche parole dirette alle Romane! Figlie del popolo, decretava:
«Le famiglie popolane le cui case fossero minacciate dalle bombe o dal cannone, durante l’assedio, a cominciar da domani, e occorrendo anche prima, avranno alloggio per cura del governo in case, palazzi o conventi fuori d’ogni pericolo.»103
E lo stesso triumvirato per retribuire con degno premio i cittadini benemeriti della patria, ordinava con decreto la coniazione di tre specie di medaglie, in rame, in bronzo, e in oro.104
Il primo di questi due decreti era opportunissimo per amicarsi il popolo del Trastevere, ma nel tempo stesso era una indegnità, perchè, a parte il provvedimento umanitario il quale affezionava i Trasteverini al triumvirato, quel porre le popolane romane ne’dorati palagi e nelle aule profumate delle romane principesse, non poteva non concitare sensi d’odio e di rancore verso la romana aristocrazia. Difatti «vedete, dicevano, quante e quanto spaziose camere per due o tre persone, mentre noi stentatamente col sudor della fronte viviamo in meschinissimi tuguri!»
Descrive con molto spirito il Farini le donne del popolo le quali, abbandonate le consuete catapecchie, trassero ai sontuosi ostelli, dove si pavoneggiavan fra gli addobbi e le ricche suppellettili delle invidiate principesse, quasichè ritenessero che non ostante il volgere delle umane vicende, esser potesse stabile una momentanea ed illusoria trasformazione.
Questo fatto ci suggerisce la riflessione seguente. Le donne trasteverine rientrando ne’ loro tuguri abbandonati, avran lasciato sulla soglia degli aurati palagi, nell’uscirne, l’invidia e il livore, o gli avran seco loro portati negli umili casolari del Trastevere? Il veleno lo avean trangugiato. Ebbero esse l’antidoto per liberarsene?.
Ritorniamo alla narrazione delle cose di Roma. La commissione delle barricate, facendo eco al triumvirato, dirigeva al popolo col suo stile faceto al solito le parole seguenti:
- «Popolo!
» Oggi fu battaglia di cannoni. La meno sanguinosa.
» La palla di moschetto colpisce gli uomini, la palla di cannone, la bomba, il razzo, colpiscono le mura e le case. È rarissimo il caso degli uccisi, oggi non abbiamo un sol morto.
» Anche gl’incendi difficilmente si sviluppano. I nostri esperti vigili saprebbero prestamente estinguerli.
» Dunque coraggio, sangue freddo, e buon umore. Si tratta della Repubblica Romana e di tutta Italia.
» Quelli che sono armati di fucili a lungo tiro, di carabina, o di stutzen faranno bene a trovarsi sulle altare del Montorio. Di là potranno, bene appostati, mirare i cannonieri nemici tostochè avvicinino i pezzi.
» Popolo, noi parliamo col cuore, quindi con sincerità repubblicana. Mantenete il coraggio romano nelle vostre donne. Il governo troverà per loro alloggi principeschi se le case dove abitano pericolassero. Non diamo retta agli allarmisti. Imponiamo loro silenzio coll’esempio, e col patriottismo.
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
- » Viva la Repubblica, viva la nostra Italia!» La sera del 5 giugno 1849.
» I Rappresentanti del Popolo
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Intanto con un decreto del 5 ordinavasi la consegna delle carabine a palle forzate.106 Invitavansi inoltre il giorno seguente dal triumvirato i buoni cittadini ad offerirsi lavoratori volontari alle barricate,107 e gl’impiegati nei pubblici dicasteri a voler consegnare i loro fucili.108
Ricorreva il giorno 7 la festa solenne detta del Corpus Domini. È a tutti nota la processione imponentissima che nella mattina soleva aver luogo nella piazza di san Pietro, coll’intervento del papa, dei cardinali, della corte pontificia e di tutti gli ordini religiosi. Ridicolo quindi sarebbe stato il parlare di questa processione partiti il papa, i cardinali e la corte, avviliti o proscritti o vicini alla proscrizione gli ordini religiosi. Doppiamento ridicolo, e direm pure insultante, perchè da vari mesi l’occhio erasi disvezzato dal vedere preti e frati, ed erasi invece accostumato a veder soldati d’ogni specie, con assise militari differentissime.109 La processione essendo una pompa religiosa deve farsi all’aperto e sotto gli occhi di tutti; quindi una processione privata, riservata, clandestina, nella città ch’è sede del cattolicismo, ci sembrava cosa inammissibile. Eppure piacque al ministro dell’interno Carlo Mayr d’invitare i parrochi e i cappellani a farla nelle chiese rispettive. Inutile il dire che l’invito ministeriale rimase lettera morta, e nè all’aria aperta nè privatamente si vide processione di sorta alcuna.110
Istituivansi poi, il giorno 6, compagnie ordinate sotto il nome di Squadre dei sette colli per la difesa della città.111 Ancor queste rimasero in fieri. E così fu dei triboli, dei sacchetti di terra, e di altri eccentrici provvedimenti.
Sembra però che ad onta dell’invito del triumvirato del giorno 6, per andare a lavorare alle barricate, memorato poco sopra, scarso assai fosse il numero di quelli che si presentassero a tal fine, perchè il giorno 7 facevasi di nuovo il triumvirato stesso a pregare i buoni cittadini per questo oggetto. Ecco come esprimevasi:
«Repubblica Romana
» In nome di Dio e del Popolo.
» Molti uomini sono ai lavori: molti più si richiedono. Noi vogliamo e dobbiamo averli; e per questo chiediamo la cooperazione attiva di tutti i buoni.
» Cessino tutti i lavori privati. Oggi, non esiste più che la cosa pubblica, la salute di Roma. Le case private, gli edifizi cittadini si proteggono alle mura. Roma e l’Italia stanno sull’opere di fortificazione. Un palmo di terrapieno può salvare a un tempo l’onore del paese e la vita d’un figlio di Roma. I cittadini vi pensino, e ci aiutino tutti nell’opera santa.
» I volenterosi si presentino o mandino al Campidoglio e alla Commissione delle barricate: avranno destinazione, e su i luoghi di lavoro, viveri e retribuzione.
- » Roma 7 giugno 1849.
» I Triumviri.»112
L’originale di questo atto, tutto di carattere del Mazzini, è presso di noi.113
Lo stesso giorno 7 si ordinava pure ai vetturini di trovarsi nella notte coi loro veicoli di qualunque sorta ne’ luoghi che destinavansi all’uopo.114
E il giorno 8 invitavansi i cittadini di portare al capo della sezione di artiglieria, tenente colonnello Busi, i proiettili lanciati e che avrebbero lanciato su Roma le truppe nemiche.115
Ma una notificazione di maggiore importanza e che ci chiamerà a qualche commento, è quella contro i terrificatori o spargitori di male nuove, che diceva così:
«Repubblica Romana
» In nome di Dio e del Popolo.
» Pochi codardi, taluni forse con tristi mire, diffondono tratto tratto nuove terrificatrici e vergognosi consigli.
» Pochi imprudenti ed esagerati nei rimedi rispondono arrogandosi di sostituirsi al governo, e additando nomi d’individui presunti colpevoli al rancore del popolo.
» Il popolo, migliore degli uni e degli altri, sprezzerà i consigli della paura come quelli della vendetta.
» E il Governo forte dell’amore del popolo invigila sugli uni e sugli altri, e provvederà energicamente contro i terrificatori come contro i provocatori di rimedi illegali e pericolosi: contro i primi, non perchè tema l’influenza di consigli codardi, ma perchè consigli e rumori siffatti sono una offesa a un popolo di generosi: — contro i secondi, perchè l’anarchia è funesta a una bella causa quant’è la paura; e perchè importa non solamente salvare dalle offese esterne la bandiera repubblicana, ma serbarla pura, incontaminata d’eccessi. La repubblica è forte e santa. I difensori delle mura di Roma hanno valore e virtù.
» I buoni cittadini accusino al Governo gli spargitori dì male nuove: verranno severamente puniti. Ai buoni citdini il Governo, certo d’essere inteso e seguito, affida il mantenimento dell’ordine e il rifiuto di partiti estremi che rivelano anch’essi paura, e minacciano disonore alla nostra bandiera.
» Roma dalla residenza del Triumvirato li 9 giugno 1849.
» I Triumviri.»116
La tessitura di questo atto in genere ci sembra valer poco, la chiusa in ispecie ci sembra pessima. Incoraggiare non solo, ma far soggetto di un decreto il consiglio al popolo di erigersi in accusatore de’ suoi concittadini non colpevoli, ma forse ingannati o illusi, ci sembra cosa esorbitante. Se un atto consimile si fosse emanato dall’autorità decaduta, che cosa non avrebbe pubblicato la stampa? E perchè lo diceva Mazzini, silenzio. Eppure ci sembra tale atto, da potersi qualificare per tirannico, antisociale, anticristiano.
Il Monitore del detto giorno riportava un atto emanato il giorno 8 dal generale Avezzana ministro della guerra, ritornato testè da una sua missione in Ancona, il quale essendo un modello di esaltazione in istile biblico-orientale, crediamo prezzo dell’opera il riferirlo per disteso. Eccolo:
«Ministero di Guerra e Marina
«Ordine del giorno 8 giugno 1849.
- » Soldati!
» Mentre io mi perigliava in una missione per Ancona, voi con miracoli di valore che hanno superato i fatti eroici, le gesta omeriche del passato, respingevate per la quarta volta i nemici della Romana Repubblica.
» Eglino ad onta della fede data, col grido fraterno sorpresero alcuni dei vostri, e i traditi mandarono in terra straniera come trofeo di una vittoria — sperata invano — perchè voi eletti dal Signore a rompere il bastone degli empi, la verga dei dominatori, vendicaste i traditi; vinceste i forti guidati al fratricidio.
» L’accanita lotta che duraste per 16 ore nel 3 giugno coi più agguerriti soldati d’Europa — la carica alla baionetta sette volte rinnovata contro a battaglioni grossi e le artiglierie fulminanti, vi hanno meritata l’ammira zione dell’Europa, la riconoscenza della patria, l’amore di tutti i buoni.
» Soldati! dalle vostre ferite gronda il sangue che redime la terra, lavando i peccati d’una generazione dalle mani fiacche, dal cuore smarrito.»
» Dio ha alzato la bandiera alle nazioni, — ha adunato in Roma gli scacciati del nuovo Israello ed accolte le dispersioni del suo popolo dai quattro canti della terra.
» Quella bandiera è confidata alle vostre mani.
» L’Italia, la Francia stessa, la riceveranno da voi consacrata dal sangue dei nuovi martiri, — simbolo della giustizia che sarà fatta sulla terra — vessillo del regno di Dio che succederà a quello dei despoti — dei re dalla polvere coronata.
» Questa è l’ultima lotta del genio del bene con quello del male.
» Voi chiuderete la storia delle umane sventure colla vittoria dei popoli — col trionfo di Dio.
» Soldati! questa è missione che fa invidiabili le voatre ferite — belli i vostri disagi — cari i patimenti di ogni maniera.
» Orgoglio delle madri vostre — maraviglia dei figliuoli — onore delle vostre spose — figli prediletti della Repubblica, avrete dalla storia romana la immortalità della vita.
» Soldati! io godo di essere tornato fra voi per dividere i vostri pericoli — per meritarmi il vostro amore.
» Continuate, e vinceremo!.
» Il ministro di Guerra e Marina |
Fra tutti gli atti emanati sotto il governo repubblicano questo ci sembra il più originale ed eccentrico. Avevamo esitato a crederlo una genuina emanazione del repubblicano ministro della guerra; ma poiché divenimmo possessori detratto originale colla firma del ministro stesso e col sigillo del ministero, venne dileguata qualunque nostra dubbiezza.
Non diresti, o lettor mio, a prima giunta, essere opera di uno studente di teologia, o di un missionario fervente di fede e carità cattolica? Eppure tanto coloro che lodavansi, quanto chi intesseva le lodi, non eran quegli stessi che alla religione cattolica, a’ suoi ministri, e al capo venerato di quel culto santissimo facevano acerba guerra? E non è questo un giocarsi sfacciatamente della umanità ingannata e tradita? E non pubblicavasi l’atto sovraccitato in quella città stessa ch’è sede del culto cattolico, d’onde per opera appunto di chi innalzava codesti osanna, e papa, e cardinali, e prelati, e corte, e ottimati eran fuggiti, ed ove il clero rimasto aveva dovuto, per salvarsi, sostituire alle vestimenta degli ecclesiastici l’abito de’ secolari?
Proseguendo a tessere la storia degli atti governativi fino al giorno 22 di giugno, dobbiamo rammentare ancora le seguenti disposizioni.
Fin dal 14 con un indirizzo del triumvirato chiedevansi ai militi della guardia nazionale i fucili a percussione per averne altrettanti a pietra.118
La commissione delle barricate avvisava il 15 il trasferimento del suo ufficio dal palazzo Borromeo a quello Farnese.119
Invitavansi inoltre i possessori di un fucile a stutzen o di una carabina di Vincennes a recarsi alla porta san Pancrazio ond’essere riuniti in una squadra. Oltre i viveri di campagna assegnavansi loro cinque paoli al giorno.120
Se entriamo in tante minute particolarità egli è perchè vogliamo farle conoscere tutte. Siamo nell’epoca repubblicana, e come conoscerne estesamente lo spirito senza esaminarne tutti e singoli gli atti, ed il linguaggio de’ suoi caldeggiatori? Le molte raccomandazioui, per esempio, ai cittadini affinchè concorressero alle barricate, non provano fino all’ultima evidenza ch’entusiasmo reale non v’era, e che se fosser corsi spontanei e numerosi, non faceva d’uopo di chiamarveli iteratamente? E quel chiedere ora i fucili a percussione, ora le carabine o gli stutzen, ora una cosa, or l’altra, non somministra un’idea chiara e distinta sia del poco ordinamento, sia della vessazione costante che esercitavasi sui cittadini? A che tutte queste richieste e queste raccomandazioni se fosser stati veri i 77,100 uomini designati dal poco critico Freeborn? E queste osservazioni minute che noi facciamo, ed i confronti che veniamo istituendo, avremmo potuto farli senz’avere schierato d’innanzi ai nostri lettori in precedenza tutti gli atti e le disposizioni governative che ce ne porsero l’argomento?
Ma ora è tempo di passare al racconto di ciò che accadde in Parigi il 13 di giugno, per la ragione che il movimento il quale venne colà suscitato infruttuosamente, fu connesso non solo, ma provocato dalle cose di Roma, e la protrazione della resistenza romana, siccome dicemmo più addietro, era basata sul cangiamento di scena che volevasi operare in quella dominante a profitto della repubblica romana.
Già fin dall’11 di giugno erasi conosciuto il cambiamento di ministero colà accaduto, e che ci dava i nomi seguenti
Odilon-Barrot | presidente del Consiglio | |
Tocqueville | ministro | degli esteri |
Falloux | » | dell’istruzione pubblica |
Dufaure | » | dell’interno |
Lanjuinais | » | del commercio |
Lacrosse | » | dei lavori pubblici |
Rulliere | » | della guerra |
Tracy | » | della marina |
Passy | » | delle finanze.121 |
Il 19 di giugno poi si sparse in Roma la notizia che in Parigi fosse fuggito il presidente, e che Ledru-Rollin fosse alla testa del governo.
Non fu però che il giorno seguente, che il triumviro Mazzini comunicò all’assemblea la notizia della tentata rivoluzione di Parigi del 13, alla testa della quale era il Ledru-Rollin.122
Aveva il medesimo deposto, secondo il Mazzini, il giorno 11 nell’assemblea una proposta di accusa contro il presidente della repubblica, ed aveva dichiarato che la costituzione essendo stata violata, egli l’avrebbe difesa anche coll’armi. Tutta la Montagna si era alzata per acclamar la proposizione, ma l’ordine del giorno puro e semplice fu l’accoglienza che si fece alla medesima. Aggiungeva poi il Mazzini, che com’era da prevedersi, vi fu tumulto sui boulevards ed in altri luoghi della città, che vi furon vetture rovesciate, sassi lanciati, botteghe di armaiuoli saccheggiate. Il timore però che il movimento potesse estendersi aveva indotto il governo a proporre, e l’assemblea aveva approvato lo stato d’assedio della prima divisione militare, che è quella la quale comprende Parigi.
Si avevano, continuava il Mazzini, notizie di arresti di deputati, e fra questi correvan voci che fosse lo stesso Ledru-Rollin. Dicevasi che le provincie pure erano in fermento, e che il motivo principale del malcontento fosse la spedizione contro Roma. La Presse del 14 riferiva i bullettini del Monitore romano del 4 giugno.
Concludeva poi il Mazzini che la resistenza di Roma rimaneva sempre feconda di possibili, anzi probabili conseguenze, e che questa resistenza sarebbe riuscita efficace.
Il giorno seguente poi il Monitore apriva le sue colonne colla narrazione particolareggiata dei fatti accaduti in Francia nei giorni 11, 12 e 13 corrente, ma la conclusione era questa, che la tanto desiderata rivoluzione capitanata dal LedruRollin aveva fatto le sue prove senza successo, e che il governo era rimasto superiore.123
Egli è innegabile che la rivoluzione di Parigi, quantunque abortita nel suo nascimento, fosse preconcertata a profitto della repubblica romana. A convincersene meglio basterà il seguente aneddoto. Mentre eran seguiti vari arresti in Parigi, e mentre si era impegnata all’assemblea una discussione sull’arresto di Suchet, giungeva a cavallo il ministro dei lavori pubblici Lacrosse, con due ufficiali di stato maggiore e due guardie repubblicane, per recare parole di conciliazione. Fu allora circondato e separato dagli ufficiali che lo accompagnavano, e si gridò innanzi a lui: «Viva la Costituzione! viva la Repubblica romana!» S’invitò a rispondere a questo grido, ed i suoi abiti venner lacerati. Il ministro a stento potè ricovrarsi in una casa vicina.124 — Oltre a ciò e per acquistare maggior convinzione, si leggano nel Monitore romano, tra i vari proclami pubblicati allora in Francia ed ivi riportati, quelli della Montagna e del Comitato elettorale tipografico, e nella Pallade la protesta dell’Associazione democratica degli amici della costituzione.125 Queste manifestazioni di simpatia francese pertanto a nulla valsero, e per nulla avvantaggiarono la condizione delle cose dei repubblicani in Roma. Egli è anzi più ragionevole il supporre che il pericolo scampato in Parigi, e l’esser certi che la causa e lo eccitamento eran venuti da Roma, lungi dall’amicarsi quel governo e la classe numerosa ch’è dedita soltanto a’ propri affari, non abbian prodotto altro risultato, tranne quello d’inasprire maggiormente si l’uno come l’altra contro di Roma e de’ suoi momentanei dominatori.
Anche in Roma il francese Ippolito Theoleyre già noto per la caldezza delle sue pubblicazioni, aveva divulgato fin dal giorno 11 una protesta de’ suoi amici contro il governo di Francia. E questa protesta elaborata in Roma e partita da Roma, quantunque di tipo francese, non potè non aggiungere esca al fuoco nel governo di Parigi contro quello di Roma.126
Non ostante dunque le simpatie che i repubblicani romani sforzavansi di eccitare in proprio favore sul continente europeo, le cose loro volgevano a mal fine. Imperocchè dopo la caduta di Bologna la periferia entro la quale ardeva il fuoco repubblicano veniva restringendosi di giorno in giorno in più angusti confini. Gli Austriaci invadevano il nord dello stato pontificio. Gli Spagnoli ed i Napolitani eran pronti nella opposta direzione. La campagna romana formicolava all’occidente di soldati di Francia, e la recente caduta di Ancona, la cui capitolazione aveva avuto luogo il giorno 19,127 faceva sì che la occupazione austriaca si estendesse eziandio sulla plaga orientale. Balenata mente negli spiriti indomiti dei repubblicani di Roma la speranza di una rivoluzione francese in loro sussidio, la quale avesse convertito gli sdegni dei Galli in amplessi fraterni co’ discendenti dei Camilli; e cangiata in sogno questa speranza fallace, null’altro restava loro che una resa onorevole, poiché i Francesi eran penetrati non solo, ma eransi di già stabiliti e rafforzati dentro le mura di Roma.
Potevan dunque le sorti romane versare in più tristi condizioni? E i Romani non pertanto, non che non sentissero la lor prossima fine, sentivanla, ma non diederlo a divedere, nè commisero atti di viltà o scoramento, fin che non furono sopraffatti dalle armi straniere.
Il proseguimento pertanto delle romane difese fino alla caduta della repubblica e di Roma che n’era la sede, formerà il soggetto del capitolo seguente.
Note
- ↑ Vedi Monitore del 2 giugno, pag. 533.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi la lettera del Lesseps nelle lingue italiana e francese riportata nel Monitore del 2 e del 3, pag. 536 e 537.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 30.
- ↑ Vedi detto, pag. 183.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 185.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 30.
- ↑ Vedi le liste dei feriti nel Giornale di Roma del 15 settembre 1849, e nel volume IX Documenti, n. 105.
- ↑ Vedi il Monitore del 3 giugno, pag. 539.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto, pag. 540.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 510.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 560.
- ↑ Vedi Torre, vol. II, pag. 184.
- ↑ Vedi Vaillant, Siége de Rome ec., pag. 34.
- ↑ Vedi Vaillant, dalla pag. 31 alla pag. 38. — Vedi Torre, vol. II. pag. 177 e seguenti. — Vedi Balleydier, Histoire de la révolution de Rome ec., vol. II, pag. 199. — Vedi le relazioni circostanziate dei generali Garibaldi e Roselli nel Monitore, pag. 559 e 560, non che quelle del Pietramellara e del general Galletti nel Monitore, pag. 565.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 544.
- ↑ Vedi detto, 540.
- ↑ Vedi Balleydier, pag. 169.
- ↑ Vedi Torre, vol. II, pag. 192.
- ↑ Vedi Balleydier, vol. II, pag. 203 e seguenti.
- ↑ Vedi Sommario n. 95. — Vedi la lettera del generale Oudinot al general Cordova in Torre, vol. II, pag. 390, e in Balleydier, vol. II, pag. 442.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 38 e seguenti. — Vedi de Cuppis, Atlante generale dell’assedio di Roma avvenuto nel giugno 1849 ec. Roma, 1849, un volume in-4 oblungo, figurato.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 517.
- ↑ Vedi Sommario storico ec., pag. 278.
- ↑ Vedi Documenti, vol. IX, n. 105,
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 47.
- ↑ Vedi Torre, vol. II, pag. 192.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 49. – Vedi Torre, vol. II, pag. 194.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 50. Vedi Atlante generale dell’assedio ec., pag. 2. — Vedi Torre, vol. II, pag. 194.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 55. — Vedi Atlante generale dell’assedio ec., pagina 2
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 56 · 57.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 568.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 61.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 564.
- ↑ Vedi l’Atlante generale dell’assedio ec.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 568. Torre, vol. II, pag. 217.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 63.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 63. — Vedi Torre, vol. II., pag. 200.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 89. — Vedi Torre, pag. 200 e 202.
- ↑ Vedi il Monitore del 1849, pag. 569.
- ↑ Vedi Torre, vol. II, pag. 201. — Vedi Vaillant, pag. 89. — Vedi Stagi Michele, Due anni di vita di un emigrato ec. Genova 1849, nel vol. IX delle Miscellanee, n. 12, pag 94. — Vedi conte Lubiensky, Guerres et rivolutione d’Italie en 1843 et 1849, pag. 461. — Vedi l’Album del 29 setbre 1849, pag. 254.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 65.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 70. — Una bella litografia esprimente questo fatto è nel volume stampato a Parigi intitolato Souvenirs d’Italie. Expédition de Rome, 1849. Album dédié au prince Anatole de Démidoff par Raffet, n. 23.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 577 c 578. – Vedi la Pallade, n. 556.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 611.
- ↑ Vedi il Monitore del 13 giugno, pag. 577.
- ↑ Vedi gli Atti dell’Assemblea costituente romana, pag. 457.
- ↑ Vedi detti, pag. 453. — Vedi Documenti del vol. IX, n. 93 e 94.
- ↑ Vedi il Monitore del 13 giugno, pag. 577.
- ↑ Vedi l’atto della commissione delle barricate del 13 giugno nel Monitore, alla pag. 581.
- ↑ Vedi il Monitore del 16 giugno 1849, pag. 592.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 70.
- ↑ Vedi detto, pag. 73.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 74.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 589. - Vedi l’Atlante generale dell’assedio eo., Pag. 3.
- ↑ Vedi Vaillant, peg, 78. — Vedi l’Atlante generale dell’assedio ec., pag. 3.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 81.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 593 e 589.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 83. — Vedi Atlante generale dell’assedio ec., pag. 3.
- ↑ Vedi la nota generale dei feriti ne’ Documenti, vol. IX, n. 105.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 86. Vedi Atlante generale dell’assedio ec. pag. 3.
- ↑ Vedi Monitore del 19 giugno, pag. 604.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 87, 88 e 89. — Vedi Atlante dell’assedio ec., pag. 3.
- ↑ Vedi Monitore del 13 giugno, pag. 578.
- ↑ Vedi detto, pag. 598 e 599.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 94 e 95. — Vedi Atlante generale dell’assedio ec., pag. 3.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 96.
- ↑ Vedi Farini, vol. IV, pag. 201.
- ↑ Vedi Atlante generale dell’assedio ec., pag. 3.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 605.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 97 e 98.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 103.
- ↑ Vedi il Monitore del 22 giugno, n. 139.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 613.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi il Monitore del 22 giugno, pag. 613.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi il Monitore del 21 giugno, pag. 621
- ↑ Vedi il Monitore del 24 giugno, pag. 621. — Vedi Torre, vol. II, pag. 233.
- ↑ Vedi il Don Pirlone, n. 215.
- ↑ Vedi Vaillant, pag. 107.
- ↑ Vedi l’Indicatore del 2 giugno 1849.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 537.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 537.
- ↑ Vedi detto, pag. 515.
- ↑ Vedi detto, pag. 553.
- ↑ Vedi detto, pag. 549.
- ↑ Vedi detto dell’8 giugno 1849, pag. 557.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 561.
- ↑ Vedi detto, pag. 575.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto, pag. 577.
- ↑ Vedi volume intitolato Atti ufficiali della restaurazione pontificia e delle autorità francesi in Roma ec. della nostra raccolta, numeri 35, 36, 38, 39, 41, 44, 48, 50, 56, 61, 66, 69, 72, 74, 81, . 96.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 589.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto, pag. 601.
- ↑ Vedi il Monitore del 18 giugno, pag. 599.
- ↑ Vedi detto, pfg. C03.
- ↑ Vedi il Monitore del 6 giugno, pag. 549.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi il Monitore del 6 giugno, pag. 549 550.
- ↑ Vedi detto, pog. 549.
- ↑ Vedi detto, pag. 553.
- ↑ Vedi detto, pag, 353.
- ↑ Vedi tutti i figurini nel volume Stampe e litografie dal D. 80 al n. 99.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 553.
- ↑ Vedi detto.
- ↑ Vedi detto, pag. 557.
- ↑ Vedi Autografi di personaggi politici ec., n. 35.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 557.
- ↑ Vedi detto, pag. 559.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 564. — Vedi l’originale del detto atto nel volume Autografi di personaggi politici ec., n. 36.
- ↑ Vedi il Monitore del 9, pag. 561.
- ↑ Vedi detto, pag. 585.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 535.
- ↑ Vedi detto, pag. 538.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 572.
- ↑ Vedi detto, pag. 603,
- ↑ Vedi Monitore del 21 giugno, pag. 609. — Vedi Speranza dell’epoca del 22 giugno.
- ↑ Vedi Monitore romano, pag. 610.
- ↑ Vedi Monitore, pag. 613 e 614. — Vedi la Pallade, n. 563.
- ↑ Vedi il Monitore, pag. 575.
- ↑ Vedi il Monitore, n. 141, pag. 621. — Vedi la Speranza dell’epoca, n. 127. — Vedi Memorie ec. di un veterano austriaco, vol. II, pag. 285.