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gno. Ma secondo ciò che a noi manifestò confidenzialmente il Le Duc segretario del Lesseps, si riteneva che dovessero battersi il 3. E si disse difatti che la sera del 2 i Romani vi si mostrassero preparati, perchè alcuni giovani andarono gridando pel Corso in quella sera: a domani a domani, senz’aspettare lunedì.

Come ed in qual modo possa spiegarsi la infrazione per parte del generale Oudinot della sua promessa, nol sappiamo; come il Le Duc potesse tenere a noi che scriviamo quel linguaggio, è un mistero; ma è un fatto positivo che i Romani vennero attaccati la mattina della domenica 3 di giugno in sul far dell’alba.

Prima però che facciamo il racconto dello scontro fra i Romani ed i Francesi, crediamo di dover informare i nostri lettori che allorquando venne denunciata la cessazione dell’armistizio, l’armata francese era stata portata a ventimila uomini, e quella di Roma a ventunmila settecento sessanta combattenti, oltre dodicimila uomini di guardia nazionale, e centoquattordici cannoni. Abbiamo estratto queste cifre dall’opera del maresciallo Vaillant sull’assedio di Roma.1

Trascriveremo più sotto lo specchio dell’armata romana datoci dal medesimo Vaillant, osservando preliminarmente ch’egli si era tenuto al largo dando millesettecento uomini alla legione di Garibaldi, compresivi i lancieri, la quale appena componevasi di millecinquecento, e dodicimila alla guardia nazionale, che appena ne contava ottomila.

Ci racconta il maresciallo che il 25 di maggio (clandestinamente s’intende) egli era penetrato in Roma, ne aveva studiato le difese ed i mezzi, e si era deciso per fare della porta san Pancrazio il punto di attacco, affine di annullare così tutte le barricate ed i trinceramenti del Trastevere.2

Queste particolarità non riusciranno sgradite ai nostri lettori.


  1. Vedi Vaillant, pag. 30.
  2. Vedi detto, pag. 183.