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Si seppe allora che due o tre compagnie di linea eran fuggite dal Gianicolo, che era fuggito il distaccamento che vi si trovava, appartenente al reggimento Unione. Fuggiron pure alcuni de’ nostri civici (erano per la massima parte del 3° battaglione), e fu tale la fuga per la china del monte, che si credette esser rimasto schiacciato in quello scompiglio da’ suoi stessi compagni il tenente Capeccioni che nel fuggire cogli altri era caduto.

Dopo quest’epoca, e in seguito appunto dell’ingresso dei Francesi per le brecce (chi lo crederebbe?) furon diramate istruzioni severissime a voce onde impedire che dalle specole, dalle logge, e perfino dal piazzale sterrato della Trinità de’ Monti, si osservassero con canocchiali o senza le operazioni degli assedianti, o per intenderci meglio, affinchè non si vedesse ov’era fatta la breccia. Si lasciò bensì fino all’ultimo momento la libertà ai curiosi di recarsi sul ripiano avanti la facciata della chiesa di Ara-Coeli, donde vedevasi tutto magnificamente, come vedovasi benissimo e dalla rupe Tarpea e da mille altri luoghi inosservati; cosicché questa misura mentre riusciva vessatoria e tirannica, era ben lungi dal far conseguire lo scopo che era quello di occultare ai Romani la verità.

A questo proposito diremo che in Roma non si conosceva nè si parlava affatto dello sbarco degli Spagnoli a Terracina, nè di quanti fossero e dove stessero. Credevasi o studiavasi di far credere che i Francesi fossero pochi e malaticci, e provvisti di pochissimi cannoni. La malsania dell’aria poi dicevasi pubblicamente aver loro enfiato la regione addominale a guisa di rospi, e nel Don Pirlone di fatto pubblicossi una vignetta esprimente un rospo con cappello piumato che comandava a rospi col fucile in ispalla. nota Nulla poi si sapeva dei lavoro delle trincee, dei zig-zag o cammini coperti, delle gabbionate, e

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  1. Vedi il Don Pirlone, n. 215.