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a stabilirsi e trincerarsi sulla riva sinistra che fortificava alla meglio. Il ponte fu reso praticabile anche alle più pesanti vetture nella mattina del dì seguente.1

Il risultato dei fatti del 3 di giugno, quantunque i Romani ed i loro ausiliari facesser prova di un coraggio perseverante e di una bravura incontrastabile, fu che i Romani vennero respinti nella piazza, lasciando libera tutta l’estensione di terreno ove dovevano stendersi le trincee francesi. Occuparono i Francesi e fortificarono la chiesa di san Pancrazio, e nell’alto Tevere s’impossessarono e ritennero il passaggio importantissimo del ponte Molle, stabilendosi sulla sua riva sinistra. Il monte Mario da vari giorni per astuzia e non per valore era già nelle loro mani.

Ci siamo un poco diffusi nel raccontare queste particolarità, perchè le credemmo necessarie per l’intelligenza de’ fatti successivi. Ripetiamo che i Romani non ebbero la gloria di aver vinto. Ebber quella bensì di essersi mostrati coraggiosi ed abili quanto i Francesi. Chi desideri più ampli ragguagli sulle fazioni militari del 3 di giugno, potrà rinvenirle nel generale Vaillant, nel Torre, e nel Balleydier.2

Terminato il combattimento colla peggio dei Romani, incominciarono le opere di umanità a sollievo de’ sofferenti. Le ambulanze porsero un confortevole ricovero agli sventurati cui dovevansi curar le ferite. Lo spirito di carità, e l’amore di patria e d’indipendenza (non vogliam dire se rettamente o sinistramente o esageratamente professati) presiedevano all’opera umanitaria, e varie signore anche spettabili per condizione sociale vi si dedicarono.

Noi non ne citeremo i nomi, nè ci abbandoneremo, come fecer taluni, a censurare la loro condotta, e tanto meno

  1. Vedi Vaillant, Siége de Rome ec., pag. 34.
  2. Vedi Vaillant, dalla pag. 31 alla pag. 38. — Vedi Torre, vol. II. pag. 177 e seguenti. — Vedi Balleydier, Histoire de la révolution de Rome ec., vol. II, pag. 199. — Vedi le relazioni circostanziate dei generali Garibaldi e Roselli nel Monitore, pag. 559 e 560, non che quelle del Pietramellara e del general Galletti nel Monitore, pag. 565.