Storia della rivoluzione di Roma (vol. II)/Capitolo XII
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[Anno 1848]
Installato appena il ministero Mamiani, videsi tosto rivolgere le sue sollecitudini al ristabilimento di quella quiete e di quell’ordine senza dei quali e governi e ministri e magistrati invano riuscir potrebbero ad esercitare con frutto le loro funzioni.
A tal effetto fino dal giorno 5 veniva dal Mamiani invitata la civica a sgomberar le porte della città.1 Accettava la rinuncia del generale della medesima principe Rospigliosi al quale succedeva il principe Aldobrandini,2 non che quella del conte Alessandro Bolognetti comandante il forte sant’Angelo, che venne sostituito dal colonnello Steuart cui se ne affidò il comando. Essendo lo Steuart ben accetto a tutti i partiti e stimato generalmente, piacque la sua scelta, al che non poco contribuiva quel non so che d’imponente, di dignitoso e di disinvolto che era nella sua figura, ne’ suoi modi e nei suoi lineamenti.3
Siccome poi il partito che aveva spinto innanzi e messo in seggio il Mamiani amava la guerra, così uno dei primi atti del nuovo ministro fu quello di emanare un decreto per la formazione di un corpo di riserva di 6000 uomini.4
Era in quel tempo in Roma un giornale, del quale soventi volte abbiamo parlato, e che nomavasi l’Epoca. Surto esso col sorgere dello statuto, il suo primo numero portava la data del 16 marzo 1848. Era per verità commendevole per ricchezza e varietà di notizie, e rappresentava meglio di qualunque altro le opinioni del partito così detto moderato in Roma, ossia dei costituzionali, e riceveva le ispirazioni dal Mamiani stesso. Può immaginare ognuno se, salito il Mamiani al potere, venisse in credito precipuamente quel giornale che n’era l’organo e l’espressione: e quindi dette lo scacco al Contemporaneo ch’era l’organo dello Sterbini, il quale quasi esclusivamente ne aveva la direzione. Lo Sterbini d’altra parte erasi troppo chiarito per repubblicano, e in quel momento non era in voga, perchè gli spiriti sembravan rivolti alla attuazione del costituzionalismo.
L’Epoca pertanto del 5 di maggio riportò il programma del ministro Mamiani, e col titolo di programma venne presentato al pubblica dalla Gazzetta di Roma.5
Ad onta di ciò il giorno seguente la stessa Gazzetta di Roma (ch’era il giornale officiale) disapprovò il titolo di programma colle seguenti parole:
«A quell’articolo che ieri fu pubblicato, nel quale il ministero manifestava alcuni suoi pensamenti e principi intorno alla causa nazionale italiana e l’amministrazione della cosa pubblica, fu dato il titolo di Programma del Ministero. Questo avvenne per inavvertenza dell’impiegato incaricato a trasmettere dal Ministero dell’interno alla redazione gli articoli della gazzetta; da che nè nell’originale, nè nella bozza, era siffatto titolo; nè certo il Ministero intendeva imprimere in quell’articolo si conciso e sì poco particolarizzato il carattere estremamente significativo e solenne che si conviene a un Programma secondo l’accettazione che riceve ora siffatto vocabolo.»6
Non piacque al certo e non fu indizio di buon accordo uno sbaglio di questa natura, ed una sì imperdonabile trascuranza. Non vogliamo investigare a chi fosse da attribuirsene la colpa: ma in cosa sì grave e deferita al pubblico in momenti tanto straordinari, quel dire oggi di sì, e dimani di no, venne a discapito degl’ingegni amministrativi, o dei pubblici funzionari di allora. Ad ogni modo designamo il fatto, lasciandone ad altri la spiegazione.
Ad imprimere poi il marchio del beneplacito sovrano per la installazione del ministero Mamiani, circolò subito un foglietto in istampa in cui si diceva essere stato ricevuto il medesimo e benedetto da Sua Santità il giorno 6, alle ore 11 e mezza. Nel foglio officiale però non se ne fece parola.7
Proseguendosi intanto nell’opera del ristoramento dell’ordine turbato nei giorni antecedenti, il duca di Rignano rassicurava la civica sulla benevolenza di Sua Santità, ed annunziava che dopo smontata la guardia alla reale, sarebbe ammessa al bacio del piede.8
Non ostante però queste assicurazioni del Rignano, tanto il ministro, quanto i capi del movimento comprendevano bene quale impressione sinistra avean dovuto produrre nello animo del Santo Padre le improntitudini della milizia cittadina, che per quanto volessero rimpicciolirsi o escusarsi, erano a tutti note; e quindi tutti si mostravan freddi e peritosi nell’esporre la civica al cospetto del sovrano, perchè ritenevano gli sconci di sopra memorati non solo avere rattiepidito l’animo del Santo Padre verso un corpo, che nel solo intendimento di tutelare l’ordine pubblico aveva instituito, ma resolo sdegnato verso il medesimo. E siccome il solo battaglione del Trastevere, coll’essersi astenuto dall’aderire al programma Mamiani, erasi scisso dagli altri, ed in benemerenza era stato ricevuto dal Santo Padre il giorno 8 di maggio9 e ne aveva ricevuto in un colla benedizione confortevoli parole, così a far sparire ogni genere di scissura fra’ battaglioni, è ad escludere l’idea di predilezione verso quel di Trastevere, si adoperarano siffattamente verso il pontefice, che ottennero l’ammissione successiva al suo cospetto di tutti i battaglioni. La Gazzetta di Roma dell’8 di maggio apriva le sue colonne nella parte officiale col seguente articolo:
«La Santità di Nostro Signore, volendo dare un attestato di solenne fiducia ed attenzione verso la milizia civica di Roma, ha concesso che l’intero battaglione, cui appartiene il distaccamento che monta alla reale, venga ammesso in corpo, ma senza fucile, alla augusta presenza di lui; e ciò perfino a che rimanga esaurito il turno dei dodici battaglioni.»10
Si fece però e si ottenne anche di più, perchè la civica ch’era sotto la soprantendenza del ministero degli affari esterni, passò sotto quella del ministero dell’interno, ossia del conte Mamiani, lo stesso giorno 8 maggio.11
Qual sorta di tempi eran quelli! Quale strana confusione nel retribuir lode o biasimo secondo le azioni buone o malvagie che commettevansi! La civica si era condotta indegnamente, e il principe Rospigliosi è costretto di lodarla, e il duca di Rignano encomiarla incoraggiandola a perseverare nel mantenimento dell’ordine pubblico! E lo stesso Santo Padre viene indotto ad accoglierne partitamente gli omaggi; riceverla e benedirla! Ulteriori commenti ci asteniamo di farli: la nostra reticenza dirà abbastanza, ed i nostri lettori sapran giudicare se a discapito della morale pubblica potesse dal partito predominante farsi più di quello che facevasi, coprendolo sotto le apparenze di legalità!
Poichè ora avremo spesso occasione di parlare del Mamiani, crediamo pregio dell’opera, prima di procedere oltre di dare alcuni schiarimenti sul medesimo, i quali potranno riuscire utili in quanto che avendo recitato una parte importantissima nelle vicende dell’anno 1848, può ritenersi che rappresentasse in primo grado il partito costituzionale in Roma.
Il conte Terenzio Mamiani della Rovere nacque in Pesaro; egli coltivò con passione le lettere, e fin dai più teneri anni si diè a conoscere come amico della libertà, e passionato per la nazionale indipendenza.
Ne’ moti del 1831 prese una parte primaria; e quindi reintegrato il governo pontificio, fu costretto ad esulare. Egli scelse la Francia per sua dimora ove rimase di preferenza, coltivandovi i suoi studi prediletti.
Sembra che mantenesse corrispondenze co’ suoi amici in Italia affine di avvisare ai mezzi per la sua futura rigenerazione; si hanno di ciò moltiplici prove nelle Memorie del Montanelli.
Difatti allorquando si voleva solennizzare in Italia il centenario pel discacciamento degli Austriaci da Genova, il Mamiani da Parigi suggeriva di ardere fuochi sugli Appennini, come abbiam narrato quando trattammo degli avvenimenti del dicembre 1846.12
Essendo uno dei 33 eccettuati dall’amnistia del 1831, non potè giammai fare in Italia ritorno, e non vi voleva che l’amnistia del regnante pontefice Pio IX per aprirgliene il varco. Esso non fece la dichiarazione ch’esigevasi dagli amnistiati. Scrisse bensì al cardinale Gizzi nel marzo del 1847, ma non ottenne la grazia. Assunto però al potere il Cardinal Ferretti, fu pregato d’interporsi presso il pontefice, e la grazia implorata venne concessa. Lo stesso Cardinal Ferretti significatala al Mamiani, questi gliene diresse da Genova lettera di ringraziamento, ove prometteva di rispettar le leggi sussistenti e fuggire ogni modo occulto e violento di mutazione.13
Entrò quindi in Roma il giorno 11 di settembre dello stesso anno,14 ed il 23 vennegli offerto un lauto banchetto nel casino della villa Giraud sul Gianicolo detto il Vascello, dai soci del circolo romano.15
Concesso in Roma lo statuto il 14 marzo 1848, il Mamiani si pose a capo e fu uno dei fondatori del giornale politico l’Epoca, succeduto all’altro giornale dell’Orioli, intitolato la Bilancia.
Formatosi quindi in Roma un comitato provvisorio per la elezione dei deputati, il Mamiani ne fu uno dei capi; e pregato dai circoli, formulò quello che modernamente chiamasi un programma politico, che tale fu sempre chiamato in seguito, e che lesse la sera del 25 Aprile 1848 avanti i deputati di tutti i circoli.16 A questo programma aderì la civica, come già abbiamo raccontato, il 3 di maggio del presente anno.
Accaduti i moti di Roma dell’ultimo di aprile e dei primi di maggio, si trovò ravvolto necessariamente nel vortice degli avvenimenti. Si oppose agli avventati progetti di un governo provvisorio, cui lo Sterbini ed altri mostravansi proclivi. Fu preconizzato, ministro dai circoli e dalle turbe dei sommovitori politici, ed entrato in negoziati col pontefice, venne dal medesimo incaricato di comporre un ministero. Vi riuscì il 3 di maggio, ed appellossi il ministero Mamiani, nel quale come si sa, ebbe il portafoglio dell’interno.
Apertisi successivamente i due Consigli, esso pronunziò in quello dei deputati il suo discorso, nel quale si disse di avere egli posto il papa fra le nuvole per pregare, benedire e perdonare; ma di ciò, per non confondere tanto le date, terrem proposito a suo luogo e tempo, domandando intanto perdono ai nostri lettori se nel parlare di Mamiani, abbiam dovuto ripetere quelle cose stesse che già avevamo narrato.
Era il Mamiani dotato di molto ingegno: il suo stile è terso ed elegante, salvo che tende un poco al trascendentale pei concetti, e al ridondante (che alcuni direbbon frondoso) per il modo di esprimerli. I suoi versi sono assai stimati, ed egli, cosa non comune in un uomo dedicato alla politica, era assai versato nelle filosofiche discipline.
Citeremo fra le sue opere quelle che conosciamo e che possediamo, e sono:
1.° Del rinnovamento della filosofia antica italiana. Firenze, 1836, in-12 un volume.
2.° Lettere intorno alla filosofia del diritto e singolarmente intorno alle origini del diritto di punire. Firenze, 1844, in-8 un volume. .
3.° Dell’ontologia e del metodo. Firenze, 1848, in-12 un volume.
4.° Poesie. Italia, 1849, in-12 un volume.
5.° Scritti politici. Firenze, Le Monnier, 1853, in-12 un volume.
Dati questi pochi cenni sull’uomo che assunse il potere in Roma, restaci a parlare dell’indirizzo che dette alla cosa pubblica per ciò che concerne massimamente il ’sistema costituzionale, nel quale i Romani avevan bisogno di essere ammaestrati da chi era versato in siffatte materie.
Essendo il Mamiani conosciuto in Roma più come poeta che come politico, non avendovi fatto siccome il marchese Massimo d’Azeglio una lunga permanenza, non era cognito se non che agli uomini che frequentavano i circoli, ed in ispecie il circolo romano; non crediamo quindi che fosser molti i Romani cui interessava di prendere lezione di costituzionalismo dal Mamiani, nè che il Mamiani si mettesse molto in pena di frequentar le adunanze, non essendo colà le sue predilezioni. Esso era sviceratamente amante de’ suoi studi prediletti, e teneva in cima de’ suoi pensieri l’Italia, la sua. politica rigenerazione, e innanzi tutto il discacciamento degli Austriaci dal patrio suolo. Noi non crediamo neppure che ponesse molta fede nella stabilità del sistema rappresentativo in Roma, e riteniamo che lo prendesse piuttosto sotto l’aspetto di esperimento o di scala per salire quando che fosse più in alto. Quanto poi all’attener le promesse, non ci sembra che ne desse un buon saggio quando nel settembre 1847 nell’implorare di esser messo a parte dei benefici dell’amnistia, prometteva fedeltà al pontefice e rispetto alle sussistenti leggi, e nel giugno del 1848 bandiva nelle celesti regioni il pontefice, lasciandolo arbitro soltanto di pregare, benedire e perdonare.
Comunque si voglia, siccome mediante la tribuna andavasi a schiudere al Mamiani il campo per isvolgere qualunque si fossero le sue dottrine, egli è chiaro che il momento non poteva presentarsi più per lui propizio; essendochè trovossi a capo del reggimento costituzionale che Pio IX concesse. Al qual proposito ci piace notare che non manca chi abbia sostenuto cogli scritti che come papa, e trattandosi degli stati della Chiesa, non avrebbe nè dovuto nè potuto farlo.17 Aveva il Mamiani nella impresa di educare i Romani al sistema costituzionale un valido appoggio nel professor Francesco Orioli.
Era l’Orioli nativo di Vallerano nel Viterbese.18 Aveva figurato come uno dei capi del movimento del 1831 in Bologna. Prese parte ancor esso nel decretare la decadenza dei papato dal governo degli stati romani, e come uno dei 33 eccettuati dall’amnistia di quei tempi, avea vissuto in esilio nelle isole Ionie.
Gli si schiuser le porte di Roma per l’atto del perdono del 1846, e vi pose stanza colla sua famiglia; e ripudiata quasi del tutto la esagerazione dei principi passati, recitava in Roma la parte di moderatore delle idee esorbitanti, onde era venuto piuttosto in uggia che in ammirazione a quegli uomini che guidavano il movimento del giorno. Pur tuttavia era sempre il sapiente fra i liberali, e versatissimo in ciò che si attiene ai governi rappresentativi, avea divisato di mettere a profitto le sue dottrine, istituendo una specie di scuola di costituzionalismo.
A tal effetto fino dall’11 di aprile emise una circolare o indirizzo per la formazione di un comitato elettorale in Roma, perchè potessero affluirvi quelli fra i Romani che desiderassero di essere ammaestrati in cosiffatte materie.19
Anche l’avvocato Petrocchi erasi associato in qualche modo alla impresa pubblicando in forma di dialogo alcune istruzioni nel giornale l’Epoca.20
In seguito di ciò vi era stata fin dal 21 del mese di aprile una riunione nelle sale del casino dei commercianti, dei vari circoli di Roma per la elezione dei deputati, e fu, come dicemmo più sopra, proposta dall’Orioli. In quella occasione il Mamiani venne incaricato di compilare (come parlando di lui abbiam raccontato) il programma chiamato sempre, volente o disvolente l’autorità, il programma Mamiani, e che costituì, per così dire, il codice o regola di condotta del partito costituzionale in Roma.21
Il comitato preparatorio per le elezioni si riunì nei giorni 7 e 8 maggio sotto la presidenza dell’Orioli, e propose i nomi dei candidati, in testa ai quali era il Mamiani, e raccomandava agli elettori di mostrarsi concordi a quei principi che il Mamiani dichiarò nel suo programma.
Da tutto ciò si deduce che in quel tempo l’Orioli andava d’accordo col Mamiani, e che anzi ne era quasi il braccio dritto. Il Mamiani poi ebbe incontestabilmente il vanto d’avere stabilito la norma e i principi che animar dovevano gli elettori e gli elegibili. Sembrò a taluno che per un primo saggio di vita pubblica, i Romani non avessero avuto a campione il più moderato fra i liberali, e si trovassero d’un salto troppo avanzati in fatto d’idee e di desideri. Si sarebbe voluto in vece dai più temperati che per un primo esperimento, e trattandosi di una città come Roma ove volevansi lasciare e il papa e i cardinali, dovessero accontentarsi di qualche cosa discreta e meglio proporzionata all’incipiente carriera politica. Dovevano rammentare , dicevano, che per la prima volta entravan nello, arringo parlamentare; quindi non poterla recitare in un subito da costituzionali provetti come quelli di Londra e di Parigi, e dimenticare poi ch’erano in Roma, ossia nella sola città eccezionale che sia nel mondo.
Per verità i Romani non sembrarono in sui primi molto teneri per la costituzione nè per esercitare il diritto d’elettori. E tanto è ciò vero, che alla prima riunione dei collegi elettorali pochissimi concorsero. Ecco che cosa scriveva la Speranza, giornale in quel tempo molto accreditato:
«Oggi si sono aperti i collegi elettorali; riunioni solenni nelle quali si decide niente meno che di consegnare il mandato della causa pubblica a onesti e generosi rappresentanti per aver nella legge le garanzie della libertà, perchè giudichi il popolo stesso i suoi diritti e li sanzioni il sovrano depositario e custode di quelli. Ne viene assicurato che non ostante la gravità e l’imponenza dell’elezioni, nemmeno un terzo di elettori, e in alcuni collegi nemmeno un quarto, siansi recati a prendere il primo possesso di cittadinanza libera, a inaugurare il primo fatto di grandezza sociale in Roma.22»
Finalmente però riunitisi in numero i collegi elettorali fecero cadere la scelta sui seguenti deputati per Roma:
1.° | collegio, | principe don | Marcantonio Borghese. |
2.° | » | avvocato | Pasquale De Rossi. |
3.° | » | avvocato | Giuseppe Lunati. |
4.° | » | conte | Terenzio Mamiani. |
5.° | » | avvocato | Francesco Sturbinetti. |
6.° | » | avvocato | Felice Ciccognani.23 |
I primi cinque eran proposti dall’Epoca ossia dal partito Mamiani. L’ultimo, ch’ebbe per competitore l’avvocato Carlo Armellini, era portato dal ceto dei legali, il quale simpatizzava più pel Ciccognani che per l’Armellini.
II partito Mamiani dunque trionfò per cinque sesti sulle elezioni di Roma; ed il ceto degli avvocati che ne ebbe quattro su sei fra gii eletti, ottenne sugli altri la prevalenza.
Anche nelle provincie si procedette regolarmente alle elezioni, fino al compimento del numero degli elegibili. Daremo la lista tanto dei deputati quanto dei membri dell’alto Consiglio in fine del presente capitolo, e prima d’intertenere i nostri lettori sull’apertura di amendue i Consigli.
Pur tuttavia se Roma fosse stata tranquilla, se non avesse attirato nel suo seno speculatori politici di ogni colore, e se l’Italia non si fosse trovata in istato di guerra, sarebbesi potuto sperare che si occupasse con calma dello svolgimento della vita costituzionale, e ad essa rivolgessero i Romani la loro attenzione.
Ma eran troppe le cose che distoglievano. Le discussioni dei circoli, il profluvio delle stampe volanti, i bollettini della guerra che impegnavan tutti a leggere e dissertare, i comitati di guerra che costringevano a fare qualche eosa, il servizio più gravoso della guardia civica stante la partenza di molti militi regolari, i torbidi di Napoli del maggio che attraevano massimamente l’attenzione pubblica, e molte altre cose agivano sì fortemente sullo spirito dei Romani, che non facevano trovar loro nè calma nè riposo. Da ciò derivava che poca o niuna attenzione riponevano nei procedimenti delle nuova vita pubblica, ossia per l’apertura dei Consigli che nel prossimo giugno doveva aver luogo.
Intanto il governo napolitano aveva spiegato la sua politica nazionale italiana con suo proclama del 7, ed il giorno 12 di maggio si conobbe in Roma un atto che non lasciava dubbio veruno sulla partecipazione di quello stato alla guerra contro l’Austria, leggendosi la dichiarazione del governo napolitano nella Gazzetta di Roma del detto giorno, dalla quale vogliamo estrarre le parole seguenti:
«Dichiarazione del Ministero.
» Napoli 10 maggio.
» Il governo, fedele al programma del 3 aprile ed al proclama del 7, continuerà sempre risolutamente la sua politica.
» Mentre le truppe sbarcate in Ancona, e le altre inviate già per la via di terra, marciano senza interruzione verso il teatro della guerra, per cooperare degnamente e potentemente alla sua soluzione ne’piani di Lombardia, ordini efficaci sono stati spiccati alla squadra, che ora si trova in Ancona, perchè si rechi subito in ciera nelle acque del Veneto per difendere da qualunque attacco l’antica Signora dell’Adriatico, e proteggere le coste Italiane.
............
» Il Ministero: |
Queste notizie confortavano coloro cui andava a grado la guerra contro l’Austria e colla cooperazione di tutti i principi italiani. Da questo lato pertanto le cose di Napoli andavan per essi, come suol dirsi, a vele gonfie.
Quanto a Roma, oltre alle disposizioni che non ostante le dichiarazioni pacifiche del pontefice eran sempre bellicose, si aggiungeva il fatto gravissimo che l’ambasciatore austriaco conte Lützow n’era partito il giorno 16;25 e la Pallade n’esultava, e poneva una rimunerazione di cento scudi a chi le avesse assicurato se era o no in Roma. Il Don Pirlone poi in epoca posteriore alludendo a questo avvenimento, vi consacrava una vignetta trivialissima sotto la quale leggevasi: gnà svignassela sor gobbo. E chi pronunziava queste parole invereconde era il tristamente famoso Ciceruacchio.26
E pure la famiglia del conte Lützow, padre, madre e figli, accoglieva in sè tutto ciò che in fatto di amabilità, di bontà e di beneficenza potesse desiderarsi. Considerando però a sangue freddo ciò che accadeva in Roma, non è a stupirsene, poichè si era in tempo di rivoluzione; e siccome la rivoluzione deve capovolgere le cose, qual meraviglia se quelle ch’erano spettabili e venerande si rappresentassero per ridicole o vituperevoli?
Giunti fin qui, dovremmo parlare degli avvenimenti di Napoli che in quei giorni si conobbero, non che delle conseguenze che ne derivarono. Nè potremmo tacere di altre rivoluzioni che nello stesso tempo in altre parti accadevano, è che furon tali e tante e così terribili, da mantener gli animi in uno stato di costante perturbazione.
Per non perderci in un sì intrigato labirinto, adottiamo il partito di riassumere per ordine di data le cose più notevoli occorse nel mese di maggio.
Narrammo gli avvenimenti di Roma dei primi giorni del detto mese nel precedente capitolo, fino alla installazione del ministero Mamiani.
Ora aggiungeremo che nei primi giorni di maggio si conobbe la battaglia di Somma Campagna, accaduta il 30 di aprile, la quale provocò le sòlite dimostrazioni di allegrezza in chi massimamente compiacevasi di tali faccende.27
Il 6 ebbe luogo un combattimento sotto Verona, nel quale i Piemontesi ebbero seicentocinquantanove feriti e novantotto morti.28
Il 7 giunsero in Roma i conti Gabriele e Giuseppe Mastai Ferretti, fratelli del Santo Padre. Alloggiarono per pochi giorni alla locanda Spillmann, i cui proprietari non solo ricusarono qualunque compenso, ma proibirono ai servi di prendere qualsivoglia retribuzione: gli applausi al loro arrivo non mancarono, e gridossi al solito: viva Pio IX, viva l’indipendenza italiana.29
Fu notevole il detto giorno per indegnità commesse e per sventure sofferte non già in Roma, ma là ove per la italiana indipendenza combattevasi: perchè a Monselice, per il semplice sospetto che l’ex direttore di polizia del duca di Modena e due altri individui fossero spie, vennero barbaramente uccisi. Questa fu la indegnità. La sventura (che tale si disse, e come tale contristò molto i Romani) fu il combattimento di Cornuda, ove le milizie pontificie ebber la peggio, ed i militi si diedero vergognosamente alla fuga, coll’intero sbandamento del corpo.30
Questo avvenimento disastroso dette luogo a mille dicerie. Il professor Orioli appena conosciutosi il fatto volle in qualche modo scusare i fuggiaschi, pubblicando una lettera. Un tale Caterbi rispose allo scritto e sferzò l’Orioli. Vi furono in somma degli scritti pro e contra su questó dispiacente argomento. Nuova prova del poco spirito di unione che anima gl’italiani. 31
Il detto giorno 7 di maggio scoppiò una insurrezione a Madrid. Il generale Fulgosio vi perdette la vita. Il capitano generale, e alcuni officiali superiori furono feriti. Si dovette al Narvaez la compressione di quel moto.32
Moriva il giorno 8 il Consultore avvocato Francesco Benedetti di Corneto, giovine di merito e in Roma amatissimo; ed il giorno 9 con pompa si fece il trasporto funebre della sua salma, cui associaronsi il circolo romano, il corpo dei Consultori e gli amici.33
Il giorno 10 fu promulgata l’ordinanza ministeriale sul Consiglio di stato. 34
Ed il giorno 13 apparve nel foglio officiale la nomina di tutti i membri dell’alto Consiglio, fatta da Sua Santità. All’apertura dei Consigli ne trascriveremo i nomi.35
Sotto lo stesso giorno devesi pur registrare il ritorno di monsignore Corboli Bussi dal campo di Carlo Alberto,36 e sotto il giorno 14 il ritorno in Roma dell’avvocato Galletti.37
I giorni 13 e 14 inoltre furono segnalati per l’attacco che si fece dagli Austriaci dei due campi toscani d’osservazione di Curtatone e Montanara. Preser parte in questo fatto d’arme tanto i Toscani quanto i Napoletani, e respinsero bravamente l’assalto del nemico inseguendolo fin sotto le mura di Mantova. Ebbero gl’italiani a deplorare la perdita di una cinquantina fra morti e feriti. Fra i feriti napoletani si memorarono il capitano Rossaroll, il capitano Enrico Poerio ed il capitano Giuseppe Cecconi.38
II 15 fu giorno nefasto in Europa, perchè per una strana o artificiosa combinazione trovaronsi in istato di rivoluzione Parigi, Vienna e Napoli.
In Parigi il movimento operossi in senso comunistico. Si trattava nientemeno che di volere imporre una tassa di due miliardi a carico dei ricchi. Era stato già nominato un governo provvisorio dai clubs o casini politici. A capo del medesimo eran designati i seguenti: Cabet, Barbès, Hubert Ruchon, Ledru-Rollin, Blanqui, P. Leroux, Raspail.39
L’insurrezione però fu vinta, e molti dei capi vennero arrestati.
In Vienna fuvvi rivoluzione capitanata dagli universitari, e da una parte della guardia nazionale e del popolo in senso anti-austriaco e favorevole piuttosto all’unità germanica.
In seguito di questo movimento la famiglia imperiale e la corte ritiraronsi a Innspruck.40
In Napoli poi dovea aver luogo la inaugurazione delle due Camere. I rivoluzionari però non volevan quella dei pari, che in numero di cinquanta il re aveva eletto il giorno 14. Circa cento deputati riunironsi a Monte Oliveto, ed ivi sottoscrissero una protesta.41 La opposizione dei deputati era basata sul programma del ministero Troia del 3 aprile, col quale autorizzavansi i deputati a svolgere la costituzione, ossia modificarla a senso loro. Ed essi non volevan giurarla se prima di tutto non era modificata; e questa modificazione, che era loro eminentemente a cuore, consisteva nel volersi riunire sotto la denominazione di assemblea costituente, e nell’osteggiare la Camera dei pari di nomina regia, ch’essi non avrebbero voluto assolutamente, perchè dicevano di non fidarsi del re e de’ suoi eletti. Il non voler però una Camera di pari, ch’è puntello e sostegno al potere regio, equivaleva a volere un governo monarchico nella sola apparenza, ma repubblicano nella sostanza, preso per modello quello delle Cortes di Spagna degli anni 1812 e 1820.
Si disse che, ciò non ostante, il re per evitare lo spargimento del sangue aveva ceduto a quasi tutte queste esorbitanti esigenze. Se non che nel frattempo eransi erette delle barricate dagl’insorti, e ad un tratto partiron da quelle alcuni colpi di fucile sulle truppe regie, le quali non potendosi più contenere, irruppero sugl’insorti. Incominciò allora una zuffa tremenda fra le soldatesche e gl’insorti i quali contavan nelle loro file un sette od ottocento guardie nazionali. Da parecchie case e palazzi in via di Toledo si faceva fuoco sulla truppa, ed essa rimasta vincitrice, pose in quella contrada tutto a ruba e a sangue. Occorsero casi tali per parte della truppa sfrenata che destarono e destan tuttora ribrezzo nelle anime oneste. Noi ci associamo di buon grado a disapprovarli e vituperarli acerbamente, ma non possiamo non farne ricadere in parte l’onta e il biasimo su chi provocolli in certo modo colle sue esorbitanze. Si disse difatti in quel tempo dagli uomini di idee temperate essere stata incomportabile e intempestiva la pretensione di spogliare il re della prerogativa reale di creare a volontà sua la Camera dei pari, mentre nella Francia, in Inghilterra, in Prussia, nella Spagna, in Baviera, nel Belgio, ovunque insomma sianvi governi retti a costituzione, questa prerogativa è inerente essenzialmente alla regia autorità. Che anzi in Inghilterra, ove la paria è ereditaria, porge essa un più stabile e solido appoggio all’autorità regia, ed è il più valido antemurale contro le invasioni della democrazia.
Lo scegliere poi quel momento si trovò esser cosa esorbitante, sleale e contraria al proprio interesse: in quanto che il re, il quale avea condisceso d’inviare in Lombardia un quattordici o quindici mila combattenti, ove fosse stato privato d’un appoggio anche nella Camera dei pari, sarebbesi trovato assolutamente alla mercè del popolo, e quasi esautorato d’ogni potere.
Si ritenne pertanto che quel movimento fosse d’indole prettamente repubblicana, o per lo meno ostile al re; e fu quindi severamente giudicato dalle persone imparziali, perchè, chiarita una volta l’ostilità verso il re, se gli porse causa o pretesto di richiamar le truppe dalla Lombardia, e così diminuire d’un valido appoggio e compromettere la causa italiana.
Noi non pretendiamo d’avere con questi brevissimi cenni raccontato le cose di Napoli del 15 maggio come si converrebbe. Ma esse son già registrate dalla storia, e quindi abbiamo inteso piuttosto come cronisti di darne l’indicazione per quella parte soltanto d’influenza che potevano esercitare sulle cose nostre, delle quali intendiamo unicamente di scrivere la storia.
Per il resto, e quante volte i nostri lettori volessero esserne meglio informati, non avranno che a consultare gli scritti seguenti:
Marulli, Avvenimenti di Napoli del 15 maggio 1848. Napoli, 1849, un volume in-12.42
Atti della causa del 15 maggio 1848. Napoli, un vol. in-8.
Avvenimenti politici del 15 maggio, Napoli, 1852, un volume in-8.
Lubiensky, Guerres et révolutions d1 Italie en 1848 et 1849, pagina 209 a 222.
Vannucci Atto, I martiri della libertà italiana, Memorie. Torino, 1850, volume II, pag. 290.
Massari, I casi di Napoli dal 29 gennaio 1848 in poi. Torino, 1849, un volume in-12. dalla pag. 143 alla pag. 180.
Farini, Lo stato romano ecc., 3ª edizione, libro III, vol. II, dalla pag. 149 alla pag. 153.
Ricciardi Giuseppe, Cenni storici intorno agli ultimi casi d’Italia. Italia, 1849, in-12., dalla pag. 145 alla pag. 184.
Leopardi Pier Silvestro, Narrazioni storiche con molti documenti inediti relativi alla guerra dell1 indipendenza d’Italia e alla reazione napolitana. Torino, 1856, pag. 186.
Documenti della collezione Spada, V vol. n. 125, 126, 126 A, 131 e 139.
Balleydier, Histoire de la révolution de Home, tableau ecc., vol. I, pag. 139.
Ora passiamo ad altro, e portiamoci alcuni mesi indietro, rammentando che sotto la data del 20 novembre 1847 facemmo il racconto dell’attacco brutale del Paradisi contro il principe Torlonia, e della ritrattazione del Paradisi stesso per le sue calunniose imputazioni; raccontammo pure la morte del commendatore don Carlo Torlonia fratello del principe, siccome conseguenza delle calunnie del Paradisi. Or bene: la sua morte lasciò scoperto il posto di colonnello del II battaglione civico, e questo venne per qualche mese tenuto dal commendator Francesco De Rossi.
Avendo però in sui primi di maggio rinunziato il De Rossi, si pronunziò in tutti i militi di quel battaglione il desiderio di averne a capo il principe Torlonia fratello del colonnello defunto.
E desiderando il principe anzidetto che la elezione della sua persona venisse dal battaglione stesso, anzichè dall’autorità che al medesimo l’imponesse, furon condotte le cose in modo, che il Santo Padre annuì graziosamente alla richiesta del battaglione ed ai desideri del principe, perchè con un ordine del giorno del ministro delle armi principe Aldobrandini, in data del 10, se ne dette il grato annunzio ai militi.43
In seguito di ciò il giorno 16 di maggio il principe Don Alessandro Torlonia venno eletto con tripudio universale a colonnello del secondo battaglione civico del rione Trevi, e la sera del 21 venne festeggiata questa elezione con una luminaria al quartiere sulla piazza dei santi Apostoli.44
Dobbiamo ora rammentare che in proposito degli effetti della famosa allocuzione del 29 aprile, accennammo ai clamori sopra tutto delle madri di que’ militi ch’eran partiti pel campo, clamori eccitati dal timore ch’essendo fatti prigionieri dal nemico, fosser trattati come assassini o pirati. Narrammo la spedizione del Farini al campo di Carlo Alberto, affinchè questi consentisse di prenderli sotto il suo comando, e così ne assicurasse la vita in caso di disastro. .
Ora diremo che il 17 di maggio si ebbe l’annunzio formale dell’adesione di Carlo Alberto mediante un ordine del giorno del general Durando, che venne inserito nella Gazzetta di Bologna del giorno 14.45
Dichiaravasi con esso che i volontari romani faeevan parte dell’esercito piemontese. L’ordine del giorno appoggiavasi sopra una comunicazione del Farini che ne aveva dato l’annunzio al Durando, ed il Farini chiudeva il suo dispaccio colle parole seguenti, relative alla causa italiana: «Questa santa causa riceverà sempre dalla Santità Sua una efficace protezione.»
Stupiranno forse alcuni per il linguaggio del Farini. D’altra parte volendo pur ragionare su questo argomento, diremo òhe mentre approvammo, come approvaron molti, che il sommo pontefice non dichiarasse la guerra, ciò nè potendo nè dovendo fare per l’indole del suo governo che lo costringe a stare in pace con tutti, non affermammo già che fosse contrario alla nazionalità italiana, e lo dimostrammo colla lettera all’imperatore d’Austria del giorno 3 da noi riportata: la quale si converrà che senza essere una dichiarazione di guerra, era pel concetto- suo e pel suo scopo, tendente ad ottener colla parola quello che non si poteva ottenere dagli altri che coi cannoni. E di fatti, mentre il papa respingeva le insinuazioni di ricorrere alla violenza ed allo spargimento del sangue, non respìngeva quelle di volersi interporre coll’imperatore o colla confederazione germanica per l’oggetto di rivendicare o procurare alla Italia la sua nazionale indipendenza.
Secondo poi lo storico Farini lo stesso cardinale Antonelli in data del 12 maggio gli avrebbe diretto una lettera a quest’oggetto contenente le seguenti espressioni:46
«Il Santo Padre nella sua allocuzione non si è menomamente manifestato contrario alla nazionalità italiana, ed ha solo detto che a lui come principe di pace e padre comune dei fedeli rifuggiva l’animo dal prender parte alla guerra, ma che non vedeva in che modo avrebbe potuto trattenere l’ardore de’ suoi sudditi. Mostrava poi la soddisfazione che avrebbe provato l’animo suo, se avesse potuto essere in vece mediatore di pace. Da questo concetto, che è ben spiegato nell’allocuzione, ella pensa che opportunamente potrebbe oggi il Santo Padre porre la sua mediazione come principe di pace, nel senso sempre di stabilire la nazionalità italiana! Ella conosce come io particolarmente prima della sua partenza da Roma vagheggiassi questa idea; può quindi ben credere come sarei ben contento, se potessi convènientemente vederla mandata ad effetto con felice risultato. Ora, inseguito alla manifestazione ch’ella ne ha «fatto al Santo Padre, Sua Santità mi ha autorizzato a darle comunicazione riservatissima di una lettera, che in questo senso negli scorsi giorni ha diretto a Sua Maestà l’imperatore d’Austria, anche perchè ella possa vedere che tale pensiero non era sfuggito alla sapienza ed all’amore che Sua Santità nudre per l’Italia.»
E quindi, dopo poche altre parole della lettera dell’Antonelli, riporta il Farini per extensum la lettera del papa.
Noi però senza garantire la esattezza della lettera dell’Antonelli al Farini, non esitiamo a dire che, ove così sia stata scritta, non vi sarebbe nulla che ponesse Pio IX in contradizione con se stesso, nulla che ponesse il cardinale Antonelli in opposizione co’ suoi atti pubblici precedenti che la storia ha registrato, nulla in fine contrario a quel che disse il Farini nell’atto riportato dalla Gazzetta di Bologna. Nè troviamo affatto irragionevole che tanto il Santo Padre, quanto il cardinale Antonelli, perchè dotati entrambi di nobili ed elevati sensi, fossero sinceramente favorevoli alla nazionalità italiana. Dovevano esserlo, dobbiamo esserlo tutti. La differenza sta solo nel modo e nei mezzi per attuarla. Essi lo erano nel senso federativo; il Piemonte nel senso di assorbimento a proprio vantaggio, e collo spoglio altrui; Mazzini nel senso unitario repubblicano. Il Piemonte la desiderava, ma colla guerra e colle conquiste; Mazzini con gli artifici di setta, le rivoluzioni, le stragi e gl’incendi; il papa (lusingavasene forse con troppa facilità) sperava di conseguirla in vece colla sola parola di pace pronunciata ad eliminazione dell’elemento eterogeneo in Italia ch’è l’Austria. Egli è chiaro inoltre che il papa, professando rispetto pei diritti altrui, amava di vedere rispettati i propri. E lo stesso aver diretto una lettera amichevole all’imperatore d’Austria per pregarlo di contentare finalmente gl’italiani, a preservazione di pace, prova che riconosceva questi diritti, perchè chi prega fa atto di riconoscere e rispettare altrui nel tempo stesso.
Da che inferiremo che sommessi tutti ai voleri della Provvidenza nelle cui mani sono i destini delle umane cose, e ignari dell’avvenire che è riservato alla Italia, ove per variar di eventi, ciò che nel 1848 era un’aspirazione venisse a compiersi un giorno, sempre dovrem convenire che la prima scintilla della indipendenza e nazionalità italiana venne da Roma, e che il vero iniziatore e promotore di questo tanto desiderato avvenimento fu Pio IX coll’atto di sopra memorato. Andar dovrebbe pertanto debitrice l’Italia di un tanto bene al papato, ch’è stato sempre il vindice e il protettore degl’italiani.
Mentre per le cose narrate trovavasi l’Europa nel mese di maggio 1848 in uno stato di conturbamento che non ti lasciava travedere da qual parte potesse rifulgere un raggio di luce ristoratore dell’ordine; mentre in Roma esterrefatta tuttora dall’allocuzione del 29 di aprile, trovavansi gli spiriti in quello stato che non è nè vita nè morte, ma sbigottimento e incertezza; mentre in fine il Santo Padre disgustato dalle perturbazioni demagogiche dei giorni passati, tene vasi quasi rinchiuso nel Quirinale, si aggiunse altra causa di tristezza e di sgomento per gli abitanti di Roma, e fu questa.
I volontari romani sconfitti a Cornuda, come accennammo di sopra, e datisi in preda alla insubordinazione militare fuggivano disordinatamente, venendo a raggiungere i domestici focolari.
A rattenere l’impeto disordinato de’fuggiaschi, non che a prevenire gli effetti del malo esempio e dello scoramento contagioso negli altri, si vollero dall’autorità adottare alcuni temperamenti.
Prima di tutto con una circolare del 18 di maggio del ministro Mamiani, si prescriveva ai presidi delle provincia di esercitare i loro sforzi onde distruggere i germi di scoramento in que’ militi che avevano abbandonato le schiere per ritornarsene ai loro focolari. 47 E quindi il principe Aldobrandini con ordine del giorno 19 decretava che si cancellassero i loro nomi dai ruoli della civica, ed ordinava in pari tempo che Filippo Gerardi e Antonio Doria si recassero loro incontro per trattenerli e indurli a tornare indietro;48 ed il commissario Carlo Pepoli emetteva perfino un proclama a questo effetto: e così si rimediò alla meglio a questo sconcerto.49
Ora ci occorre di parlare dì un avvenimento che per i tempi che correvano potè chiamarsi d’importanza, vogliam dire l’arrivo in Roma del famoso Gioberti.
Giunse il Gioberti in Roma il 24 di maggio e prese alloggio nell’albergo d’Inghilterra in via Borgognona. 50
Appena se ne diffuse la notizia il comando civico pose a sua disposizione, per fargli la guardia di onore, quattordici civici in uniforme.51
Lo stesso giorno dell’arrivo volle percorrere il Corso in cocchio a passo affettatamente lento, compiacendosi visibilmente di ricevere i saluti di chi trovavasi sul suo passaggio e provocando egli stesso in certo modo gli applausi. Parea che dicesse: «Guardatemi bene; sono il famoso Gioberti.» Acclamazioni entusiastiche però non vi furono affatto, e tutt’al più un cinquanta o sessanta individui seguivanlo, e qualcuno di essi da quando a quando gridava: «viva Gioberti. Il suo amico Giuseppe Massari era sempre in sua compagnia.
Accostumati i Romani a veder continuamente percorrere la loro città da celebri personaggi senza fasto e senza ostentazione, risero per questa farsa che qualificarono degna soltanto di un cerretano.
Giunto all’albergo, disse parole di ringraziamento.52 Nel giorno seguente poi venne ricevuto in udienza dal Santo Padre.53 Lo stesso giorno altre azioni di grazie porse ai Romani, alternate da lodi al pontefice. Fu stampato subito un foglietto colla intestazione: «Alcune parole dette al popolo romano dal celebre V. Gioberti nella sera del 25 maggio.» Eccone una parte:
«Se qualcuno, non parlo di voi Romani; se qualcuno degl’italiani ha dubitato di lui (Pio IX), egli è fortissimamente ingannato. Guai a me se avessi dato orecchio al dubbio che tentava di mettersi nell’animo mio; imperocchè ora avrei a pentirmene gravemente. Io ho ammirato Pio IX principe, ma più l’ho venerato pontefice. Ammiriamo i fatti del principe, veneriamo gli arcani del pontefice, senza investigarli. Pio IX ha dato principio alla indipendenza italiana, ed egli la matterà a fine.» (Qui taluno riprese: la finirà?) — «La finirà, la finirà senza dubbio. Io non vedo principe in Italia che possa paragonarsi al divino Pio IX.
»Oh possa io dunque raccogliere tanto di voce che mi basti a gridar: viva il grande Pio IX; oh viva, viva il rigeneratore di questa Italia.»54
Non eran già partigiani del Gioberti tutti i liberali in Roma, perchè ve ne avea di molti che ad esso non si accostarono; eran però nella parte più colta della popolazione. Essi si adoperarono subito e con facilità ottennero, che la denominazione di via Borgognona, in cui era situato l’albergo d’Inghilterra, venisse scambiata con quella di via Gioberti.55
Diresse egli il giorno 27 altre parole ai Romani, che venner pubblicate in un opuscolo di 16 pagine.56
Visitò lo stesso giorno il circolo popolare, e ne fu creato presidente onorario.57
Si recò il 28 a visitare il caffè nuovo, ed il casino artistico, ricevendo in entrambi i luoghi vivissimi applausi.58
Il giorno 29 poi recossi a visitare il circolo romano ove venne festeggiato; dopo di che pronunziò un discorso al quale rispose lo Sterbini che non era del partito di Gioberti.59
Il 3 di giugno venne ascritto alla cittadinanza romana.60
Il 4 si recò a far visita all’archiginnasio romano ove l’abate L. M. Rezzi, professore di eloquenza latina ed italiana nel medesimo, recitò un discorso in apologia del Gioberti.61
Il giorno seguente poi visitò il famoso popolano Ciceruacchio e fece benissimo: perchè il non farlo, stante la irregolarità di quei tempi, sarebbe stata una mancanza di tatto politico, ed una infrazione delle convenienze sociali ....
Siccome riferimmo nei fogli precedenti, la lettera di Sua Santità all’imperatore d’Austria non si conobbe se non vagamente in sui primi di maggio; ma del testo non si ebbe conoscenza se non dopo il 25 di maggio, ossia dopo la visita del Gioberti al Santo Padre, il quale gliene comunicò il contenuto. Di fatti in quel giorno se ne cominciò a parlare positivamente in un supplemento alla Gazzetta di Roma, ove si diceva chiaro che il Santo Padre andava a spedire in Austria un suo delegato apostolico straordinario all’oggetto di far riconoscere la nazionalità italiana, e indurre l’imperatore e la nazione germanica a rispettare i naturali confini e riconoscere nobilmente per sorella la nazione italiana.62
Dopo di ciò si vide subito annunziare dal giornale officiale la partenza di monsignor Morichini per quest’oggetto, e i giornali del 27 ci dettero in coro la famosa lettera all’imperatore d’Austria.63 Ma vi è di più: il ministero tutto fece un indirizzo di ringraziamento al pontefice per avere scritto la lettera all’imperatore.64
A schiarimento pertanto di questo punto importantissimo delle nostre storie diremo che quantunque noi abbiam dato fino dal 3 maggio il testo della detta lettera, perchè fin da quel giorno fu scritta dal pontefice, pure tuttavia ripetiamo che non fu conosciuta positivamente e non ebbe pubblicità che il 27; e invano i nostri lettori la cercherebbero nei giornali prima di quella data per rinvenircela.
Partito il Morichini per l’Austria, e non essendosi trovato in grado di presentare la lettera all’imperatore se non che verso la metà di giugno, incontrò molte difficoltà per farla ricevere, difficoltà che vennero spianate da quel nunzio apostolico monsignor Viale-Prelà, com’esso stesso ne assicurò in Roma me che scrivo quando vi si recò nell’anno 1856, perchè alla corte imperiale non volevasi accogliere una lettera ch’era stata già pubblicata dai giornali. Ripetiamo ciò quantunque nel capitolo precedente lo avevamo già accennato.
L’articolo della Gazzetta di Roma del 25 predispose le festevoli accoglienze al Santo Padre del giorno 26 alla Chiesa Nuova ove essendosi recato secondo il solito per la festa di san Filippo Neri, vi ricevette applausi fragorosissimi.
Nè è da stupirne: poichè oltre ai Romani che festeggiavano il pontefice, perchè papa, vi eran sempre gli uomini del movimento che riconoscevano tuttavia o fingevan di credere e di riconoscere in Pio IX (perchè loro vantaggiava) il rigeneratore d’Italia, e che, incoraggiati dalla presenza, dalle parole e dagli scritti recentissimi del Gioberti, avean ripreso un po’ di quella lena e coraggio., che l’allocuzione del 29 di aprile aveva in essi addormentato.
Si troverà strano che dopo aver tanto parlato della lettera all’imperatore d’Austria vi dobbiamo ancora ritornar sopra. Però l’importanza di quell’atto è tale che ci costringe d’indagare fino allo scrupolo le particolarità che vi si riferiscono.
La lettera fu divulgata, come dicemmo, pei giornali, e ne indicammo i titoli. Nel giornale officiale però, ch’era la Gazzetta di Roma, non fu mai riportato il testo. Oltracciò fu stampata pure e divulgata amplissimamente mediante un foglietto a parte.65
Il nostro foglio officiale del 29 di maggio nella prima pagina, ma sotto la rubrica — parte non officiale, — diceva quanto appresso:
» La lettera di Sua Santità all’Imperatore d’Austria, che già è stata divulgata dalla stampa, è un fatto di somma importanza, ed influirà grandemente sulle relazioni scambievoli dei popoli civili. Il diritto della nazionalità, proclamato dalla coscienza di tutta l’Europa, è sanzionato altresì dalla pietà e dalla religione. Nel secolo XIX, come nel secolo XII, in cima del progresso della libertà e della dignità umana è una parola del Pontefice; e questa parola era destinato a pronunciarla Pio IX. Quale e quanta mansuetudine, che spirito di carità diffusiva ed universale siano nella lettera di Sua Santità, è cosa più facile di sentire che di significare. È quella stessa soavità evangelica, che fece pianger di tenerezza nel leggere l’editto dell’amnistia, non quale un sovrano avrebbe data, ma quale il padre dei credenti poteva concedere ad uomini. Se la nazione italiana dee ringraziare il sommo Pontefice del nuovo aiuto che colla sua veneranda voce le presta, ogni buono Alemanno altresì dee recarsi ad onore e dovere di obbedire a cotal voce, perchè è la voce della coscienza a della religione, la voce di un padre che condanna per sempre la dominazione fondata sul ferro, e promette la benedizione del Signore alle genti che si ridurranno ad abitare entro ai loro naturali confini.»
Questo articolo, di cui si omette l’ultima parte, ed il ringraziamento del ministero, di cui facemmo poco sopra menzione, parlano abbastanza. La lettera sussisteva, se ne permise la stampa e la diffusione, il popolo se ne allietò, il ministero ne porse azioni di grazie, il giornale officiale ne parlò con elogi segnalatissimi; ma però non ce ne dette il testo, che siam costretti di ricercare nei fogli volanti o nei giornali della rivoluzione. A noi non riesce di rinvenirne il motivo, e ci limitiamo a designare il fatto lasciando ad altri la soluzione del problema. Passiamo ad altro.
Egli è tempo ormai di dare un qualche cenno sulle fazioni militari in Lombardia ove accanita ferveva la guerra, e ciò facciamo stante l’influenza che le notizie del campo esercitavano sullo spirito pubblico di Roma per l’interesse diretto che vi avevano i parenti e gli amici dei ’ combattenti.
I fautori della guerra in Roma eran tuttavia trepidanti e sfiduciati per cagione degli effetti immancabili dell’allocuzione pontificia. Pur non ostante le notizie che ricevevansi proseguivano a riuscire se non del tutto favorevoli, onorevoli per certo al valore italiano. E di fatti gli Austriaci avendo il 20 e il 21 di maggio assalito i nostri a Vicenza, ne vennero respinti con molta perdita degli assalitori.66
Il 29 si aperse il campo ai Toscani ed ai pochi Napolitani con essi rimasti, di sostener l’onore delle armi italiane nel combattimento di Curtatone e Montanara, nel quale cinque o sei mila Italiani quasi tutti novizi nell’arte della guerra, sostennero l’urto di un numero di Austriaci due o tre volte maggiore. I Toscani sussidiati dai pochi Napoletani si condussero valorosamente, e cedettero soltanto al numero ed alla superiorità della perizia militare degli avversari. La loro ritirata fu è vero disordinata: ma quanto al coraggio col quale pugnarono, riscossero gli elogi dello stesso Veterano austriaco che ne dettò la storia e ci raccontò quanto appresso:
«La nostra perdita fu di otto ufficiali e ottantacinque soldati morti, ventotto ufficiali e quattrocentonovantuno soldati feriti; sessantatrè furono gli sbandati. La perdita del nemico non ci è nota precisamente, ma stante la valorosa difesa fatta (dobbiam rendergli questa giustizia) ella debb’essere stata assai considerevole. Furono fatti prigionieri quattro ufficiali di stato maggiore, cinquantanove ufficiali superiori e duemila soldati, e furono conquistati cinque cannoni e cinque carri di munizioni.»67
In quel fatto il professore di geologia Leopoldo Pilla napoletano venne ucciso, ed il professore Montanelli di Pisa fatto prigioniero.
Questo disastro però venne compensato il giorno seguente dalla vincita della battaglia di Goito, e dalla resa di Peschiera.68
Volendo conservare la memoria di altri fatti che sono pur meritevoli d’interesse per la cosa pubblica, rammenteremo che il giorno 18 di maggio il celebre oratore sacro, il canonico Ambrosoli di Milano, il quale come Lorini aveva eccitato ammirazione nei suoi numerosissimi ascoltatori e ne aveva riscaldato sommamente gli spiriti in senso liberale, sopra tutto nella chiesa di santa Maria in Trastevere, essendo stato accusato di parteggiare per gli Austriaci, trovossi costretto di pubblicare un indirizzo ai Romani per giustificarsi da questa imputazione.69 Abbiamo del medesimo alcuni opuscoli che contengono le sue prediche, e sono i seguenti:
1.° Parole di congedo e benedizione dette in santa Felicita in Firenze l’anno 1847. Roma, 1847.70
2.° Il cittadino e la patria, orazione detta nella chiesa di santa Felicita in Firenze il giorno 21 marzo 1848. Roma, 1847.71
3.° Gli Israeliti di Roma, orazione recitata in santa Maria in Trastevere. Roma, 1848.72
4.° Parole di congedo ed ultima benedizione dette nella basilica di santa Maria in Trastevere il 24 aprile 1848. Roma, 1848.73
Null’altro avendo a dire del canonico Ambrosoli, passeremo a rammentare che il 19 di maggio venne sottoscritto da Sua Santità il chirografo pontificio per assoggettare ad ipoteca due milioni e mezzo di scudi di beni ecclesiastici in garanzia dei boni del tesoro emessi. In giugno, come diremo a suo tempo, si dette l’elenco di detti beni.
Il detto giorno recaronsi al Santo Padre i battaglioni civici 10°, 11° e 12° secondo l’autorizzazione avutane, per tributargli l’atto di ossequiosa sudditanza. La Santità Sua diresse loro le seguenti parole, che, pretermesse dagli altri storici di cose contemporanee, crediamo, stante la loro importanza, di dover riportare:
«Accetto con immensa gratitudine i sentimenti esternati dal vostro comandante, che se saranno scolpiti nel cuore di ognuno, non mancherà mai di raggiungersi lo scopo per cui è stata istituita la guardia civica, cioè l’ordine e la tranquillità pubblica. In quest’oggi la vostra presenza mi solleva, e mi fa dimenticare il peso di tante angustie.
»Credo opportuno di rammentarvi in quest’occasione che per acquistare la vera popolarità, l’unico mezzo si è quello di sostenere l’ordine pubblico, di dare esempio di obbedienza alle leggi, e di adempimento de’ propri doveri. Chiunque credesse d’acquistarla con altri mezzi mai raggiungerebbe lo scopo. Ne volete un esempio? Ricordate i fatti testè avvenuti nel settentrione d’Italia? Quei tali che non dall’ordine mossi ma dal proprio fervore sospinti e dagli altrui suggerimenti, intendevano di acquistare una popolarità. Ebbene? Questi giovani ritornano !!.... Ma non voglio trattenermi in pensiero che attrista il mio cuore testè sollevato dal discorso del vostro comandante.
» I recenti avvenimenti in due capitali di Europa, una a 150 miglia da noi distante, e l’altra della quale avrete forse iersera o sta mane inteso a parlare,74 danno altra prova della realtà della mia assertiva. In questi fatti si è pur meschiata la guardia civica benchè in piccola parte, mossa da idee sovversive di ogni ordine sociale.
»Ma la guardia civica di Roma cui voi appartenete con in fronte scolpite queste parole di religione, ordine, obbedienza, sarà vie più quind’innanzi, ne sono sicuro, il sostegno di questa città, e l’esempio eziandio all’Italia ed al mondo per l’esercizio de’suoi onorati doveri e per la tutela della pubblica tranquillità.
»La benedizione del Signore che con effusione di cuore comparto a voi ed alle vostre famiglie ed a tutto il corpo, vi confermi, nei vostri propositi e vi faccia felici.»75
Queste furono le parole indirizzate dal pontefice alla guardia civica, e se non contengono un deciso rimprovero, non possono al certo qualificarsi per un elogio.
Procedendo ora nel racconto delle cose occorse rammenteremo che mentre il Santo Padre spediva monsignor Morichini all’imperatore d’Austria, tornava in Roma il dottor Carlo Luigi Farini dal campo di Carlo Alberto. La missione del primo era per un tentativo di pace, invitando gli Austriaci a ritirarsi bonariamente, quella del secondo ebbe per iscopo i concerti guerreschi ad incolumità dei militi pontifici, ove fosse stato di necessità ai nostri di battersi. Nell’uno e nell’altro caso, nell’una e nell’altra missione, l’anima grande Pio IX rifulse splendidamente.
Ora ci è forza narrare un fatto il quale, quantunque non accaduto in Roma, è di tale importanza da non poter essere pretermesso. È questo il ritorno delle truppe napolitane, del quale si ebbero le notizie in Roma in sul finire di maggio.
Egli è a sapersi che partirono per la Lombardia nel mese di maggio circa duecento volontari napolitani, colla principessa di Belgioioso. Il giornale il Tempo ci dice che eran già arrivati a Milano, mentre annunziava la partenza di altri ottocento volontari e del 2.° battaglione del 10.° reggimento di linea.76
Il 25 aprile sotto gli auspici del ministero liberale di Carlo Troia, partì per la via di terra da Napoli la prima divisione dell’esercito napoletano per la liberazione della Lombardia.
Essa componevasi di
- 8 battaglioni di fanteria
- 1 batteria d’artiglieria
- 2 compagnie di zappatori
- 2 ambulanze.
Era preposto a comandarla il generale conte Giovanni Statella. Partiva il 27 sopra cinque fregate a vapore, due a vela ed una corvetta.
La seconda divisione era composta nel modo seguente:
- 7 battaglioni di fanteria
- 1 batteria d’artiglieria
- 1 compagnia di zappatori, sotto il comando del brigadiere Carlo Nicoletti; più
- 1 reggimento di lancieri
- 2 reggimenti di dragoni, sotto il comando del colonnello Marc’Antonio Colonna.
Duce supremo di tutte queste milizie era il generale Guglielmo Pepe, direttore in capo della rivoluzione del 1820, il quale, bandito dal regno fin da quell’epoca, vi era rientrato da pochissimo tempo.77
Tutte queste milizie, fra linea e volontari, formavano un effettivo di quattordici a quindici mila uomimi. Lunghe furon le loro marce, indecise le mosse, incerto e sconnesso il comando.
Circa la metà di maggio molte di quelle milizie erano a Bologna, altre a Ferrara, altre tuttavia in cammino.
Accaduti però i casi di Napoli del 15, giunse in Bologna il 22 o 23 un ordine del re col quale richiamava le truppe, e investiva lo Statella del comando supremo.
Non è a dirsi qual trambusto ne nacque a Bologna ove trovavansi lo Statella, il general Pepe, il generale Ferrari ed il suo aiutante di campo Luigi Masi. Il popolo applaudiva al Pepe, schiamazzava contro lo Statella; ed ammutinatosi, mentre conferiva il comando al primo, ne destituiva il secondo minacciandolo anche di prigione. Tanto poi in que’ tempi la idea della indipendenza italiana inebriava le menti e offuscava la ragione, che il primo, l’assoluto dovere che stringe il soldato cioè l’obbedienza al governo, e la fedeltà alla propria bandiera, era non solo tenuto in non cale, ma coloro che l’osservavano, scherniti, vilipesi e fatti segno alla pubblica esecrazione.
I generali parlaron dal balcone; messaggi furono spediti, affinchè non retrocedessero le truppe ch’erano a Ferrara e che tenevansi pronte a valicare il Po. Dopo infinite dicerie ed esitazioni la quasi totalità delle truppe obbedì e retrocedette, soli due o tre battaglioni e poca artiglieria, sotto gli ordini del general Pepe, essendosi gittati nella Venezia per battersi in sostegno di quella repubblica.
In questa occasione rammenteremo ciò che dicemmo sotto la data del 23 marzo,78 cioè che dei due generali Durando e Ferrari i quali partiron da Roma, il primo teneva più per Carlo Alberto, il secondo per la repubblica. Ora il Pepe si mostrò inclinato alla seconda anzichè favorevole al primo, e ciò in coerenza ai principi suoi professati per tutta la vita e di cui le sue memorie e le sue geste ci somministrano irrefragabili prove.
Lo Statella invece stretto all’onor militare, e lasciati gli ordini alle milizie, le abbandonò, ritirandosi dal comando per trasferirsi in Napoli, presa la via di Firenze.
Ma il 26 saputosi appena il suo arrivo, si ammutinò il popolo, ed obbligò lo Statella a rinchiudersi in fortezza.
Intanto però la sua carrozza nella piazza vecchia di santa Maria Novella venne arsa e consumata dalle fiamme.79 In quello scompiglio non è meraviglia ch’egli perdesse una parte della sua corrispondenza col governo provvisorio di Venezia, col general Pepe, coll’incaricato di Napoli presso Carlo Alberto, Pier Silvestro Leopardi, e con altri; la quale caduta poi in altre mani, ha finito col passar nelle nostre, ed ora fa parte della nostra raccolta. 80
Partito occultamente da Firenze, giunse in Civitavecchia due o tre giorni dopo, ed anche colà non ebbe migliore accoglienza, perchè venne preso a urli e fischi; ed il primo di giugno s’imbarcava per Napoli sul vapore la Ville de Marseille fra le imprecazioni di una plebe sfrenata ed eccitata in sommo grado.81
Conosciutesi tutte queste cose in Roma, assai ne increbbe per la perdita del sussidio efficace, che il retrocedere delle truppe napoletane cagionava alla causa italiana; nè dissimili da quei di Bologna, di Firenze e di Civitavecchia furono i clamori e le accuse contro il Borbone di Napoli.
Riprendendo ora la narrazione delle cose avvenute in Roma, e protraendola fino all’apertura dei Consigli legislativi, poco ci resterà a dire, perchè poco troviamo di notevole. Fra queste poche cose si presenta un progetto del Mamiani per un ministero di beneficenza pubblica, esposto dal medesimo mediante una circolare diffusa il 31 di maggio, affinchè venisse proposto ai Consigli legislativi. Il principio per se stesso sarebbe stato lodevole, perchè nulla di più giusto e di più onorevole per un ministro che l’occuparsi di migliorar la sorte de’ miseri: se non che l’esperienza ha provato che sottoporre ad organamento il sollievo della classe indigente non porta frutti dissimili da quelli che risultarono quando si volle tentare l’organizzazione del lavoro. L’intervento dell’autorità in simili faccende nuoce e non giova, aumenta bene spesso il numero dei vagabondi, ed aliena molti lavoranti dall’opera.82
Il Santo Padre diresse il 2 giugno una enciclica ai vescovi ed arcivescovi sulla censura canonica dei libri. Essa incomincia così: In sessione X Concilii Lateranensis V. 83
Il giorno seguente 3 divulgò lo stesso Santo Padre un motuproprio sulla legge repressiva della stampa.84
Venne esonerato il 4 giugno da Sua Santità il cardinale Orioli dalla carica di suo segretario di stato e presidente del Consiglio èei ministri, addossandola al cardinale Giovanni Soglia Ceroni vescovo di Osimo e Cingoli.85
Oltre al motu-proprio testè memorato sulla stampa, altri provvedimenti allo stesso oggetto erano stati presi precedentemente. Con tutto ciò la libertà della stampa e quella della parola procedevano siffattamente sbrigliate, che lo stesso ministero laicale trovossi costretto d’inserire nel giornale officiale parole di disapprovazione contro alcuni facondi oratori insigniti del carattere sacerdotale, ch’eransi accompagnati colle milizie. Ciò riferivasi specialmente al padre Gavazzi che ovunque si recava, con quel suo stile goffamente gonfio e di pessimo gusto recitava orazioni e discorsi, e pubblicava relazioni, indirizzi e proclami stranissimi.86 Egli giunse perfino, mescendo sfrontatamente le cose sacre colle profane, a comporre delle nuove litanie precedute da un suo oremus.87
Approssimandosi il giorno 5 di giugno destinato per l’adunanza solenne dei due Consigli legislativi, venner fatte di pubblica ragione il giorno 3, mediante annunzio nel giornale officiale, tutte le disposizioni per un avvenimento sì solenne, non che la descrizione del corteggio e tutt’altro relativo. 88
Intanto Sua Santità avendo fin dal 13 maggio nominato i membri dell’Alto Consiglio e del Consiglio di stato, porremo qui sotto l’elenco come ci venne indicato dalla Gazzetta di Roma.89 Faremo succedere al medesimo i nomi dei membri del Consiglio dei deputati.
Alto Consiglio.
1. | Conte Gaetano Recchi |
2. | Conte Giuseppe Pasolini |
3. | Cavalier Bartolomeo Borghesi |
4. | Principe don Tommaso Corsini, senatore di Roma |
5. | Professore cavalier Emiliano Sarti |
6. | Principe don Camillo Aldobrandini |
7. | Don Baldassare dei principi Boncompagni |
8. | Don Michelangelo Caetani principe di Teano |
9. | Professor Niccola Cavalieri S. Bertolo |
10. | Monsignor Lavinio Spada Medici |
11. | Marchese Ignazio Guiccioli |
12. | Monsignor Francesco Pentini |
13. | Monsignor Girolamo D’Andrea |
14. | Professore Antonio Alessandrini |
15. | Marchese Massimiliano Angelelli |
16. | Conte Filippo Bentivoglio |
17. | Monsignor Giovanni di Pietro |
18. | Cavalier Michele Medici |
19. | Conte Gaetano Zucchini senatore di Bologna |
20. | Cavalier Dionigi Strocchi |
21. | Conte Domenico Paoli |
22. | Principe Annibale Simonetti |
23. | Monsignor Gabriele Laureani |
24. | Conte Giovan Battista Paccaroni |
25. | Conte Alessandro Baldeschi |
26. | Conte Andrea Gabrielli |
27. | Monsignor Giovanni Corboli Bussi |
28. | Commendatore Pietro Tenerani |
29. | Cavalier Luigi Poletti |
30. | Conte Lauro Lauri |
31. | Professor Bertoloni |
32. | Principe don Domenico Orsini |
33. | Professor Giacomo Folchi |
34. | Principe don Agostino Chigi |
35. | Principe don Giulio Cesare Rospigliosi |
36. | Principe don Pompeo Gabrielli |
37. | Principe don Francesco Barberini |
38. | Principe don Alessandro Torlonia. (Il medesimo non accettò). |
39. | Monsignor Carlo Emmanuele Muzzarelli |
40. | Conte Luigi Mastai |
41. | Conte Antonio Strozzi |
42. | Principe don Pietro Odescalchi |
43. | Marchese Luigi Paolucci De’ Calboli. |
44. | Monsignor Teodolfo Mertel |
45. | Principe don Clemente Altieri |
46. | Professore Filippo Narducci. |
Consiglio di Stato.
1. | Avvocato Giuseppe Giuliani |
2. | Professor Francesco Orioli |
3. | Professore Cavalier Salvatore Betti |
4. | Monsignore Ignazio Alberghini |
5. | Avvocato Giuseppe Piacentini |
6. | Michele Adriani |
7. | Monsignor Carlo Luigi Morichini |
8. | Monsignore Ildebrando Rufini |
9. | Avvocato Filippo Bonacci |
10. | Avvocato Francesco Sturbinetti |
11. | Avvocato Pietro Pagani |
12. | Monsignor Giovanni Battista Palma |
13. | Marchese Ludovico Potenziani |
14. | Professor Pietro Carpi |
15. | Avvocato Marcantonio Ridolfi. |
Non sembrerà forse credibile che all’apertura di entrambi i Consigli non si pubblicasse nè dal nostro giornale officiale nè da quello dei Dibattimenti, il quale venne instituito espressamente per darcene le discussioni, una lista completa dei deputati. Ciò non esclude per altro che man mano che le elezioni avevano luogo, il giornale officiale ce ne desse l’annunzio.90 Ma una lista completa e definitiva, ripetiamo, non è a nostra cognizione che venisse officialmente pubblicata.
Fu divulgato bensì per le stampe un album, ma non dal governo, il quale contiene ottantasei nomi di deputati eletti sopra i cento che dovevano eleggersi; e vi si vano aggiunti alcuni cenni biografici sopra ciascuno dei medesimi. Pertanto sulla scorta del detto album noi ne sottoponiamo i nomi91 che sono i seguenti:
per Roma | |
1. | Principe don Marcantonio Borghese |
2. | Professor Pasquale De Rossi |
3. | Avvocato Giuseppe Lunati |
4. | Conte Terenzio Mamiani |
5. | Avvocato Francesco Sturbinetti |
6. | Avvocato Felice Ciccognani. |
per Albano | |
7. | Avvocato Carlo Armellini. |
per Tivoli | |
8. | Cavalier don Vincenzo Colonna. |
per Subiaco | |
9. | Livio Mariani. |
per Poggio Mirteto | |
10. | Avvocato Giuseppe Lunati. — (Vedi il 3° deputato per Roma). |
per Bologna | |
11. | Conte Carlo Pepoli |
12. | Avvocato Carlo Zannolini |
13. | Marco Minghetti |
14. | Conte Cesare Mattei. |
per Budrio | |
15. | Conte Cesare Mattei. — (Vedi il 4° deputato per Bologna). |
per Castel San Pietro | |
16. | Marco Minghetti. — (Vedi il 3° deputato per Bologna). |
per Loiano | |
17. | Dottore Antonio Montanari. — (Vedi il deputato di Bertinoro). |
per San Giovanni in Persiceto | |
18. | Marco Minghetti. — (Vedi il 3° deputato per Bologna). |
per Vergato | |
19. | Avvocato Antonio Zannolini. — (Vedi il 2° deputato per Bologna). |
per Ferrara
| |
20. | Conte Gaetano Recchi. |
pel distretto di Ferrara | |
21. | Avvocato Bertozzini |
22. | Antonio Delfini. |
per Cento
| |
23. | Dottore Andrea Monari. |
per Comacchio | |
24. | Avvocato Luigi Feletti. |
per Lugo | |
25. | Canonico Francesco Manzoni. |
Per Ravenna e Cervia | |
26. | Dottor Sebastiano Fusconi. |
per Alfonsine | |
27. | Conte Giovanni Battista Gamba. |
per Imola | |
28. | Conte Daniele Zappi. |
per Castel Bolognese. | |
29. | Conte Giacomo Manzoni. |
per Faenza | |
30. | Conte Terenzio Mamiani. — (Vedi il 4° deputato di Roma). |
31. | Professore Luigi Carlo Farini |
per Forli | |
32. | Conte Pietro Guarini. |
per Bertinoro | |
33. | Professore Antonio Montanari (ossia l'abate Montanari di Meldola). |
per Cesena | |
34. | Professore Cavaliere Maurizio Bufalini. |
per Sant’Arcangelo | |
35. | Conte Odoardo Fabbri. |
per Saludecio | |
36. | Basilio Albini. |
per Urbino | |
37. | Curzio Corboli (padre di monsignore). |
per Gubbio | |
38. | Conte Ranghiaschi Brancaleoni. |
Per Cagli | |
39. | Conte Cristoforo marcelli. |
per Pesaro | |
40. | Conte Terenzio Mamiani. — (Vedi il 4° deputato di Roma). |
per Fano | |
41. | Conte Carlo ferri di s. Constant. |
per Mondolfo | |
42. | Conte Ermanno di montevecchio. |
per Senigallia | |
43. | Conte Giovanni Marchetti. |
per Ancona | |
44. | Principe Annibale Simonetti |
45. | Ciriaco Marini. |
per Iesi | |
46. | Avvocato Carlo Armellini. — (Vedi il deputato di Terni). |
per Osimo | |
47. | Conte Lorenzo Fiorenzi. |
per Cingoli | |
48. | Dottore Diomede Pantaleoni. |
per Civitanova | |
49. | Marchese Giacomo Ricci. |
per Tolentino | |
50. | Professore Marino Cicconi |
per Fabriano | |
51. | Niccola Serafini. |
per Recanati | |
52. | Avvocato Luigi Serenelli. |
per San Severino | |
53. | Conte Francesco Fiorenzi. |
per S. Ginesio | |
54. | Don Carlo Bonaparte principe di Canino. |
per Camerino | |
55. | Professor Giovanni Battista Fabbri. |
per Fermo | |
56. | Carlo Berti Pichat. |
per Sant’Elpidio a mare | |
57. | Marchese Ludovico Potenziani — (Vedi appresso Rieti). |
per Santa Vittoria | |
58. | Girolamo Caporioni. |
per Perugia | |
59. | Avvocato Giovanni Battista Sereni |
60. | Guerriero Guerrieri. |
per città di Castello | |
61. | Avvocato Federico Galeotti. |
per Foligno | |
62. | Ingegnere Antonio Rutili. |
per Nocera | |
63. | Avvocato Giacomo Bini Cima. |
per Todi | |
64. | Angelo Martini. |
per Spoleto | |
65. | Conte Pompeo di Campello. |
per Norcia | |
66. | Avvocato Ottavio Scaramucci. |
per Terni | |
67. | Avvocato Carlo Armellini. — (Vedi il deputato per Albano). |
per Narni | |
68. | Marchese Niccola Sacripanti. |
per Rieti | |
69. | Marchese Ludovico Potenziani. |
per Viterbo | |
70. | Professore Francesco Orioli. |
per Monte Fiascone | |
71. | Avvocato Ricca. |
per Ronciglione | |
72. | Principe Borghese. — (Vedi il 1° deputato di Roma). |
per Orvieto | |
73. | Marchese Ludovico Gualterio. |
per Acquapendente | |
74. | Avvocato Annibale Ninchi. |
per Civitavecchia | |
75. | Avvocato Guglielmi. |
per Alatri | |
76. | Avvocato Patrizi. |
per Ceprano | |
77. | Giovanni Lorenzo Moscardini. |
per Veroli | |
78. | Francesco Melloni. |
per Anagni | |
79. | Dottor Pietro Sterbini. |
per Sezze | |
80. | Ottavio Gigli. |
per Velletri | |
81. | Avvocato Federico Galeotti. — (Vedi il deputato di Città di Castello). |
per Benevento | |
82. | Federico Torre. |
per Castelnuovo di Porto | |
83. | Abate Antonio Bianchini. |
per Palestrina | |
84. | Avvocato Giuseppe Lunati. — (Vedi il 3° deputato di Roma). |
per Bassano | |
85. | Avvocato Antonio Zannolini. — (Vedi il 2° deputato di Bologna). |
per San Giovanni | |
86. | Marco Minghetti. — Vedi il 3° deputato di Bologna). |
Questi erano i nomi dei deputati che conoscevansi quando fu compilato l’elenco sopraccennato. Esso però doveva subire molte modificazioni, essendovi delle nomine doppie e triple, che dovevano esser supplite.
La riunione dei Consigli legislativi, colla quale apriremo il capitolo seguente, esige che diciamo alcun che sullo spirito pubblico che informava i Romani relativamente al governo costituzionale.
In complesso, la costituzione e lo statuto fondamentale in Roma era un essere piuttosto di partito anzichè una cosa la quale da tutti si volesse e desiderasse. Gridavano è vero molti Romani e non Romani, come più o meno hanno gridato sempre, contro gli abusi, i soprusi, e le irresponsabilità; desideravansi quasi universalmente migliorie e riforme; ma in che consister dovessero, quali e quante fossero queste riforme, come avessero ad attuarsi, non eravi chi tei dicesse. I desideri eran molti, ma vaghi e indeterminati; niuna formula, niun piano, niun intendimento, ne’ quali consentisser gli animi. Tale era lo stato morale e politico di Roma in quei tempi.
La Camera dei deputati presentava troppi nomi ch’erano del tutto incogniti ai Romani. Alcuni di essi se non riuscivano loro del tutto nuovi, egli era in grazia soltanto dell’aver preso parte nei passati rivolgimenti.
L’Alto Consiglio poi sebbene presentasse tutti nomi cogniti, fra i quali taluni rappresentavano l’alta proprietà territoriale ed altri ciò che nel moderno linguaggio dicesi illustrazione sociale, attraeva meno la pubblica attenzione, poichè l’elemento rivoluzionario vi si accoglieva in minime proporzioni; cosicchè tutto quel poco interesse che i partigiani del sistema costituzionale prendevano pei futuri dibattimenti restringevasi unicamente al Consiglio dei deputati, quasi ch’esso fosse tutto, e l’altro un bel nulla.
Altra causa di freddezza pei Romani era il sapere che il Santo Padre, mentre come nativo di Senigallia era amico e concittadino del conte Giovanni Marchetti eletto ministro degli affari esterni secolari, nol vedeva di buon occhio rivestito di questa qualifica: molte storielle poi andavansi raccontando per provare che consideravasi siccome un intruso fra i ministri di Sua Santità, e che le corti estere accostumate a trattare con un cardinale di santa Chiesa come ministro degli affari esterni, poco vedesser di buono occhio e mal si acconciassero a corrispondere con un laico, noto al mondo soltanto quale poeta illustre e per aver servito da giovane il regno italiano sotto il ministro Aldini.
Si raccontava perfino che tanto poco amavasi la presenza del Marchetti in palazzo,92 che quando trattossi del porlo in officio, non se gli fece trovare preparata neppure una camera, nè le suppellettili necessarie all’esercizio del carico assunto. 93
La quasi certezza poi che da un momento all’altro germi di collisione e di conflitto dovessero svilupparsi fra i due poteri spirituale e temporale riconcentrati nel capo supremo dello stato ch’era il papa, circondato da un ministero prettamente laicale, teneva gli animi delle persone temperate è riflessive, e che amavan sinceramente il bene del proprio paese, in uno stato di freddezza e perplessità, che male sapevasi dissimulare.
Era noto inoltre e andavasi ripetendo essere massima indeclinabile della corte di Roma, che gli affari del ministero degli esteri eran tutti tali da includere il giudizio e l’assentimento papale, e che ove fossevi pericolo di vedere introdursi nello stato pontificio ciò che in altri stati erasi altre volte proibito o avversato dalla curia romana, meglio stato sarebbe perdere il principato, direm meglio l’esercizio del potere sovrano, di quello che permettere ciò ostensibilmente. Pareva in somma a molti che una separazione del potere fosse incompatibile colla essenza del pontificio governo. Perduto il regno, dicevasi, sarebbe rimasto intatto ed invulnerato il buon diritto; laddove se si fosse venuta introducendo sotto la dizione pontificia una divisione così importante, sarebbesi il governo con un fatto suo proprio suicidato, ed avrebbe inceppato la libertà ed autorità propria, legalizzando in certo modo il principio che la direzione delle cose temporali esser dovesse separata dalle religiose, e potesse agire senza subordinazione all’autorità ecclesiastica. Finalmente dicevasi esser meglio perdere tutto, per il momento, di quello che derogare al principio della subordinazione della civile potestà alla autorità pontificia nelle cose di sua competenza.
Tutte queste considerazioni andavansi facendo, e molti concludevano col dire: vedremo, Dio voglia che la cosa finisca bene!
Aggiungi a tutto ciò che per quanto si dicesse che la scelta del Mamiani era stata spontanea, pure era un fatto incontestabile ch’egli era stato eletto primieramente dalla piazza e dai circoli, e quindi portare con se più l’impronta d’essere stato imposto al sovrano in un momento di prevalente anarchia, di quello che eletto dal papa liberamente e spontaneamente.
Queste cose tutti le conoscevano; e quantunque i più fra i Romani fosser novizi in politica, avevano però abbastanza buon senso per comprenderle da loro stessi.
Circa poi alla maggiorità dei deputati dei quali già conoscevasi là scelta, sebbene presentasse molti uomini d’idee temperate, pure la sola presenza dei Canino e degli Sterbini, d’indole entrambi irrequieta, ambiziosa ed operativa, induce va gravi timori, perchè dicevasi essi soli bastare per metter la confusione e lo scompiglio ove volevasi l’ordine, e quindi poco di buono potersi presagire pel regolare andamento delle cose.
Neppure sapevasi ripromettere alcun bene da una assemblea il cui primo campione, ch’era il conte Mamiani, si presentava irremovibilmente aderente a quel così detto programma ch’era la sua professione di fede politica, e che portava incarnato il principio di una guerra permanente all’Austria e di una coalizione con tutti i popoli insorti o insorgendi; mentre poi il pontefice, coll’atto solenne del 29 di aprile, respingeva la guerra e gl’ingrandimenti, rispettava i trattati esistenti, ed inculcava ai popoli la sottomissione a tutti i governi legittimi. Un sovrano che diceva di voler marciare a diritta, ed un ministero che ordinava di marciare a sinistra, sembravan cose inconciliabili e da non poter durare così.
Nè eran queste semplici paure e sospetti infondati: imperocchè erasi appena insediato il ministero Mamiani, e già il dissenso si veniva appalesando negli atti stessi.
Indipendentemente dai propositi guerreschi nei quali perseverò sempre il ministero dopo l’allocuzione famosa, e che ponevano il governo di Sua Santità in contradizione apertissima colle parole del sovrano, abbiamo un altro esempio flagrante, che lo stesso Farini rileva e commenta.94
L’ambasciatore d’Austria conte di Lützow erasi diretto al cardinale presidente del Consiglio dei ministri per conoscere se fosse mente di Sua Santità ch’ei di Roma si partisse. Al che rispose il cardinale Orioli, presidente in quel tempo, che giammai non aveva inteso il Santo Padre di congedare l’ambasciatore di una potenza cattolica tanto benemerita della Chiesa, quale si era l’Austria.
Questa era la mente del papa. E non ostante ciò i ministri tutti capitanati dal Mamiani studiarono il modo di far comprendere all’austriaco ambasciatore quanto poco fosse compatibile la sua presenza in Roma colla quiete del paese; e intanto se gl’inviavano i passaporti, ed il 16 di maggio, come abbiamo già raccontato, se ne partiva da Roma.
Non direm nulla della falsa posizione in cui misero il pontefice dirimpetto dell’Austria, perchè mentre noi ci trovavamo di aver cacciato il suo ambasciatore, il nunzio apostolico monsignor Viale Prelà restava presso quella corte allora in Innspruck, e faceva di tutto per rimanervi. E non bastando questo, inviavasi all’imperatore in sullo scorcio di maggio un delegato straordinario in persona di monsignor Morichini, e tutto ciò consenziente non solo, ma eonsigliante e plaudente il ministero laicale; quel ministero stesso che fece di tutto sotto mano per allontanare l’ambasciatore da Roma. Ne rincresce il dirlo, ma gli atti di que’ tempi sovrabbondano di dissennatezza, confusione, e contradizione.
Risulta da quanto precede che il poco o niun accordo fra il sovrano e il ministero non erano infondati, perchè avevansene già delle prove manifeste. Quanto alle altre, verranno da noi accennate nel capitolo seguente.
Note
- ↑ Vedi l’Epoca n. 44.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 7 maggio 1848.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 5 detto.
- ↑ Vedi l’Epoca n. 44. — Vedi il V vol. Documenti, n. 100.
- ↑ Vedi l’Epoca del 5 maggio 1848, n. 43, pag. 172.— Vedi la Gazzetta di Roma del detto giorno, pag. 309. — Vedi un foglietto in stampa, ch’è lo stesso Programma, nel V vol. Documenti, n. 98.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 6 maggio 1848
- ↑ Vedi il Documento n. 101 del V volume.
- ↑ Vedi l’Epoca, n. 43.
- ↑ Vedi il Labaro dell’8 di maggio 1848, n. 30.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma dell’8 maggio 1848.
- ↑ Vedi la circolare Mamiani nella Gazzetta di Roma del detto giorno.
- ↑ Vedi Mamiani, Scritti politici, ediz. di Le Monnier, pag. 50 Vedi il nostro capitolo VIII del I volume.
- ↑ Vedi Mamiani, Scritti politici, pag. 51.
- ↑ Vedi la Pallade dell’11 settembre, n. 56.
- ↑ Vedi la Pallade del 24, n. 67. — Vedi il Contemporaneo del 25 detto. — Vedi Mamiani, Scritti politici, pag. 53. —Vedi il capitolo XVIII, I vol. della presente storia.
- ↑ Vedi il documento n. 63 A nel V vol. Documenti. -— Vedi il capitolo XI di questo II volume.
- ↑ Vedi Mario Felice Peraldi monsignore Mario Felice, Discorso sulla secolarizzazione del governo pontificio, Bastia 1858, parte prima: Questione di diritto.
- ↑ Vedi il Contemporaneo del 5 aprile 1848.
- ↑ Vedi l’Epoca dell’11 aprile 1848.
- ↑ Vedi il Supplemento o Foglio aggiunto all’Epoca del 15 aprile.
- ↑ Vedi il Sommario n. 22 e il documento n. 63 A nel V vol. Documenti.
- ↑ Vedi la Speranza del 20 maggio 1848, n. 79.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 22 maggio 1848.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 12 maggio 1848, n. 81, l.ª pag.
- ↑ Vedi la Pallade del 17 maggio 1848.
- ↑ Vedi il Don Pirlone n. 24.
- ↑ Vedi Ranalli II vol. pag. 391 e 392. — Vedi il V vol. Documenti, n. 108 e 111. — Vedi Farini II vol. pag. 74 (3.ª ediz. di Firenze).
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 16 maggio 1848, pag. 346 e la medesima del 17, pag. 351 e 352. — Vedi il V vol. Documenti n.j 103 e 107.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma dell’8 maggio 1848, pag. 317. — Vedi il Labaro del detto giorno, pag. 118. — Vedi la Pallade dell’11 maggio, n. 241.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 12 maggio, pag. 336. — Vedi Farini, vol. II, pag. 130.
- ↑ Vedi il V vol. dei Dooumenti, n. 166 — Vedi il VI vol. dei Documenti, n. 40 e 41.
- ↑ Vedi l’Epoca del 22 maggio 1848 alla pag. 228.
- ↑ Vedi l’Epoca del 10 detto.
- ↑ Vedila nel I vol. Motu-propri ec., al n. 51. — Vedi il V vol. Documenti, n. 115.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 13 maggio.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 15 detto.
- ↑ Vedi la Pallade del 15 maggio.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 19 maggio 1848, pag. 358.
- ↑ Vedi la detta Gazzetta del 24, pag. 375. — Vedi l’Epoca del 27 detto.
- ↑ Vedi l’Epoca del detto giorno. — Vedi la Gazzetta di Roma del 25 detto. — Vedi Ranalli, vol. II, pag. 244, ediz. di Firenze del 1859.
- ↑ Vedi la protesta nel V vol. Documenti, n. 126. — Essa però non porta che sessantasei nomi.
- ↑ Vedilo nel vol. XL delle Miscellanee storico politiche.
- ↑ Vedi il V vol. Documenti n. 116, A.
- ↑ Vedi l’Epoca del 22 maggio, pag. 226.
- ↑ Vedi il V vol. Documenti, n. 124.
- ↑ Vedi Farini vol. II, pag. 118.
- ↑ Vedi il vol. I dei Motu-proprî, n. 54. — Vedi il V vol. Documenti n. 151.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 19 maggio 1848.
- ↑ Vedi il V vol. Documenti, n. 154.
- ↑ Vedi l’Epoca del 24 maggio.
- ↑ Vedi la Pallade del 25 maggio. — Vedi l’Epoca di detto giorno.
- ↑ Vedi il vol. V. Documenti, n. 157.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma, pag. 378.
- ↑ Vedi il vol. V, Documenti, n, 157.
- ↑ Vedi Farini, II vol., pag. 182
- ↑ Vedi il Voi. V, Documenti, n. 163, A.
- ↑ Vedi la Pallade, n. 256.
- ↑ Vedi la Pallade del 29 maggio. — Vedi l’Epoca di detto giorno.
- ↑ Vedi il Supplemento al n. 64 del Contemporaneo.
- ↑ Vedi la Pallade del 5 giugno.
- ↑ Vedi l’Epoca del 5 giugno, pag. 266.
- ↑ Vedi il Supplemento al n. 95 della Gazzetta di Roma del 25 maggio 1848, in principio. L’articolo porta la data del 26.
- ↑ Vedi il Labaro del 27 maggio 1848. — Vedi la Pallade di detto giorno. — Vedi l’Epoca di detto giorno. — Vedi il Contemporaneo del 30.
- ↑ Vedi il Supplemento al n. 95 della Gazzetta di Roma.
- ↑ Vedilo nel vol. V. Documenti, n. 91.
- ↑ Vedi il Supplemento dal n. 95 della Gazzetta di Roma ov’è il rapporto del generale Durando, ed il n. 97 della detta Gazzetta ov’è l’altro rapporto del medesimo.
- ↑ Vedi Memorie della guerra d’Italia degli anni 1848-1849 di un Veterano austriaco, vol. II, pag. 25 e 28. — Vedi Ranalli vol. II, pag. 411. — Vedi Storia delle guerre d’Italia dal 18 marzo 1848 al 28 agosto 1849. Roma, 1851, pag. 140. — Vedi il rapporto del generale Laugier nella Gazzetta di Roma del 3 giugno 1848, pag. 402. — Vedi Farini, terza edizione, volume II, pagine 191. — Vedi Vecchi Augusto, La Italia, storia di due anni 1848-1849. Torino 1856, vol. I, pag. 176.
- ↑ Vedi le Memorie ecc. di un Veterano austriaco, pag. 30, — Vedi Ranalli vol. II, da pag. 413 a 415. — Vedi Gazzetta di Roma, 3 giugno, pag. 1.
- ↑ Vedilo nel vol. V. Documenti, n. 141.
- ↑ Vedilo nel vol. II, Miscellanee, n. 6.
- ↑ Vedilo nel vol. II, Miscellanee, n. 7.
- ↑ Vedilo nel vol. XVII, Miscellanee, n. 1.
- ↑ Vedi il vol. XXXV delle Miscellanee il 12.
- ↑ Si allude agli avvenimenti di Napoli e di Parigi del 15 maggio.
- ↑ Vedi il V vol. Documenti n. 142. — Vedi un semplice cenno del discorso del Santo Padre nell’Epoca del 20.
- ↑ Vedi il Tempo di Napoli del 14 aprile 1848.
- ↑ Vedi Marulli Avvenimenti di Napoli ecc. pag. 32 nel vol. 40» Miscellanee. — Vedi il Tempo del 26 aprile 1848.
- ↑ Vedi il Capitolo VII di questo II volume.
- ↑ Vedi l’Apologia di F. D. Guerrazzi, pag. 28. — Vedi l’Alba del 27 maggio, pag. 932. — Vedi l’Epoca del 29, pag. 248.
- ↑ Vedi il vol. intitolato: Autografi di personaggi politici.
- ↑ Vedi il V vol. dei Documenti n. 143 e 165.— Vedi pure Cenni biografici dei principali autori della diserzione delle truppe napolilane. Venezia 1848, in-12., pag. 10 nel voi XL delle Miscellanee n. 1.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 31 maggio 1848.
- ↑ Vedi il I vol. Motu-Propri ec., della medesima raccolta n. 56. — Vedi il Dizionario del Moroni vol. LIII pag. 198.
- ↑ Vedi il I vol. Motu-Propri ec. n. 57. — Vedi il VI vol. Documenti n. 6.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 5 giugno 1848.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 30 maggio. — Vedi il VI vol. Documenti n. 8 A.
- ↑ Vedi nel vol. XXXI, Miscellanee n. 8.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 3 giugno 1848. — Vedi il VI vol. Documenti n. 6, A.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma del 13 maggio. — Vedi il V vol. Documenti n. 122.
- ↑ Vedi la Gazzetta di Roma, dei 22, 23, 24, 25, 27 e 29 maggio 1848.
- ↑ Vedi il detto Album, nel VI volume Documenti num. 14.
- ↑ S’intende il palazzo pontificio ov’era il ministero.
- ↑ Vedi il Labaro del 9 giugno 1848.
- ↑ Vedi Farini vol. II, pag. 140, terza edizione di Firenze.